SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ROMA N. 4849 2025 – N. R.G. 00001581 2021 DEPOSITO MINUTA 22 08 2025 PUBBLICAZIONE 22 08 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DI APPELLO DI ROMA PRIMA SEZIONE CIVILE
così composta:
dott. NOME COGNOME presidente dott. NOME COGNOME consigliere relatore dott.ssa NOME COGNOME consigliere riunita in camera di consiglio, ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile di appello iscritta al n. 1581 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2021 trattenuta in decisione con ordinanza ex art. 127ter c.p.c. depositata l’11 aprile 2025 e vertente
TRA
(c.f.:
)
C.F.
rappresentato e difeso da ll’avv. NOME COGNOME
E
(c.f.:
P.
rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
OGGETTO: revoca di contributi pubblici
APPELLANTE
APPELLATA
CONCLUSIONI
I difensori delle parti hanno concluso riportandosi alle conclusioni rassegnate nelle note di trattazione scritta depositate ai sensi dell’art. 127 -ter c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
– dichiarando di agire sia in proprio che quale titolare dell’omonima azienda agricola individuale – ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 13448/2020, che ha respinto la domanda di accertamento della illegittimità della determinazione dirigenziale n. G06240 del 21 maggio 2015 (e della pedissequa comunicazione n. 299969/GR/04/11 del 2 giugno 2015) con cui la ha disposto la decadenza parziale dal regime di aiuti chiesto dal la revoca del contributo concesso nella misura di 62.140,00 € e il recupero di tale somma maggiorata degli interessi legali.
L’ appellante ha dedotto al riguardo che:
il tribunale ha dichiarato la legittimità del provvedimento di decadenza, senza tenere conto del fatto che esso non è un provvedimento di revoca in senso proprio (non presuppone cioè la rinnovazione dell’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento revocato), ma è un provvedimento sanzionatorio che presuppone l’accertamento dell’inadempimento degli obblighi facenti capo al privato nell’ambito del rapporto sorto in forza del provvedimento che ha concesso il beneficio pubblico;
il tribunale ha omesso di valutare l ‘inosservanza dei termini del procedimento lamentata dall’attore, il quale aveva eccepito la tardività della contestazione della violazione da parte della Guardia di Finanza (che ha redatto il verbale di contestazione l’11 giugno 2014 per fatti commessi nel 2005) e il decorso del termine quinquennale di cui all’art. 28 della legge n. 689 del 1981;
il provvedimento sanzionatorio impugnato è in ogni caso illegittimo per inosservanza del termine di 180 giorni previsto dall’art. 4, comma 1, lett. a) della legge n. 898/1986 e del termine di 180 giorni previsto in via generale per la conclusione del procedimento amministrativo i sensi dell’art. 2, commi 2 e 4, della legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni;
i provvedimenti amministrativi in oggetto avrebbero dovuto essere disapplicati dal tribunale perché affetti da vizio di eccesso di potere, avendo l’amministrazione inciso sfavorevolmente su una posizione di vantaggio dell’attore fondata su un legittimo affidamento ragionevole e incolpevole;
il tribunale ha omesso di considerare che le opere finanziate con il contributo pubblico sono state interamente realizzate e che il esercita realmente l’attività agricola e di allevamento del bestiame per cui sono stati concessi i finanziamenti, non potendo essere ritenuto responsabile di illeciti di natura tributaria (l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti) commessi dal terzo a cui erano stati appaltati i lavori per la
realizzazione delle opere strumentali all’esercizio dell’impresa agricola ;
il tribunale avrebbe dovuto disapplicare i provvedimenti amministrativi de quibus perché viziati da eccesso di potere, avendo l’Amministrazione disposto la decadenza dal beneficio economico sulla mera base di un sillogismo (omesso versamento dell’IVA da parte dell’appaltatore = inesistenza delle operazioni fatturate = inesistenza delle opere che avrebbero dovuto essere realizzate con il finanziamento pubblico) che è in contrasto col fatto che il ha emesso in favore dell’appaltatore numerosi assegni per il pagamento del corrispettivo delle opere, che risultano effettivamente realizzate;
il tribunale non ha tenuto conto degli accertamenti eseguiti in sede giurisdizionale tributaria, contabile e penale da cui risulta che l’impresa appaltatrice ha effettivamente eseguito i lavori commissionati dal sulla base del contributo pubblico a suo tempo concesso;
il tribunale ha erroneamente valorizzato ai fini dell’accertamento dei fatti la sentenza di patteggiamento emessa nei confronti del per l’utilizzo delle fatture emesse dall’appaltatore benché la sentenza ex art. 444 c.p.p. non faccia stato nei giudizi civili.
L’ appellante ha concluso domandando – previa disapplicazione dei provvedimenti amministrativi impugnati -l’accertamento dell’illegittimità della decadenza parziale dal contributo richiesto e della revoca del contributo per l’importo di 62.140,00 €, oltre al risarcimento dei danni da liquidarsi in via equitativa.
In via subordinata, l’appellante ha chiesto che gli venga riconosciuto un indennizzo da liquidarsi in via equitativa in ragione della posizione di vantaggio consolidatasi per effetto del legittimo affidamento sorto durante il tempo trascorso tra la data di erogazione del beneficio (7 ottobre 2005) e quella in cui esso è stato parzialmente revocato.
Si è costituita in giudizio la domandando il rigetto dell’appello e deducendo al riguardo che:
il provvedimento impugnato (determinazione dirigenziale n. G06240/2015) non è una determinazione ingiuntiva ma un atto dovuto con cui è stata disposta la decadenza parziale del dal finanziamento in conseguenza dell’inadempimento delle obbligazioni assunte in forza della concessione n. 277/2004;
con sentenza n. 861/2018 il Tribunale di Frosinone ha già deciso in merito alla legittimità e fondatezza della fase istruttoria svolta dalla per revocare parzialmente il finanziamento concesso al
L’appello è infondato e va pertanto respinto.
La controversia in esame ha ad oggetto l’accertamento della sussistenza dei presupposti per l’adozione della determinazione dirigenziale n. G06240 del 21 maggio 2015, con cui la
ha dichiarato la decadenza parziale di dal regime di aiuti e la revoca (nella misura di 62.140,00 €) del contributo pubblico concesso al con il provvedimento n. 277 del 12 agosto 2004 ema nato dall’Area Decentrata Agricoltura di
Frosinone.
L’appellante muove dall’erroneo presupposto che il provvedimento amministrativo impugnato abbia natura sanzionatoria e ne invoca pertanto l’illegittimità per violazione delle disposizioni in materia di decadenza dall’esercizio della potestà sanzionatoria e di prescrizione del diritto a riscuotere la relativa sanzione contenute nella legge n. 689 del 1981 e nella legge n. 898 del 1986.
Trattasi di doglianze infondate, dal momento che la dichiarazione di decadenza e la revoca parziale del beneficio concesso disposte con la determinazione dirigenziale n. G06240 del 21 maggio 2015 non costituiscono esercizio di una potestà sanzionatoria ma sono un atto dovuto in conseguenza dell’accertamento della mancanza dei presupposti per l’erogazione del beneficio economico (nella specie, la mancanza di documentazione idonea a giustificare le spese che il afferma di aver sostenuto per realizzare l’opera finanziata: v. infra ).
Per le stesse ragioni devono ritenersi infondate le doglianze relative al presunto eccesso di potere in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione nell’adozione del provvedimento impugnato, il quale non costituisce esercizio di discrezionalità amministrativa ma è un atto dovuto al ricorrere dei presupposti previsti dalla legge e dal bando che regolano la concessione del beneficio.
È infine infondata anche la doglianza relativa alla presunta inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo, dal momento che tale inosservanza non rende illegittimo l’atto amministrativo adottato oltre il termine ma incide semmai sulla valutazione della performance individuale e sulla responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente (art. 2, comma 9, della legge n. 241 del 1990).
Venendo ad esaminare le doglianze relative al merito del provvedimento di revoca del beneficio (i.e. alla sussistenza dei presupposti per la sua adozione) si osserva quanto segue.
La determinazione dirigenziale impugnata è motivata per relationem , richiamando la proposta di decadenza parziale dal regime di aiuti formulata da ll’
(v. la nota n. 258949/GR/04/11 del 12 maggio 2015) e l’accertamento compiuto dalla Guardia di Finanza -Tenenza di Fiuggi (v. il verbale di constatazione del l’11 giugno 2014 e la nota integrativa n. 0341627/14 del 4 agosto 2014).
La proposta di decadenza parziale dal regime di aiuti di cui alla nota dell’ n. 258949/GR/04/11 del 12 maggio 2015 è motivata a sua volta sulla base dell’accertamento compiuto dalla Guardia di Finanza di Fiuggi, secondo cui cinque fatture emesse dall’impresa appaltatrice nell’anno 2005 (per un importo complessivo di 124.280,00 € oltre IVA) sarebbero ‘ documenti contabili classificabili soggettivamente inesistenti e quindi da ritenersi non idonei per l’ammissione a contributo ‘.
L’accertamento riguarda le seguenti fatture emesse nell’anno 2005:
fattura n. 6 del 10 giugno 2005, per un importo di 60.000,00 € + IVA;
fattura n. 8 del 3 giugno 2005, per un importo di 27.680,00 € + IVA;
fattura n. 11 del 10 giugno 2005, per un importo di 7.400,00 € + IVA;
fattura n. 12 del 10 giugno 2005, per un importo di 14.900,00 € + IVA;
fattura n. 13 del 10 giugno 2005, per un importo di 14.300,00 € + IVA.
La Guardia di Finanza ha accertato al riguardo che i lavori per i quali sarebbero state emesse le fatture de quibus sono stati eseguiti da imprese diverse dall’impresa individuale di che i titolari di tali imprese non hanno confermato la presenza dell’impresa di nel cantiere e che dalle indagini bancarie compiute sul conto corrente del aperto presso la (già risulta che quando portava all’incasso gli assegni emessi da quest’ultimo effettuava contestualmente versamenti di denaro contante sul proprio conto corrente, per un importo equivalente a quello degli assegni incassati dal o leggermente inferiore (v. il verbale di constatazione dell’11 giugno 2014).
La Guardia di Finanza ha inoltre accertato che (v. la nota integrativa n. 0341627/14 del 4 agosto 2014 e l’allegata denuncia ex art. 331 c.p.p. alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Frosinone):
nel corso delle operazioni di verifica il non è stato in grado di esibire contratti, preventivi, stati di avanzamento lavori o altra documentazione relativa ai lavori che sarebbero stati appaltati all’impresa di ;
vi sono incongruenze nell’ordine di emissione delle fatture e nella relativa data (la fattura n. 6 è stata emessa il 10 giugno 2005, benché il 3 giugno 2005 risultasse già emessa la fattura n. 8);
le fatture non seguono cronologicamente l’ordine logico di esecuzione dei lavori di costruzione del manufatto;
alcune delle fatture emesse dal si riferiscono ai medesimi lavori per i quali altre imprese hanno emesso fatture che a loro volta sono state annotate dal nel registro IVA acquisti per l’anno 2005;
non ha presentato le dichiarazioni annuali e non ha esibito la documentazione contabile relativa all’anno d’imposta 2005 richiestagli dalla Guardia di Finanza (elemento sintomatico dell’inattività della sua impresa).
Alla luce di tali elementi si deve dunque ritenere che l’effettiva realizzazione delle opere per le quali il fu ammesso al contributo con il provvedimento n. 277 del 12 agosto 2004 non implichi di per sé che il abbia effettivamente sostenuto i costi di cui ha chiesto il rimborso (che avrebbero dovuto essere rigorosamente documentati), perché le cinque fatture emesse dall’impresa nell’anno 2005 sono relative ad operazioni soggettivamente inesistenti (essendo riferite a lavori che non sono stati eseguiti dall’impresa di e il loro riscontro contabile è inattendibile (non essendovi prova del fatto che il abbia effettivamente sostenuto il costo di 124.280,00 € per realizzare le opere indicate nelle fatture de quibus ): ciò che giustifica la decisione della
di revocare in parte qua il contributo a suo tempo concesso, pari al 50% dell’importo dei lavori fatturati dal nell’anno 2005.
Tali conclusioni prescindono dalla valutazione degli effetti della sentenza di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. emessa nei confronti del (che il tribunale ha richiamato solo incidentalmente) e non sono in contrasto con il giudicato favorevole al formatosi in sede tributaria e in sede contabile (richiamato alle pagg. 11 e ss. dell’atto di appello ).
Quanto al giudicato formatosi in sede tributaria, si osserva che esso riguarda un avviso di accertamento emesso nei confronti di per illegittima detrazione di IVA per l’anno d’imposta 2006 in relazione a quattro fatture emesse da nel 2006 per un importo complessivo di 55.400,00 €.
Trattasi all’evidenza di un accertamento che nulla ha a che vedere con la controversia oggetto del presente giudizio, in cui si discute di cinque fatture emesse da nell’anno d’imposta 2005 per un importo complessivo di 124.280,00 € oltre IVA.
Quanto al giudicato formatosi sulla sentenza della Corte dei conti n. 58/2020 (che ha assolto dall’addebito relativo a l danno erariale derivante dall’indebita percezione del contributo erogato dalla sulla base di documenti di spesa ritenuti falsi e/o emessi per operazioni inesistenti), esso si fonda esclusivamente sugli esiti del giudizio tributario relativo all’illegittima detrazione di IVA per l’anno d’imposta 2006 (v. pagg. 9 ss. della sentenza) e resta quindi estraneo all’oggetto del presente giudizio ( v. supra ).
Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va dunque respinto, risultando infondato in relazione a tutti i motivi dedotti dall’appellante.
Alla soccombenza dell’appellante segue la sua condanna al pagamento delle spese del giudizio in favore della , che si liquidano in complessivi 5.000,00 € per compensi, oltre oneri accessori di legge e spese generali nella misura del 15%.
P.Q.M.
La Corte di appello di Roma, definitivamente pronunciando, così provvede:
1) rigetta l’appello proposto da avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 13448/2020;
condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore della , liquidandole in complessivi 5.000,00 € oltre oneri accessori di legge e spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte de ll’ appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello – se dovuto -previsto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2025.
Il consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME