Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15369 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15369 Anno 2024
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3601/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME e rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso RAGIONE_SOCIALE e rappresentata e difeso dagli avvocati NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE RAGIONE_SOCIALE STATO (P_IVAP_IVA che lo rappresenta e difende -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5640/2018 depositata il 13/09/2018; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/04/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Va premesso che RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto ed ottenuto in via definitiva, con D.M. 115661/2002 del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, un contributo di € 250.858,61, liquidabili in tre quote annuali di €83.619,15, ciascuna erogata dalla banca Mediocredito Toscano S.p.A., per supportare un programma di investimenti per l’ampliamento della propria unità produttiva in Castel San Giorgio.
Successivamente, con D.M. n. VII/RC/160695 del 14.06.2011, a seguito di ispezione ministeriale che aveva rilevato che i beni oggetto dell’investimento agevolato erano stati rinvenuti presso una unità produttiva diversa da quella per la quale dette agevolazioni erano state richieste, il RAGIONE_SOCIALE disponeva la revoca del contributo, chiedendo all’impresa la restituzione delle somme già erogate.
Ciò premesso, con atto di citazione notificato il 17.10.2011 la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, contestando il provvedimento di revoca delle agevolazione e chiedendo al giudice di prime cure di accertare l’insussistenza dell’inadempimento contestato dal RAGIONE_SOCIALE e di dichiarare l’inefficacia della revoca dell’assegnazione
del finanziamento concesso, ovvero la sua disapplicazione, oltre alla non debenza delle somme richieste in restituzione.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 6269/2014, rigettava la domanda della RAGIONE_SOCIALE, ritenendo provato l’inadempimento e il comportamento contrario ai canoni di buona fede e correttezza e, dunque, la sussistenza dei presupposti per la revoca del beneficio, poiché la società, con la diversa allocazione dei manufatti destinati ad ospitare i macchinari attribuiti con le agevolazioni, aveva mutato le premesse dell’investimento assunte alla base del decreto di concessione delle agevolazioni.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 5640/2018, ha respinto l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, confermando la sentenza di primo grado.
Il Giudice d’appello, per quanto ancora rileva, ha affermato che:
-ai sensi dell’art. 2 del D.M. n. 527/1995, le agevolazioni dovevano ritenersi afferenti a programmi di investimento relativi ad una specifica sede aziendale e a specifici immobili, e non ad un eventuale cambio di sede, fattispecie questa disciplinata invece dall’art. 3 del decreto;
-ai sensi dell’art. 8 del D.M. n. 527/1995, la revoca doveva ritenersi correttamente disposta, essendo pacifico che le agevolazioni erano state utilizzate in una diversa unità produttiva avente una diversa sede, e senza averne dato preventiva comunicazione, che, peraltro, avrebbe solo comportato una revoca parziale.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, affidandolo a quattro motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno resistito in giudizio con due distinti controricorsi.
Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stato dedotto l’omesso esame di fatti decisivi, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c..
Lamenta la ricorrente che la Corte di Appello non ha considerato che lo spostamento della sede rispetto a quella originariamente indicata nella richiesta di agevolazioni era avvenuto per soli pochi chilometri, rimanendo sempre nell’ambito della Regione Campania; che l’RAGIONE_SOCIALE aveva documentato di aver realizzato non solo gli investimenti a fronte dei quali aveva ottenuto le agevolazioni, ma anche gli obiettivi di legge, ossia la creazione di nuovi posti di lavoro e la crescita dell’attività; che non corrispondevano al vero alcuni assunti posti a fondamento della decisione del Tribunale, e cioè che la società aveva realizzato un’altra attività produttiva nella nuova sede, oppure che aveva realizzato un nuovo insediamento produttivo con altre caratteristiche strutturali e di produttività.
Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c, del fatto decisivo della tardiva costituzione dei convenuti nel primo e nel secondo grado.
Lamenta la ricorrente che la Corte di Appello non ha tenuto conto della tardiva costituzione dei convenuti, recependo erroneamente l’eccezione, non rilevabile d’ufficio, formulata dal RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE, relativa alla mancata ricezione da parte di RAGIONE_SOCIALE della nota con cui la RAGIONE_SOCIALE le aveva comunicato il cambio di sede.
Con il terzo motivo è stata dedotta la falsa applicazione del D.M. 20/10/95 n. 527.
In particolare, ad avviso della ricorrente, la Corte d’Appello:
-ha erroneamente applicato l’art. 2, co. 1 del D.M. n. 527/95, in quanto ha affermato la necessità di un collegamento tra le agevolazioni e la specifica sede aziendale di cui però non v’è traccia nella lettera della norma, la quale prevede soltanto che il richiedente disponga dell’immobile in cui svolge l’attività produttiva a beneficio della quale vanno stanziate le agevolazioni.
-ha erroneamente applicato l’art. 3 del D.M. n. 527/95, in quanto non attinente alla fattispecie, sia perché la disposizione non si riferisce al cambio di sede in corsa, bensì alla necessità di cambiare il posto dove realizzare gli investimenti, sia perché in ogni caso il cambio della localizzazione della sede non è contemplato come deterrente per le agevolazioni.
-ha erroneamente applicato l’art. 8, co. 1, lett. b) del D.M. 527/95, in quanto la norma, nel prevedere quale causa di revoca delle agevolazioni l’aver distolto le immobilizzazioni dall’uso previsto, non si riferisce al cambio di sede dell’impresa, ma soltanto al mancato svolgimento della specifica e circoscritta attività produttiva per un periodo minimo di tempo.
-non ha applicato l’art. 9, co. 9 del D.M. 527/95, da cui, per costante giurisprudenza, si desume la possibilità di provvedere a modifiche sostanziali dell’investimento.
Con il quarto motivo è stata dedotta l’erronea/mancata applicazione dei principi in tema di importanza dell’inadempimento, di buona fede e di lealtà.
Lamenta la ricorrente che la Corte di Appello, pur senza fare espresso richiamo alla sentenza di primo grado, ha erroneamente fatto proprie le motivazioni del Tribunale laddove ha giustificato la revoca delle agevolazioni in ragione della presunta violazione da parte della RAGIONE_SOCIALE dei canoni di buona fede e di rispetto della causa fiduciae nel rapporto tra P.A. e privati.
Ad avviso della ricorrente, infatti, a fronte del raggiungimento da parte della RAGIONE_SOCIALE degli obiettivi produttivi, economici ed occupazionali legati alle agevolazioni, la circostanza dell’avvenuto cambio di sede – anche a volerla ritenere rientrante tra le cause di revoca delle agevolazioni – costituisce una violazione degli obblighi nascenti dal rapporto di sovvenzione di rilevanza marginale, certamente insufficiente a legittimare la grave sanzione della revoca delle agevolazioni.
Il primo, il terzo ed il quarto motivo, da esaminare unitariamente, in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, presentano concomitanti profili di inammissibilità ed infondatezza.
In primo luogo, la ricorrente lamenta l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ., senza aver avuto neppure cura di precisare ‘dove’ e ‘come’ avrebbe sottoposto le circostanze indicate nel primo motivo all’esame della Corte d’Appello, di talch é tale deduzione si appalesa priva di specificità ed autosufficienza.
Infondata e contestualmente inammissibile è la censura con cui la ricorrente, oltre a contestare l’interpretazione data alla Corte d’Appello agli artt. 2, 3 e 8 del D.M. n. 527/1995 – segnatamente, l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui le agevolazioni di cui è causa si riferivano a programmi di investimento relativi ad una specifica sede aziendale e a specifici immobili ha invocato l’erronea applicazione dei principi in tema di importanza dell’adempimento, buona fede e lealtà.
In particolare, la ricorrente, al preciso rilievo della Corte d’Appello secondo cui, a norma dell’art. 2 del predetto decreto ministeriale, le imprese individuate dall’art. 1 comma 1 sono ammesse alle agevolazioni di cui è causa ‘ a condizione che, alla data della relativa domanda, abbiano la piena disponibilità dell’immobile
dell’unità produttiva ove viene realizzato il programma, rilevabile da un idoneo titolo di proprietà, diritto reale di godimento , locazione anche finanziaria…’ e che ‘ tale immobile deve essere già rispondente, in relazione all’attività da svolgere, ai vigenti specifici vincoli edilizi, urbanistici e di destinazione d’uso ….’, ha apoditticamente ritenuto irrilevante, ai fini della revoca del contributo, lo spostamento (senza alcuna comunicazione) dell’impresa dall’unità produttiva oggetto del programma di cui al contributo richiesto. Sul punto, si è limitata ad aggiungere di avere la piena disponibilità dell’immobile sito in Scafati in cui ha trasferito l’attività produttiva (diverso da quello sito in Castel S. Giorgio, indicato nella domanda di concessione dei contributi) e che quest’ultimo immobile è ‘ pienamente conforme dal punto di vista urbanistico-edilizioamministrativo’, circostanze, peraltro, di non vi è traccia nella sentenza impugnata e che la ricorrente non ha neanche allegato di aver sottoposto ai giudici di merito.
La ricorrente ha, altresì, apoditticamente ritenuto non conferente il richiamo operato dalla Corte d’Appello all’art. 8 lett . b) del predetto decreto ministeriale, che prevede che le agevolazioni sono revocate qualora, ‘in qualsiasi forma’, vengano distolte dall’uso previsto le immobilizzazioni materiali o immateriali la cui realizzazione o acquisizione è stata oggetto dell’agevolazione, prima di cinque anni dalla data di entrata in funzione dell’impianto. Sul punto, ha dedotto genericamente di aver destinato tutte le immobilizzazioni all’uso indicato nella richiesta di agevolazione, non confrontandosi, ancora una volta, con la precisa (già evidenziata) affermazione della Corte d’Appello secondo cui, in base all’art. 2 del decreto ministeriale 527/1995, le agevolazioni si riferivano a programmi di investimento relativo ad una specifica sede aziendale e a uno specifico immobile oggetto della domanda di contributo, né potevano essere utilizzate in una diversa unità produttiva e senza neppure averne dato preventiva comunicazione.
Infine, parimenti inammissibile è la dedotta violazione dei principi in tema di importanza dell’adempimento, buona fede e lealtà. E’ orientamento consolidato di questa Corte che sia la valutazione della gravità dell’inadempimento (cfr. Cass. n. 7630/2012) sia quella della buona fede (cfr. Cass. n. 22585/2019) rientrano tra gli apprezzamenti di fatto sottratti al sindacato di legittimità ove adeguatamente motivati (il vizio di motivazione non è stato neppure invocato dalla ricorrente).
Il secondo motivo presenta una pluralità di profili di inammissibilità ed infondatezza.
In primo luogo, la deduzione in esso contenuta difetta di autosufficienza, non precisando ‘quando’ e ‘come’ nel giudizio di appello sia stata sollevata la questione della tardività della costituzione dei convenuti.
In ogni caso, il richiamo alla violazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ. è del tutto inconferente.
Va, sul punto, osservato che costituisce ormai ius receptum di questa Corte, il principio secondo cui “L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia’ (Cass. SSUU n. 8053/2014).
Ne consegue che la censura della ricorrente -secondo cui la Corte d’Appello avrebbe omesso l’esame del fatto decisivo della tardiva costituzione dei convenuti nel processo di primo e secondo grado –
è completamente estranea alla fattispecie dell’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, come approfondita, nei termini sopra illustrati, nella citata sentenza n. 8053/2014 dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali, nell’elaborare la nozione di ‘fatto’, hanno quindi inteso riferirsi ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storiconaturalistico (Cass. n. 15237 del 2022; Cass. n. 13024 del 2022; Cass. n. 5494 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022) che si devono essere comunque verificati in epoca precedente all’instaurazione del processo.
Nel caso di specie, la ricorrente lamenta un’omessa attività del giudice relativa ad un fatto verificatosi nell’ambito del processo.
In ogni caso, la deduzione con cui il RAGIONE_SOCIALE aveva evidenziato nella propria comparsa di costituzione che RAGIONE_SOCIALE non aveva ricevuto la nota della odierna ricorrente di intervenuto cambio sede non costituisce affatto un’eccezione in senso stretto, da svolgersi, a pena di decadenza, nei ristretti termini di cui all’art. 167 cod. proc. civ..
Si tratta di mera difesa, atteso che era onere dell’impresa provare di avere tempestivamente comunicato il cambio di sede, dato che contestava la revoca del finanziamento basata proprio su quella mancanza: proprio alla luce di tale considerazione l’eccezione del MISE si configura come mera difesa circa l’insussistenza di uno dei presupposti costitutivi del diritto dell’impresa a ricevere il finanziamento.
Ove non fosse ritenuta una mera difesa, sarebbe comunque un’eccezione in senso lato non soggetta a termini di decadenza. In proposito, va osservato che, secondo il costante orientamento di questa Corte (vedi Cass. S.U. n. 1099/1998, S.U. 15661/2005, S. U. 10531/2013), a partire dalle S.U. n. 1099/1998, la deduzione dei fatti impeditivi, modificativi ed estintivi del diritto vantato
dall’attore dà normalmente luogo ad un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio, purché risulti dagli atti del processo. Il fatto integratore dell’eccezione in senso stretto deve essere, invece, previsto espressamente dalla legge (come l’eccezione di prescrizione o l’eccezione di compensazione) o corrispondere all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio dal titolare o ad altra situazione in cui la manifestazione della volontà della parte sia prevista strutturalmente come elemento integrativo della fattispecie difensiva (vedi Cass. n. 4589/2023). Non è certo il caso di specie.
Infine, in ogni caso, la censura è inammissibile per genericità, non avendo la ricorrente indicato elementi utili che consentano di individuare quale sia il documento del 2011 cui fa riferimento.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 5.000,00, oltre spese prenotate a debito, nei confronti del RAGIONE_SOCIALE e in € 5.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1° bis RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13.
Roma, così deciso in data 10.4.2024