Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4036 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 4036  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25232/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria, rappresentata difesa da ll’ AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE,  rappresentata  e  difesa  dagli  Avvocati  NOME  COGNOME (CODICE_FISCALE)  e  NOME  COGNOME  (CODICE_FISCALE) giusta procura speciale in calce al controricorso
– controricorrente – avverso il decreto del Tribunale di Bologna n. 2504/2020 depositato il 29/7/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/1/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Si evince dal contenuto del decreto impugnato e dall’unanime ricostruzione dei fatti di causa prospettata dalle parti che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE stipulavano una serie di contratti di  locazione  di  impianti  fotovoltaici  insistenti  su  lastrici  solari  di immobili nella disponibilità della conduttrice.
In  seguito,  la  procedura  di  amministrazione  straordinaria  di  RAGIONE_SOCIALE  concludeva  (in  data  9  agosto  2018)  con  RAGIONE_SOCIALE  un  contratto  di  cessione  di  azienda  con  riserva  di proprietà,  a  seguito  del  quale  la  cessionaria  subentrava  in  tali contratti di locazione; RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE stipulavano (in data 13 novembre 2018) un accordo quadro per la gestione degli impianti fotovoltaici.
RAGIONE_SOCIALE, in ragione del mancato adempimento da parte di RAGIONE_SOCIALE degli obblighi assunti verso RAGIONE_SOCIALE con il contratto di cessione d’azienda con riserva di proprietà, della sua conseguente risoluzione per inadempimento e della retrocessione immediata dei beni aziendali, domandava l’ammissione al passivo di RAGIONE_SOCIALE in a.s. di quanto dovutole in virtù, in via principale, dell’accordo q uadro e dei contratti di locazione, in subordine dei soli contratti di locazione, in ulteriore subordine dell’accordo transattivo del 10 marzo 2017, oltre ai danni subiti.
Il  giudice  delegato  ammetteva  parzialmente  il  credito  insinuato  a titolo  di  canoni  di  locazione  imponibili,  per  il  solo  importo  di  € 103.711,44,  oltre  a  quanto  dovuto  per  danni  negli  impianti  di Legnago, Sacile e Rubiera (quest’ultimo per il periodo succes sivo al 2 luglio 2019).
Escludeva,  invece,  i  canoni  di  locazione  richiesti  per  gli  impianti diversi da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE per il periodo intercorrente fra il 24 maggio e il 1° luglio 2019 perché di competenza di altra società alla quale erano stati ceduti i rami d’azienda.
Il Tribunale di Bologna, a seguito dell’opposizione presentata da RAGIONE_SOCIALE, riteneva -fra l’altro e per quanto qui di interesse -, rispetto all’individuazione del momento di efficacia della retrocessione dei complessi aziendali per effetto dello scioglimento del  contratto  di  cessione  con  riserva  di  proprietà  ad  opera  del curatore del fallimento di RAGIONE_SOCIALE, che tale
scioglimento  avesse  comportato  il  venir  meno  dell’aspettativa  del compratore circa il futuro trasferimento della proprietà e l’immediata retrocessione dei rapporti ancora in corso, tra cui quelli di locazione, all’originario contraente.
Reputava,  di  conseguenza,  che  a  far  data  dallo  scioglimento  del contratto (24 maggio 2019), piuttosto che dalla restituzione fisica dei beni (2 luglio 2019), il soggetto tenuto al pagamento dei canoni di locazione fosse l’originario contraente RAGIONE_SOCIALE
Disponeva, in accoglimento dell’opposizione proposta, l’ammissione al passivo dell’ulteriore somma di € 353.801,07 a titolo di canoni di locazione per il periodo 24 maggio 2019 -1° luglio 2019 per una serie di impianti.
Ordinava, inoltre, l’ammissione al passivo dei danni relativi all’impianto  di  Rubiera  per  il  periodo  ricompreso  fra  il  24  maggio 2019 e il 1°  luglio  2019,  per  l’importo  di  €  15.486,33,  una  volta constatato che l’opponente, sul punto, aveva riproposto la do manda che non era stata accolta dal giudice delegato.
 RAGIONE_SOCIALE  ha  proposto  ricorso  per  la cassazione  di  tale  decreto,  pubblicato  in  data  29  luglio  2020, prospettando  tre  motivi  di  doglianza,  ai  quali  ha  resistito  con controricorso RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
ll primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 72 e 73 l. fall., 1523 e ss. cod. civ.: il tribunale ha ritenuto che in caso di scioglimento del contratto di cessione di azienda con riserva  di  proprietà ex art.  73  l.  fall.  consegua  immediatamente l’automatica retrocessione dei vari beni aziendali.
In  tesi  di  parte  ricorrente,  al  contrario,  non  può  esservi  alcuna retrocessione dei beni senza che la stessa sia accompagnata dalla loro  materiale  riconsegna,  che  nel  caso  di  specie  era  avvenuta soltanto a seguito dell’accordo quadro concluso fra RAGIONE_SOCIALE e il fallimento di RAGIONE_SOCIALE in data 2 luglio 2019.
6. Il motivo non merita accoglimento.
6.1 Il disposto dell’art. 2558, comma 1, cod. civ.  stabilisce che, in mancanza di diversa pattuizione, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti per l’esercizio della stessa che non abbiano carattere personale.
I contratti strumentali all’esercizio dell’azienda transitano così automaticamente in capo al cessionario, in deroga all’art. 1406 cod. civ.,  secondo  cui  un  contraente  può  sostituire  a  sé  un  terzo  nei rapporti negoziali purché l’altra parte vi consenta.
In questo modo si verifica un automatico subentro del cessionario in tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive non aventi carattere personale rientranti fra i ‘contratti di azienda” (aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all’imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale) e ai cosiddetti “contratti di impresa” (non aventi ad oggetto diretto beni aziendali, ma attinenti alla organizzazione dell’impresa stessa, come i contratti di somministrazione con i fornitori, i contratti di assicurazione, i contratti di appalto e simili) (Cass. 15065/2018, Cass. 7517/2010).
Il solo acquirente, per effetto del suo subentro ex lege nei contratti in corso a prestazioni corrispettive non ancora integralmente eseguite da alcuna delle parti, risponde dei debiti per il pagamento di prestazioni continuative o periodiche eseguite dopo il trasferimento, mentre, ai sensi dell’art. 2560 cod. civ., l’alienante risponde solidalmente con l’acquirente dei debiti residuati da contratti in cui il terzo contraente abbia già adempiuto la propria prestazione prima della cessione (Cass. 10902/2024, Cass. 4248/2023).
6.2 Tale essendo il quadro complessivo della disciplina da applicarsi, questa Corte ha già avuto modo di osservare che la norma dettata dall’art. 2558 cod. civ., in tema di subentro dell’affittuario dell’azienda nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda che non
abbiano carattere personale, trova applicazione anche con riguardo agli aspetti collegati alla restituzione dell’azienda dall’affittuario al concedente a seguito di cessazione dell’affitto (Cass. 11318/2004). Con quest’ultima decisione (sulla scia di Cass. 16724/2003) questa Corte ha stabilito, ai fini dell’applicazione dell’art. 2558 cod. civ., che la cessazione dell’affitto e la conseguente retrocessione dell’azienda devono ricollegarsi direttamente alla volontà contrattuale delle parti o ad un fatto da queste espressamente previsto nel contratto precedentemente stipulato, ma ha precisato che, mentre il congegno di successione nei rapporti contrattuali, quale disciplinato dall’art. 2558 cod. civ., presuppone che il trasferimento dell’azienda sia il prodotto della volontà contrattuale, la successione nei rapporti di credito (art. 2559 cod. civ.) e di debito (art. 2560 cod. civ.) nonché nei rapporti di lavoro subordinato (art. 2112 cod. civ.) relativi alla stessa azienda, costituisce «conseguenza necessaria ed ineliminabile del trasferimento di questa», intendendo così la nozione di trasferimento come riferita alla restituzione dell’azienda dall’affittuario al concedente a seguito di cessazione dell’affitto (si veda, in questi termini, Cass. 23581/2017).
6.3 Lo scioglimento ad opera del curatore del contratto di cessione d’azienda con riserva di proprietà, ai sensi degli artt. 72 e 73 l. fall., e la conseguente retrocessione dell’azienda rimangono regolati, nei loro effetti immediati, dal compendio di regole appena richiamate, nel senso che il retrocessionario subentra automaticamente in tutti i ‘contratti di azienda” e i “contratti di impresa’ e risponde dei debiti per il pagamento di prestazioni continuative o periodiche eseguite dopo il trasferimento.
Il provvedimento impugnato, pertanto, imputa correttamente l’obbligo di corrispondere il canone al retrocessionario ,  a  fronte  di una  prestazione  eseguita  dal  locatore  dopo  lo  scioglimento  del contratto  di  cessione  d’azienda  con  riserva  della  proprietà  e  il
conseguente  immediato  e  automatico  subentro  nel  contratto  di locazione.
La mancata restituzione fisica dell’azienda non altera la generale disciplina esistente in materia, secondo cui l’alienante (in questo caso il retrocedente) è liberato dai debiti derivanti dal contratto da lui stipulato (o in cui è subentrato) per l’esercizio dell’azienda medesima, in forza del combinato disposto degli artt. 2558 e 2560 cod. civ., ove tali debiti riguardino il pagamento di prestazioni continuative o periodiche eseguite dopo il trasferimento, ma, semmai, assume rilievo nei rapporti interni fra retrocessionario e retrocedente.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 93 e ss., 98 e 99 l. fall., perché RAGIONE_SOCIALE, dopo aver allegato in sede di insinuazione al passivo l’inadempimento contrattuale della cessionaria RAGIONE_SOCIALE per non aver ottemperato ai propri obblighi di pagamento con le conseguenze di cui all’art. 1526 cod. civ., ha rappresentato, con l’opposizione, che il contratto era stato sciolto dal curatore a seguito dell’autorizzazione rilasciata dal Tribunale di NOME, compiendo in questo modo un illegittimo mutamento della domanda e dei suoi fatti costitutivi.
8. Il motivo non è fondato. La giurisprudenza di questa Corte è senza dubbio ferma nel ritenere che il procedimento di opposizione allo stato passivo sia un giudizio di carattere impugnatorio e, come tale, in difetto di una previsione espressa nell’art. 99 l. fall. che integralmente lo disciplina, non consente né l’introduzione di domande nuove, né la c.d. emendatio libelli (le quali vanificherebbero, d’altronde, l’obiettivo di semplificazione e celerità perseguito dal procedimento in parola nel rispetto dell’art. 24 Cost.; si veda in questo senso, per tutte, Cass. 32750/2022).
Nel caso di specie, tuttavia, il creditore ha dedotto in sede di insinuazione (come questa Corte può direttamente constatare esaminando gli atti di causa, essendo stato dedotto un vizio processuale) che il contratto di cessione di azienda si era risolto per il mancato adempimento da parte della società dichiarata fallita degli obblighi assunti in contratto, con la conseguente retrocessione del compendio aziendale in capo a RAGIONE_SOCIALE, e in sede di opposizione che lo scioglimento del contratto era avvenuto a seguito della comunicazione del curatore.
La  deduzione,  seppur  diversa,  riguarda  un  fatto  secondario  che meglio  esplica  l’andamento  della  vicenda,  ma  non  incide  affatto, mutandola  o  emendandola,  sulla causa  petendi ,  che  rimane,  in entrambi i casi, la retrocessione dell’azienda e dei contratti d’azienda e d’impresa in capo a RAGIONE_SOCIALE in conseguenza del venir meno del contratto di cessione d’azienda con riserva di proprietà.
 Il  terzo  motivo  di  ricorso  lamenta  la  violazione  e  falsa applicazione  degli  artt.  93  e  ss.,  98  e  99  l.  fall.:  la  domanda concernente i  presunti  danni  subiti  da  RAGIONE_SOCIALE  doveva  essere considerata inammissibile dal tribunale, dato che la stessa ripropo neva sì le medesime conclusioni dell’insinuazione al passivo, ma eludeva il proprio onere di censura rispetto al provvedimento assunto dal G.D. e non esponeva i fatti e gli elementi di diritto su cui era fondata.
10. Il motivo non è fondato.
Secondo  la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte  (cfr.  Cass. 24489/2016,  Cass.  9617/2016,  Cass.  24972/2013)  il  giudizio  di opposizione  allo  stato  passivo  del  fallimento  non  è  un  giudizio  di appello,  anche  se  ha  natura  impugnatoria,  ed  è  regolamentato integralmente, come si è appena detto, dall’art. 99 l. fall..
Questa  norma  prevede,  al  suo  secondo  comma,  n.  3,  che  la contrapposizione  al  tenore  della  statuizione  del  giudice  delegato avvenga non tramite una critica alle ragioni offerte all’interno del
decreto (succintamente motivato, ex art.  96, comma 1, l. fall.) di rigetto della domanda, ma piuttosto attraverso l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa l’impugnazione, vale a dire illustrando le ragioni di fatto e diritto in virtù delle quali la richiesta di  insinuazione  al  passivo  meritava  un  esito  diverso  da  quello assegnatole in sede di verifica.
Ciò posto, risulta poi dal provvedimento impugnato che l’esclusione dei  danni  per  l’impianto  di  Rubiera  fino  al  1°  luglio  2019  fosse avvenuta  perché  il  giudice  delegato  aveva  ritenuto  che  gli  stessi fossero di competenza di altra società alla quale erano stati ceduti i rami d’azienda (pag. 5 del provvedimento impugnato).
I fatti e gli elementi di diritto posti a base dell’impugnazione , quindi, erano  gli  stessi  che  riguardavano  l’esclusione,  per  il  medesimo periodo,  dei  canoni  di  locazione,  i  quali  erano  stati  pacificamente indicati da RAGIONE_SOCIALE nell’ambito del proprio atto di opposizione , come è illustrato alle pagg. 5 e 6 del decreto impugnato.
11.  Per  tutto  quanto  sopra  esposto,  il  ricorso  deve  essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 7.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater ,  del  d.P.R.  30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24  dicembre  2012,  n.  228,  si  dà  atto  della  sussistenza  dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 29 gennaio 2025.