Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22093 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22093 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 8770/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec del difensore;
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec del difensore;
-controricorrenti – avverso la sentenza n. 572/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, Sez. Distaccata di TARANTO depositata il 19/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
NOME COGNOME convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Taranto, i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME rivendicando il diritto al retratto agrario sui fondi acquistati dai convenuti in data 16/1/2007, confinanti con il proprio terreno.
1.1. I convenuti si costituirono in giudizio eccependo la mancanza dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla normativa regolatrice della materia.
1.2. Il Tribunale il rigettò la domanda.
La Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, confermò la sentenza del Tribunale, confermando la <>.
NOME COGNOME propone ricorso fondato su nove motivi. Resistono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME Entrambe le parti hanno depositato memoria e il P.G., conclusioni scritte.
Con il primo motivo viene denunciata erronea lettura degli atti di causa, l’erronea percezione delle evidenze raccolte e assicurate agli atti del processo, la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 , co. 1 n. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., sotto il profilo del travisamento della prova, avendo la Corte d’appello ritenuto demaniale e di interesse pubblico l’alveo della gravina Alezza , in contraddizione con l’Elenco approvato con il r.d. del 7/4/1904, richiamato dalla nota della ‘ Regione RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE, le reti, la qualità Urbana ‘ , depositata dal c.t.u.
Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza di secondo grado ai sensi dell’art. 360 , co. 1 n. 5, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di considerare un fatto storico
decisivo risultante dagli atti di causa, rappresentato dal limite entro cui era stato ritenuto pubblico dalla P.A. il sito denominato ‘INDIRIZZO Gravina Gennarini’ nel quale rientrava la c.d. gravina ‘Lezza’ o ‘Alezza’.
Con la terza doglianza si denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132, co. 2 n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 , co. 1 n. 4, cod. proc. civ., per aver omesso di fornire una precisa risposta argomentativa correlata alle specifiche critiche sollevate dal c.t.p. in riferimento alla ritenuta demanialità ed interesse pubblico dell’alveo della gravina Alezza .
Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza d’appello per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. , in relazione all’art. 360 , co. 1 n. 4, cod. proc. civ., laddove la Corte territoriale ha ritenuto <> . La funzione irrigua, conclude il ricorrente, costituiva affermazione priva di riscontro probatorio.
Con il quinto motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116, art. 822 cod. civ. e 7 l. 817/1971, in relazione all’art. 360 , co. 1 n. 3, cod. proc. civ.
Assume il Ceneviva che la Corte di merito aveva errato a giudicare demaniale l’alveo della gravina Alezza, recependo acriticamente le conclusioni del c.t.u., fondate su accertamenti e valutazioni smentite dall’Elenco regionale.
Con la sesta censura si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ., 7 l. 817/71 e 825 cod.
civ., in relazione all’art. 360 , co. 1 n. 3, cod. proc. civ., avendo il Giudice di secondo grado errato ad affermare che l’alveo della gravina Alezza non poteva comunque appartenere al retraente in quanto <>.
Con il settimo motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, co. 2 n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. attuaz. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ., assumendosi, avuto riguardo a quanto esposto con il sesto motivo, costrutto motivazionale meramente apparente.
Con l’ottavo motivo si censura la sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. , in relazione all’art. 360 , co. 1 n. 4 cod. proc. civ., per travisamento dell’informazione istruttoria nella parte in cui la decisione avrebbe affermato, con specifico riferimento alla p.lla 62 foglio 70, che la intestazione originaria risultava in capo <>, contraddicendo quanto risultante dal titolo di cessione del dominio diretto per atto del notar COGNOME dell’1 /12/1935 ove, dopo il sigillo notarile, il cessionario si firma <>.
12. Con il nono motivo, e sempre in riferimento al confine tra i fondi compravenduti oggetto di retratto e la particella 62 foglio 70 di proprietà del ricorrente, si censura la sentenza impugnata ai sensi degli artt. 132 co. 2 n 4 e 118 disp. att. cod. proc. civ. per aver omesso, similmente al Tribunale, qualsiasi esame della prova testimoniale acquisita agli atti e qualsiasi valutazione autonoma della sentenza intervenuta in altro giudizio.
13. L’intero complesso censorio, nella sostanza, largamente diretto a un improprio riesame di merito della vicenda, risulta inammissibile e, in parte, manifestamente infondato.
Occorre prendere le mosse dalla sentenza d’appello per quel che qui assume rilievo.
Il Tribunale aveva escluso contiguità tra il fondo del ricorrente e quello alienato a terzi, essendo questi separati dall’alveo della gravina Alezza, costituente torrente naturale, facente parte del demanio idrico, restando irrilevante la mancata iscrizione di esso nell’elenco delle acque pubbliche.
La Corte territoriale ha condiviso il riportato opinamento, soggiungendo a conferma che il c.t.u. aveva accertato la mancanza d’annotazione particellare, proprio perché si trattava di partita delle acque esenti da estimo; i vecchi atti notarili richiamati dal Ceneviva dovevano ricondursi <>, che non assumevano rilievo nella vicenda; la competenza gestionale sul canale si apparteneva alla Regione Puglia, ai sensi dell’art. 86 d. lgs. n. 112/1998; la Cassazione aveva affermato appartenere al demanio idrico le sponde e le rive, ivi incluse le zone soggette ad essere invase dalle piene ordinarie. A tutto concedere, la contiguità fra fondi viene meno per la presenza di un canale reso pubblico dalla funzione irrigua.
Il ricorrente non attinge il ragionamento portante della decisione: la qualità di demanio idrico non dipende dall’iscrizione nell’elenco delle acque pubbliche. Sul punto merita ricordare che questa Corte ha già avuto modo di affermare che il diritto di prelazione e riscatto del coltivatore diretto proprietario del terreno confinante previsto dall’art. 7 della legge 14/8/1971 n. 817 spetta nel solo caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio,
cioè caratterizzati da continuità fisica e materiale per contatto reciproco lungo una comune linea di demarcazione, senza poter essere esteso alla diversa ipotesi di fondi separati da un corso naturale d’acqua avente carattere pubblico, a nulla rilevando che detto corso sia a volte in secca e che lo stesso non sia incluso nell’elenco delle acque demaniali, stante il carattere dichiarativo e non costitutivo di detti elenchi (Sez. 3, n. 2471, 20/02/2001, Rv. 543976; conf. Cass. n. 2820/1994).
Si è anche avuto modo di chiarire che fanno parte del demanio idrico, perché rientrano nel concetto di alveo, le sponde e le rive interne dei fiumi, cioè le zone soggette ad essere sommerse dalle piene ordinarie (mentre le sponde e le rive esterne, che possono essere invase dalle acque solo in caso di piene straordinarie, appartengono ai proprietari dei fondi rivieraschi), ed altresì gli immobili che assumano natura di pertinenza del medesimo demanio per l’opera dell’uomo, in quanto destinati al servizio del bene principale per assicurare allo stesso un più alto grado di protezione. Tale rapporto pertinenziale e la conseguente demanialità del bene accessorio permangono fino al momento in cui la pubblica amministrazione manifesti la sua volontà di sottrarre la pertinenza alla sua funzione, mentre la sdemanializzazione non può desumersi da comportamenti omissivi della medesima (S.U. n. 12701, 18/12/1998, Rv. 521785; conf., ex multis, Cass. n. 1916/2011).
La natura demaniale del torrente rende inconferente l’allegazione di asseriti titoli di privata proprietà. Ancor più irrilevante l’asserita posizione possessoria, è del tutto inconferente rivendicare essa in capo al dante causa del ricorrente.
13.1. Per non mancare di completezza argomentativa va rilevato che il ricorrente prospetta al di là dei casi consentiti che la
sentenza sia sorretta da motivazione apparente, abbia omesso di valutare uno o più fatti controversi e decisivi, abbia violato o malamente applicato gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., tutto ciò a volere per un attimo prescindere, per ragioni di comodità espositiva, dalla natura pubblica ex lege del torrente.
13.1.1. Come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
13.1.2. Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto,
denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Qui non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate, avendo la Corte di merito svolto ragionamento pienamente comprensibile e coerente.
13.1.3. In presenza di ‘doppia conforme’ è inammissibile l’evocazione del vizio contemplato dal n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.
Peraltro, non si è in presenza, al contrario di quel che afferma il ricorrente, di un fatto decisivo obliterato dal giudice, bensì della prospettazione di una diversa, e favorevole, valutazione delle emergenze di causa, favorita dalle conclusioni del proprio consulente.
13.1.4. Costituisce principio consolidato l’affermazione secondo la quale per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al
notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. n. 659037 -01). Ipotesi, questa, che qui non ricorre affatto.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel suo complesso. Siccome affermato dalle Sezioni unite (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1, cod. proc. civ., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334, comma 2, cod. proc. civ., sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis cod. proc. civ. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore dei controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 giugno