Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30634 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30634 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/11/2024
RETRATTO AGRARIO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7681/2023 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO COGNOME, con domicilio telematico all’indirizzo PEC de i propri difensori
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO , con domicilio telematico all’indirizzo PEC del proprio difensore
-controricorrente – avverso la sentenza n. 25/2023 della CORTE DI APPELLO DI PERUGIA, depositata il giorno 11 gennaio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 luglio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, nella qualità di proprietario e coltivatore diretto di fondi ubicati nel Comune di Perugia (località Mandoleto) e di Corciano (località San Giuseppe), esercitò innanzi il Tribunale di Perugia azione di riscatto degli immobili, confinanti con quelli di proprietà attorea, oggetto di compravendita (per atto pubblico del 23 maggio 2011) da NOME e NOME COGNOME (alienanti) a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (acquirenti).
Nella attiva resistenza degli acquirenti convenuti, il Tribunale di Perugia, all’esito del giudizio di prime cure, accolse la domanda.
L’appello interposto da NOME COGNOME venne dichiarato inammissibile dalla Corte d’appello di Perugia per violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., segnatamente per avere l’impugnante dedotto per la prima volta fatti nuovi con l’atto di appello.
Con ordinanza n. 11469/2021 emessa il 30 aprile 2021, questa Corte, in accoglimento del ricorso dispiegato da NOME COGNOME, cassò con rinvio la sentenza d’appello.
Premesso che « ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., il divieto di ius novorum in appello ha per oggetto esclusivamente le domande nuove e le nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio, non anche le mere difese », con la citata pronuncia il giudice di legittimità osservò che « nel caso di specie, a fronte della domanda di retratto successorio, la parte convenuta ha rilevato in appello che la domanda proposta mancava del presupposto necessario sia per la natura del negozio traslativo, integrante un negotium mixtum cum donatione , attesa la modestia del prezzo pattuito ed il rapporto di affinità tra venditore e compratore, sia per l’assenza di contiguità dei fondi. Tali contestazioni, poiché si risolvevano nel negare una delle condizioni richieste dalla legge ai fini dell’accoglim ento della domanda, integravano una mera difesa e non
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un’eccezione in senso stretto, sicché il giudice d’appello avrebbe dovuto prenderle in esame » per poi concludere nel senso che « ha quindi errato la Corte d’appello nel dichiarare inammissibile il gravame, pur avendo l’appellante dedotto fatti impeditivi del diritto vantato dalla controparte consistente in una mera difesa avente ad oggetto una delle condizioni del retratto successorio ».
Riassunta la controversia, la decisione in epigrafe indicata, resa a definizione del giudizio di rinvio, ha nuovamente rigettato l’appello.
A suffragio della statuizione, la Corte d’appello perugina ha posto la qualificazione del negozio traslativo di cui all’atto pubblico del 23 maggio 2001 come compravendita, e non già come negotium mixtum cum donatione ; ha poi disatteso le contestazioni dell’appellante in ordine alla mancanza di contiguità tra i fondi ed alla destinazione dei fondi oggetto dell’azione di riscatto, specificamente ritenendo la ruralità dei fabbricati edificati sui terreni agricoli, come tali avvinti a questi ultimi da vincolo di pertinenzialità.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, con sette motivi.
Resiste, con controricorso, NOME COGNOME.
Parte ricorrente deposita memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con i primi due motivi, parte ricorrente deduce:
-) la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 384 cod. proc. civ., per inosservanza del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte con la ordinanza n. 11469/2021, per essere in sede di rinvio precluse « tutte le questioni, di fatto e di diritto, costituenti il presupposto logico ed inderogabile della pronuncia della Corte », invece esaminate dal giudice di rinvio (primo motivo);
-) violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817, dell’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590 e dell’art. 2697 cod. civ., poiché la gravata sentenza laddove « assume assente
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contestazione, allegazione e prova » in ordine ai requisiti oggettivi (qualificazione del negozio, contiguità dei fondi, natura dei fondi) « lede i presupposti ed il riparto dell’onere probatorio oggetto di decisione con l’ordinanza n. 11469/2021 della Suprema Corte » (secondo motivo).
1.1. Le censure -da scrutinare congiuntamente, in ragione della intrinseca connessione che le avvince -sono infondate.
Come reso palese dal contenuto trascritto sopra (in parte narrativa), la (più volte citata) ordinanza n. 11469/2021 dispose la cassazione con rinvio per ragioni esclusivamente processuali, circoscrivendo il proprio dictum soltanto alla definizione ed alla corretta applicazione al caso del divieto di ius novorum in grado di appello.
Con tale arresto, alcun principio o alcuna regola ha dettato questa Corte in ordine all’individuazione dei requisiti costitutivi del l’azione di riscatto o circa i criteri di riparto dell’onere della prova al riguardo: questioni concernenti il merito della lite e, quindi, in tutta evidenza assorbite dalla (e non già, come opinato dal ricorrente, presupposte della) statuizione cassatoria.
Non sussiste, pertanto, inosservanza dell’art. 384 del codice di rito né delle altre norme denunciate dall’impugnante.
Con il terzo motivo, ancora per violazione dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971 e dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 nonché « dei canoni di interpretazione sistematica e complessiva (art. 1363 cod. civ.) », parte ricorrente contesta la gravata sentenza nella parte in cui ha qualificato il negozio concluso con atto pubblico del 23 maggio 2001 (con cui NOME COGNOME acquistò il fondo oggetto di azione di riscatto) come compravendita.
Evidenzia sul punto, mediante la riproduzione del contenuto di atti processuali e documenti acquisiti nel giudizio di merito, la sussistenza di circostanze (il prezzo irrisorio rispetto al valore di mercato del bene, il rapporto di affinità corrente tra i contraenti) deponenti, quali indici
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presuntivi gravi, precisi e concordanti, per una diversa qualificazione in termini di negotium mixtum cum donatione .
2.1. Il motivo è inammissibile.
Esso consiste (e, ad un tempo, si esaurisce) nel richiedere a questa Corte una diversa lettura ermeneutica del contratto di acquisto del bene oggetto dell’azione di retratto , senza addurre e neanche illustrare l’inosservanza di alcuno specifico criterio di ermeneutica negoziale.
Orbene, per il consolidato orientamento del giudice di nomofilachia, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice al contratto da interpretare non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni: la valutazione del giudice di legittimità non può infatti investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’àmbito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica dettati dagli artt. 1362 e seguenti del codice civile e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nel rappresentare una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati ( ex plurimis , Cass. 10/02/2023, n. 4272; Cass. 14/12/2022, n. 36516; Cass. 09/04/2021, n. 9461; Cass. 20/01/2021, n. 995; Cass. 26/05/2016, n. 10891; Cass. 09/04/2015, n. 7118; Cass. 10/02/2015, n. 2465).
Nel caso, l’argomentazione di parte ricorrente si limita a sollecitare questa Corte ad un differente apprezzamento degli elementi già considerati dal giudice territoriale ai fini della sussunzione sub specie juris del contratto in discorso: si concreta, dunque, nella mera contrapposizione di una propria esegesi rispetto a quella (ovvero la qualificazione come compravendita) accolta nella sentenza impugnata ed in questa motivata, in maniera per nulla implausibile, sul rilievo della
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mancanza di prova della esiguità del corrispettivo pattuito rispetto al valore reale del bene e del difetto di animus donandi (quantomeno) in capo ad uno dei danti causa, NOME COGNOME, non parente né affine di NOME COGNOME.
In buona sostanza la ricorrente non deduce la falsa applicazione delle norme evocate, ma la postula all’esito della ricostruzione della quaestio facti prospettata attraverso una sollecitazione a rivalutare una serie di emergenze in fatto del giudizio, così rivelandosi diretto a sfuggire ai limiti desumibili dal num . 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. al controllo della motivazione sulla detta ricostruzione per come ricostruiti dalle note sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 delle Sezioni Unite.
Con il quarto motivo, sempre per violazione dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971 e dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965, si imputa alla impugnata pronuncia di aver erroneamente ritenuto la contiguità tra il fondo di proprietà COGNOME e quello di proprietà del riscattante.
3.1. La doglianza è inammissibile.
A dispetto dell’invocata inosservanza di norme di diritto, la diffusa dissertazione operata in ricorso – sviluppata con la testuale trascrizione di stralci di atti e l’inserimento, nel corpo dello stesso, di documenti fotoriprodotti – richiede a questa Corte una nuova valutazione delle emergenze istruttorie acquisite nel corso del giudizio di merito finalizzata ad una ricostruzione della vicenda fattuale alternativa a quella operata dal giudice di merito: attività, tuttavia, del tutto estranee alla natura ed alla funzione del giudizio di legittimità.
Come è noto, infatti, è rimessa al discrezionale apprezzamento del giudice di merito, la valutazione delle prove, attività che include la individuazione delle fonti del convincimento, il giudizio di attendibilità e concludenza delle prove, la scelta, tra le complessive risultanze del processo, di quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ( ex plurimis, Cass. 23/04/2024, n. 10927; Cass.,
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23/11/2022 n. 34414; Cass. 04/03/2022, n. 7187; Cass. 19/07/2021, n. 20553; Cass. 29/12/2020, n. 29730; Cass. 17/01/2019, n. 1229).
Apprezzamenti non suscettibili di controllo in sede di legittimità, se non negli angusti confini delle anomalie motivazionali ancora rilevanti ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., nella specie nemmeno adombrate.
Con il quinto motivo, sempre per violazione dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971 e dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965, si assume erronea la valutazione di ruralità dei beni oggetto di riscatto compiuta dal giudice territoriale.
4.1. La censura è inammissibile per le medesime ragioni illustrate sub § 3.1.: anche qui si invoca dal giudice di legittimità un riesame del compendio istruttorio acquisito agli atti di causa.
Il sesto motivo, per nullità della sentenza e del procedimento (art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.) in relazione agli artt. 61 e 245 cod. proc. civ., censura l’omessa pronuncia sulla istanza di ammissione (nonché l’omessa ammissione) della consulenza tecnica di ufficio (sul valore di mercato degli immobili, sulla contiguità tra i fondi, sul collegamento funzionale tra i fabbricati rurali e i terreni di proprietà della COGNOME) « reiterata in sede di precisazione delle conclusioni ».
5.1. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, perché della richiesta di espletamento di C.T.U. non è operata riproduzione nel corpo del ricorso e la indicazione dell’atto con cui essa sarebbe stata formulata (« note di trattazione per udienza del 15.09.2022 ») non è corredata dalla menzione della collocazione di tale atto (c.d. localizzazione) nel fascicolo di ufficio o di parte e della sua acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (sul tema, Cass., Sez. U, 18/03/2022, n. 8950).
Ancora, perché, versandosi in tema di pretesa violazione di norme del procedimento, non è estrinsecato il carattere decisivo del mezzo
istruttorio non ammesso, cioè la sua potenziale incidenza ai fini di un diverso esito del giudizio nonché, per l’effetto, l’effettivo pregiudizio arrecato a chi lo abbia denunciato (Cass., 26/09/2017, n. 22341).
Di poi, perché parte ricorrente si duole del mancato « richiamo » del C.T.U., cioè a dire della mancata rinnovazione della consulenza: ma, per fermo convincimento di nomofilachia, tale rinnovazione costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice, non censurabile in sede di legittimità, anche in caso di implicito o immotivato diniego della richiesta di parte o di mancata pronuncia su di essa, quando (come nel caso) dalla motivazione della sentenza risultino esaurienti i risultati probatori già acquisiti ( ex plurimis, Cass. 24/01/2019, n. 2103; Cass. 29/09/2017, n. 22799; Cass. 19/07/2013, n. 17693).
Infine, incomprensibile risulta l’evocazione dell’art. 245 cod. proc. civ., norma avente ad oggetto altro e ben diverso istituto.
6. Con il settimo motivo, per violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., parte ricorrente richiede, « in ragione della fondatezza e dello spessore delle argomentazioni » la riforma della pronuncia « nella parte in cui compensa integralmente tra le parti le spese processuali del giudizio e nella parte in cui dà atto della sussistenza, a carico della odierna ricorrente, dei presupposti di cui all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 ».
6.1. Il motivo è inammissibile.
Esso si risolve nell’auspicare la caducazione della statuizione sulla compensazione delle spese quale conseguenza dell’accoglimento dei precedenti motivi di ricorso, effetto tuttavia già ex lege discendente dal disposto dell’art. 336, primo comma, cod. proc. civ..
In ordine alla debenza dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato (c.d. doppio contributo) , poi, l’ attestazione resa dal giudice dell’impugnazione sulla sussistenza dei relativi presupposti, ha soltanto funzione ricognitiva in ordine al tenore della decisione (e ciò al fine di
sottrarre al funzionario amministrativo, che deve poi in concreto verificare se il contributo è dovuto, il compito di interpretare la sentenza): si tratta, pertanto, di una pronuncia priva di carattere decisorio, avverso la quale difetta l’interesse ad imp ugnare (cfr. Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315; Cass. 10/06/2021, n. 16288).
In conclusione, il ricorso è dichiarato inammissibile.
Il regolamento delle spese del grado segue la soccombenza.
A tteso l’esito del ricorso, va poi dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315) per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.200 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
r.g. n. 7681/2023 Cons. est. NOME COGNOME
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione