Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32173 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 32173 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. r.g. 14482/2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’ avvocato NOME COGNOME presso cui è elettivamente domiciliato in Castellana Grotte (BA), INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME tutti rappresentati e difesi giusto mandato allegato al controricorso, dall’ avvocato NOME COGNOME
-controricorrenti – avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari n. 1989/2020, pubblicata in data 24/11/2020, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/09/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale di Bari che aveva respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in favore di NOME NOMECOGNOME titolare della ditta individuale di commercializzazione di alimenti zootecnici e prodotti per l’agricoltura per il pagamento della somma di euro 10.415,83 oltre agli interessi ed alle spese del procedimento corrispondente al saldo dovuto per le forniture di merci di cui alle fatture allegate al ricorso monitorio, a fronte delle quali era stato corrisposto solo un acconto di euro 588,15.
La Corte distrettuale, dando atto del pagamento pari ad € 3.000,00 in corso di causa a parziale estinzione del credito azionato, ha ritenuto non dimostrata l’estinzione parziale ante causam del credito azionato monitoriamente con il pagamento per contanti di euro 7.682,48 asseritamente versati dal debitore ingiunto, signor COGNOME NOMECOGNOME al figlio del creditore ingiungente, nel momento in cui gli fu restituito insoluto e protestato l’assegno di pari importo che inizialmente il signor COGNOME aveva girato a copertura parziale del debito. Rilevava la Corte come le quietanze apposte su alcune fatture non fossero idonee a comprovare l’avvenuto pagamento delle stesse, come ritenuto dal giudice di primo grado, avendo le stesse data anteriore al protesto dell’assegno; pertanto, ad avviso della Corte, le dette quietanze sono state rilasciate non al momento in cui l’assegno rimasto insoluto è stato restituito al creditore, ma in quello antecedente in cui esso è stato girato dal debitore al creditore.
Pertanto, esclusa l’efficacia liberatoria delle quietanze, la Corte ha ritenuto, altresì, non raggiunta la prova dell’avvenuto pagamento in contanti del debito, una volta che dopo il protesto del l’assegno questo è stato restituito al debitore dal creditore opposto.
La sentenza pubblicata il 24/11/2020, non notificata è stata impugnata con ricorso in Cassazione da COGNOME NOME, assistito da due motivi di ricorso. Si sono costituiti gli eredi del creditore originario con controricorso, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1237, 2697, 2727 e 2729.
La Corte di Appello avrebbe errato nel porre in capo al possessore del titolo l’onere di provare il pagamento della somma portata dall’assegno, non tenendo in debito conto il dettato dell’art. 1237 c.c. secondo cui ‘La restituzione volontaria del titolo originale del credito, fatta dal creditore al debitore, costituisce prova della liberazione anche rispetto ai condebitori in solido’.
Pertanto, considerata pacifica la restituzione del titolo la corte avrebbe dovuto ritenere sussistente la prova della liberazione del debitore.
Al riguardo, il ricorrente fa riferimento al costante orientamento di questa Corte secondo cui ‘ il possesso da parte del debitore del titolo originale del credito costituisce fonte di una presunzione legale iuris tantum di pagamento superabile con la prova contraria di cui deve onerarsi il creditore che sia interessato a dimostrare che il pagamento non è avvenuto e che il possesso del titolo è dovuto ad altra causa come risulta implicitamente confermato per i titoli cambiari dall’articolo 45, comma 1, del Regio decreto n. 1669 del 1933 secondo il quale il trattario che paga la cambiale ha diritto alla sua riconsegna con quietanza al portatore ‘ (Cass. ord. 3130/2018).
Con il secondo motivo di censura si contesta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 la violazione falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c..
Ad avviso del ricorrente la sentenza impugnata ha articolato argomentazioni di tipo deduttivo non condivisibili perché illogiche in quanto prive dei requisiti di gravità precisione e concordanza, come richiesti dall’articolo 2729 cod civ. In particolare, la Corte ha utilizzato le dichiarazioni testimoniali dell’avvocato COGNOME al fine di dedurre la esistenza di un ulteriore fatto negativo rispetto a quello del mancato pagamento da parte del debitore al creditore in presenza del testimone, ossia per escludere che il pagamento sia avvenuto in un altro luogo ed in un diverso momento.
Il primo motivo è infondato.
Va premesso che il possesso da parte del debitore del titolo originale del credito costituisce fonte di una presunzione legale “iuris tantum” di pagamento, superabile con la prova contraria di cui deve onerarsi il creditore che sia interessato a dimostrare che il pagamento non è avvenuto e che il possesso del titolo è dovuto ad altra causa, come risulta implicitamente confermato, per i titoli cambiari, dall’art. 45, comma 1, del r.d. n. 1669 del 1933, secondo il quale il trattario che paga la cambiale ha diritto alla sua riconsegna con quietanza al portatore. Cfr Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3130 del 08/02/2018; nonché Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13462 del 03/06/2010).
Ciò posto, la censura non coglie nel segno, atteso che la corte distrettuale ha motivatamente affermato la sussistenza della prova contraria, offerta dal creditore, in ordine alla esclusione della liberazione del debitore, seppure in possesso dei titoli, in ossequio al disposto dell’art. 1337 c.c..
Al riguardo, la corte di merito ha ritenuto non dimostrata l’estinzione del credito azionato monitoriamente con il pagamento per contanti asseritamente versati dal debitore ingiunto al figlio del creditore ingiungente, nel momento in cui gli fu restituito insoluto e protestato l’assegno di pari importo che inizialmente il signor COGNOME aveva girato a copertura parziale del debito. La corte ha rilevato come le quietanze apposte su alcune fatture non fossero idonee a comprovare l’avvenuto pagamento delle stesse, avendo data anteriore al protesto dell’assegno; pertanto, le dette quietanze sono state rilasciate non al momento in cui l’assegno rimasto insoluto è stato restituito al creditore, ma in quello antecedente in cui esso è stato girato dal debitore al creditore.
La corte, quindi, esclusa l’efficacia liberatoria delle quietanze, ha ritenuto non raggiunta la prova dell’avvenuto pagamento in contanti del debito, una volta che dopo il protesto del l’assegno questo è stato restituito al debitore dal creditore opposto, con conseguente insussistenza della efficacia liberatoria derivante dal possesso dei titoli.
Il secondo motivo è inammissibile.
Ad avviso di parte ricorrente la Corte di merito avrebbe utilizzato le dichiarazioni testimoniali dell’avvocato COGNOME al fine di dedurre la esistenza di un ulteriore fatto negativo rispetto a quello del mancato pagamento da parte del debitore al creditore in presenza del testimone, ossia per escludere che il pagamento sia avvenuto in un altro luogo ed in un diverso momento.
Orbene, il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n. 18421; Cass. 24/02/2020, n. 4905). In particolare, è necessario che venga contestata specificamente, a pena di inammissibilità, la «ratio decidendi» posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989).
Ciò posto, la censura non si confronta in modo specifico con la ratio decidendi della sentenza impugnata che ha escluso la sussistenza della prova dell’avvenuto pagamento in contanti da parte del debitore rilevando la insufficienza della prova testimoniale dell’avvocato COGNOME che ha riferito che in sua presenza non vi fu alcuna dazione di denaro da COGNOME NOME a COGNOME. Inoltre, la corte ha ritenuto motivatamente che l’altro teste COGNOME non avesse assistito alla consegna di alcun assegno e/o fatture.
In conclusione, la corte ha ritenuto la prova di parte ricorrente non idonea a ritenere sussistente nel caso di specie il pagamento in contanti.
Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali che vanno liquidate come in dispositivo.
Non sussistono, né sono dedotti, fatti tali da integrare il presupposto dell’art. 52 del d.lgs. n. 196 del 2003.
Rigetta ricorso. Condanna parte ricorrente alle spese processuali, che liquida in € 3 .000,00, a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, il 19/09/2024