Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 901 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 901 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11098/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA COMUNALE (-) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
nonché
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE,
E.R.C.O.M. RAGIONE_SOCIALE
-intimate- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 6523/2019 depositata il 28/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME e NOME COGNOME, procuratrice di NOME COGNOME, avevano convenuto in giudizio il Comune di Roma chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da occupazione abusiva e irreversibile trasformazione di aree di loro proprietà in Roma -per la realizzazione del collettore del bacino di Tor INDIRIZZO e per opere di viabilità- per complessivi mq 129.766, senza decreto di esproprio.
Il Giudice di primo grado, esperita una CTU, aveva accolto la domanda attorea, condannando il Comune di Roma a pagare l’importo di £ 3.763.214.000 -pari a € 1.943.537,83 -, oltre rivalutazione e interessi da settembre 1986, a titolo di indennità di esproprio, e l’importo di £ 1.557.192 -€ 804.222,55 -oltre rivalutazione e interessi dal 14.10.1992, a titolo di indennità di occupazione.
Aveva proposto appello il Comune di Roma che, nel corso del giudizio di impugnazione, aveva pagato nell’ambito dell’esecuzione promossa dalle controparti l’importo di € 8.902.153,59 in data
24.7.2006; al giudizio di impugnazione avevano partecipato, in luogo di NOME COGNOME, defunta, l’erede NOME COGNOME e in luogo di NOME COGNOME, pure defunta, gli eredi NOME e NOME COGNOME; erano pure intervenute RAGIONE_SOCIALE -poi incorporata per fusione da RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito litigioso in relazione ad un’area di mq 5.000, e RAGIONE_SOCIALE quale acquirente di parte del terreno oggetto di domanda.
La Corte d’Appello di Roma, dichiarato inammissibile l’intervento di RAGIONE_SOCIALE aveva parzialmente accolto l’appello riquantificando l’entità del dovuto.
Proposto ricorso per cassazione ad iniziativa del Comune di Roma, divenuto Roma Capitale, la Corte di Cassazione aveva accolto il primo motivo riguardante la quantificazione del danno e delle indennità e, stabilito che l’importo dovuto non poteva essere superiore a £ 29.000 (€ 15,79) per metro quadro, quale valutazione effettuata dal Tribunale in primo grado con riferimento all’intera proprietà senza che al riguardo fossero state sollevate doglianze, aveva rimesso al Giudice di rinvio la rideterminazione del dovuto.
La Corte d’Appello di Roma, quale Giudice del rinvio, aveva provveduto a rideterminare il dovuto e, tenuto conto di rivalutazione e interessi, aveva determinato in € 4.270.513,36 la somma percepita in più dai privati, da restituire a Roma Capitale; la Corte di merito aveva altresì condannato i signori COGNOME/COGNOME/COGNOME a versare alla controparte anche gli interessi, nella misura legale, sull’importo da restituire, dalla data del ricevuto pagamento al saldo.
I signori COGNOMECOGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Roma in sede di rinvio, articolandolo su tre motivi con i quali contestano, sotto diversi profili, la statuizione nella parte in
cui ha ritenuto dovuti sulla somma da restituire anche gli interessi legali.
Più precisamente, con il primo motivo i ricorrenti si dolgono che il riconoscimento della debenza anche degli interessi sarebbe stato effettuato in assenza di domanda tempestiva degli stessi da parte di Roma Capitale, in violazione degli art.112 e 99 c.p.c. e degli art.1283, 1284 c.c., in relazione all’art.360 co 1 n.3 c.p.c.; con il secondo motivo i ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte di merito avrebbe omesso qualsivoglia considerazione sulle contestazioni da loro espresse nella comparsa conclusionale in ordine all’impossibilità di riconoscere gli interessi alla controparte sulla somma da restituire per assenza di domanda tempestiva, con violazione rientrante nell’ambito dell’art.360 co 1 n.5 c.p.c.; con il terzo motivo, proposto in via subordinata, i ricorrenti lamentano comunque l’individuazione del momento dal quale gli interessi sul capitale da restituire sono stati riconosciuti dovuti, con decorrenza dal 24.7.2006 invece che dalla data di pubblicazione della sentenza, 28.10.2019, con violazioni rientranti sia nell’ambito dell’art.360 co 1 n.3 c.p.c., sia nell’ambito dell’art.360 co 1 n.5 c.p.c.
Roma Capitale ha resistito con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE, incorporante RAGIONE_SOCIALE, e RAGIONE_SOCIALE, destinatarie anch’esse della notificazione del ricorso, sono rimaste intimate.
Entrambe le parti costituite hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I primi due motivi di ricorso riguardano, sotto diverse prospettive, l’unica questione in concreto controversa, e cioè la correttezza del riconoscimento di interessi legali sull’importo da restituire, pur in assenza di tempestiva domanda; con il terzo motivo, subordinato, si lamenta l’identificazione della data di
decorso iniziale degli interessi ove ne sia confermata la debenza, data individuata dal Giudice di rinvio in quella dell’avvenuta ricezione del pagamento poi risultato non dovuto mentre, secondo i ricorrenti, essa avrebbe dovuto al più coincidere con la data di pubblicazione della sentenza.
Non si pongono profili di inammissibilità per i primi due motivi di ricorso proposti, che non sono motivi ‘misti’ ma motivi separati che affrontano profili di critica diversi; ne consegue che non è appropriato, per essi, il richiamo da parte di Roma Capitale al rigoroso principio di diritto emergente dalla pronuncia della Corte di Cassazione n. 26874/2018, relativo all’inammissibilità di mescolanza e sovrapposizione, nello stesso motivo di ricorso, di mezzi d’impugnazione eterogenei facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili. Il terzo motivo di ricorso fa effettivamente riferimento sia alla violazione dell’art.360 co 1 n.3 c.p.c., sia alla violazione dell’art.360 co 1 n.5 c.p.c. ma la possibilità di identificare al suo interno in modo sufficientemente specifico le singole censure proposte ne permette una valutazione positiva in termini di ammissibilità alla luce della pronuncia di questa Corte n.39169/2021, che introduce un correttivo alla valutazione di totale inammissibilità di motivi ‘misti’ ove sia possibile, appunto, al loro interno una identificazione autonoma delle questioni pur proposte in unico contesto.
I motivi di ricorso per cassazione proposti, pur ammissibili, sono peraltro totalmente infondati.
Quanto ai primi due motivi, che si trattano unitariamente perché presuppongono entrambi l’effettiva necessità di una specifica domanda per poter ottenere gli interessi sugli importi richiesti in restituzione, è sufficiente osservare che, secondo l’orientamento interpretativo di legittimità consolidato, per le
obbligazioni restitutorie fondate sulla caducazione del titolo provvisorio di condanna che aveva inizialmente giustificato il pagamento di cui si chiede la ripetizione, la debenza anche degli interessi sugli importi da restituire non richiede un’apposita domanda ma segue di diritto.
Si richiama la pronuncia di questa Corte n. 34011/2021, totalmente in termini quanto alla debenza degli interessi nell’obbligazione di restituzione a prescindere da un’apposita domanda, secondo il quale ‘ L’azione di restituzione delle somme pagate in base ad una pronuncia di condanna poi caducata non è riconducibile allo schema della ripetizione d’indebito, perché si collega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale e, dunque, non si presta a valutazioni sulla buona o mala fede dell'”accipiens”; per ottenere la restituzione di quanto pagato è necessaria la formazione di un titolo restitutorio, il quale comprende “ex lege”, senza bisogno di una specifica domanda in tal senso e a prescindere anche da una sua espressa menzione nel dispositivo, il diritto del “solvens” di recuperare gli interessi legali, con decorrenza, ex art. 1282 c.c., dal giorno dell’avvenuto pagamento ‘. Nella motivazione si evidenzia che le prestazioni da restituire in caso di riforma della sentenza che ne aveva giustificato la corresponsione sono ‘prestazioni eseguite e ricevute nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti. Ne consegue che chi ha eseguito un pagamento non dovuto, per effetto di una sentenza provvisoriamente esecutiva successivamente riformata, ha diritto ad essere indennizzato dell’intera diminuzione patrimoniale subita, ovvero alla restituzione della somma con gli interessi legali a partire dal giorno del pagamento “; ne consegue che ‘ deve ritenersi non necessaria la formulazione di una autonoma domanda volta al riconoscimento del diritto agli interessi sulla somma della quale si chiede la restituzione, per la natura integralmente restitutoria dell’obbligo dettato dall’art. 1282 c.c., che opera ex lege: atteso
che la sentenza che pone nel nulla il titolo e condanna alla restituzione chi ha percepito un importo non dovuto deve essere integralmente restitutoria nella posizione quo ante, essa può ritenersi anche implicitamente comprensiva dell’obbligo, in capo a chi ha ricevuto un importo che in base all’esito definitivo del giudizio non gli spettava, di restituire anche i frutti civili appresi e quindi degli interessi, e, a sua volta, la domanda restitutoria può ritenersi comprensiva della domanda volta alla corresponsione, sulla somma che si chiede indietro, degli interessi legali ‘; ‘ l’accoglimento della domanda restitutoria che trae le mosse dalla caducazione del titolo in virtù del quale si è eseguito il pagamento togliendo causa, con effetto retroattivo, alle attribuzioni patrimoniali effettuate in esecuzione del titolo caducato, comporta, per effetto naturale del suo carattere restitutorio, che il solvens abbia diritto ad ottenere, anche se non li ha richiesti, gli interessi legali sulla somma che ha corrisposto ‘; tutto ciò comporta anche che, nell’ipotesi in cui il titolo restitutorio non sia esplicito sulla debenza degli interessi (e non è il caso di specie) ‘… gli stessi sono dovuti implicitamente, perché il titolo discende direttamente dalla legge in favore di chi sia stato accertato come avente diritto alla restituzione (purchè la domanda volta ad ottenere la restituzione … sia stata formulata), in quanto la domanda restitutoria implica l’integrale restituzione nella situazione precedente al pagamento ‘ -in linea con le considerazioni svolte è la giurisprudenza successiva: cfr., da ultimo, Cass n.6381/24: nemmeno Cass. n.5682/23, costituente una voce isolata che, difformemente dall’orientamento interpretativo richiamato, inquadra la restituzione nell’ambito dell’indebito, richiede come necessaria la domanda per l’ottenimento degli interessi sull’importo da restituire -.
15. Anche il terzo motivo di ricorso, formulato come da esaminare subordinatamente al rigetto dei primi due e, quindi, per l’ipotesi di
conferma della debenza ‘automatica’ degli interessi sul capitale da restituire, è infondato.
I ricorrenti contestano che il decorso del termine iniziale per il riconoscimento degli interessi debba coincidere con la data della ricezione dell’importo da restituire ma si tratta di contestazioni prive di un serio supporto e in pieno contrasto con la ratio ripristinatoria, emergente dalle considerazioni svolte sopra, della debenza comunque degli interessi.
Si richiama anche a questo proposito la motivazione, chiara e condivisibile, di questa Corte nella pronuncia n. 34011/2021 (con la quale, si ripete, sono coerenti le pronunce successive), in cui si legge quanto segue: ‘… Un ultimo profilo da esaminare, per decidere nella loro completezza le questioni sottoposte all’attenzione della Corte, è quello relativo alla decorrenza degli interessi legali dovuti in caso di pronuncia restitutoria di quanto spontaneamente pagato in virtù di un titolo che sia poi stato caducato, ovvero se, in difetto di una messa in mora o anche semplicemente di una domanda espressa, si ha diritto alla restituzione della somma pagata con interessi dal momento del pagamento, dal momento della domanda volta alla restituzione, o dal momento della condanna alla restituzione del capitale. … E tuttavia, poiché il diritto alla restituzione degli interessi è un effetto legale dell’obbligo restitutorio, deve ritenersi che, ove la sentenza di condanna sulla base della quale sia stato effettuato il pagamento sia stata posta nel nulla, e ove sia stata chiesta la condanna dell’accipiens alla restituzione, sulla somma da restituire siano dovuti, anche in mancanza di specifica domanda relativa agli interessi, gli interessi legali dal giorno dell’avvenuto pagamento, ex art. 1282 c.c.’.
In conclusione, sulla base delle assorbenti considerazioni esposte, il ricorso proposto deve essere integralmente respinto.
In applicazione del principio della soccombenza le spese del presente giudizio sostenute da Roma Capitale si pongono a carico dei ricorrenti e si liquidano come in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
PQM
la Corte respinge integralmente il ricorso e condanna NOME NOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME e NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME, a rimborsare a Roma Capitale le spese processuali della presente fase di giudizio, che liquida in € 12.000,00 complessivi, oltre € 200,00 per anticipazioni e oltre oneri di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari, in ipotesi, a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13 comma 1 bis .
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della prima sezione