Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4133 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 4133 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
l’impugnata decisione nella parte in cui essa aveva dichiarato la nullità del secondo contratto, ritenendo, tuttavia, che anche riguardo ad esso potesse essere dichiarata la risoluzione per violazione degli obblighi informativi; ed ha statuito, in merito all’eccezione riconvenzionale della banca -che aveva chiesto che, in caso di accoglimento delle domande degli attori, costoro fossero condannati alla restituzione di tutte le somme indebitamente percette, comprese le cedole incassate sul presupposto della buona fede dei medesimi -che le chieste restituzione avessero luogo dalla domanda giudiziale.
La cassazione di detta sentenza era reclamata da Banca Monte dei Paschi di Siena con un ricorso affidato a due mezzi ai quali resistono con controricorso e memoria gli intimati.
1.2. Chiamata inizialmente in discussione all’adunanza camerale del 25.10.2023 con ordinanza interlocutoria 2386/2024 la causa era rimessa a trattazione nell’odierna pubblica udienza.
Vi sono requisitorie scritte del Procuratore Generale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Il primo motivo di ricorso, mediante il quale si censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 21 TUF e degli artt. 28 e 29 Reg. Consob 11522/1998 poiché contrariamente a quanto divisato dal giudice d’appello anche con riferimento all’acquisto operato nell’agosto 1999, gli obblighi informativi a cui era tenuto l’intermediario erano stati nella specie ampiamente rispettati, tanto più che il declassamento del debito estero argentino sarebbe avvenuto solo nel luglio 2001, sì che nessun addebito poteva muoversi all’intermediario per non aver reso disponibili informazioni di cui non era in possesso, è inammissibile poiché compendia una critica al ragionamento fattuale operato dal decidente di merito.
2.2. La sua rivisitazione, postulata in questa sede, esula dai compiti ordinamentali affidati alla Corte di Cassazione, che non è giudice del fatto sostanziale, di modo che possa essa sostituire il proprio sindacato alle valutazioni che compete solo al giudice di merito operare in via esclusiva in quanto appunto giudice del fatto; compito della Corte di Cassazione, come bene ha ricordato il PG, è solo quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass., Sez. VI-I, 13/01/2020, n. 331).
2.3. Né questo intendimento, più generale, è suscettibile di rimeditazione alla luce del precedente citato in ricorso, inteso a
valorizzare, sotto il profilo del nesso di causalità, il fatto che al momento della sottoscrizione il default dell’emittente fosse al di là dl del divenire, poiché il punto è palesemente estraneo al ragionamento decisorio di cui si è fatta interprete la corte territoriale posto, che come si legge a capo della pag. 4 della motivazione, la sentenza è pervenuta alla conclusione qui osteggiata «in disparte (dalla) imprevedibilità del default e (dall’) adeguatezza o meno dell’investimento», osservando, infatti, che «nessuna prova è stata fornita dall’istituto di credito in ordine all’esatto ambito delle eventuali ulteriori informazioni da rendere in quel frangente se non vaghi riferimenti alla volatilità del titolo o al maggior rischio di investimenti con rendimenti superiori a quelli dei titoli di stato italiani».
3.1. Il secondo motivo di ricorso è alla radice dell’ordinanza interlocutoria pronunciata da questa Corte.
Si lamenta, con riferimento alla determinazione adottata dal decidente in punto agli obblighi restitutori gravanti sulle parti a seguito della dichiarata risoluzione dei contratti, che la sentenza avrebbe inteso far decorrere dalla domanda, piuttosto che dall’acquisto, la violazione dell’art. 2033 cod. civ., vero che, avendo le parti, per effetto dell’intervenuta pronuncia, diritto di ripetere le reciproche prestazioni, «in accoglimento della eccezione riconvenzionale formulata dalla Banca esponente, all’esito della dichiarazione di risoluzione dei contratti di acquisto contestati e della condanna della Banca alla restituzione, agli investitori, del capitale investito, la Corte di Appello di Ancona avrebbe dovuto condannare le controparti alla restituzione di tutte le somme percette, anche a titolo di cedole, a far tempo dall’acquisto dei titoli per cui è causa (e non soltanto, come ritenuto dal giudice di prime cure, alla restituzione dei titoli detenuti all’esito del concambio)».
3.2. Scrutinando la doglianza la citata ordinanza si è data cura di considerare che all’indirizzo stabilmente seguito da questa Corte nella materia de qua -codificato nel principio di diritto secondo cui «quando sia dichiarata la risoluzione del contratto d’investimento in valori mobiliari, si ingenerano tra le parti reciproci obblighi restitutori, dovendo l’intermediario restituire l’intero capitale investito, mentre l’investitore è obbligato alla restituzione del valore delle cedole corrisposte e dei titoli acquistati, secondo la disciplina di cui all’art. 2038 c.c.; i reciproci crediti vantati dalle parti, ove ne ricorrano i presupposti, possono compensarsi legalmente, ai sensi dell’art. 1243 c.c.» (Cass., Sez. I, 30/01/2019, n. 2661), già enunciato con riguardo all’azione di nullità (Cass., Sez. I, 16/03/2018, n. 6664) e fatto oggetto anche in motivazione di ripresa in epoca successiva (Cass., Sez. I, 27/08/2020, n. 17948) -in tempi più recenti è venuta affiancandosi una diversa impostazione ricostruttiva che, ancorché abbia preso forma in tutt’altro contesto giuridico -nella specie l’intendimento di che trattasi è stato espresso nell’ambito di un giudizio di impugnazione arbitrale in cui, in relazione al corrispettivo ancora dovuto dal committente, il lodo aveva ritenuto che gli interessi in applicazione dell’art. 2033 cod. civ., dovessero essere corrisposti dalla domanda giudiziale e non dal giorno in cui era scaduta l’obbligazione -ha espresso il convincimento che «in caso di inadempimento contrattuale ad una obbligazione pecuniaria, pur quando derivante da somma indebitamente trattenuta dall’obbligato, alla condanna all’adempimento si aggiunge, su domanda di parte, il debito degli interessi, che sono dovuti -senza nessun rilievo dello stato di buona o mala fede del contraente che indebitamente non abbia corrisposto la somma dovuta alla controparte -con decorrenza dal momento della scadenza dell’obbligazione o, in mancanza, dalla messa in mora, e con facoltà per il creditore di provare il danno patito per la svalutazione monetaria a seguito del ritardo nel pagamento, ai
sensi dell’art. 1224, comma 2, c.c.» (Cass., Sez. I, 20/06/2023, n. 17572).
3.3. L’indirizzo di che trattasi ha trovato ragione di maturazione alla luce di una rinnovata riflessione cui è stato sottoposto, sul filo di un palesato disagio dottrinale, il tema dell’applicabilità della disciplina dell’indebito alle ipotesi caducatorie del contratto sottolineandosi che essa condurrebbe, rispetto alla funzione recuperatoria sottesa ai rimedi azionati, ad esiti irrazionali laddove non sia ravvisabile uno stato soggettivo rilevante in capo all’ accipiens , viceversa dall’art. 2033 cod. civ. eletto a base di decorrenza del’obbligazione accessoria concernente i frutti civili, notoriamente dovuti dal pagamento se l’ accipiens versasse in mala fede o dalla domanda se egli sia stato in buona fede. Per vero, come si è ancora qui osservato, non è dallo stato psicologico di questi che deve dipendere l’obbligo restitutorio, dato che esso, in più fedele coerenza con il rimedio azionato, andrebbe ricondotto nell’alveo proprio della funzione recuperatoria, sì che l’obbligazione in parola dovrebbe decorrere più ragionevolmente proprio dall’avvenuta esecuzione della prestazione. Da qui una proposta ricostruttiva che muove, pur nella consapevolezza che il rinvio alle norme sull’indebito, posto in calce a varie fattispecie codicistiche aventi fondamento caducatorio, costituisca un’indicazione di principio da cui non si possa in ogni caso prescindere, nella direzione di una rilettura di essa che vale a renderne possibile l’applicazione in quanto compatibile con la ratio di ciascuno dei rimedi azionati, e ciò, perché la funzione ripristinatoria che è propria di ciascuno essi porta a credere che l’obbligo restitutorio si renda operante fin dal giorno del pagamento, indipendentemente dalla buona o dalla mala fede di chi riceve il bene. Ciò vuol dire che se il contratto cade, la regola è quella delle reciproche restituzioni sulla base delle stesse nozioni di nullità, annullabilità, risoluzione,
rescissione o condizione, le quali comportano l’inefficacia ex tunc , occorrendo dunque in questa prospettiva, evitare un’applicazione letterale e asistematica della disciplina sul pagamento indebito In sintesi, pertanto, nelle ipotesi di caducazione del negozio la disciplina del pagamento dell’indebito si applica (dato che ad essa rinviano numerose disposizioni rilevanti), ma il rinvio può essere in via interpretativa inteso come “in quanto compatibile”, trattandosi di reciproche restituzioni, e non di mere prestazioni isolate: donde l’esigenza di adattare la disciplina dipendente dagli stati soggettivi di buona o mala fede dell’ accipiens , piuttosto, alla situazione di imputabilità dell’inattuazione funzionale del negozio, o, ove ciò risulti incompatibile con il principio della rimessione in pristino, con l’inapplicabilità di quei profili di disciplina.
3.4. Al quesito che ne è scaturito – se, in caso di caducazione contrattuale, trovi limitazione l’applicazione dell’istituto della ripetizione dell’indebito, di cui agli artt. 2033 e segg. cod. civ., quanto alla rilevanza dello stato di buona o mala fede delle parti contraenti, onde debba debba escludersi la rilevanza dello stato psicologico dell’ accipiens ai fini della determinazione dell’obbligo restitutorio, che invece, secondo la ratio del rimedio negoziale azionato, dovrebbe decorrere ragionevolmente dall’avvenuta esecuzione della prestazione -ha inteso offrire risposta l’ordinanza 423/2025 di questa Corte che, all’esito di un’approfondita ricognizione della materia, e sviluppando un percorso motivazionale al quale pienamente si rimanda ai fini e per gli effetti di cui all’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., ha enunciato i seguenti principi di diritto:
«Accertata la mancanza di una causa adquirendi in ragione della risoluzione del contratto per inadempimento, l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo».
«In caso di risoluzione del contratto per inadempimento, la regola posta dall’art. 2033 c.c. in tema di ripetizione dell’indebito quanto alla spettanza di frutti e interessi non riguarda i frutti e gli interessi previsti dal contratto, che, ove percepiti, costituiscono attribuzioni patrimoniali integralmente passibili di restituzione in ragione della retroattività della risoluzione prevista dall’art. 1458 c.c., ma i frutti e gli interessi che maturano per legge in relazione al bene o alla somma di denaro oggetto di ripetizione».
«In caso di risoluzione del contratto per inadempimento, ai fini della regolazione della spettanza dei frutti e degli interessi su quanto deve essere oggetto di ripetizione, la buona fede di cui all’art. 2033 c.c. è da intendersi come buona fede soggettiva e si identifica nell’ignoranza, in capo all’ accipiens , dell’obbligo restitutorio».
«La disciplina della ripetizione dell’indebito non può implicare ingiustificati arricchimenti di una parte ai danni dell’altra, onde è escluso che, a fronte dello scambio di un bene fruttifero con una somma di denaro, frutti e interessi possano avere diversa decorrenza: in particolare, risolto il contratto per inadempimento, nel caso in cui l’ accipiens della somma di denaro sia in buona fede e gli interessi sulla stessa decorrano dalla domanda, latamente intesa come costituzione in mora, vanno restituiti da quello stesso momento i frutti maturati in forza della previsione contrattuale».
3.5. Nel farne perciò applicazione al caso che ne occupa risulta di piana evidenza l’errore in cui è caduto il giudice di appello, già semplicemente negando che, in accoglimento delle istanze della banca e disponendo la restituzione dei titoli, le controparti non fossero pure obbligate alla restituzione delle cedole medio tempore incassate, sì che esse non solo andranno rimborsate, ma la regolazione delle rispettive partite creditorie dovrà segnatamente conformarsi, secondo quanto stabilito dalla citata ordinanza 423/2025, al principio che «l a disciplina della ripetizione dell’indebito non può implicare
ingiustificati arricchimenti di una parte ai danni dell’altra, onde è escluso che, a fronte dello scambio di un bene fruttifero con una somma di denaro, frutti e interessi possano avere diversa decorrenza» 4. Va perciò accolto il secondo motivo di ricorso è la causa, debitamente cassata la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto, va rimessa al giudice a quo per la rinnovazione del giudizio.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa l’impugnata sentenza nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa avanti alla Corte di appello di Ancona che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile a seguito di riconvocazione il 30.10.2024.
Il Relatore Il Presidente Dott. NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME