Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 30759 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 30759 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15225-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall ‘ AVV_NOTAIO per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall ‘ AVV_NOTAIO per procura in calce al controricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la SENTENZA N. 3577/2021 della CORTE D ‘ APPELLO DI MILANO, depositata il 13/12/2021;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell ‘ adunanza in camera di consiglio del 28/10/2025;
FATTI DI CAUSA
1.1. Il tribunale di Milano, con la sentenza n. 1078/1999, ha accolto la domanda proposta dal RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell ‘ art. 67, comma 2°, l.fall. ed ha, quindi, dichiarato l ‘ inefficacia, rispetto al RAGIONE_SOCIALE, del contratto di compravendita di un immobile in Milano stipulato, in data
21/3/1994, tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE.
1.2. Tale pronuncia è stata confermata, in sede di rinvio, dalla corte d ‘ appello di Milano con la sentenza n. 4129/2015, che è passata in giudicato.
1.3. Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con atto di citazione del 26/9.4/10/2016, ha, quindi, convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE (subentrata, a seguito di vari passaggi, alla RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE), chiedendo la restituzione dei frutti dell ‘ immobile a partire dalla domanda giudiziale del 3/6/1995 fino alla riconsegna dello stesso in data 17/2/2016, per un importo complessivo di €. 4.277.984,65, pari alla somma dei canoni di locazione maturati in detto periodo, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
1.4. La RAGIONE_SOCIALE si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto della domanda.
1.5. Il tribunale di Milano, con sentenza n. 6247/2019, ha rigettato la domanda sul rilievo che la sentenza di accoglimento dell ‘ azione revocatoria ha natura costitutiva, in quanto modifica una situazione giuridica preesistente, privando di effetti atti che avevano già conseguito piena efficacia, ma, al tempo stesso, non ha effetto restitutorio.
1.6. Il RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello avverso tale sentenza deducendo che: – la sentenza che accoglie la domanda revocatoria ha natura costitutiva ma anche restitutoria; l’acquirente soccombente, a seguito dell ‘ esperimento vittorioso della revocatoria della compravendita, deve, pertanto, restituire alla massa i frutti successivi alla domanda giudiziale di revocatoria, determinati in base al valore dei canoni percepiti o percepibili.
1.7. La RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, ha contestato la fondatezza dell ‘ appello, del quale ha chiesto il rigetto, ribadendo le eccezioni già sollevate in primo grado.
1.8. La corte d ‘ appello, con la sentenza in epigrafe, ha, sia pur in parte, accolto l ‘ appello del RAGIONE_SOCIALE.
1.9. La corte, in particolare, ha ritenuto che: la sentenza che accoglie la domanda revocatoria, sia essa ordinaria o sia fallimentare, ha natura costitutiva in quanto modifica ex post una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell ‘ atto; – la sentenza che accoglie la domanda revocatoria ordinaria o fallimentare, se non determina la traslazione della proprietà del bene oggetto dell ‘ atto revocato ma solo l ‘ inefficacia dell ‘ atto in favore, rispettivamente, del terzo revocante o della massa fallimentare, comporta, nondimeno, un effetto restitutorio; – il RAGIONE_SOCIALE ha, di conseguenza, il diritto alla restituzione dei frutti civili prodotti dall ‘ immobile oggetto dell ‘ atto revocato a decorrere dalla domanda di revoca.
1.10. La corte d’appello , quindi, ha provveduto ad esaminare le eccezioni svolte dall ‘ appellato, a partire da quella di prescrizione del diritto alla restituzione dei frutti.
1.11. Secondo l ‘ appellata, infatti, il termine di prescrizione, pari a cinque anni ai sensi dell ‘ art. 2948 n. 3 e 4 c.c., sarebbe ampiamente decorso, essendo trascorsi in assenza di atti interruttivi più di ventuno anni tra la data della domanda di revoca (3/6/1995) e la notifica dell ‘ atto introduttivo del presente giudizio (29/9/2016).
1.12. La corte d’appello ha ritenuto che l ‘ eccezione era infondata sul rilievo, tra l’altro, che : – la domanda di restituzione dei frutti presuppone il previo accertamento, con sentenza costitutiva, dell ‘ inefficacia dell ‘ atto oggetto di revocatoria fallimentare e può essere svolta in separato giudizio, senza che possa predicarsi alcuna preclusione processuale per non essere stata proposta contestualmente alla domanda di revocatoria; il termine di prescrizione, peraltro, non è quello quinquennale previsto dall ‘ art. 2948 n. 3 e 4 c.c. ma quello ordinario decennale di cui all ‘ art. 2946 c.c., mancando in tema di restituzione dei frutti una diversa disposizione di legge che prescriva un termine più breve; – il diritto alla restituzione dei frutti presuppone, come imprescindibile requisito costitutivo, il previo accertamento dell ‘ inefficacia dell ‘ atto oggetto di revocatoria e si prescrive a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza che abbia disposto la revoca dell ‘ atto impugnato, trattandosi di pronuncia costitutiva i cui effetti, pur retroagendo al momento della domanda, si producono solo con la definitività delle relative statuizioni; – nel caso in esame, il passaggio in giudicato della pronuncia di inefficacia per revocatoria si è avuto solo a seguito della sentenza n. 4129/2015, resa nel giudizio di rinvio dalla corte d ‘ appello di Milano in data 29/10/2015, per cui nessuna prescrizione può dirsi maturata, essendo stato il giudizio per la restituzione dei frutti radicato dal RAGIONE_SOCIALE con citazione notificata in data 26/9/2016, a distanza di circa un anno (dal giorno) del passaggio in giudicato della disposta revocatoria; del resto, quand ‘ anche si volesse identificare il dies a quo di decorrenza della prescrizione con quello della domanda alla percezione dei frutti dalla data della domanda revocatoria, il diritto ai frutti civili percetti non sarebbe comunque prescritto, avendo il curatore posto in essere nel tempo tre atti interruttivi,
rispettivamente del 2000, 2004, 2013; – tali atti, peraltro, non richiedono affatto una specifica autorizzazione da parte del giudice delegato, la quale è prevista solo ed esclusivamente per gli atti specificamente previsti dall ‘ art. 25 l.fall., fra i quali non risultano gli atti di costituzione in mora.
1.13. La corte d’appello , quindi, ha esaminato l ‘ eccezione di compensazione che l ‘ appellata ha sollevato a norma dell ‘ art. 56 l.fall. e l ‘ ha ritenuta infondata sul rilievo che: – il debito di chi, a seguito di revocatoria fallimentare, sia tenuto alla restituzione di una somma sorge solo con la sentenza di accoglimento della domanda di revoca e nei confronti della massa dei creditori; tale debito, pertanto, non è suscettibile di essere compensato con i crediti concorsuali vantati verso il fallito, ancorché ammessi al passivo, mancando il requisito della reciprocità delle obbligazioni.
1.14. La corte d’appello , infine, ha esaminato l ‘ eccezione con la quale l ‘ appellato: – ha dedotto che i canoni di locazione da restituire erano esclusivamente quelli maturati tra l ‘ 1/7/1996 (data della stipulazione del secondo contratto di locazione stipulato fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE) ed il 19/12/2001 (data in cui RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE, è stata incorporata nella RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE); – ha, quindi, chiesto di limitare l ‘ importo al periodo di effettivo godimento dell ‘ immobile da parte della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE e ora RAGIONE_SOCIALE, in forza del contratto di locazione intercorso tra le parti in data 1/7/1996, nonché di sottrarre da tali canoni i contributi condominiali pagati per spese straordinarie, amministrative, assicurative, ecc. e le tasse sul reddito prodotto dalla locazione, da accertarsi in corso di causa, a mezzo di consulenza tecnica o in via presuntiva equitativa.
1.15. La corte, sul punto, dopo aver rilevato, in fatto, che: -l ‘ immobile oggetto della compravendita era condotto in locazione dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in forza del contratto di locazione sottoscritto il 27/7/1989 ( cd. ‘ prima locazione ‘) dalla fallita allora in bonis proprietaria dell ‘ immobile, per un canone annuo convenuto in £. 400.000.000, pari ad €. 206.582,76; – la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE e oggi RAGIONE_SOCIALE BPM), divenuta proprietaria all’ esito alla compravendita (oggetto di revocatoria) stipulata in data 21/3/1994, è, dunque, subentrata, in qualità di locatrice, nel contratto di locazione dell ‘ immobile in essere con la conduttrice RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, continuando a percepire il canone come sopra quantificato; – in data 1/7/1996, RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE hanno stipulato un nuovo contratto di locazione (cd. ‘ seconda locazione ‘) per un canone annuo di £. 250.000.000 pari ad €. 129.114,22; – in data 19/12/2001, infine, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è stata incorporata nella RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE con conseguente venir meno del contratto di locazione; ha, in sostanza, ritenuto che: -‘ l ‘ obbligazione restitutoria pecuniaria nascente dalla revocatoria in dipendenza della natura dell ‘ atto revocato ha ad oggetto .. un debito di valuta ‘; -‘ gli interessi sulla somma da restituire decorrono ‘, di conseguenza, ‘ dalla domanda giudiziale … ‘; -‘ i canoni di locazione relativi all ‘ immobile oggetto della vendita revocata ‘, che costituiscono i frutti civili dell ‘ immobile locato, ‘ devono essere ‘, pertanto, ‘ restituiti al RAGIONE_SOCIALE dalla data della domanda giudiziale di revocatoria (03.6.1995) non già sino al momento in cui l ‘ immobile è stato riconsegnato al RAGIONE_SOCIALE, cioè il 17.2.2016) ma sino al momento in cui essi, costituenti debito di valuta (e non di valore, né risarcimento del danno, … ) sono stati certamente percetti e cioè sino al momento in cui
(19.12.2001) il locatore (all ‘ epoca, RAGIONE_SOCIALE) è stato incorporato … nella conduttrice RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in quanto in tale momento (19.12.2001) le qualità di creditore (in questo caso: RAGIONE_SOCIALE) e di debitore (in questo caso: RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE) si sono riunite nella stessa persona, con conseguente estinzione dell ‘ obbligazione di pagare i canoni (e quindi, a cascata, di quella restitutoria a seguito di revocazione) per confusione (art. 1253 cc) ‘; – tali canoni, in particolare, sono quelli previsti: a) nel primo contratto di locazione (quello del 1989), a partire dal 3/6/1995 (data della domanda revocatoria) sino al 30/6/1996, e cioè il giorno precedente a quello (1/7/1996) in cui è stato stipulato il secondo contratto di locazione fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE) , pari ad € . 17.215,23 mensili, per un totale di € . 222.650.31; b) nel secondo contratto di locazione, dall ‘ 1/7/1996 (data in cui è stato stipulato il secondo contratto di locazione fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) sino al 19/12/2001 (come da domanda dell ‘ appellato e cioè dalla data in cui RAGIONE_SOCIALE si è fusa per incorporazione nella RAGIONE_SOCIALE) , pari ad €. 10.759,51 mensili, per un totale di €. 706.183,05, per la somma complessiva di €. 928.833,36 (222.650,31 + 706.183,05 = 928.833,36), con gli interessi legali dal giorno della domanda (3/6/1995) fino al saldo effettivo (esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta).
1.16. La corte d ‘ appello, infine, ha ritenuto che la somma complessiva così determinata non poteva essere decurtata in relazione a tutte le spese che la società appellata ha dedotto di avere sostenuto (spese straordinarie, spese amministrative, di assicurazione, etc.), non avendo provveduto a quantificarle in alcun modo (nonostante sia la parte che tale decurtazione ha
richiesto e sulla quale gravava dunque il relativo onere probatorio, anche per la ‘ vicinanza ‘ della prova) ed avendo, anzi, chiesto che ‘ tali spese ‘ fossero ‘ liquidate a mezzo di CTU (che non può essere esplorativa) o a mezzo testi (istanza che non può essere ammessa in quanto non inserita nelle conclusioni in questo grado) o in via presuntiva equitativa (ma l ‘ Istituto avrebbe dovuto quanto meno almeno motivatamente allegarne l ‘ entità) ‘ .
1.17. La corte d’appello , quindi, ha condannato l ‘ appellata a restituire al RAGIONE_SOCIALE la complessiva somma di € . 928.833,36, con gli interessi legali dal giorno della domanda (3/6/1995) fino al saldo effettivo.
1.18. La RAGIONE_SOCIALE, con ricorso notificato il 10/6/2022, ha chiesto, per cinque motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente non notificata.
1.19. Il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso notificato l ‘ 11/7/2022 nel quale ha proposto, per tre motivi, ricorso incidentale.
1.20. La ricorrente principale, a sua volta, ha resistito con controricorso al ricorso incidentale e depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell ‘ art. 67 l.fall. e degli artt. 832 e 821 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello, dopo aver rilevato che la sentenza che accoglie la domanda di revoca fallimentare comporta solo l ‘ inefficacia dell ‘ atto revocato nei confronti della massa fallimentare, ha nondimeno ritenuto che l ‘ accoglimento di tale domanda comporta l ‘ obbligo dell ‘ acquirente di restituire, a partire dalla domanda giudiziale, i frutti civili prodotti medio tempore dal predetto immobile,
omettendo, tuttavia, di considerare che: – l ‘ accoglimento della domanda di revoca fallimentare non determina alcun effetto restitutorio né in favore del disponente fallito, né in favore della massa dei creditori, ma comporta, viceversa, la (sola) inefficacia (relativa) dell ‘ atto rispetto alla massa dei creditori, rendendo il bene trasferito assoggettabile all ‘ esecuzione concorsuale, senza peraltro caducare, a ogni altro effetto, l ‘ atto di alienazione nei confronti dell ‘ acquirente, il quale, pertanto, rimanendo proprietario dell ‘ immobile acquistato, ha il diritto di trarre i canoni di locazione dello stesso; -l ‘ azione revocatoria fallimentare è, dunque, priva di effetti recuperatori, dal momento che l ‘ atto di disposizione revocato resta pur sempre valido e conserva, nei confronti di tutti, compresi i creditori, la propria efficacia traslativa o costitutiva del diritto in capo all ‘ acquirente; – il curatore, dal suo canto, ha il diritto di ottenere la restituzione del bene unicamente per consentire alla massa di soddisfarsi sullo stesso attraverso la sua vendita forzata, sicché non è configurabile, a carico degli acquirenti, alcuna mora (nella restituzione dell ‘ immobile alla curatela fallimentare) produttiva dell ‘ obbligazione risarcitoria di pagamento dei frutti percepibili dal bene oggetto della vendita.
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 132 e 112 c.p.c. e dell ‘ art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 4 c.p.c., ha dedotto la nullità della sentenza impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello, in parziale accoglimento dell ‘ appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE, l ‘ ha condannata alla restituzione, in favore d i quest’ultimo, dei canoni di locazione maturati in relazione all ‘ immobile oggetto dell ‘ atto revocato, per la somma complessiva di €. 928.333,36, oltre interessi legali, senza, per contro, considerare che: l ‘affermazione per cui l ‘ accoglimento della revocatoria ordinaria
o fallimentare dell ‘ atto revocato comporta un effetto restitutorio è in contraddizione con l ‘ affermazione, svolta dalla stessa corte, in base alla quale la sentenza che accoglie la domanda revocatoria ordinaria o fallimentare non comporta una traslazione della proprietà del bene alienato con l ‘ atto revocato ma solo l ‘ inefficacia di tale atto; – la condanna alla restituzione pronunciata dalla corte risulta, pertanto, implicitamente agganciata ad una fattispecie di presunto indebito e risulta, di conseguenza, pronunciata oltre i limiti della domanda, non avendo il RAGIONE_SOCIALE chiesto né l ‘ inefficacia del contratto di locazione, né la restituzione dei canoni versati.
2.3. I motivi, da trattare congiuntamente, sono inammissibili.
2.4. Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato che: – il vittorioso esperimento dell ‘ azione revocatoria ordinaria o fallimentare del contratto stipulato dal debitore poi fallito non determina alcun effetto restitutorio rispetto al patrimonio del disponente né, tantomeno, alcun effetto traslativo in favore della massa dei creditori, ma comporta esclusivamente l ‘ inefficacia dell ‘ atto rispetto a questi ultimi, rendendo il bene alienato assoggettabile all ‘ esecuzione concorsuale ma senza in alcun modo caducare, ad ogni altro effetto, l ‘ atto di disposizione impugnato dal curatore ( ex multis , Cass. n. 2154 del 1984; Cass. n. 8962 del 1997; Cass. n. 8419 del 2000; Cass. n. 18573 del 2004; Cass. n. 17590 del 2005; Cass. n. 31277 del 2018; nel passato, Cass. n. 435 del 1962; più di recente,
); – tale principio, peraltro, non esclude (anzi, impone) che, com ‘ è accaduto nel caso in esame (v. il ricorso, p. 20 ss), la sentenza che accoglie la domanda di revocatoria proposta dal RAGIONE_SOCIALE pronunci (anche d ‘ ufficio: Cass. n. 17958 del 2008; Cass. n. 14098 del 2009; Cass. n.
26425 del 2017), oltre che l ‘ inefficacia dell ‘ atto traslativo impugnato, anche la condanna dell ‘ acquirente alla ‘ restituzione ‘ dell ‘ immobile al RAGIONE_SOCIALE; – la sentenza che accoglie la domanda revocatoria fallimentare, invero, privando di effetti, nei confronti della massa fallimentare, atti che avevano già conseguito piena efficacia, determina, di conseguenza, la restituzione del bene o della somma oggetto degli atti o dei pagamenti revocati alla funzione di generale garanzia patrimoniale (art. 2740 c.c.) e, dunque, alla soddisfazione dei creditori (Cass. SU n. 5443 del 1996; conf., Cass. SU n. 6225 del 1996; Cass. n. 5001 del 1998); – la condanna alla restituzione, dunque, ‘ è conseguente alla modifica delle precedente situazione giuridica determinata dalla stessa sentenza ed ha carattere derivativo dalla pronuncia costitutiva ‘, sanzionando l ‘esistenza di ‘ un obbligo che nasce dalla pronuncia costitutiva e ad essa segue come momento logico successivo …’ (Cass. SU n. 5443 del 1996; conf., Cass. SU n. 437 del 2000; più di recente, Cass. SU n. 30416 del 2018); – in definitiva, ‘
2.5. Se, dunque, è vero che la situazione giuridica vantata dal curatore prima della sentenza che accoglie la domanda di revoca non si configura come un diritto di credito (alla restituzione della somma pagata o dei beni trasferiti), esistente prima del fallimento ovvero al momento della dichiarazione di fallimento, trattandosi, piuttosto, di un mero diritto potestativo, che il curatore acquista per effetto della sentenza dichiarativa del fallimento, all ‘ esercizio dell ‘ azione revocatoria, resta, nondimeno, vero che: -in caso di accoglimento della domanda di revoca, la modifica della situazione giuridica preesistente che ne consegue (e cioè l ‘ inefficacia, verso la massa, dell ‘ atto traslativo o del pagamento) attribuisce al RAGIONE_SOCIALE, a seguito del passaggio in giudicato della relativa sentenza, il diritto di credito alla restituzione della somma versata o del bene ceduto con l ‘ atto revocato (cfr. Cass. n. 22366 del 2007, in motiv.; Cass. n. 10655 del 2010, in motiv.); l’acquisizione del bene oggetto dell’atto revocato alla massa attiva della procedura non ne comporta, pertanto, unicamente il recupero alla funzione di garanzia gener ale dei creditori sancita dall’art. 2740 c.c. a carico del patrimonio del debitore esecutato, ma conferisce al curatore (cui compete, ai sensi dell’art. 31 l.fall., l’amministrazione del patrimonio del fallito, compresi i beni sopravvenuti) il potere di apprensione del bene medesimo non soltanto per sottoporlo ad espropriazione, ma anche per gestirlo nell’interesse della massa (cfr. Cass. n. 31277 del 2018, in motiv.; Cass. n. 22153 del 2021); l’ azione revocatoria proposta in ambito fallimentare ha, dunque, un fisiologico effetto recuperatorio (cfr. Cass. n. 10233 del 2017; Cass. n. 15982 del 2018; Cass. n. 31277 del 2018).
2.6. La sentenza di revoca ex art. 67 l.fall., peraltro, una volta passata in giudicato, retroagisce, a taluni effetti, in forza
del ‘ principio che il ritardo della decisione rispetto all’atto introduttivo non può giovare alla parte soccombente e nuocere alla parte vittoriosa ‘, al momento della domanda, come ai fini del decorso dei frutti sul conseguente debito restitutorio (cfr., in tal senso, Cass. n. 11097 del 2004, in motiv.; Cass. n. 887 del 2006, in motiv.; Cass. SU n. 437 del 2000, in motiv.; Cass. SU n. 5443 del 1996, in motiv.; più di recente, Cass. n. 12850 del 2018; Cass. n. 12736 del 2011; Cass. n. 27084 del 2011; in precedenza, Cass. n. 5843 del 2001; Cass. n. 690 del 1998; Cass. n. 8703 del 1998; Cass. n. 3155 del 1997; Cass. n. 2468 del 1994).
2.7. Tale conclusione vale, oltre che per gli interessi (che maturano sulla somma da restituire), anche per i frutti che provengono dal bene oggetto dell ‘ atto revocato, siano essi, come prevede l’art. 820 c.c., naturali o civili.
2.8. Gli effetti restitutori che conseguono all’accoglimento della domanda di revoca (come quelli che riguardano i frutti civili prodotti medio tempore dall ‘ immobile oggetto del contratto revocato) risalgono, dunque, al momento della domanda giudiziale (Cass. n. 1001 del 1987; Cass. n. 2909 del 2000; Cass. SU n. 437 del 2000; più di recente, Cass. n. 31652 del 2024).
2.9. In caso di revoca dell ‘ atto traslativo di un bene fruttifero, il terzo acquirente deve, pertanto, restituire alla massa attiva del fallimento non solo il bene a suo tempo acquistato dal debitore poi fallito ma anche, con decorrenza dalla domanda di revoca, i frutti ritratti dallo stesso (cfr. Cass. n. 5495 del 2022, in motiv., la quale, dopo aver ribadito che l ‘ accipiens , rimasto soccombente rispetto alla domanda ex art. 67 l.fall. svolta nei suoi confronti, ha ‘ l ‘ obbligo di restituzione del bene fuoriuscito dal patrimonio del fallito per effetto dell ‘ atto
dichiarato inefficace (bene costituito, nella specie, dagli immobili oggetto delle compravendite revocate) ‘, ha ritenuto che questi ha anche l ‘obbligazione accessoria ‘ di rimborso dei frutti indebitamente percepiti ‘, nel senso che, ‘ indipendentemente dalla buona o mala fede ‘, ‘ ha anche l ‘ obbligo di restituzione dei frutti civili costituenti il corrispettivo del godimento della cosa ‘ ; conf., Cass. n. 2909 del 2000, per cui ‘ in virtù della natura costitutiva dell ‘ azione, intesa richiamare nella massa i beni da assoggettare alla garanzia patrimoniale del fallito, i frutti civili del bene, oggetto della revocatoria fallimentare, vanno restituiti a decorrere dalla domanda ‘; Cass. n. 1001 del 1987).
2.10. Con il terzo motivo, proposto in via subordinata, la ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2935, 2943, 2947 e 2948 c.c. nonché dell ‘ art. 25 l.fall., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello ha respinto l ‘ eccezione di prescrizione che la società convenuta aveva sollevato sul rilievo che: – il diritto del RAGIONE_SOCIALE alla restituzione dei frutti si prescrive non nel termine di cinque anni previsto dall ‘ art. 2948 n. 3 e 4 c.c. ma in quello ordinario di dieci anni di cui all ‘ art. 2946 c.c.; – tale termine, peraltro, decorre solo a partire dal passaggio in giudicato della pronuncia di revoca, vale a dire, nel caso in esame, la sentenza dalla corte d ‘ appello di Milano il 29/10/2015; – il curatore del RAGIONE_SOCIALE ha, del resto, posto in essere, negli anni 2000, 2004 e 2013, tre atti interruttivi, che non richiedono una specifica autorizzazione da parte del giudice delegato; omettendo, tuttavia, di considerare che, al contrario, il diritto del RAGIONE_SOCIALE alla restituzione dei frutti, intesi come i canoni di locazione, si era prescritto, posto che: – il diritto relativo al mancato godimento
dell ‘ immobile e alla mancata possibilità di far propri i frutti naturali o civili, è soggetto alla prescrizione di cinque anni, che decorre anno per anno, anzi giorno per giorno; – la decorrenza del termine di prescrizione del diritto alla restituzione coincide con la notifica, in data 3/6/1995, della domanda di revocatoria, che costituisce l ‘ indissolubile presupposto logico-giuridico della domanda accessoria dei presunti frutti; – le raccomandate con le quali il RAGIONE_SOCIALE avrebbe chiesto alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE la restituzione dei frutti civili dell ‘ immobile non sono idonee a interrompere la prescrizione, mancando una specifica autorizzazione del giudice delegato per integrare la volontà del RAGIONE_SOCIALE a far valere un suo preteso credito; – la prescrizione della domanda di restituzione dei frutti, del resto, ricollegandosi ad un diritto potestativo, qual è quello relativo alla revocatoria del bene immobile, non può essere interrotta a mezzo di un semplice atto di costituzione in mora.
2.11. Il motivo è inammissibile. La ricorrente, infatti, non si confronta pienamente con la sentenza impugnata: la quale, con statuizioni rimaste prive di una specifica censura, ha, in sostanza, ritenuto, per quanto ancora rileva, che il diritto del RAGIONE_SOCIALE alla restituzione dei frutti maturati medio tempore sull ‘ immobile oggetto dell ‘ atto (definitivamente) revocato non si era prescritto, sul rilievo che: – la domanda di restituzione dei frutti presuppone il previo accertamento, con sentenza costitutiva, dell ‘ inefficacia dell ‘ atto oggetto di revocatoria fallimentare e può essere svolta in separato giudizio, senza che possa predicarsi alcuna preclusione processuale per non essere stata proposta contestualmente alla domanda di revocatoria; il diritto alla restituzione dei frutti si prescrive, pertanto, a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di revoca dell ‘ atto impugnato, trattandosi di pronuncia costitutiva i cui
effetti, pur retroagendo al momento della domanda, si producono solo con la definitività delle relative statuizioni; – nel caso in esame, la sentenza che ha revocato la compravendita impugnata è passata in giudicato solo a seguito della sentenza resa in sede di rinvio dalla corte d ‘ appello di Milano in data 29/10/2015; – il giudizio per la restituzione dei frutti era stato introdotto dal RAGIONE_SOCIALE con atto di citazione notificato in data 26/9/2016, e cioè a distanza di circa un anno (dal giorno) del passaggio in giudicato della pronuncia di revoca, per cui nessuna prescrizione era, di conseguenza, maturate.
2.12. Del resto, è vero (come in precedenza osservato) che: – la sentenza che accoglie la domanda revocatoria fallimentare ha natura costitutiva, in quanto modifica ex post una situazione giuridica preesistente, sia privando di effetti, nei confronti della massa fallimentare, atti che avevano già conseguito piena efficacia, sia determinando, conseguentemente, la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale (art. 2740 c.c.) ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell ‘ atto; – la situazione giuridica vantata dalla massa ed esercitata dal curatore non integra, quindi, un diritto di credito (alla restituzione della somma o dei beni) che nasce con la sentenza dichiarativa di fallimento e che esiste indipendentemente dall ‘ esercizio dell ‘ azione giudiziale, ma rappresenta un vero e proprio diritto potestativo all ‘ esercizio dell ‘ azione revocatoria, rispetto al quale non è configurabile l ‘ interruzione della prescrizione a mezzo di semplice atto di costituzione in mora a norma dell ‘ art. 2943, ult. comma, c.c. (Cass. SU n. 5443 del 1996).
2.13. Resta nondimeno il principio per cui: -il RAGIONE_SOCIALE acquista il diritto (di credito) ad avere dall ‘ acquirente
la restituzione del bene che il debitore poi fallito gli aveva venduto in periodo sospetto solo con la sentenza che pronuncia la revoca dell ‘ atto traslativo dello stesso che il fallito ha compiuto in periodo sospetto (cfr. Cass. n. 481 del 1995); – tale sentenza, di conseguenza, attribuisce al RAGIONE_SOCIALE anche il diritto alla restituzione dei frutti percepiti dall ‘ acquirente, a partire dalla domanda di revoca e fino al loro effettivo pagamento; – il passaggio in giudicato della sentenza di revoca segna, pertanto, il (solo) giorno a partire dal quale decorre, a norma dell ‘ art. 2935 c.c., il termine di prescrizione di tale diritto.
2.14. La sentenza impugnata, lì dove ha ritenuto che: – la pronuncia di revoca della compravendita impugnata è passata in giudicato solo a seguito della sentenza resa in sede di rinvio dalla corte d ‘ appello di Milano in data 29/10/2015; – il giudizio per la restituzione dei frutti era stato introdotto dal RAGIONE_SOCIALE con atto di citazione notificato in data 26/9/2016; – il diritto alla restituzione dei frutti percepiti dall ‘ acquirente non si è, di conseguenza, prescritto; si sottrae alle censure infondatamente svolte, sul punto, dalla ricorrente (mentre le altre, concernenti il termine di prescrizione e la sua interruzione con le missive trasmesse dal curatore nel corso degli anni rimangono, per contro, assorbite).
2.15. Con il quarto motivo, proposto in via ulteriormente subordinata, la ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell ‘ art. 56 l.fall., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello ha respinto l ‘ eccezione di compensazione sollevata dalla convenuta in relazione al credito, dalla stessa insinuato a titolo del prezzo per l ‘ acquisto dell ‘ immobile, sul rilievo che il debito di chi, a seguito di revocatoria fallimentare, sia tenuto alla restituzione di una somma sorge con la sentenza
di revoca e nei confronti della massa dei creditori e non può essere, pertanto, compensato con crediti concorsuali vantati verso il fallito, ancorché ammessi al passivo, mancando il requisito della reciprocità delle obbligazioni, senza, per contro, considerare che: – la società convenuta vanta un credito liquido ed esigibile verso il RAGIONE_SOCIALE, dedotto in sede fallimentare con domanda di insinuazione al passivo, pari ad €. 2.324,056,05, oltre interessi al tasso legale dal 21/3/1994 al 9/2/1995; – nel caso in cui alla domanda del RAGIONE_SOCIALE per la riscossione di un credito sia stata contrapposta domanda riconvenzionale riguardante un controcredito, il giudice di merito, accertati gli stessi, è tenuto a dichiarare la compensazione, ove richiesta, dei reciproci debiti e sino alla loro concorrenza.
2.16. Il motivo è inammissibile. Nel giudizio promosso dal RAGIONE_SOCIALE per la revocatoria di un contratto (come la vendita immobiliare conclusa in periodo sospetto), infatti, l ‘ obbligo del convenuto soccombente di restituire alla massa dei creditori l ‘ importo corrispondente ai frutti percepiti dallo stesso, in qualità di acquirente, nel corso del giudizio di revocatoria, sorge, in favore del curatore, per effetto della sentenza di accoglimento della domanda di revoca e non è, dunque, suscettibile, quale credito della massa, di essere compensato, per difetto dei requisito di reciprocità delle obbligazioni, con la pretesa (ancorché già ammessa al passivo) che spetta al terzo acquirente (che abbia subito la revoca), nei confronti del venditore poi fallito (tant ‘ è che, per espressa disposizione di legge, è concorsuale e non già, pur se deriva da un ‘ attività imputabile al curatore, prededucibile: art. 71 l.fall.), alla restituzione del prezzo che lo stesso aveva suo tempo versato (cfr. Cass. n. 27518 del 2008; Cass. n. 11030 del 2002; più di
recente, Cass. n. 17338 del 2015; Cass. n. 30824 del 2018; Cass. n. 22666 del 2021).
2.17. Con il quinto motivo, proposto in via subordinata, la ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c. e 1226 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello ha ritenuto che la somma che l’appellata doveva restituire al RAGIONE_SOCIALE non poteva essere decurtata per le spese sostenute dalla stessa per contributi condominiali, spese straordinarie, amministrative e assicurative e tasse sul reddito prodotte dalla locazione sul rilievo che: – la convenuta non aveva provveduto, pur avendone l ‘ onere, alla loro quantificazione; – la consulenza tecnica d ‘ ufficio a tal fine invocata non era ammissibile perché esplorativa; – il potere del giudice di liquidazione equitativa presuppone quanto meno l ‘ allegazione dell ‘ entità del danno; omettendo, tuttavia, di considerare che, in realtà, la società convenuta, attraverso la documentazione prodotta in giudizio, aveva adempiuto al proprio onere della prova, tanto più che: – la consulenza tecnica avrebbe tecnicamente consentito la determinazione del quantum , tenuto conto della estrema complessità nel ricostruire la situazione contabile dei pagamenti relativi all ‘ immobile in un periodo di ben ventuno anni; – la convenuta, nella qualità di proprietaria dell ‘ immobile, aveva già assolto il suo onere tramite le allegazioni, rimaste incontestate, di aver sostenuto tali spese; – il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dall ‘ art. 1226 c.c. incontra il solo limite di non potersi surrogare all ‘ esistenza del danno, che, però, nel caso in esame, risulta pacifica e certa.
2.18. Il motivo è inammissibile. La ricorrente, infatti, non considera che: – la violazione del precetto di cui all ‘ art. 2697 c.c.
è utilmente deducibile in sede di legittimita solo nell ‘ ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l ‘ onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma: non anche quando la censura abbia avuto ad oggetto, com ‘ è accaduto nel caso in esame, la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti lì dove ha ritenuto (in ipotesi erroneamente) assolto (o non assolto) tale onere ad opera della parte che ne era gravata in forza della predetta norma, che è sindacabile, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti previsti dalla norma, neppure invocate, dell ‘ art. 360 n. 5 c.p.c. (cfr. Cass. n. 17313 del 2020; Cass. n. 13395 del 2018); – il ricorrente per cassazione, per dedurre la violazione dell ‘ art. 115 c.p.c., ha l ‘ onere (nel caso in esame rimasto inosservato) di denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che lo stesso, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall ‘ art. 116 c.p.c. (Cass. SU n. 20867 del 2020); il potere di liquidazione equitativa, attribuito al giudice dagli artt. 2056 e 1226 c.c., riguarda solo la misura monetaria del danno lamentato: non anche (come pretende la ricorrente) le spese asseritamente sostenute da chi, tenuto alla restituzione dell ‘ immobile, ne abbia indebitamente percepito i frutti prima della sua effettiva restituzione.
Il ricorso principale, per l’inammissibilità di tutti i suoi motivi, è, dunque, inammissibile.
L’inammissibilità del ricorso principale comporta , a norma dell’art. 334, comma 2°, c.p.c., l’in efficacia del ricorso incidentale tardivo (perchè proposto oltre il termine di sei mesi previsto dall’art. 32 7, comma 1°, c.p.c.) del RAGIONE_SOCIALE.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La Corte dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso principale e l’inefficacia del ricorso incidentale ; condanna la ricorrente principale a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio, che liquida in €. 8.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 28 ottobre 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME