SENTENZA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI N. 6350 2025 – N. R.G. 00003556 2019 DEPOSITO MINUTA 09 12 2025 PUBBLICAZIONE 09 12 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d’Appello di Napoli
sezione terza civile
composta da:
Dott. NOME COGNOME Presidente
Dott. NOME COGNOME Consigliere
Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere rel. ed est.
all’esito della camera di consiglio ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 3556/2019 R.G. promossa da
P. IVA:
),
con sede in Napoli al INDIRIZZO
17b, in persona dell’amministratore unico p.t.
,
(C.F.:
) E
(C.F.:
),
rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO
NOME COGNOME (C.F.:
in virtù di procura a
margine de ll’atto di citazione in appello
– APPELLANTI –
CONTRO
(C.F. – P. IVA:
, con sede in al
INDIRIZZO, in persona del procuratore speciale AVV_NOTAIO
(atto del Notaio
di del 20.12.2016 (Rep. 47915 – Racc. n. 20288), rappresentata e difesa
P.
C.F.
C.F.
C.F.
P.
dall’AVV_NOTAIO di Torrepadula (C.F.: ) in virtù di procura allegata alla comparsa di costituzione in appello C.F.
(C.F. -P. IVA: ), (TV) alla INDIRIZZO P.
con sede in Conegliano
– APPELLATI –
OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 5611/2019 del Tribunale di Napoli
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
§ 1. Il giudizio di primo grado.
Con citazione notificata il 30.7.2010,
convenivano
e
davanti al Tribunale di Napoli,
deducendo che:
-aveva intrattenuto con la convenuta diversi rapporti, tra cui: il contratto di apertura di credito in c/c n. 669, fino a concorrenza della somma di euro 50.000,00; l’apertura di credito in c/c n. 670, fino alla concorrenza dell’importo di euro 150.000,00; l’ apertura di credito per anticipi n. 671, fino a concorrenza della somma di euro 300.000,00; l’apertur a di credito in conto corrente fino alla concorrenza dell’importo di euro 75.000,00, avente natura transitoria e scadenza al 30.9.2010;
a garanzia dei fidi si erano costituiti fideiussori e aventi ingente patrimonio immobiliare, nonché ;
– al fine di ottenere liquidità per l’azienda , il 7.6.2010, il legale rappresentante di , titolare di due certificati obbligazionari emessi da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del valore nominale di euro 150.000,00 e di euro 200.000,00, collocati dalla stessa aveva pattuito con quest’ultima un ulteriore affidamento per l’importo di euro 210.000,00, previa costituzione in pegno del certificato RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del valore nominale di euro 150.000,00 e, a tal fine, aveva sottoscritto la proposta di contratto di pegno, lasciata in bianco in ogni altra parte,
ricevendo dalla tre ulteriori libretti di assegni;
il 23.6.2010 la correntista, essendo stata informata verbalmente che il fido concesso sul conto transitorio non superava l’importo di euro 75.000, 00, aveva contestato alla l’illegittimità della condotta e, al contempo, aveva compiuto il recesso dal contratto di concessione del pegno ed ordinato la vendita del titolo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, al fine di ricevere la liquidità necessaria per coprire gli assegni emessi in virtù dell’accordo del 7.6.2010 ;
-la dopo che in data 22.6.2010 aveva già fatto elevare il protesto dell’assegno n. 14196140, dell’importo di euro 10.000,00, tratto sul c/c n. 1000669, il giorno successivo aveva invitato la correntista a versare somme in contanti per pagare assegni già emessi per euro 18.000,00;
in data 24.6.2010, a che si era recato in banca per effettuare il versamento, era stata intimata la vendita dell’altro titolo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del valore di euro 200.000,00, pena, in difetto, il protesto della società (già avvenuto due giorni prima);
il 28.6.2010, la società, ricevuto il contratto di pegno, aveva appreso che la aveva completato abusivamente il documento limitando il conto transitorio alla minor somma di euro 75.000,00 e che il titolo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era stato costituito in pegno anche per tutti i rapporti già in essere con l’istituto;
in data 1.7.2010, la aveva receduto da tutti i rapporti, reclamando il saldo degli scoperti di conto corrente;
sin dalla fine del mese di giugno 2010 non aveva potuto operare sui propri conti ed era stata costretta a disdire gli ordini già acquisiti e quelli inoltrati.
Parte attrice concludeva chiedendo che, accertata la violazione dei principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., la fosse condannata al risarcimento, in via equitativa, di tutti i danni morali e di immagine subiti da oltre a quelli patrimoniali da quantificarsi in base alla differenza tra il fatturato del 2009 e quello del 2010, e, in ogni caso, non inferiore ad euro 1.000.000,00, da compensarsi con l’eventuale credito accertato in favore della
nonché alla restituzione, in favore di dell’obbligazione RAGIONE_SOCIALE del 28.12.2011 di euro 150.000,00. Vinte le spese.
strutturata
La convenuta, costituendosi, preliminarmente eccepiva: 1) l’inammissibilità della domanda, in quanto, pur essendo stato contestat o l’ accordo relativamente al contratto di pegno, non era stata chiesta la nullità/annullamento/risoluzione del medesimo negozio, per cui risultava incerto il titolo dell’invocata restituzione; 2) il difetto di legittimazione attiva in capo a
e
in relazione alla domanda risarcitoria di cui erano
estranei i fideiussori, ed il difetto di legittimazione attiva di
,
e
in ordine alla domanda restitutoria del titolo in pegno, non essendo questi ultimi parti di tale contratto, per cui erano anche privi di interesse ad agire.
N el merito, deduceva l’infondatezza dell’avversa pretesa , atteso che:
-era titolare di diversi rapporti con essa comparente (tra cui anche un mutuo chirografario del l’importo di euro 500.000,00) , garantiti da fideiussioni omnibus prestate da e fino alla concorrenza dell’importo di euro 750.000,00 ciascuno e da fino alla concorrenza di quello di euro 1.420.000,00;
in data 14.5.2010 aveva chiesto un ulteriore affidamento, a garanzia del quale aveva proposto in pegno un titolo di proprietà di legale rappresentante della società, del valore nominale di euro 150.000,00, per cui il 7.6.2010 veniva sottoscritto, oltre all’ulteriore contratto di apertura di credito per , il contratto di pegno a favore della documento in cui venivano riportati sia i crediti garantiti (‘ anticipo su fatture per euro 300.000,00; apertura di credito in c/c scadenza 30.9.2010 per euro 75.000,00; apertura di credito in c/c a revoca per euro 50.000,00; apertura di credito in c/c a revoca per euro 150.000,0 0’ ), nonché l’oggetto del pegno (obbligazione strutturata RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE 8.12.2011, di valore nominale pari ad euro 150.000,00);
contestualmente, erano state rinnovate le precedenti linee di credito e deliberato un nuovo affidamento (linea transitoria fino al 30.9.2010 sul c/c n. 115/01/000/669) di importo pari ad euro
75.000,00, come risultava dal contratto sottoscritto con la correntista;
in data 23.6.2010 aveva chiesto un ampliamento della nuova linea di credito accordata ‘ almeno pari al 30% in più del valore del titolo ‘, ma tale nuova richiesta non veniva accettata stante la situazione economica della società, che era stata protestata per emissione di assegni senza provvista, ragion per cui essa era stata costretta a revocare le linee di credito e a chiedere il rientro dall’e sposizione debitoria, pari ad euro 948.917,82, oltre accessori;
-l’asserita violazione delle regole di correttezza e buona fede non sussisteva per nessuno degli aspetti indicati da controparte: invero, il rilascio del libretto degli assegni era avvenuto in virtù della convenzione di assegno; la vendita del titolo obbligazionario non poteva aver luogo in assenza delle forme ex art. 2797 c.c., e, in ogni caso, costituiva una mera facoltà ; l’allegato abusivo riempimento del contratto di pegno e di apertura di credito era smentito sul piano documentale e, peraltro, era inverosimile, essendo notoria la prassi bancaria di richiedere garanzie pari ad almeno il doppio del credito concesso, per cui mai avrebbe potuto ottenere un importo di euro 210.000,00 a fronte di una garanzia dal valore nominale di euro 150.000,00;
la domanda risarcitoria per danni morali, d’immagine e patrimoniali in misura non inferiore ad euro 1.000.000,00 era infondata in assenza di condotte illecite ascrivibili ad essa deducente e, quindi, di un nesso causale tra condotta ed i presunti danni patiti, rimasti in ogni caso sforniti di prova;
la domanda di restituzione presupponeva l’estinzione dell’obbligazione garantita, mentre nel caso di specie era debitrice della somma di euro 948.917,82 (di cui euro 365.682,15 a titolo di saldo residuo del mutuo chirografario 06/115/9125843 del 3.9.2007, euro 351.075,74 quale saldo debitore del c/c n. 01/115/01000669, euro 135.433,60 quale saldo debitore del c/c 01/115/01000670, euro 96.726,33 quale saldo debitore del c/c n. 01/115/01000671), per cui essa Banca chiedeva il pagamento in via riconvenzionale.
Concludeva, pertanto, chiedendo: di rigettare le avverse domande siccome inammissibili in rito ed infondate nel merito; in subordine, dichiarare che nulla era dovuto agli attori a qualsiasi titolo; in via riconvenzionale, accertare in suo favore la titolarità del credito, nei confronti degli attori, dell’importo di euro 948.917,82 , oltre interessi convenzionali successivi al 15.10.2010 fino al soddisfo, rivalutazione monetaria e spese, o nella diversa somma accertata in corso di causa, con condanna degli attori, in solido, al pagament o delle relative somme; in subordine, nell’ipotesi di accertata esistenza di un credito degli attori, disporsi la compensazione di questo fino a concorrenza del credito da essa vantato anche per il risarcimento dei danni subìti per effetto della violazione da parte degli attori delle regole di correttezza e buona fede, con importo da determinarsi in via equitativa; disporre il pagamento, a carico degli attori, a norma dell’art. 186 -bis, ovvero, in subordine, ai sensi dell’art. 186 -ter c.p.c., della somma di euro 948.917,82, oltre interessi successivi fino al soddisfo. Vinte le spese di lite.
Emessa l’ordinanza ex art. 186ter c.p.c., concessi i termini ex art. 183, comma 6 c.p.c., la causa veniva istruita documentalmente e mediante prove orali.
Dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Benevento n. 26/2016 del 2.3.2016, il giudizio veniva proseguito dalla curatela, giusta autorizzazione del G.D. del 24.6.2016.
Dopo vari rinvii, con atto ex art. 111 c.p.c. depositato il 4.4.2018, interveniva in giudizio
e per essa cessionaria del credito della
giusta cessione in blocco del 16.11.2017, pubblicata in G.U. n. 138 del 23.11.2017,
parte II, reiterando le conclusioni della cedente ai fini della tutela del diritto di credito azionato.
Precisate le conclusioni, con sentenza n. 5611/2019, pubblicata il 31.5.2019, il Tribunale di Napoli così decideva:
‘ a) rigetta le domande di parte attrice;
dichiara l’improcedibilità della domanda riconvenzionale proposta dalla banca convenuta nei confronti della curatela fallimentare
in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta da parte convenuta, condanna
in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento, in favore della banca convenuta, della somma di euro 948.917,87, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, e condanna e , in solido, al pagamento, in favore della banca convenuta, della somma di euro 750.000,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo;
d) condanna gli attori, in solido, alla rifusione, in favore della parte convenuta, delle spese del giudizio, che liquida in euro 200,00 per spese ed euro 15.387,00 a titolo di compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge ‘.
Il primo giudice perveniva al suddetto esito motivando:
-in ordine all’abusivo riempimento del contratto di pegno, che le risultanze istruttorie non consentivano di ritenere provato che il legale rappresentante della si fosse limitato a sottoscrivere un foglio in bianco, né che tra le parti fosse stato raggiunto un accordo in virtù del quale il modulo firmato in bianco da avrebbe dovuto essere compilato dalla Banca con i dati indicati da parte attrice, in quanto le deposizioni dei testi non provavano l’abusivo riempimento del modulo; in particolare: il teste aveva riferito circostanze asseritamente apprese dal teste , peraltro in contrasto con quanto dichiarato da quest’ultimo ; il teste aveva riportato circostanze riferite da dunque prive di rilievo probatorio; il teste aveva reso dichiarazioni generiche ed irrilevanti;
non sussisteva l’invocata responsabilità della per effetto della consegna del libretto degli assegni alla correntista, da cui parte attrice faceva derivare l’induzione in errore, atteso che, da un lato, l’istituto di credito era tenuto al relativo rilascio sulla base della convenzione di assegno, e, dall’altro, la correntista non poteva emettere assegni in difetto di provvista;
non poteva avere luogo la restituzione del titolo dato in pegno dal legale rappresentante di in quanto l ‘ art. 2794 c.c. recita: ‘ colui che ha costituito il pegno non può esigerne la restituzione, se non sono stati interamente pagati il capitale e gli interessi e non sono state rimborsate le spese relative al debito in pegno ‘ , e nel caso di specie vi era un debito verso la
per la somma di euro 948.917,82;
– era, invece, fondata la domanda riconvenzionale della atteso che, a fronte della produzione da parte di quest’ultima del contratto di mutuo chirografario del 3.9.2007, del contratto di apertura di credito del 15.6.2010 e degli estratti conto di cui ai rapporti di c/c n. 01/11/01000669, n. 01/11/01000670 e n. 01/11/01000671, parte attrice non aveva sollevato specifiche contestazioni né in ordine alla pretesa creditoria, né sulla validità delle fideiussioni, sicché, in assenza di puntuale contestazione del credito, la domanda riconvenzionale doveva essere accolta, ex art. 115 c.p.c., nei confronti di per la somma di euro 948.917,87, oltre interessi legali fino al saldo, e nei confronti di e per euro 750.000,00, oltre interessi legali fino al saldo, mentre era improcedibile nei confronti della correntista, siccome fallita;
la sentenza andava emessa tra le parti originarie, malgrado il subentro di
nella titolarità del credito vantato da per effetto della cessione in blocco pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 23.11.2017, in quanto non era stata richiesta l’ estromissione della cedente, ma, in ogni caso, la pronuncia era efficace nei confronti della cessionaria ex art. 111 c.p.c.;
le spese di lite seguivano la soccombenza ed andavano liquidate come in dispositivo in applicazione del D.M. 55/2014.
§ 2. Il giudizio d’appello.
Con atto notificato il 18.7.2019 ed iscritto a ruolo il 25.7.2019, e
proponevano appello avverso la suddetta pronuncia, notificata in data 18.6.2019, affidandolo a due motivi, il primo attinente al malgoverno delle risultanze istruttorie e il secondo alla domanda riconvenzionale, per cui chiedevano accogliersi le seguenti conclusioni:
‘accogliere la domanda di di restituzione del pegno nei termini di cui in atti, nonché, in ogni caso, rigettare la spiegata riconvenzionale nei confronti degli appellanti medesimi, con condanna alle spese e compensi di entrambi i gradi di giudizio a favore di quest’ultimi’.
art. 342
c.p.c. e l’ infondatezza dell’impugnazione costituendosi, eccepiva l’inammissibilità dell’appello ex , chiedendone il rigetto con vittoria di spese.
All’udienza ex art. 350 c.p.c. del 5.12.2019 veniva disposta la mediazione delegata con rinvio al 9.7.2020 per la verifica del relativo esito.
All’ udienza di rinvio, stante l’esito negativo della procedura, la causa veniva rinviata al 26.5.2022 per la precisazione delle conclusioni.
Dopo vari differimenti, il fascicolo veniva trasmesso alla terza sezione civile per effetto del provvedimento della Presidente della Corte in data 30.12.2024, siccome rientrante nell’arretrato rilevante ai fini del raggiungimento degli obiettivi del PNRR.
A ll’udienza del 18.6.2025, precisate le conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione con concessione di giorni sessanta per il deposito delle comparse conclusionali e venti per le repliche.
§ 3. Questioni preliminari.
Va dichiarata la contumacia di che non si è costituita nel presente giudizio malgrado la notifica dell’atto di citazione in appello presso l’AVV_NOTAIO.
§ 4. Analisi dei motivi di appello.
Con il primo motivo, proposto nell ‘ interesse esclusivo di la sentenza impugnata è stata censurata laddove ha ritenuto indimostrato l’accordo di costituire il pegno esclusivamente a garanzia dell’ulteriore finanziamento di euro 210.000,00 .
Secondo l’appellante, il primo giudice non aveva correttamente valutato le risultanze istruttorie, in quanto la prova dell’intervenuto accordo di costituzione del pegno sul prodotto finanziario RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di euro 150.000,00 a copertura della sola ulteriore linea di credito, transitoria, di euro 210.000,00 risultava raggiunta dal raffronto della deposizione del teste , collaboratore di , con quella del teste , settorista della avendo il primo teste dichiarato che quest’ultimo ‘… mi riferì di aver parlato con il Sig. insieme al fratello e al commercialista , nel pomeriggio precedente, e aveva messo a garanzia un titolo
che lo stesso aveva presso la banca e aveva così ottenuto un fido per € 210.000,00’.
Peraltro, la posteriorità del riempimento del modulo rispetto al momento di apposizione della firma da parte di oltre ad essere deducibile dalla deposizione del teste , risultava per tabulas, in quanto il contratto era stato firmato il 7 giugno, mentre l ‘ affidamento per la minor somma di euro 75.000,00 era stata comunicata dalla Banca quasi alla fine dello stesso mese, come confermato dal teste , il quale aveva riferito che il fido sul conto transitorio era stato limitato ad euro 75.000,00, circostanza che, a dire di quest’ultimo, gli era stata comunicata dal teste , il qual e ‘ mi riferì che la Direzione Centrale non aveva autorizzato il fido di 210.000,00, ma solo per € 75.000,00’ , da ciò evincendosi, quantomeno, un accordo in tal senso tra il funzionario e la correntista.
Pertanto, dovendosi ritenere dimostrato l’accordo di costituzione del pegno nei termini suindicati, disattesi dalla aveva diritto alla restituzione di quanto conferito in pegno, a prescindere dall’esistenza del debito in capo alla debitrice principale, in quanto la garanzia era stata data per altro oggetto, che poi non era stato più offerto dalla al cliente, con conseguente invalidità ed inefficacia del contratto di pegno ed obbligo di restituzione del prodotto finanziario al controvalore in denaro comprensivo anche delle cedole e degli interessi maturati.
Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.
Invero, trattandosi di doglianza funzionale all’accoglimento della domanda di di restituzione del pegno, esso non riesce a sovvertire la decisione adottata dal giudice di primo grado, non essendo stato attinto il capo della decisione secondo cui, stante il disposto dell’art. 2794 c.c., ostava a detta restituzione la sussistenza di un ingente debito verso la
Sebbene detto rilievo abbia carattere assorbente, non va sottaciuto che nella comparsa conclusionale (v. pag. 3) la difesa dell’appellante ha dedotto che ‘ tra i motivi di gravame non v’è anche il punto di domanda relativo alla restituzione del pegno da parte di che non deve per
l’effetto intendersi riproposto ‘ .
Con il secondo motivo, gli appellanti hanno censurato la sentenza nella parte in cui ha accolto la domanda riconvenzionale della ritenendola incontestata.
Hanno argomentato che nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. essi avevano controdedotto che ‘ il conto è inficiato da gravissimi errori nei conteggi dei saldi ‘ , contestando sia la voce di ‘ commissione per la messa a disposizione fondi ‘, siccome illegittima e non pattuita, che il tasso di interesse debitore, abusivamente maggiorato di 7 punti percentuali; infine, avevano evidenziato che la certificazione ex art. 50 T.U.B. prodotta dalla a sostegno di tale domanda, in presenza di puntuale contestazione, non era sufficiente ai fini della prova del credito.
Conseguentemente, il primo giudice aveva errato nel ritenere fondata la domanda della la quale doveva essere rigettata per mancato assolvimento del relativo onere probatorio.
Il motivo è inammissibile.
Invero, esso non si confronta con la sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto che l’importo preteso dalla risultava dagli estratti conto di cui ai rapporti di c/c n. 01/11/01000669, n. 01/11/01000670 e n. 01/11/01000671, allegati alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. depositata dall ‘attrice in riconvenzionale , oltre che dal contratto di mutuo chirografario del 3.9.2007 e da quello di apertura di credito del 15.6.2010; pertanto, il fatto che nel presente grado di giudizio parte appellante invochi l’ insufficienza del saldaconto ex art. 50 TUB ai fini della prova del credito bancario evidenzia che la censura è scollegata dalla produzione degli estratti conto compiuta dalla nelle memorie istruttorie e di cui il primo giudice ha dato atto nella sentenza impugnata. Inoltre, le generiche contestazioni espresse nella prima memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. sono inidonee a sovvertire la decisione a cui è pervenuto il primo giudice, atteso che la convenuta in riconvenzionale, in considerazione della pluralità di rapporti intrattenuti con l’istituto di credito e degli affidamenti intercorsi, aveva l’onere di procedere a censure specifiche avuto riguardo alle relative previsioni contrattuali.
§ 5. Le spese di lite.
Il governo delle spese del presente giudizio segue il principio della soccombenza di cui all’art. 91 comma 1 c.p.c. e la relativa liquidazione va operata come in dispositivo, applicando i parametri medi previsti dal D.M. 147/2022 per le cause di valore compreso tra euro 520.000,01 ed euro 1.000.000,00, tranne che per la fase istruttoria, per la quale si reputano congrui i parametri minimi atteso che l’udienza ex art. 350 c.p.c. si è risolta in un mero rinvio per la precisazione delle conclusioni.
Va dato atto in dispositivo della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13 , comma 1quater , D.P.R. 115/2002, come modificato dall’art. 1 comma 17 L. 228/2012, per il pagamento, da parte dell’appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la proposizione del gravame.
La Corte d’Appello di Napoli III Sezione civile -nella composizione collegiale in epigrafe, definitivamente pronunziando, così decide:
dichiara la contumacia di
dichiara inammissibile l’appello;
condanna , e in solido tra loro, al pagamento, in favore di controparte, delle spese di lite, liquidate in euro 22.333,00 per compensi,
oltre rimborso spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge;
d) dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di ,
e dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la proposizione dell’appello.
Napoli, 3.12.2025
Il Consigliere rel. ed est. Il Presidente
Dott.ssa NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME