Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12803 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12803 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25852/2020 R.G. proposto da :
COGNOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 971/2019 depositata il 04/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1. con sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 1648 del 1996, passata in giudicato, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME, venivano condannati a rilasciare al Comune di Amalfi il complesso immobiliare a destinazione alberghiera sotto l’insegna di ‘RAGIONE_SOCIALE‘, sito in Amalfi alla INDIRIZZO che gli stessi avevano continuato ad occupare nonostante il contratto di locazione stipulato dal loro dante causa con il Comune nel 1928, fosse scaduto nel 1984. Il compendio era stato in origine un convento. Lo sfratto fu eseguito il 19 dicembre 2002. Essendo stati gli occupanti autorizzati in sede di sfratto a prelevare in tempi successivi i mobili di loro proprietà presenti nell’edificio, il Comune, paventando che gli occupanti avrebbero potuto sottrarre anche i mobili concessi in locazione a NOME COGNOME in uno con l’immobile, chiese e -l’8 gennaio 2003 -ottenne un decreto di sequestro giudiziario relativo ai mobili di sua proprietà. Il provvedimento fu confermato con ordinanza del 7 gennaio 2004. Il 26 gennaio 2004 il Comune iniziò la causa di merito per ottenere, quale ‘proprietario -locatore’ la consegna dei beni in questione. A seguito del decesso di NOME COGNOME si costituirono NOME COGNOME in qualità di erede della madre defunta, e la società RAGIONE_SOCIALE in qualità proprietaria dei
beni oggetto di lite. Il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 4305/2014, accolse la domanda del Comune. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Salerno ha rigettato l’appello interposto da NOME COGNOME e dalla RAGIONE_SOCIALE, confermando la sentenza a loro sfavorevole di condanna alla restituzione dei beni oggetto di sequestro in favore dell’ente;
avverso la già menzionata sentenza di appello NOME COGNOME in proprio e nella qualità di erede legittimo della madre NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE propongono ricorso per cassazione con nove motivi.
il Comune di Amalfi resiste con controricorso.
sono rimasti intimati Tardugno NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME (nato nel 1977), NOME COGNOME eredi di NOME COGNOME (deceduto nel corso del giudizio di appello) e NOME COGNOME erede testamentaria di NOME COGNOME
la parte ricorrente ha depositato memoria;
considerato che:
con il primo motivo viene dedotta, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, 4 e 5 c.p.c., la violazione degli artt. 83 e 112 cod. proc. civ., per avere entrambi i giudici di merito omesso di esaminare l’eccezione relativa all’assenza di nuova e distinta procura alle liti conferita al difensore del Comune di Amalfi per il giudizio ordinario istaurato all’esito di quello cautelare. I ricorrenti ricordano che il Comune aveva rilasciato al difensore per il ricorso per sequestro, una procura del seguente tenore: ‘per questo processo, ns. procuratori, difensori e domiciliatari, come in atti gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il motivo è inammissibile.
I ricorrenti non deducono di aver proposto l’eccezione in primo grado né di averla proposta in appello.
In ogni caso la pronuncia sul merito costituisce implicito rigetto di quella preliminare di rito.
È poi da ricordare, quanto alla legittimità dell’implicita pronuncia, che ‘La procura rilasciata per la fase cautelare è valida per le successive fasi di merito, atteso il collegamento funzionale esistente tra le due fasi, ponendosi quella cautelare come strumentale, sussidiaria e propedeutica a quella di merito, ed atteso che, anche in omaggio al principio di conservazione dell’atto, la presunzione di cui all’art. 83 cod. proc. civ. opera solo allorquando la procura venga rilasciata in modo assolutamente generico o si limiti a conferire la rappresentanza senza altra indicazione e non quando, come nella specie, essa sia conferita con riferimento al ‘ presente giudizio ‘ , alla ‘ causa ‘ o alla ‘ controversia ‘ ‘ (Cass. Sez. L, Sentenza n.37 del 07/01/2009; Cass. 32774/2022); 2. con il secondo motivo viene dedotta, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c. la violazione dell’art 37 l. n. 392/1978 per carenza di legittimazione passiva delle persone fisiche convenute in primo grado. I ricorrenti evidenziano che gli eredi di NOME COGNOME originario conduttore nel contratto di locazione stipulato con il Comune di Amalfi il 29.4.1928, erano subentrati nel predetto negozio alla sua morte, intercorsa il 16.09.1981, ed esercitavano attività di impresa con la società di fatto RAGIONE_SOCIALE, poi regolarizzata in RAGIONE_SOCIALE e trasformata in RAGIONE_SOCIALE Sostengono che la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che il contratto di locazione era stato automaticamente conferito nella predetta società, all’esito della sua trasformazione ai sensi dell’art 37 della l.392/ 1978 e degli artt. 536, 542, 565 e 2253 cod. civ., con conseguente titolarità del rapporto locatizio e delle relative questioni sui beni mobili in contestazione in capo alla stessa.
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha ritenuto l’eccezione di difetto di legittimazione sostanziale degli allora appellanti infondata poiché il Comune aveva agito contro gli eredi di NOME COGNOME in quanto ‘destinatari dell’ordine di restituzione’ in forza d ella sentenza
definitiva della stessa Corte di Appello n. 1648/1996. Il riferimento all’art.37 della l.392/1978 che, per quanto rileverebbe nell’ottica della prospettazione dei ricorrenti, prevede che ‘In caso di morte del conduttore, gli succedono nel contratto coloro che, per successione o per precedente rapporto risultante da atto di data certa anteriore alla apertura della successione, hanno diritto a continuarne l’attività’, è evidentemente fuori luogo;
3. con il terzo motivo viene lamentata, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 , 4 e 5 c.p.c. la violazione dell’art 112 cod. proc. civ., per avere la Corte di Appello mancato di esaminare l’eccezione sollevata fin dal primo grado, secondo cui il Comune non aveva provato di essere proprietario dei mobili in questione come sarebbe stato suo onere, essendo la domanda restitutoria da qualificarsi come domanda di natura reale.
4. con il quarto motivo viene dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5 cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, individuato nel difetto di legittimazione attiva del Comune di Amalfi. I ricorrenti evidenziano che la Corte di Appello avrebbe dovuto rigettare la domanda del Comune pur qualificata -erroneamente- come obbligatoria posto che lo stesso non avrebbe fornito la prova dell’avvenuta consegna dei beni mobili in base al contratto di locazione del 29.4.1928;
5.con il quinto motivo viene dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5 cod. proc. civ. , l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, individuato nel difetto di prova della consegna dei beni mobili e della loro esatta identificazione al fine dell’azione di restituzione, atteso che l’inventario del 1905 non menzionava tutti i beni in contestazione ed era stato ‘stipulato’ da soggetti diversi dalle ‘parti del contratto di locazione’;
6. con il sesto motivo viene denunciata, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, per avere la Corte territoriale esteso la domanda attorea a beni mobili ‘esistenti nella chiesa, nella sacrestia e nel coro’, diversi ed ulteriori rispetto a quelli concessi in locazione, nonché ‘agli elementi del presepe’, prescindendo dalla loro collocazione ed individuazione;
7. con il settimo motivo viene dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, relativo alla ‘valutazione della prova documentale posta a fondamento della domanda di restituzione’, atteso che, con il contratto di locazione, era stata convenuta solo la successiva consegna dei beni mobili, mai effettuata, e che l’inventario era stato redatto con soggetti diversi rispetto al conduttore originario; 8. con l’ottavo motivo di ricorso viene denunciato, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, individuato nella ‘erroneità della consulenza tecnica’. I ricorrenti deducono che il consulente avrebbe effettuato valutazioni fattuali relative alla coincidenza tra beni oggetto di un diverso rapporto obbligatorio, scaturente dal contratto di locazione intercorso tra altri contraenti, con quelli dell’ATP depositata il 6.7.1998 e del sequestro del 2003, mediante l’esame di prove documentali dal contenuto del tutto generico; il consulente avrebbe concluso in modo inappropriato per l’origine ecclesiastica di taluni beni sulla base di considerazioni personali ed avrebbe, altresì, erroneamente presunto la proprietà del presepe in capo all’ente comunale sul presupposto che lo stesso fosse ubicato all’interno dell’immobile , perché in precedenza adibito a convento;
i motivi dal terzo all’ottavo possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi.
Essi sono inammissibili perché, dietro le rispettive rubriche, veicolano il tentativo di rimettere in discussione, per un verso, il motivato accertamento in fatto della Corte di Appello, secondo il quale i beni chiesti in restituzione dal Comune erano quelli menzionati in un inventario del Comune risalente al 1905 e che erano stati rinvenuti dal CTU nominato dal Tribunale all’interno dell’immobile e che erano raffigurati anche in alcune fotografie del 1977 e in una relazione di accertamento tecnico preventivo del 1988 e che, erano ‘di origine religiosa, incompatibili con la destinazione alberghiera’ impressa al complesso immobiliare da NOME COGNOME. I motivi veicolano, per altro verso, il tentativo di rimettere in discussione il ragionamento presuntivo della Corte di Appello per cui la presenza dei beni mobili in un inventario del comune risalente ad epoca ben anteriore alla data (29 aprile 1928) di stipula del contratto di locazione, la coincidenza tra mobili inventariati e i mobili rinvenuti dai consulenti nell’immobile, la tipologia dei mobili (mobili di ‘origine religiosa’) , che ne denotava l’appartenenza all’ex convento quale l’immobile era stato prima che venisse locato, erano elementi sufficienti per ritenere che si trattasse di beni concessi in locazione in uno con l’immobile.
Il tentativo di rimettere in discussione l’accertamento in fatto non può essere ammesso , implicando ciò l’improprio mutamento di ruolo della Corte da giudice di legittimità a giudice di merito (si richiama sul punto, per tutte, la sentenza della Sezioni Unite n.34476 del 27/12/2019: ‘È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’).
Il ragionamento presuntivo non è attaccato con specifico riferimento all’art. 2729 cod. civ., e, in ogni caso, essendo
congruamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità (Cass. n. 2724/2023, Cass. n. 101/2015, Cass. n. 8023/2009).
La questione sulla quale insistono i ricorrenti, per cui sarebbe mancata la rigorosa prova della proprietà comunale sui beni de quibus è mal posta. Non si trattava, come ha ben sottolineato la Corte d’a ppello, di una azione di rivendica (art. 948 c.c.) -per la quale vale il principio per il quale il rivendicante deve provare il proprio diritto, risalendo anche attraverso i propri danti causa fino ad un acquisto a titolo originario o dimostrando che egli stesso o qualcuno dei suoi danti causa abbia posseduto il bene per il tempo necessario ad usucapirlo -ma di una azione del ‘proprietario -locatore’ dei beni mobili , nella quale era solo in discussione -e quindi doveva essere provato dall’ex locatore – che i beni pretesi -in concreto i beni sequestrati- fossero quelli già concessi in locazione; 10. con il nono motivo viene dedotta l’illegittimità del capo della sentenza impugnata relativo alle spese processuali, per la condanna al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato sebbene in difetto del presupposto prescritto dall’ art 13.1 -quater del DPR 30.5.2002 n.115.
Il motivo è manifestamente infondato.
La condanna è stata emessa in piena applicazione della norma che impone la condanna stessa ‘quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile’;
in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza;
PMQ
la Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere al Comune di Amalfi le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 3 .800,00, per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle
spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 19 marzo 2025.