Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14825 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14825 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 03/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11339 – 2021 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
PREFETTURA DI RIMINI -UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO MINISTERO DELL’INTERNO ;
– intimato – avverso la sentenza n. 648/2020 del TRIBUNALE DI RIMINI, pubblicata il 15/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4/7/2024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n 5 dal 2017 il Giudice di pace di Rimini rigettò l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza ingiunzione n. 3263 del 2013, emessa dalla Prefettura di Rimini per il pagamento della somma di Euro 17.270,00 ex art. 17 bis terzo comma del regio decreto n. 773 del 1931 (T.U.L.P.S).
In particolare, alla ricorrente era stato contestato di aver violato l’articolo 128 del T.U.L.P.S., dall’8 agosto 2012 al 19 febbraio 2014, quando era stata amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE che compravendeva, tra l’altro, oggetti preziosi usati: secondo gli agenti accertatori, ella aveva omesso di ottemperare agli obblighi di registrazione di più compravendite di beni antichi e usati nel registro apposito previsto al primo comma del suddetto articolo, non annotando le generalità di coloro con i quali stipulava le singole operazioni; il registro avrebbe dovuto essere tenuto a disposizione degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza; in alcune operazioni era, invece, stata indicata come controparte contrattuale una persona giuridica e non una persona fisica e in altre molteplici operazioni l’acquirente era stato indicato esclusivamente con cognome e nome.
Per queste omissioni era stata irrogata la sanzione di euro 17.270, pari a Euro 308,00 per cinquantasei violazioni.
Con sentenza n.648/2020, il Tribunale di Rimini, in parziale accoglimento dell’appello di NOME COGNOME rideterminò la sanzione nella minor somma di Euro 7.392,00, perché ritenne non imputabili all’opponente le annotazioni relative al periodo successivo al 9/4/2013, quando risultava prova che fosse stata preposta alle annotazioni una diversa persona.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. La Prefettura non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve rilevarsi che la notifica all’Ufficio del Ministero dell’interno, la Prefettura di Rimini, è stata effettuata non presso la sede dell’Avvocatura generale dello Stato, ma presso la sede distrettuale di Bologna.
Ciononostante, questa Corte ritiene di non dover disporre la rinnovazione della notificazione del ricorso: per le ragioni di seguito esposte, infatti, il ricorso è infondato e nel rispetto del principio della ragionevole durata del processo, devono essere evitati ed impediti comportamenti che ostacolino una sollecita definizione del giudizio e che non risultino indispensabili a garantire l’effettività della struttura dialettica del processo nelle sue essenziali attuazioni del contraddittorio e della difesa; in particolare, la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, si tradurrebbe nella fattispecie, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione non giustificato da un effettivo pregiudizio dei diritti processuali dei soggetti controinteressati nella cui sfera giuridica il rigetto del ricorso è destinato a produrre i suoi effetti (cfr., in ultimo, Cass. Sez. 6-3, n. 8980 del 15/05/2020, con numerosi richiami).
Con l’unico motivo di ricorso, articolato in riferimento al numero 3 del comma primo dell’art 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli art. 3 e 6 della legge n.689/8 1, dell’art. 8 del regio decreto n. 773 del 1931 e dell’art. 2697 cod. civ., nonché la violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 cod. proc. civ.: il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto la sua qualità di autore materiale dell’illecito, nonostante la
prova che, anche nel periodo antecedente al 9 aprile 2013, vi fosse altro rappresentante preposto ex art. 8 T.U.L.P.S.
1.1. Il motivo è infondato. L’art. 128 T.U.L.P.S. prevede che i commercianti di oggetti preziosi non possano compiere operazioni su cose antiche o usate se non con le persone provviste della carta di identità o di altro documento munito di fotografia, proveniente dall’amministrazione dello Stato e debbano tenere un registro delle operazioni che compiono giornalmente, in cui sono annotate le generalità di coloro con i quali le suddette operazioni sono compiute; le persone che compiono queste operazioni con gli esercenti sopraindicati sono, infatti, tenute a dimostrare la propria identità e il registro deve essere esibito agli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza, ad ogni loro richiesta.
L’inosservanza dell’obbligo da parte del commerciante dell’annotazione nel registro previsto per le operazioni su oggetti preziosi usati, come imposto dall’art. 128, r.d. 18 giugno 1931, n.773, modificato dall’art. 10, l. 28 novembre 2005, n. 246, costituisce una violazione amministrativa, prevista dall’art. 17 bis dello stesso testo unico allo scopo di dare all’autorità di pubblica sicurezza la possibilità di controllare la circolazione delle cose usate e di valore.
La responsabilità dell’annotazione è garantita dalla personalità dell’autorizzazione di polizia all’esercizio del commercio di cose antiche o usate , come prescritta dall’8 dello stesso testo unico, secondo cui l e autorizzazioni di polizia non possono in alcun modo essere trasmesse né dar luogo a rapporti di rappresentanza, salvi i casi espressamente preveduti dalla legge nei quali, comunque, il rappresentante deve possedere i requisiti necessari e ottenere la approvazione dell’autorità di pubblica sicurezza che ha concesso l’autorizzazione. La licenza per il commercio di preziosi attiene ad un settore di estrema delicatezza
ordinamentale, che giustifica la massima severità dell’Amministrazione.
Ciò posto, nel periodo in cui sono state commesse le violazioni contestate, era NOME COGNOME ad essere titolare della autorizzazione all’esercizio del commercio di oggetti preziosi usati, in qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE
Come già rilevato (Cass. civ. Sez. 3 n. 27558 del 21/11/2017), le Sezioni penali di questa Corte hanno ripetutamente affermato che, quando per lo svolgimento di una qualsivoglia attività sia richiesta una autorizzazione di pubblica sicurezza, la persona autorizzata, anche quando si avvalga di incaricati o dipendenti, non è esonerata dall’obbligo di «sorvegliare su quanto avviene nell’ufficio», e se a ciò non provvede «risponde delle inosservanze alle prescrizioni commesse materialmente dai dipendenti» (Cass. pen. Sez. 1, n. 1460 del 21/06/1974 – dep. 13/02/1975); da ciò si è tratta la conclusione che il titolare dell’autorizzazione di pubblica sicurezza è obbligato ad osservare tutte le prescrizioni imposte dall’autorità di polizia o dalle leggi ed a farle osservare dai suoi dipendenti e, quindi, anche da colui al quale egli abbia affidato di fatto l’esercizio dell’azienda (Sez. 6, n. 8336 del 03/07/1972 – dep. 14/12/1972).
L’autorizzazione amministrativa ad avvalersi di un rappresentante tende, infatti, unicamente a disciplinare, nell’interesse pubblico, la esplicazione dell’attività commerciale, ma titolare resta comunque il rappresentato e gli obblighi del registro di cui all’art. 128 T.U.L.P.S. implicano comunque la responsabilità personale del titolare dell’autorizzazione (Sez. 3 n. 27558/2017 cit.).
La valutazione della insussistenza di una prova dell’incombenza dell ‘obbligo di tenuta del registro , anche prima del 9/4/2013, ad altro soggetto è stata compiuta dal Tribunale, quale Giudice del merito e non
è più sindacabile da questa Corte per i limiti imposti dalla formulazione della censura di legittimità.
Identificata la condotta materiale e la qualità rivestita dall’agente, l’imputabilità soggettiva consegue in applicazione degli art. 3 e 6 della l. 689/81.
Il ricorso è perciò respinto; non vi è luogo a statuizione sulle spese perché il Ministero non ha svolto difese.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda