Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 12971 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 12971 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/05/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4433/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (domicilio digitale:
);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (domicilio digitale: ) e NOME COGNOME
(domicilio
digitale:
);
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 2511/2021, depositata il 05/08/2021.
Udita la relazione svolta nell ‘ udienza pubblica del 22/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore RAGIONE_SOCIALE NOME AVV_NOTAIO, che, riportandosi alle conclusioni scritte, ha chiesto, in via principale, la rimessione del ricorso alla Prima Presidente, ai sensi dell ‘ art. 374, secondo comma, c.p.c., per l ‘ eventuale assegnazione alle Sezioni Unite e, in subordine, il suo rigetto;
udito l ‘ AVV_NOTAIO COGNOME per delega.
FATTI DI CAUSA
1. -La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio la RAGIONE_SOCIALE – poi divenuta RAGIONE_SOCIALE (di seguito anche soltanto RAGIONE_SOCIALE) – per sentirla condannare al risarcimento dei danni pari all ‘ importo di euro 61.450,54, oltre accessori, quale somma corrispondente al valore di un carico di merce andato perduto in esecuzione di un contratto di trasporto intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE, committente e assicurata presso essa RAGIONE_SOCIALE (che aveva provveduto a versare l ‘ indennizzo assicurativo per il suddetto importo e quindi a surrogarsi all ‘ assicurato ai sensi dell ‘ art. 1916 c.c.) e la medesima RAGIONE_SOCIALE, vettore responsabile del sinistro in quanto inadempiente agli obblighi di legge e contrattuali, avendo commissionato il trasporto stesso al sub-vettore RAGIONE_SOCIALE, che, a sua volta, aveva incaricato altro sub-vettore (la RAGIONE_SOCIALE), il quale, ritirata la merce in data 1°
giugno 2012 dai magazzini della XPO, ‘si dileguava con il carico che andava irrimediabilmente perduto’, venendo, quindi, fatto oggetto di denunciaquerela ‘per appropriazione indebita della merce’ dal legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE.
La convenuta RAGIONE_SOCIALE si costituì in giudizio per il rigetto delle domande attoree e, comunque, chiese, ed ottenne, di chiamare in causa la RAGIONE_SOCIALE, affinché, in quanto unica responsabile del sinistro -quale sub-vettore che si era reso inadempiente al contratto stipulato con essa RAGIONE_SOCIALE il 20 aprile 2012 (e segnatamente agli obblighi stabiliti dal relativo art. 4) -, la manlevasse in caso di condanna nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, costituendosi in giudizio, chiese il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.
1.1. – L ‘ adito Tribunale di Milano, istruita la causa anche con l ‘ escussione di alcuni testimoni, con sentenza dell ‘ agosto 2019, condannò la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, della somma di euro 61.450,64, oltre accessori e spese di lite, e, quindi, condannò la RAGIONE_SOCIALE a rifondere alla RAGIONE_SOCIALE quanto dovuto a RAGIONE_SOCIALE in ragione della anzidetta condanna.
-L ‘ appello interposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso detta pronuncia veniva, nel contraddittorio con la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, rigettato dalla Corte di appello di Milano.
2.1. – La Corte territoriale, a fondamento della decisione (e per quanto ancora rileva in questa sede), osservava che: a ) la responsabilità risarcitoria di RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, quale surrogante RAGIONE_SOCIALE per i danni conseguenti all ‘ esecuzione del contratto di trasporto tra quest ‘ ultima e la stessa RAGIONE_SOCIALE, era capo della sentenza di primo grado passato in giudicato; b ) nei rapporti tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE doveva ritenersi ‘esclusivo responsabile quest’ultimo vettore’, per essersi reso ‘gravemente inadempiente nei confronti della RAGIONE_SOCIALE … agli obblighi previsti dal contratto stipulato dalle stesse nell’ aprile
2012 (doc. 5 fascicolo di primo grado di XPO)’; c ) in particolare, l ‘ art. 4 di detto contratto consentiva a RAGIONE_SOCIALE di affidare il trasporto a terzi subvettori a condizione che: ‘1) il sub -vettore incaricato fosse abilitato alla prestazione dei servizi oggetto del contratto; 2) il sub-vettore fosse iscritto all ‘ RAGIONE_SOCIALE degli Autotrasportatori; 3) riportasse le generalità del sub-vettore (denominazione sociale, ragione sociale, ditta, sede dell ‘ azienda, iscrizione all ‘ RAGIONE_SOCIALE dei Trasportatori) sulla Scheda di Trasporto; 4) verificasse la regolarità della posizione del sub-vettore con riferimento agli obblighi previdenziali’; c.1 ) inoltre, lo stesso art. 4 prevedeva che il vettore si dovesse impegnare ‘in ogni caso a stipulare con il sub-vettori contratti scritti che contengano almeno gli elementi essenziali individuati dal D.Lgs. 286/05’; d ) il subvettore RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era stato inadempiente ‘non avendo provveduto ad effettuare i debiti controlli sul sub-vettore RAGIONE_SOCIALE, né gli ulteriori adempimenti previsti dall ‘ art. 4 del contratto di trasporto del 2012’, non potendo ritenersi che fosse diligente adempimento contrattuale ‘la semplice comunicazione via fax dei numeri di targa della motrice e del rimorchio, del nominativo dell ‘autista e della visura camerale della società’, risultando, altresì, non provato che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ‘avesse stipulato con il sub -vettore RAGIONE_SOCIALE un contratto scritto’; e ) non sussisteva in favore della RAGIONE_SOCIALE l ‘ esimente del caso fortuito e/o della forma maggiore, poiché detto sub-vettore avrebbe potuto, con l ‘ ordinaria diligenza, rendersi conto ‘dell’ inaffidabilità del sub-vettore NOMENOME a lui sconosciuto, cui ha affidato senza alcuna cautela il trasporto’, risultando provato che ‘la targa dell’ automezzo, comunicata dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla TARGA_VEICOLO e sul quale la merce è stata caricata, apparteneva ad un ‘autovettura rubata’; f ) ‘(i)n ogni caso’, in forza dello stesso art. 4 del contratto inter partes (secondo il quale: ‘ Il Vettore rimane responsabile nei confronti del Committente del corretto adempimento da parte del Sub-Vettore
delle prestazioni allo stesso affidate e in generale degli obblighi sullo stesso gravanti … il Vettore si impegna altresì a manlevare e tenere indenne il Committente da qualunque danno e/o richiesta risarcitoria che a qualunque titolo possa derivare dall ‘ operato del Sub-Vettore ‘), ‘anche qualora vi fosse stato un’ eventuale inadempimento della XPO nei controlli al momento del ritiro della merce da parte del subvettore NOME‘ come dedotto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE -‘detta circostanza non rileva ai fini della responsabilità, essendo, in ogni caso, la RAGIONE_SOCIALE tenuta contrattualmente a manlevare e a garantire la XPO da qualunque danno derivante dall ‘ operato del sub-vettore da lei scelto incautamente’; g ) era irrilevante, infine, la testimonianza resa dalla dipendente di RAGIONE_SOCIALE ‘il servizio al momento del ritiro della merce da parte del subvettore RAGIONE_SOCIALE‘, poiché ‘da una parte (in quanto molto generica e vaga) non prova che la XPO non abbia operato i dovuti controlli nel momento del ritiro della merce dai propri magazzini e dall ‘ altra parte la RAGIONE_SOCIALE risponde, comunque, ai sensi dell ‘ art. 4 del contratto (come sopra spiegato) per l ‘ operato del subvettore da lei scelto’; h ) pertanto, il subvettore RAGIONE_SOCIALE doveva ritenersi ‘contrattualmente responsabile nei confronti’ di RAGIONE_SOCIALE ‘per la perdita del carico (essendosi reso gravemente inadempiente ed essendo stata detta negligenza a cagionare la perdita della merce) di cui è tenuto a rispondere in manleva’.
-Per la cassazione di tale sentenza ricorre la RAGIONE_SOCIALE affidando le sorti dell ‘ impugnazione a tre motivi.
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimata RAGIONE_SOCIALE
– Proposta dal consigliere delegato della Terza Sezione civile la definizione accelerata del ricorso, ai sensi dell ‘ art. 380bis
c.p.c., in ragione della improcedibilità dell ‘ impugnazione per cassazione (‘non avendo il ricorrente prodotto nel termine di legge idonea copia conforme della sentenza impugnata’, avendo invece prodotto ‘copia di un provvedimento del tutto privo di dati identificativi’), la causa, su tempestiva istanza del ricorrente, è stata, quindi, fissata per la decisione in udienza pubblica.
Ha depositato memoria il pubblico ministero, concludendo, in via principale, per la rimessione della causa alla Prima Presidente per l ‘ assegnazione alle Sezioni Unite sulla questione -oggetto di orientamenti divergenti -relativa alla improcedibilità e/o inammissibilità del ricorso per deposito di ‘copia’ di sentenza priva di ‘dati identificativi’, e, in subordine, per il rigetto del ricorso.
Anche la ricorrente e la controricorrente hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -E’ preliminare l’esame della questione sollevata dalla proposta di definizione accelerata del ricorso, sulla quale, con le rispettive memorie, si sono soffermati, in particolar modo, la parte ricorrente e il pubblico ministero e che (come da quest’ultimo ben posto in rilievo) è già stata oggetto di varie e differenti pronunce (ma soltanto) di sezioni semplici; sicché, proprio in ragione della sua particolare rilevanza, la decisione che su di essa assume il Collegio è giunta all’esito della discussione in udienza pubblica appositamente fissata ai sensi dell’art. 375, primo comma, c.p.c.
La questione, per come ha già trovato modo di declinarsi nella giurisprudenza di questa Corte, è riassumibile nei seguenti termini: se il deposito di sentenza digitale priva della stampigliatura (quest’ultima indicata, in taluni precedenti, atecnicamente come ‘glifo’), apposta in via automatica dal sistema informatico di gestione dei servizi di cancelleria, indicante la data di deposito ed il numero del provvedimento, valga o meno a soddisfare l’onere di deposito del provvedimento impugnato
previsto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., ovvero, in assenza dei predetti dati, debba addivenirsi, altrimenti, ad una pronuncia di inammissibilità del ricorso per tardività, ove non si ritenga superata la c.d. prova di resistenza.
1.2. -Occorre, anzitutto, dare evidenza, in estrema sintesi, alle soluzioni (con gli argomenti che le sorreggono) sinora adottate dalla giurisprudenza di questa Corte, alla luce di una ricognizione di cui si fa carico, in modo ampio, la memoria del pubblico ministero e alla quale, dunque, giova richiamarsi.
1.2.1. -L’improcedibilità del ricorso per cassazione è stata dichiarata (tra le altre: Cass. n. 29803/2020, Cass. n. 5771/2023, Cass. n. 8535/2023, Cass. n. 10180/2023, Cass. n. 23694/2023, Cass. n. 25472/2023, Cass. n. 28035/2023, Cass. n. 36379/2023) nel caso in cui la sentenza impugnata, redatta in formato digitale, risulti priva dell’attestazione di cancelleria circa l’avvenuta pubblicazione, la relativa data e il conseguente numero di pubblicazione, sia perché i suddetti adempimenti sono gli unici che permettono alla Corte di controllare se e quando il provvedimento impugnato sia effettivamente venuto ad esistenza, sia perché la produzione di una copia della sentenza incerta nella data e priva del numero identificativo non consente di verificare la tempestività dell’impugnazione, né, in caso di accoglimento del ricorso, di formulare un corretto dispositivo che, coordinato con la motivazione, individui con esattezza il provvedimento cassato.
In particolare, gli argomenti a sostegno dell’improcedibilità (Cass. n. 5771/2023) muovono dal rilievo che «la disposizione dell’art. 16 -bis , comma 9bis , del d.l. n. 179/2012 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 221/2012) introdotta dall’art. 52, comma 1, lett. a ), del d.l. n. 90/2014 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 114/2014) -che stabilisce la equivalenza all’originale delle copie informatiche, anche per immagine, dei provvedimenti del Giudice ‘anche se prive della
firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all’originale’» attribuisce «al difensore il potere di certificazione pubblica delle ‘copie analogiche ed anche informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico’ ma non anche la competenza amministrativa riservata al funzionario di Cancelleria relativa alla ‘pubblicazione’ della sentenza».
Si è, quindi, ritenuto che, ‘per quanto in linea generale sia possibile produrre in giudizio copie o duplicati del provvedimento impugnato estratti dal fascicolo telematico, attestando la conformità del relativo contenuto all’originale contenuto nel predetto fascicolo, ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 369 c.p.c. deve comunque trattarsi di copie o duplicati recanti l’attestazione di Cancelleria della pubblicazione del provvedimento, con la relativa data e il numero attribuito dal sistema’, altrimenti resterebbe preclusa alla Corte la verifica circa l’effettiva venuta ad esistenza del provvedimento impugnato e del suo numero identificativo.
1.2.2. -L’inammissibilità del ricorso è stata dichiarata (tra le altre: Cass. n. 18510/2023, Cass. n. 29263/2023, Cass. n. 36189/2023, Cass. n. 817/2024, Cass. n. 841/2024) nel caso in cui il ricorrente depositi un duplicato della sentenza telematica dal quale non si evince la data di pubblicazione e la notificazione del ricorso è avvenuta in una data che non risulta tempestiva – se calcolata in relazione al giorno della decisione indicato nel testo del provvedimento rispetto al termine dell’art. 327, comma primo, c.p.c.
Va, peraltro, posto in evidenza che, nel superare la soluzione dell’improcedibilità del ricorso, questa Corte, in base a questo orientamento, ha affermato (in un caso in cui ha avuto esito positivo la c.d. ‘prova di resistenza’ sulla tempestività dell’impugnazione: Cass. n. 865/2024) che la «copia analogica prodotta, pur con le dette omissioni, non si può considerare come
copia non autentica, in quanto risulta ─ e vi è in tal senso anche espressa asseverazione del Procuratore dello Stato resa ai sensi dell’art. 16 -bis , comma 9bis , 16decies e 16undecies d.l. n. 179 del 2012 ─ ‘tratta con modalità telematiche’ e ‘conforme’ allo ‘esemplare presente nel fascicolo informatico’ come ‘reso disponibile dai servizi informatici e telematici del competente plesso giurisdizionale’, e, dunque, deve considerarsi conforme al documento informatico effettivamente presente nel fascicolo del giudizio di merito e, pertanto, autentica».
1.2.3. -Giova, altresì, dare conto che, sebbene in un caso di rigetto del ricorso in presenza di ragione più liquida di infondatezza dello stesso (e superando in tal modo la depositata proposta di definizione accelerata nel senso della improcedibilità del ricorso), Cass. n. 5204/2024 premesse le nozioni di ‘copia informatica di documento informatico’ e di ‘duplicato informatico’, secondo le definizioni contenute nell’art. 1, comma 1, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e richiamate le disposizioni speciali per il processo civile in tema di attestazione di conformità – ha prospettato i seguenti interrogativi: a ) «può il deposito di una tale copia ritenersi soddisfare l’onere, previsto all’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c. … di depositare ‘copia autentica della sentenza’?»; b ) ‘se sì, può la mancanza, nella copia informatica estratta dal fascicolo informatico e attestata conforme, delle indicazioni relative al numero e alla data di pubblicazione dal fascicolo informatico considerarsi causa di inammissibilità del ricorso per mancata prova della sua tempestività (salva la c.d. prova di resistenza …)?’; c ) ‘accedendo a tale ultimo orientamento, può infine ritenersi utilmente e tempestivamente prodotta, a riprova dell’ammissibilità del ricorso, altra copia informatica, questa volta recante il c.d. glifo, successivamente al deposito ed alla comunicazione della proposta di definizione? Se sì, può essa ritenersi utilmente prodotta, come
nella specie, al di là del termine di quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza, fissato dall’art. 372, secondo comma, c.p.c.?’.
1.3. -Il Collegio ritiene che gli interrogativi posti da Cass. n. 5204/2024 trovino complessiva risposta nelle considerazioni che seguono.
1.3.1. Le nozioni di ‘copia informatica’ e di ‘duplicato informatico’.
In base alle definizioni contenute nell’art. 1 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale: C.A.D.), applicabili anche al processo civile, in quanto compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico (art. 2, comma 6): a ) la copia informatica di documento informatico: è il documento informatico avente contenuto identico a quello del documento da cui è tratto su supporto informatico con diversa sequenza di valori binari (lett. iquater ); b ) il duplicato informatico: è il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario (lett. iquinquies ).
Ai sensi dell’art. 23 -bis del C.A.D.: «1. I duplicati informatici hanno il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui sono tratti, se prodotti in conformità alle Linee guida . 2. Le copie e gli estratti informatici del documento informatico, se prodotti in conformità alle vigenti Linee guida, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale, in tutti le sue componenti, è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta. ».
Nozioni, queste, che sono riprese dalla citata Cass. n. 5204/2024 e che erano tenute ben presenti già da Cass. n.
27379/2022 (la quale ha confermato la decisione di merito che aveva dichiarato inammissibile per tardività l’impugnazione svolta nei confronti della sentenza di primo grado, sul presupposto che la notifica telematica della stessa, mediante duplicato informatico, era idonea a far decorrere il ‘termine breve’, pur non presentando segni grafici relativi all’apposizione della sottoscrizione del giudice), da cui è stato tratto il principio di diritto così massimato: ‘in tema di notificazione della sentenza con modalità telematica, occorre distinguere la copia informatica di un documento nativo digitale, la quale presenta segni grafici (generati dal programma ministeriale in uso alle cancellerie degli uffici giudiziari) che rappresentano una mera attestazione della presenza della firma digitale apposta sull’originale di quel documento, dal duplicato informatico che, come si evince dagli artt. 1, lett. i ) quinquies e 16bis , comma 9 bis , del d.l. n. 179 del 2012, consiste in un documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario e la cui corrispondenza con quest’ultimo non emerge dall’uso di segni grafici – la firma digitale è infatti una sottoscrizione in bit la cui apposizione, presente nel file , è invisibile sull’atto analogico cartaceo -ma dall’uso di programmi che consentono di verificare e confrontare l’impronta del file originario con il duplicato’.
1.3.2. – Le attestazioni di conformità nel processo civile.
La materia delle attestazioni di conformità trova espressa disciplina per il processo civile nelle disposizioni sul processo telematico, dapprima ai sensi degli artt. 16bis , comma 9bis , decies ed undecies , del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, ora (sostanzialmente) riproposti negli artt. 196octies, 196 novies, 196 decies e 196 undecies disp. att. c.p.c.
In sintesi, e per quel che qui rileva, è conferito al difensore il potere di estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche di atti e provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico e attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti originali, mentre per il duplicato informatico (la cui equivalenza all’originale esclude la necessità di attestazione) si richiede che lo stesso venga prodotto mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine.
1.3.3. -La nozione di ‘contrassegno elettronico’, ‘timbro digitale’, ‘codice bidimensionale’, ‘glifo’.
Ai sensi dell’art. 23, comma 2 -bis , C.A.D.: «Sulle copie analogiche di documenti informatici può essere apposto a stampa un contrassegno, sulla base dei criteri definiti con le Linee guida, tramite il quale è possibile accedere al documento informatico, ovvero verificare la corrispondenza allo stesso della copia analogica. Il contrassegno apposto ai sensi del primo periodo sostituisce a tutti gli effetti di legge la sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale e non può essere richiesta la produzione di altra copia analogica con sottoscrizione autografa del medesimo documento informatico. I soggetti che procedono all’apposizione del contrassegno rendono disponibili gratuitamente sul proprio sito Internet istituzionale idonee soluzioni per la verifica del contrassegno medesimo».
Nelle linee guida emanate dall’RAGIONE_SOCIALE con circolare n. 62 del 30 aprile 2013 si chiarisce che «Nei vari contesti il contrassegno generato elettronicamente può essere indicato, anche in relazione alle specificità dello scenario implementato, con termini differenti, quali ‘Contrassegno elettronico’, ‘Timbro digitale’, ‘Codice
bidimensionale’, ‘Glifo’, termini che sono da intendersi come sinonimi».
Nell’ambito delle predette linee guida, si precisa che «per contrassegno generato elettronicamente si intende una sequenza di bit , codificata mediante una tecnica grafica e idonea a rappresentare un documento amministrativo informatico o un suo estratto o una sua copia o un suo duplicato o i suoi dati identificativi. A tutti gli effetti di legge sostituisce la sottoscrizione autografa della copia analogica. Il contrassegno generato elettronicamente è rappresentato graficamente con tecnologie differenti, per leggere le quali può essere richiesto apposito software rilasciato dallo sviluppatore della soluzione».
1.4. -Ciò premesso, si osserva quanto segue.
L’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., richiede il deposito di ‘copia autentica della decisione impugnata’.
Il provvedimento emesso come documento informatico e sottoscritto con firma digitale è depositato nel fascicolo tramite l’applicativo l’informatico, ai sensi dell’art. 15 del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44.
La pubblicazione avviene, dunque, non più attraverso la materiale apposizione del deposito e della relativa certificazione da parte del cancelliere, bensì attraverso l’accettazione del deposito telematico del provvedimento e l’attribuzione mediante il sistema informatico del numero identificativo e della data dell’adempimento, con inserimento nel fascicolo informatico e conseguente ostensibilità agli interessati (si veda anche Cass. n. 2829/2023).
Ne consegue che, per effetto dell’attuazione del processo telematico, alla certificazione della cancelleria sull’unico originale in formato cartaceo è subentrata la registrazione automatica del documento informatico effettuata dal sistema informatico.
Con l’accettazione del deposito telematico e l’attribuzione del numero cronologico, il provvedimento digitale è inserito nel fascicolo informatico e solo in esito alla pubblicazione informatizzata diventa consultabile da parte dei difensori, attraverso il portale dei servizi telematici di cui all’art. 6 del d.m. n. 44/2011, nella versione originale, rappresentata dal duplicato (che reca la firma digitale del magistrato), ovvero nella copia informatica, che reca la stampigliatura dei dati esterni della pubblicazione (vale a dire il numero di cronologico e la data di pubblicazione) come segno grafico apposto dal sistema per evidenziare l’avvenuto processamento informatico.
Pertanto, nella differente realtà digitale il concetto di unico originale risulta sostanzialmente superato dalla possibilità di accedere al duplicato (che equivale all’originale), dovendosi, altresì, evidenziare che è l’accettazione dell’atto da parte del cancelliere a determinare l’inserimento del provvedimento nel fascicolo informatico, sicché resta escluso che il difensore possa accedere al duplicato ovvero alla copia informatica se non è intervenuta la pubblicazione.
E tanto emerge chiaramente anche dalla giurisprudenza di questa Corte, che collega la pubblicazione dei provvedimenti digitali al necessario presupposto che l’atto divenga visibile e consultabile dalle parti, cosicché non è sufficiente il mero deposito, ma occorre l’accettazione da parte della cancelleria – almeno fino a che i sistemi richiederanno l’intervento manuale -e, comunque, l’inserimento nei registri e l’assegnazione del numero cronologico (Cass. n. 24891/2018, Cass. n. 2362/2020, Cass. n. 2829/2023).
Infatti, solo a seguito dell’avvenuta pubblicazione informatica, i difensori, accedendo al fascicolo informatico tramite il portale dei servizi telematici, possono scegliere se estrarre copia informatica del provvedimento, recante le indicazioni sulla data di pubblicazione e sul numero di cronologico, come stampigliatura
apposta dal sistema informatico in esito all’accettazione dell’atto digitale da parte della cancelleria, ovvero se scaricare direttamente il duplicato informatico che, in quanto tale, non può recare alcuna sovrapposizione o annotazione che determinerebbe ipso facto l’alterazione dell’originale informatico (e la conseguente alterazione della sequenza di valori binari del documento originario).
Non è, pertanto, sanzionabile con l’improcedibilità la scelta del difensore che, potendo optare tra il deposito del duplicato e la copia informatica (la cui apposta stampigliatura rappresenta soltanto un’evidenza grafica della registrazione informatizzata), si determini per il deposito del primo in quanto equivalente all’originale e, come tale, non necessitante di alcuna attestazione di conformità.
Sicché, il concetto stesso di duplicato risulta assorbente rispetto al requisito di ‘copia autentica della sentenza o della decisione impugnata’, postulato dall’art. 369 c.p.c.
I dati relativi alla pubblicazione, se in contestazione ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione (e, dunque, là dove non evincibili tramite gli stessi sistemi informatici in uso a questa Corte), possono essere verificati attraverso la consultazione del fascicolo informatico del giudizio di merito acquisito d’ufficio ai sensi dell’art. 137 -bis disp. att. c.p.c. per i giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere a decorrere dal 1° gennaio 2023 (art. 35, comma 5, del d.lgs. n. 149/2022).
Quanto ai giudizi introdotti precedentemente, i dati relativi alla pubblicazione del provvedimento impugnato (quale documento nativo digitale), se necessario, possono essere verificati tramite richiesta di attestazione degli stessi alla cancelleria del giudice che ha emesso quel provvedimento, in presenza di istanza del ricorrente formulata ai sensi dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c., nel testo antecedente alla abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149/2022.
Dati che sono presenti nel fascicolo informatico che la cancelleria deve tenere e conservare ai sensi art. 36, ultimo comma, disp. att. c.p.c. e dell’art. 9 del d.m. n. 44/2011. Quest’ultima disposizione precisa, infatti, che il predetto fascicolo contiene ‘i dati del procedimento medesimo da chiunque formati’ (comma 1) e in modo tale da ‘garantire la facile reperibilità ed il collegamento degli atti ivi contenuti in relazione alla data di deposito’ (comma 5).
E una tale verifica officiosa si rende necessaria in quanto il ricorrente, con il deposito del duplicato informatico del provvedimento impugnato, ha pienamente assolto l’onere di cui all’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c.; onere funzionale, in primo luogo, proprio a ‘consentire la verifica della tempestività dell’atto di impugnazione’ (Cass., S.U., n. 8312/2019), la quale (è opportuno ribadire), in ambiente di processo telematico, è possibile solo attraverso i sistemi informatici in uso all’ufficio giudiziario.
Occorre, dunque, collocarsi nel cono d’ombra del principio di effettività della tutela giurisdizionale (artt. 24 e 111 Cost.; art. 47 della Carta di Nizza; art. 19 del Trattato sull’Unione europea; art. 6 CEDU), il quale, nella sua essenziale tensione verso una decisione di merito, richiede che eventuali restrizioni del diritto della parte all’accesso ad un tribunale siano ponderate attentamente alla luce dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità (tra le tante: Cass., S.U., n. 10648/2017; Cass., S.U., n. 8950/2022; Cass., S.U., n. 28403/2023; Cass., S.U., n. 2075/2024; Cass., S.U., n. 6477/2024).
Pertanto, va fatta applicazione del principio – già affermato da Cass., S.U., 25513/2016 in riferimento alla proposizione del ricorso per cassazione ex art. 348ter , comma terzo, c.p.c. (e ribadito da Cass., S.U., n. 11850/2018, Cass., S.U., n. 8312/2019 e Cass., S.U., n. 21349/2022) – secondo il quale la Corte esercita il proprio potere officioso di controllo sulla tempestività dell’impugnazione
ove il ricorrente abbia assolto l’onere di richiedere il fascicolo d’ufficio alla cancelleria del giudice a quo tramite l’istanza di cui all’ultimo comma dell’art. 369 c.p.c.
1.4.1. -Nel caso, invece, di deposito ex art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., di copia analogica di duplicato informatico della decisione impugnata (ossia, tramite la stampa del file ), rimane necessaria l’attestazione di conformità del difensore ai sensi del citato art. 16 bis , comma 9 bis , del d.l. n. 179/2012 (nei termini affermati da Cass., S.U., n. 8312/2019), non potendosi, in siffatta evenienza, apprezzare altrimenti la qualità di duplicato informatico che dal difensore medesimo sia stata predicata (atteso che la stampa di un documento informatico sottoscritto digitalmente non consente la verifica dell’apposizione della firma, ciò che, come detto, è possibile con i sistemi informatici in uso all’ufficio giudiziario).
Tuttavia, all’interrogativo posto da Cass. n. 5204/2024 in ordine alla ritualità della copia autenticata così depositata, in quanto priva delle indicazioni relative alla pubblicazione, si deve dare risposta positiva.
Infatti, in quanto estratta dal fascicolo informatico ed attestata come conforme dal difensore, anche il deposito di una tale copia autenticata vale ad integrare il requisito richiesto dall’art. 369 c.p.c., così aprendosi la possibilità, pure in tale ipotesi, dell’accertamento officioso in ordine alla tempestività dell’impugnazione (ove in contestazione), tramite la richiesta alla cancelleria del giudice a quo di attestazione dei dati di pubblicazione del provvedimento .
1.5. -Devono, quindi, enunciarsi i seguenti principi di diritto:
« a ) in regime di deposito telematico degli atti, l’onere del deposito di copia autentica del provvedimento impugnato imposto, a pena di improcedibilità del ricorso dall’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., è assolto non solo dal deposito della relativa copia
informatica, recante la stampigliatura solo rappresentativa dei dati esterni (numero cronologico e data) concernenti la sua pubblicazione, ma anche dal deposito del duplicato informatico di detto provvedimento, il quale ha il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, dell’originale informatico e che, per sue caratteristiche intrinseche, non può recare alcuna sovrapposizione o annotazione (e, dunque, la stampigliatura presente nella copia informatica) che ne determinerebbe, di per sé, l’alterazione.
Ne consegue che, ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione, i dati relativi alla pubblicazione, ove non evincibili tramite i sistemi informatici in uso alla Corte di cassazione e in contestazione, vanno attinti attraverso la consultazione del fascicolo di merito acquisito d’ufficio ai sensi dell’art. 137 -bis c.p.c. per i giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023, ovvero, per i giudizi precedentemente introdotti, tramite richiesta di attestazione dei dati stessi alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, in presenza di istanza del ricorrente ai sensi dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c., nella formulazione antecedente all’abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022;
b ) nel regime in cui è consentito il deposito di copia analogica del provvedimento impugnato redatto come documento informatico nativo digitale e così depositato in via telematica, ove detta copia analogica sia tratta dal duplicato informatico depositato nel fascicolo informatico, l’onere di cui all’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., è assolto tramite l’attestazione di conformità della copia al duplicato apposta dal difensore.
Ne consegue che, ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione, i dati relativi alla pubblicazione del provvedimento impugnato, ove in contestazione, vanno attinti tramite richiesta di attestazione dei dati stessi alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, in presenza di
istanza del ricorrente ai sensi dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c., nella formulazione antecedente all’abrogazione disposta dal d.lgs. n. 149 del 2022».
1.6. -Nella specie, l’impugnazione è procedibile, nonché tempestiva.
Come risulta dal sistema informatico in uso presso questa Corte ( Desk del magistrato), il ricorrente, a seguito di notifica del ricorso per cassazione in data 1° febbraio 2022, ha depositato il 21 febbraio 2022 (sia alle ore 14,36, che alle ore 16,53) il file dell’impugnata sentenza della Corte di appello di Milano in busta marcata ‘30913476s.zip.p7m’ e contenente il file .pdf ‘NUMERO_DOCUMENTO‘, la cui apertura ha consentito, tramite apposita applicazione (e in particolare, consultando il ‘pannello firme’), di verificare l’esistenza e validità delle firme digitali del presidente e dell’estensore della pronuncia, nonché del cancelliere che ha accettato il deposito del provvedimento.
Il file della sentenza impugnata, depositato il 21 febbraio 2022 nel rispetto del termine di legge, risulta essere un duplicato informatico, privo, dunque, della stampigliatura recante i dati sulla relativa pubblicazione, ma, come tale, in forza del principio innanzi enunciato, integrante deposito idoneo ad adempiere l’onere di cui all’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c.
Quanto alla tempestività dell’impugnazione, pur avendo la società ricorrente depositato, nella predetta data del 21 febbraio 2022, l’istanza ex art. 369, ultimo comma, c.p.c., non occorre addivenire alla richiesta di attestazione dei dati sulla pubblicazione della sentenza impugnata (in precedenza non notificata) alla cancelleria del giudice a quo .
Ciò in quanto, in via assorbente, la notificazione del ricorso è avvenuta in una data (1° febbraio 2022) che si palesa tempestiva se calcolata in relazione al giorno della decisione indicato nel testo
del provvedimento (20 luglio 2021) rispetto al termine dell’art. 327, comma primo, c.p.c.
-Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 1693 c.c.
La società ricorrente – premesso che l ‘ interpretazione dell ‘ art. 1693 c.c. postula, ai fini della responsabilità del vettore, che il contratto di trasporto si sia perfezionato e che, dunque sia avvenuta la consegna materiale delle ‘cose al vettore/sub -vettore’ -sostiene che avrebbe errato la Corte territoriale a ritenere responsabile della perdita della merce essa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e non la XPO, in quanto quest ‘ultima non avrebbe fornito ‘prova certa della consegna del carico al presunto trasportatore RAGIONE_SOCIALE‘, né potendo trovare applicazione in favore della medesima XPO l ‘esimente del ‘caso fortuito’, non integrando tale ipotesi il mero ‘furto’ della merce da parte di terzi.
2.1. -Il motivo è inammissibile.
Giova rammentare che, in tema di ricorso per cassazione, la deduzione del vizio di violazione di legge consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) postula che l ‘ accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (tra le molte: Cass. n. 18715/2016; Cass. n. 6035/2018).
Nella specie, il ricorso non mette in discussione il principio per cui l ‘ art. 1693 cod. civ. pone a carico del vettore una presunzione di responsabilità ex recepto , che può essere vinta solo dalla prova specifica della derivazione del danno da un evento positivamente identificato e del tutto estraneo al vettore stesso, ricollegabile alle ipotesi del caso fortuito e della forza maggiore, le
quali non ricorrono nel caso di rapina durante un trasporto di gioielli, che costituisce attività che impone di per sé particolari forme di cautela, dovendosi ritenere prevedibile il prodursi di un simile evento (tra le altre: Cass. n. 15107/2013; Cass. n. 28612/2013).
Parte ricorrente contesta, invece, i presupposti di fatto da cui muove l ‘ applicazione, coerente, di quel principio ad opera della Corte territoriale (ossia la consegna della merce al sub-vettore NOME, incaricato dalla RAGIONE_SOCIALE, e la ‘perdita’ del carico della medesima merce da parte dell ‘ anzidetto sub-vettore), quale censura che è affatto estranea al paradigma del vizio dedotto, investendo l ‘ accertamento della quaestio facti riservato al giudice di merito, sindacabile in questa sede nei limiti consentiti dalla denuncia del vizio di cui al n. 5 dell ‘ art. 360 c.p.c., nella specie non affatto proposta.
3. -Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione ‘degli artt. 4 e 5.2 del Contratto di trasporto del 20.04.2012 stipulato tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE‘.
La parte ricorrente assume, anzitutto, che la Corte territoriale avrebbe, anzitutto, mancato di specificare le ragioni per cui i controlli operati da essa NOME sul sub-Vettore RAGIONE_SOCIALE non sarebbero stati ‘adeguati e sufficienti’, giacché in linea, invece, con quanto previsto dall ‘ art. 4, comma 2, del contratto inter partes , il quale stabiliva: ‘ Il vettore dichiara garantisce l ‘ idoneità dei veicoli utilizzati per eseguire i trasporti e si impegni all ‘ atto del caricamento della merce a consegnare a RAGIONE_SOCIALE (oggi Xpo …) – se ed in quanto da questa richiesto – copia della carta di circolazione e altri eventuali elementi identificativi del veicolo utilizzato per eseguire il trasporto richiestogli, nonché copia del certificato di abilitazione professionale o della carta di qualificazione
dell ‘ autista/i ‘ (‘Contratto di trasporto pag. 4 all. n. 3 del fascicolo di parte nel grado di appello -all. n. 3 fascicoletto Corte di Cassazione’).
Inoltre, il giudice di appello non avrebbe considerato che la mancanza di un contratto tra essa RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e il subvettore ‘non ha mai costituito elemento ostativo al proseguimento dei rapporti commerciali’ con la RAGIONE_SOCIALE, la quale, del resto, aveva autorizzato, nella specie, il carico della merce ‘sebbene non fosse mai stato stipulato un contratto scritto tra il vettore e il subvettore’ RAGIONE_SOCIALE.
La ricorrente sostiene, altresì, che la Corte territoriale avrebbe errato a fondare la decisione sulla previsione contrattuale che prevedeva la manleva di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in favore di XPO per ‘qualunque danno derivante dall’ operato del sub-vettore da lei scelto ingenuamente’, mancando di considerare l’ art. 5.2. del contratto intercorso tra le parti (‘Pag. 6 del Contratto di trasporto all. n. 3 del fascicolo di parte -all. n. 3 del fascicoletto di Corte di Cassazione’), che prevedeva stringenti obblighi a carico dei magazzinieri di RAGIONE_SOCIALE, ‘i quali non hanno effettuato alcun controllo e non hanno richiesto, per farne copia, gli usuali documenti di identificazione dell ‘ autista e del mezzo, al fine di verificarne la corrispondenza con i dati precedentemente comunicati dalla RAGIONE_SOCIALE in data 01.06.2012′.
3.1. -Il motivo è inammissibile.
Posto che l ‘ accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia
discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni del tutto illogiche o contraddittorie, non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell ‘ interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (tra le tante: Cass. n. 28319/2017; Cass. n. 16987/2018; Cass. n. 9461/2021).
La ricorrente -anche a prescindere dalla corretta individuazione del contratto effettivamente rilevante nella controversia e, dunque, delle effettive pattuizioni determinanti gli obblighi reciprocamente assunti dalle parti (ciò che la controricorrente contesta decisamente: pp. 18/20 del controricorso) -ha, comunque (e in via assorbente), strutturato la doglianza in aperto contrasto con il ricordato principio di diritto, omettendo di indicare quali regole di interpretazione la Corte territoriale abbia violato e in che modo lo abbia fatto, procedendo, invece, ad una ricostruzione della volontà contrattuale alternativa a quella assunta dal giudice del merito e fondata su diversi presupposti di fatto.
4. -Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza per violazione dell ‘ art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., avendo la Corte territoriale adottato una ‘motivazione apparente’, e dunque inidonea a rendere comprensibile l ‘ iter logico-giuridico della decisione, in ordine alla ritenuta irrilevanza della deposizione della dipendente di XPO in servizio al momento del ritiro della merce da parte del sub-vettore RAGIONE_SOCIALE, dalle quali dichiarazioni, invece, si traeva chiaramente la sussistenza della ‘prova del fatto che la XPO non abbia operato i dovuti controlli nel momento del ritiro della merce dai propri magazzini’.
4.1. -Il motivo è inammissibile, prima ancora che infondato.
La parte ricorrente ha, infatti, impugnato una sola delle due rationes decidendi che sorreggono la statuizione della Corte
territoriale in ordine alla ‘irrilevanza’ della deposizione testimoniale della dipendenti di RAGIONE_SOCIALE ai fini della decisione della controversia, soffermandosi esclusivamente sulla ritenuta apparenza di motivazione in ordine alle ragioni per cui dalla testimonianza stessa non si sarebbe potuto trarre la prova dell ‘ assenza di controlli della medesima XPO al momento del ritiro delle merce dai propri magazzini, ma non censurando affatto la ratio per cui essa RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto rispondere, in ogni caso, contrattualmente ‘per l’ operato del subvettore da lei scelto’.
Trova, quindi, applicazione il principio, consolidato (per tutte: Cass., S.U., n. 7931/2013), secondo il quale il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall ‘ ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi .
Pur restando assorbente il rilievo che precede, la censura è, comunque, (manifestamente) infondata.
La motivazione affetta da anomalia che la rende al di sotto del c.d. ‘minimo costituzionale’, così da integrare violazione di legge (artt. 111, comma sesto, Cost., 132 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.), è vizio -che attiene all ‘ esistenza della motivazione in sé e deve risultare dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali -che si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione (tra le molte, Cass., S.U., n. 8053/2014).
In particolare, poi, la motivazione è solo ‘apparente’ quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, giacché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all ‘ interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., S.U., n. 22232/2016; Cass. n. 22022/2017; Cass. n. 21037/2018; Cass. n. 27112/2018).
Nella specie, la motivazione della sentenza impugnata (cfr. § 2.1. dei ‘Fatti di causa’, cui si rinvia; pp. 8, 9 e 13 della sentenza di appello) si mostra affatto intelligibile nel suo sviluppo logico, privo di insanabili contraddizioni e, dunque, rispettosa del c.d. ‘minimo costituzionale’.
-Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e la società ricorrente condannata al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
Non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti della parte rimasta soltanto intimata.
Non essendo la decisione conforme alla proposta (di ‘improcedibilità’ dell’ impugnazione) ex art. 380bis c.p.c., non trova applicazione il terzo comma della medesima anzidetta disposizione.
Né sussistono i presupposti per la condanna della parte ricorrente ai sensi dell ‘ art. 96, primo e terzo comma, c.p.c.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.200,00 per
compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza