Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8005 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8005 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8134/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME NOME,
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore generale NOME COGNOME giusta procura speciale del AVV_NOTAIO del 20.6.2017, rep. n. 46080, racc. n. 1405, rappresentata e difeso dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO,
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n.5476/2018 depositata il 4.9.2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12.3.2025 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con decreto n. 986/2008, il Tribunale di Latina ingiungeva a NOME, NOME NOME, NOME NOME, NOME e NOME, in qualità di eredi del defunto NOME COGNOME, il pagamento in solido di € 17.380,00 oltre interessi e spese, in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a., ora RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. s.p.a., che aveva restituito all’RAGIONE_SOCIALE l’importo dell’indebito accreditamento sul conto corrente intestato al defunto NOME COGNOME (morto l’8.2.2004), delle mensilità pensionistiche erogate dall’1.3.2004 all’1.8.2006 su quel conto, che erano state prelevate da persona non identificata che aveva utilizzato il bancomat intestato al defunto.
Avverso tale decreto proponevano opposizione congiuntamente gli eredi di NOME COGNOME sopra indicati, contestando il difetto di legittimazione attiva della banca, ed il loro difetto di legittimazione passiva, trattandosi non di un’obbligazione contratta da NOME COGNOME quando era ancora in vita, ma di un’obbligazione derivante dalla condotta illecita posta in essere dal soggetto non identificato che aveva effettuato il prelievo col bancomat intestato al defunto.
Il Tribunale di Latina, nella resistenza della RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n.2599/2011, accoglieva l’opposizione, disponendo la revoca del decreto ingiuntivo, non ritenendo sussistente alcuna prova documentale del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE, ed escludendo, in ogni caso, una responsabilità solidale degli eredi, i quali avrebbero potuto, al più, essere chiamati a rispondere del debito ereditario pro quota ex art. 752 cod. civ., e pertanto rigettava la domanda di
pagamento della RAGIONE_SOCIALE e la condannava al pagamento delle spese processuali.
Avverso tale pronuncia proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE, e resistevano al gravame gli eredi del de cuius , fatta eccezione per COGNOME NOME, che rimaneva contumace in secondo grado.
Con la sentenza n. 5476/2018 del 16.3/4.9.2018, la Corte di Appello di Roma, in riforma della decisione del Tribunale di Latina, confermava il decreto ingiuntivo opposto, condannando i coeredi in solido anche al pagamento delle spese processuali del doppio grado, ed alla restituzione a favore della RAGIONE_SOCIALE della somma di €4.365,64 oltre interessi legali dal 18.11.2011, che aveva loro pagato in esecuzione della sentenza di primo grado riformata.
La Corte territoriale rilevava, che dal contratto di conto corrente di corrispondenza intestato al defunto NOME COGNOME, e dagli estratti conto regolarmente depositati dalla RAGIONE_SOCIALE, risultavano gli accrediti dei ratei pensionistici mensili a favore del predetto da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, dal marzo 2004 all’agosto 2006, per il complessivo importo di € 17.380,00, avvenuti dopo la morte in data 8.2.2004 di NOME COGNOME, e gli indebiti prelievi degli importi relativi, effettuati con l’utilizzo della carta bancomat intestata al defunto, presso la filiale di Campoverde, e poiché il suddetto importo complessivo era stato stornato dalla RAGIONE_SOCIALE a favore dell’Ente Previdenziale, veniva rigettata l’opposizione che era stata proposta dagli eredi di NOME COGNOME. L’impugnata sentenza aggiungeva, che l’art. 752 cod. civ., nel prevedere che gli eredi rispondono delle passività ereditarie pro quota , faceva salve le ipotesi in cui il testatore avesse disposto diversamente, e che nel caso di specie, il contratto di conto corrente stipulato tra NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE prevedeva all’art. 9 n. 1 che le obbligazioni del correntista verso l’istituto di credito si intendevano assunte ‘ in via solidale e indivisibile anche per i suoi aventi causa a qualsiasi
titolo ‘, con conseguente infondatezza dell’asserita parziarietà delle obbligazioni restitutorie degli eredi di NOME COGNOME.
Avverso tale sentenza NOME, NOME NOME, NOME NOME e NOME hanno proposto ricorso a questa Corte, notificandolo l’1.3.2019 alla RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a due motivi e la RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente occorre dare atto che il ricorso non è stato notificato a NOME, coerede di NOME COGNOME, che insieme ai ricorrenti aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo, restando poi contumace nel giudizio di secondo grado che l’ha vista soccombente. Tuttavia, l’integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c. risulta superflua in ragione dell’evidente inammissibilità del ricorso, perché porterebbe solo ad una dilatazione della durata del giudizio di legittimità, senza alcun beneficio per la coerede pretermessa, che non ha inteso proporre ricorso in questa sede.
E’ infatti principio costantemente affermato da questa Corte (Cass. ord. 12.5.2023 n. 13036; Cass. 14.5.2014 n. 10464; Cass. 17.6.2013 n. 15106; Cass. sez. un. ord. 22.3.2010 n. 6826) quello secondo cui, nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari, ai quali il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio.
Col primo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 456 e 2043 cod. civ.
La Corte d’Appello avrebbe erroneamente qualificato l’obbligo di restituzione delle mensilità pensionistiche indebitamente accreditate sul conto corrente intestato al COGNOME cuius COGNOME
COGNOME come debito ereditario, omettendo di rilevare che eventuali obbligazioni sorte in seguito all’apertura della successione, avvenuta l’8.2.2004, non potevano ricadere sugli eredi di NOME COGNOME, e non avrebbe invece ricollegato ai prelievi tramite carta bancomat, intestata al defunto, ad opera di ignoti, dei ratei pensionistici versati sul conto corrente, prelievi avvenuti dopo l’8.2.2004, la natura di obbligazione da responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ., con conseguente estraneità degli eredi a qualsivoglia posizione debitoria.
Il primo motivo va respinto, in quanto si fonda su censure direttamente fattuali, che puntano ad ottenere, in sede di legittimità, una riconduzione dell’obbligazione fatta valere dalla RAGIONE_SOCIALE contro gli eredi del correntista NOME COGNOME alla condotta di abusivo prelievo ad opera di ignoti, e quindi ad un’obbligazione di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. da essa mai invocata, anziché ad un’obbligazione diretta dei coeredi del defunto NOME COGNOME, rimasti nella disponibilità del conto corrente intestato al defunto, sul quale sono stati indebitamente accreditati i ratei pensionistici dopo la morte di NOME COGNOME, che la banca accreditante ha poi restituito all’RAGIONE_SOCIALE ( sull’incensurabilità per cassazione dell’interpretazione operata dal giudice di merito, cfr. Cass. n.2718/2017; Cass. 10.2.2015 n.2465; Cass. 3.9.2010 n. 19044; Cass. 12.7.2007 n.15604). Non si tratta qui di un’obbligazione sorta a carico del defunto, poi trasferita agli eredi secondo le regole della responsabilità pro quota dell’art. 752 cod. civ., dal momento che i ratei pensionistici in questione, sono stati indebitamente accreditati sul conto corrente ancora intestato al defunto, dopo la sua morte, e non prima, ma si tratta piuttosto di un’obbligazione sorta direttamente in capo agli eredi di NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per effetto di indebiti accreditamenti pensionistici post mortem .
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, la banca, nell’ipotesi in cui abbia ricevuto dal correntista l’incarico di procedere all’accredito dei ratei di pensione erogatigli dall’RAGIONE_SOCIALE, può procedere al recupero delle somme corrispondenti agli accrediti di pensione eventualmente effettuati successivamente alla morte del correntista – pensionato, giacché la morte determina l’estinzione del rapporto di mandato, con conseguente mancanza di causa dei successivi accrediti, nonché lo scioglimento del rapporto di conto corrente, con relativo impedimento ed ogni ulteriore operazione (vedi in tal senso Cass. 21.4.2000 n. 5264). In questo senso va corretta la criptica motivazione addotta dall’impugnata sentenza, comunque conforme a diritto nel dispositivo.
Col secondo motivo, per l’ipotesi di mancato accoglimento del primo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 752 e 1295 cod. civ.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente equiparato la clausola del contratto (art. 9 n. 1, secondo il quale ‘tutte le obbligazioni del Correntista verso la RAGIONE_SOCIALE e, in particolare, quelle dipendenti da eventuali concessioni di fido si intendono assunte, anche in caso di cointestazione del conto, in via solidale e indivisibile anche per i suoi aventi causa a qualsiasi titolo ‘ ) stipulato tra il correntista NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, ad una disposizione testamentaria, in violazione dei principi generali dell’art. 1295 cod. civ e 752 cod. civ., che fa specifico riferimento al testatore, principi che permetterebbero di derogare alla parziarietà dell’obbligazione dei singoli coeredi, solo a fronte di una specifica disposizione testamentaria, e non di una clausola contrattuale.
Il secondo motivo di ricorso, che porrebbe la delicata questione, invero non compiutamente dedotta, che mentre l’art. 752 cod. civ., nei rapporti interni tra i coeredi, prevede che il testatore possa derogare per i debiti ereditari al principio della responsabilità pro quota dei coeredi distribuendo diversamente con le sue ultime
volontà il peso dei debiti ereditari fra i suoi successori, l’art. 754 cod. civ., che si riferisce invece ai debiti ereditari nei confronti dei terzi (vedi in tal senso Cass. 12.7.2007 n. 15592, e più recentemente Cass. ord. 13.9.2024 n. 24705, che ha rinviato sulla questione a pubblica udienza anche per la valutazione della violazione del divieto di patti successori della clausola contrattuale derogatoria della parziarietà delle obbligazioni derivate degli eredi sottoscritta con terzi dal soggetto poi defunto), non contempla la deroga alla parziarietà delle obbligazioni dei coeredi verso i terzi da parte del defunto, deve ritenersi assorbito, in senso improprio, a seguito del rigetto del primo motivo, nei sensi sopra detti.
Ed invero, poiché le obbligazioni restitutorie delle somme accreditate, senza titolo, sul conto corrente ancora intestato a NOME COGNOME, dopo la sua morte, non erano obbligazioni esistenti al momento dell’apertura della successione, soggette in quanto tali al principio della parziarietà dell’art. 742 cod. civ., ma obbligazioni sorte direttamente e personalmente in capo agli eredi di NOME COGNOME per le quali gli stessi erano responsabili in solido, la motivazione dell’impugnata sentenza, ancora una volta esatta nel dispositivo, va in questo senso corretta, sostituendo la motivazione qui addotta al riferimento che era stato fatto all’efficacia derogatoria attribuita, rispetto alla regola della parziarietà delle obbligazioni dei coeredi, all’art. 9 del contratto di conto corrente bancario stipulato in vita da NOME COGNOME con la banca opposta.
Il ricorso va, dunque, respinto.
I ricorrenti vanno condannati in solido, in base alla soccombenza, al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo in favore della controricorrente.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un
ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, rigetta il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, e li condanna in solido al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed €2.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 12.3.2025