Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25776 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25776 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15686/2023 R.G., proposto da
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura allegata al ricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura allegata al controricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente-
nonché contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura a margine del controricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente-
nonché contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura in calce al controricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE , NOME COGNOME , NOME COGNOME ;
e sul ricorso successivo,
proposto da
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura in calce al ricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura allegata al ricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente-
e nei confronti di
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura allegata al controricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente-
nonché di
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura a margine del controricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente-
-intimati-
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura in calce al controricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente-
nonché di
RAGIONE_SOCIALE , NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ; -intimati-
per la cassazione della sentenza n. 30 /2023 della CORTE d’APPELLO di ANCONA, depositata il 5 gennaio 2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 13 novembre 2013, NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero in giudizio NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, il notaio NOME COGNOME e il rag. NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Ancona, deducendo che:
erano titolari di quote (nella misura del 30,5% ciascuno) della RAGIONE_SOCIALE, che avevano fiduciariamente intestato, con mandati fiduciari di diritto svizzero, per il 30,5%, a NOME COGNOME (amministratore della stessa RAGIONE_SOCIALE) e, per il restante 30,5%, alla RAGIONE_SOCIALE (nella persona del suo amministratore, NOME COGNOME);
-n elle more dell’i nstaurando procedimento arbitrale per l’accertamento della proprietà di tali quote, avevano introdotto un procedimento cautelare, chiedendone il sequestro giudiziario;
il Tribunale di Ancona, con decreto del 13/14 luglio 2011, confermato con ordinanza del 26 luglio 2011, aveva disposto, in favore degli istanti, il sequestro del 61% delle quote della RAGIONE_SOCIALE; precisamente, aveva disposto, in favore del COGNOME, il sequestro della quota del 30,5% fiduciariamente intestata al COGNOME e, in favore del COGNOME, il sequestro della quota del 30,5% fiduciariamente intestata alla RAGIONE_SOCIALE, nominando custode NOME COGNOME;
-peraltro, tra il luglio e l’agosto del 2011, NOME COGNOME, dopo aver costituito una nuova società (la RAGIONE_SOCIALE, avvalendosi dell’apporto del rag. NOME COGNOME aveva ad essa ceduto il ramo operativo dell ‘ azienda della RAGIONE_SOCIALE, comprensivo di macchinari, avviamento ed impianti, per il corrispettivo di Euro 200.000,00, da pagarsi in 20 rate mensili; nel successivo processo penale per bancarotta, instaurato a carico dello stesso COGNOME in seguito al fallimento della società, il consulente del pubblico ministero avrebbe attribuito al compendio aziendale oggetto di cessione il valore di 2 milioni di Euro;
il 14 settembre 2011 , l’ assemblea dei soci della RAGIONE_SOCIALE si era riunita innanzi al notaio NOME COGNOME; in questa riunione -alla quale avevano partecipato, oltre a NOME COGNOME (intestatario del 61% delle quote, di cui il 30,5% in sequestro) e alla RAGIONE_SOCIALE rappresentata da NOME COGNOME (intestataria dell’ulteriore 3 0,5% delle quote in sequestro), anche la società RAGIONE_SOCIALE legalmente rappresentata da NOME COGNOME (intestataria della quota minoritaria del 6%, acquistata meno di una settimana prima), nonché la custode NOME COGNOMEera stato deliberato l’azzeramento del capitale sociale e la sua ricostituzione nella misura minima legale di Euro 20.072,50, peraltro versata soltanto dopo che la
società, nell’anno 2012, era stata ammessa al concordato preventivo , poi non omologato;
in mancanza di esercizio, da parte della RAGIONE_SOCIALE, nonché della custode NOME COGNOME, del diritto di opzione loro spettante (con conseguente loro uscita dalla compagine sociale), il capitale di nuova emissione era stato sottoscritto esclusivamente dai soci RAGIONE_SOCIALE (per il 30%) e RAGIONE_SOCIALE (per il 70%);
a seguito di tali operazioni la RAGIONE_SOCIALE precipitata in situazione di insolvenza, era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Ancona.
Sulla base di queste deduzioni, NOME COGNOME e NOME COGNOME domandarono la condanna solidale dei convenuti al risarcimento del danno da loro subìto per effetto delle condotte illecite di distrazione del patrimonio della RAGIONE_SOCIALE e di soppressione delle quote del capitale sociale sottoposte a sequestro giudiziario.
Costituitisi in giudizio i convenuti e autorizzata, su richiesta di NOME COGNOME la chiamata in causa dell’Allianz s.p.a. , con cui il notaio aveva stipulato un polizza assicurativa della propria responsabilità professionale, con sentenza del 27 settembre 2017 il Tribunale di Ancona , ritenuta l’esclusiva responsabilità di NOME COGNOME lo condannò a pagare a ciascuno degli attori, a titolo di risarcimento del danno, la somma di Euro 608.000,00, pari al valore delle quote di capitale di cui erano titolari, oggetto di illecita soppressione; rigettò le domande risarcitorie in quanto proposte nei confronti degli altri convenuti.
Un primo profilo di responsabilità di NOME COGNOME fu individuato dal primo giudice nella condotta illecita volta alla soppressione delle quote del capitale della RAGIONE_SOCIALE in sequestro: tale
condotta, realizzata attraverso una delibera assembleare di azzeramento e ricostituzione del capitale emessa in mancanza dei relativi presupposti e in violazione dei connessi doveri informativi, aveva infatti integrato, ad avviso del primo giudice, una operazione economica unitaria in danno degli attori, con l’effetto di estrometterli dalla compagine sociale, di eludere i vincoli derivanti dal sequestro giudiziario sulle quote e di ledere il loro diritto di proprietà sulle quote medesime.
Un secondo profilo di responsabilità del COGNOME fu poi individuato nella condotta di cessione dell’azienda alla RAGIONE_SOCIALE: questa cessione, posta in essere per un prezzo vile e in favore di soggetto non solvibile e già destinatario di protesti, aveva infatti integrato, ad avviso del Tribunale, una condotta distrattiva, contribuendo al dissesto della RAGIONE_SOCIALE
La sentenza del Tribunale di Ancona fu gravata con appello principale da NOME COGNOME che invocò l’ accertamento della responsabilità anche degli altri convenuti, e con appello incidentale da NOME COGNOME che si dolse della disposta compensazione delle spese di lite.
Con sentenza 5 gennaio 2023, n. 30, la Corte d’appello di Ancona , in parziale accoglimento dell’impugnazione principale, rigettata quella incidentale, ha esteso la condanna risarcitoria ad NOME COGNOME riconoscendola responsabile, in solido con NOME COGNOME del danno patito da NOME COGNOME sul rilievo che essa, all’assemblea straordinaria del 14 settembre 2011, convocata per i provvedimenti di cui all’art. 2482 -ter cod. civ., votando l’azzeramento del capitale e non esercitando l’opzione sulle nuove quote per la sua ricostituzione al minimo, avesse colposamente cooperato alla
soppressione delle quote che formavano oggetto della cautela e che invece avrebbe dovuto custodire.
La Corte territoriale ha invece confermato la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria nei confronti degli altri convenuti, condannando l’appellante principale a rimborsare le spese del grado sostenute da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Per la cassazione della sentenza della Corte dorica, NOME COGNOME ha proposto ricorso con atto notificato il giorno 5 luglio 2023, sulla base di cinque motivi, cui hanno resistito, con controricorso, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Con distinto atto, notificato lo stesso giorno 5 luglio 2023, ha proposto ricorso (che assume oggettivamente natura incidentale) per la cassazione della medesima sentenza pure NOME COGNOME anche questo sorretto da cinque motivi, cui ha resistito, con controricorso, oltre agli intimati appena sopra citati, NOME COGNOME.
La trattazione dei ricorsi è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
La ricorrente incidentale NOME COGNOME e il controricorrente NOME COGNOME hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
A.1. Con il primo motivo del ricorso principale proposto da NOME COGNOME viene denunciata la « violazione degli artt. 2055 e 2043 c.c., nonché degli artt. 43 c.p. e degli artt. 27 e 28 della legge notarile, rilevante ex art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nei confronti di COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME ».
Il ricorrente principale censura la sentenza d’appello per aver confermato il giudizio espresso dal giudice di primo grado circa l’esclusione della responsabilità di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per i danni da lui patiti in seguito alla distrazione del patrimonio della RAGIONE_SOCIALE e alla soppressione delle quote del capitale sociale sottoposte a sequestro giudiziario.
Sostiene che tutti i predetti soggetti avevano cooperato, qu and’anche con condotte illecite distinte, alla realizzazione del fatto dannoso, che andava considerato nella sua unitarietà e imputato ad ognuno di essi, i quali, pertanto, ai sensi dell’art. 2055 cod. civ., avrebbero dovuto ritenersi solidalmente obbligati al risarcimento del pregiudizio ad esso conseguente.
Deduce, specificamente:
che il notaio NOME COGNOME aveva personalmente redatto il verbale assembleare del 14 settembre 2011 « nella piena consapevolezza e volontà dell’effetto della verbalizzazione, costituito dalla soppressione delle quote societarie oggetto del sequestro giudiziario », così ponendo in essere « una condizione necessaria alla verificazione dell’illecito di cui all’art. 388 cod. pen. », e critica la sentenza impugnata per aver malamente interpretato l’art. 27 della legge notarile circa l’obbligo del professi onista di prestare il proprio ministero, il cui perimetro sarebbe stato indebitamente esteso oltre il limite degli atti vietati dalla legge e contrari all’ordine pubblico e al buon costume;
che il rag. NOME COGNOME aveva dolosamente cooperato, occupandosi anche di reperire i « prestanome occorrenti », alla costituzione della RAGIONE_SOCIALE ( cessionaria, a prezzo vile, dell’az ienda
operativa della RAGIONE_SOCIALE, come sarebbe stato dimostrato dalla circostanza che la costituzione della società di comodo e la susseguente cessione ad essa del complesso aziendale della RAGIONE_SOCIALE era avvenuta subito dopo il sequestro giudiziario delle quote e appena prima dell’ assemblea del 14 settembre 2011, esitata nella delibera di azzeramento del capitale societario;
-che all’operazione illecita di soppressione delle quote di capitale in sequestro, con conseguente imputabilità del fatto dannoso, aveva dolosamente concorso anche NOME COGNOME, cognato di NOME COGNOME, nonché amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE (società intestataria del 50% del capitale della RAGIONE_SOCIALE sottoposto al vincolo cautelare, complessivamente pari al 61% del totale), il quale aveva partecipato all’ assemblea del 14 settembre 2011, votando a favore dell’ azzeramento delle quote sequestrate e rinunciando alla sottoscrizione del capitale di nuova emissione;
che, infine, evidente era il carattere doloso del contegno, parimenti rilevante ai fini della concorsuale realizzazione del fatto dannoso, di NOME COGNOME, amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE perché, al di là delle pur significative circostanze di avere acquistato una quota minoritaria del capitale della RAGIONE_SOCIALE l’8 settembre 2011 (meno di una settimana prima dell’ assemblea del 14 settembre successivo) e di avere esercitato l’ opzione sulle quote di nuova emissione nella misura del 70%, aveva comunque partecipato consapevolmente e volontariamente alla delibera di azzeramento delle quote societarie in sequestro, causandone la soppressione e concorrendo alla consumazione del reato di cui all’art. 388 cod. pen., per l’integrazione del quale sarebbe sufficiente il dolo generico.
A.1.1. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’ appello, nel ritenere, con argomentato giudizio di merito, che i fatti illeciti di distrazione del patrimonio della RAGIONE_SOCIALE e di soppressione delle quote del capitale sociale sottoposte a sequestro fossero imputabili soltanto a NOME COGNOME ed NOME COGNOME ha motivatamente escluso -condividendo nella sostanza, al riguardo, le valutazioni già formulate dal primo giudice -la responsabilità dei convenuti COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME.
Con riguardo al notaio NOME COGNOME la Corte territoriale ha accertato che l’assemblea sociale del 14 settembre 2011, di cui egli aveva redatto il verbale, era stata regolarmente convocata e altrettanto regolarmente costituita, avendo il presidente constatato la presenza del 97% del capitale sociale; che, inoltre, ai sensi degli artt. 2471bis e 2352 cod. civ., era presente in essa il custode, per esercitare il diritto di voto relativo alle quote sottoposte a sequestro giudiziario, il quale, tra l’altro, era m unito anche dell’autorizzazione del T ribunale di Ancona ad esercitare le azioni di cui all’art. 2476 cod. civ.; che, infine, nel provvedimento giudiziario autorizzativo era specificato che « nulla osta al ripristino del capitale sociale ».
Sulla base di tali accertamenti, la Corte di merito ha quindi ritenuto che non potesse essere formulato, nei confronti del notaio, alcun giudizio di colpa, sussistendo presupposti di fatto tali per cui il professionista non poteva reputarsi esonerato dall’ obbligo di prestare il suo ministero.
Viene, dunque, in considerazione un argomentato giudizio di merito, il quale -in quanto debitamente motivato -non è censurabile in sede di legittimità.
Né può essere delibata nel merito la doglianza, solo formale, di falsa applicazione dell’art. 27 (nonché dell’art.28) della legge notarile; doglianza che, nella sostanza, integra, invece, una inammissibile censura dell’illustrato accertamento di merito.
La Corte d’ appello, infatti, non ha ritenuto, in contrasto con il disposto normativo in esame, che l’obbligo del notaio di rogare gli atti sottoposti al suo ministero non trovi il proprio limite in relazione agli atti nulli (in quanto contrari alla legge, all’ordine pubblico e al bu on costume) o comunque in relazione agli atti che, ancorché formalmente validi, siano tuttavia potenzialmente idonei ad arrecare pregiudizio a terzi (in tal senso, di recente, Cass. 9/01/2025, n. 486), ma, tutt’a l contrario, ha motivatamente apprezzato, alla luce delle circostanze di fatto accertate, che questo limite non potesse considerarsi superato nella fattispecie, dovendosi ritenere valida e non pregiudizievole per i terzi l’assemblea dei soci regolarmente convocata e costituita per la riduzione del capitale sociale con la presenza giudiziariamente autorizzata del custode delle quote di capitale in sequestro, intervenuto per esercitare il relativo diritto di voto.
Avuto riguardo alle motivate e incensurabili valutazioni di merito espresse dal giudice territoriale, le censure formulate dal ricorrente, ad onta delle violazioni di norme di diritto formalmente evocate nell’intestazione, si palesano inammissibili, in quanto tendono, nella sostanza, a provocare dalla Corte di cassazione un apprezzamento delle circostanze di fatto diverso da quello motivatamente fornito dalla Corte d’appello , il quale è insindacabile in questa sede di legittimità.
Per le stesse ragioni sono inammissibili le omologhe censure rivolte al giudizio con cui è stata esclusa la responsabilità del rag. NOME COGNOME dell’ amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, NOME
COGNOME e dell’ amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME
Rispetto al rag. COGNOME, la Corte territoriale, sempre con motivato apprezzamento di fatto, non solo ha escluso che egli redigesse i bilanci della RAGIONE_SOCIALE (reputando accertato, al contrario, che si occupava solo del loro deposito telematico dopo averli ricevuti d all’ufficio amministrativo della società ), ma, soprattutto, ha motivatamente escluso che egli, nel fornire la sua opera per la costituzione della RAGIONE_SOCIALE, avesse dolosamente cooperato alla costituzione di un soggetto giuridico di comodo per il compimento dell’operazione distrattiva , ritenendo che il danneggiato-appellante non ave sse assolto l’ onere di dimostrare con prova certa le sue allegazioni al riguardo e che « gli indizi presenti possono essere oggetto di plurime interpretazioni e per questo motivo hanno una debolezza intrinseca che li rende non decisivi ».
Anche rispetto ad NOME COGNOME e NOME COGNOME, la Corte d’appello ha escluso che fosse stata fornita dall’onerato la prova della loro compartecipazione dolosa alle operazioni illecite poste in essere da NOME COGNOME osservando, quanto al primo, che la circostanza che fosse il cognato del COGNOME non implicava che fosse a conoscenza del piano criminoso da quegli escogitato e, quanto al secondo, che la prova del dolo non potesse desumersi dal solo fatto dell’ avvenuto acquisto del 6% delle quote della RAGIONE_SOCIALE nel mese di settembre 2011; ciò, evidentemente, sull’implicito presupposto, corretto in iure , che dalla (pur consapevole) partecipazione all’ assemblea convocata per la riduzione del capitale sociale con l ‘ esercizio dei diritti connessi alla qualità di soci, non potesse desumersi la sussistenza del dolo (pur
generico) del reato di cui all’art. 388 cod. pen., né , men che meno, l’imputabilità dell’illecito aquiliano, ai sensi dell’art. 2055 cod. civ..
Al cospetto degli illustrati rilievi, va ribadito che le censure veicolate con il motivo di ricorso in esame, nella loro complessiva articolazione, attengono, nella sostanza, a profili di fatto e tendono a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello espresso dalla Corte d ‘ appello, omettendo di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento ad esso funzionale -delle risultanze istruttorie sono attività riservate al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi ( ex plurimis , Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).
Il primo motivo del ricorso principale proposto da NOME COGNOME dunque, va dichiarato inammissibile.
A.2. Con il secondo motivo di tale ricorso viene denunciato l’ « omesso esame di più fatti controversi decisivi, rilevante ex art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., nei confronti del rag. COGNOME »
Il ricorrente principale sostiene che la Corte di merito avrebbe omesso di considerare che il rag. COGNOME non soltanto aveva cooperato con Diomedi per costituire la società di comodo RAGIONE_SOCIALE, ma lo aveva persino sollecitato in tal senso, gli aveva presentato la sua collaboratrice, NOME COGNOME gli aveva fornito la sede presso il suo studio e l’indirizzo pec e , infine, aveva anche reperito un altro prestanome (tale NOME COGNOME nella veste di mero intestatario delle quote di minoranza del soggetto giuridico di comodo.
Tenuto conto di tali circostanze di fatto, il giudice del merito avrebbe dovuto ritenere che NOME COGNOME era stato « l’artefice, l’ideatore e l’organizzatore della cessione del ramo d’azienda a prezzo vile, cooperando con il Diomedi in tutta l’operazione per cui è causa e vincendone persino le remore ».
A.2.1. Il motivo è manifestamente inammissibile per più ragioni.
Infatti, non solo le doglianze con esso formulate attingono nuovamente il motivato (e insindacabile) giudizio di fatto espresso dal giudice del merito, ma, inoltre, esse si infrangono sulla preclusione (già prevista d all’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc., civ. e, oggi, dal ‘nuovo’ art. 360, quarto comma, cod. proc. civ., introdotto dal d.lgs. n.149 del 2022) che esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dello stesso art. 360, nell’ipotesi in cui la sentenza d ‘ appello impu gnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’); in proposito, questa Corte ha da tempo chiarito che il presupposto di applicabilità di tale preclusione risiede nella c.d. ‘doppia conforme’ in facto , sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. , ha l’onere nella specie non assolto, avuto riguardo alla formale conformità delle due decisioni di merito in relazione alla posizione di NOME COGNOME -di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994).
Anche il secondo motivo del ricorso principale, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
A.3. Con il terzo motivo del ricorso principale viene denunciata la « violazione dell’art. 91 c.p.c., rilevante ai sensi dell’art.360, co. 1, n. 3, c.p.c., nei confronti di NOME ».
La sentenza d’appello è censurata per avere indebitamente condannato l’appellante principale (odierno ricorrente) al pagamento delle spese del grado sostenute dall’appellato NOME COGNOME quantunque quest’ultimo fosse rimasto contumace e non avesse dunque sostenuto alcuna spesa.
A.3.1. Il motivo è fondato e va accolto.
Presupposto indefettibile della condanna alle spese di lite è che la parte, a cui favore dette spese sono attribuite, le abbia in realtà sostenute per lo svolgimento dell’attività difensiva correlata alla sua partecipazione in giudizio.
Pertanto, la statuizione con la quale il giudice liquidi le spese in favore della parte vittoriosa rimasta contumace, va cassata senza rinvio, in applicazione dell ‘ art. 382, terzo comma, cod. proc. civ., in quanto, pur essendo espressione di un potere officioso del giudice, la condanna alle spese in favore della parte vittoriosa che non si sia difesa e non abbia, quindi, sopportato il corrispondente carico non può essere disposta ed è assimilabile ad una pronuncia resa in mancanza del suddetto potere (Cass.26/06/2018, n. 16786; Cass. 14705/2024, n. 13253).
A.4. Con il quarto motivo del ricorso principale viene denunciata la « violazione dell’art. 4 del d.m. n. 55/2014 e delle relative tabelle, rilevante ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME ».
Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello, in sede di statuizione sulle spese del grado, abbia liquidato a suo carico anche il
compenso per la fase istruttoria/di trattazione; osserva che l’art. 4, comma 5, del D.M. n. 55/2014, anche in seguito alle modifiche apportate con D.M. n.147/2022, prevede che tale fase rilevi ai fini della liquidazione del compenso quando effettivamente svolta.
Deduce, allegando i verbali d ‘udienza, che lo svolgimento del giudizio di appello si era articolato solo nella prima udienza di trattazione -in cui non era stata svolta alcuna delle attività contemplate nell’art.350 cod. proc. civ. o nell’art. 4, comma 5, lett. c) , del D.M. n. 55 del 2014 -e nella successiva udienza di precisazione delle conclusioni.
A.4.1. Il motivo è infondato.
Da l verbale della prima udienza in grado d’appello (9 settembre 2020) risulta che a tale udienza erano comparsi diversi difensori, ognuno dei quali si era riportato alle ‘note d’udienza’. Deve pertanto ritenersi che in seguito all’introduzione del giudizio d’appello e prima della fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni (rientrante nella fase decisoria), le parti avevano formulato note d’udienza, le quali rientrano nell ‘ ampio genus delle ‘ memorie illustrative o di precisazione o integrazione delle domande o dei motivi d’impugnazione, eccezioni e conclusioni ‘ previste dall’art. 4 D.M. n. 55 del 2014.
P ur in difetto di attività istruttoria, nel giudizio d’appello la fase decisoria era stata dunque preceduta da un’attività rientrante nell’ampio genere della trattazione, per modo che deve ritenersi corretta la scelta del giudice del merito di procedere alla relativa liquidazione in sede di statuizione sulle spese del grado.
Il quarto motivo del ricorso principale va dunque rigettato.
A.5. Con il quinto motivo del ricorso principale viene denunciata la « violazione dell’art. 91 c. p. c., rilevante ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nei confronti di NOME COGNOME ».
NOME COGNOME si duole che il giudice d’appello abbia condannato NOME COGNOME a rimborsargli solo le spese del grado, senza riformare sul punto la sentenza di primo grado, che invece aveva compensato le spese del relativo rapporto processuale.
A.5.1. Il motivo è inammissibile.
Va ribadito -dandosi continuità ad un consolidato orientamento di questa Corte -che il regolamento delle spese processuali è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito e trova un limite nella violazione del principio della soccombenza sancito dall ‘ art. 91 cod. proc. civ., la quale si verifica solo allorché le spese vengano indebitamente poste a carico della parte totalmente vittoriosa ( ex aliis , Cass. 24/06/2003, n. 10009; Cass. 26/11/2020, n. 26912).
B.1. Passando al ricorso incidentale proposto da NOME COGNOME con il primo motivo viene denunciata « Violazione e falsa applicazione ed interpretazione dell’art. 345 c.p.c. avendo l’appellante COGNOME NOME formulato una domanda nuova in grado di appello rispetto alle conclusioni rassegnate nel corso del primo grado di giudizio (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) ».
La ricorrente censura la sentenza impugnata per aver disatteso l’ eccezione, da essa ritualmente sollevata, avente ad oggetto la novità e la conseguente inammissibilità della domanda risarcitoria proposta in grado d’ appello da NOME COGNOME il quale soltanto nel secondo grado di merito avrebbe chiesto l’accertamento del vi ncolo di solidarietà risarcitoria tra tutti i convenuti; accertamento invece non invocato nelle conclusioni rassegnate in primo grado, con le quali il danneggiato si
sarebbe limitato a chiedere « la condanna al risarcimento dei danni patiti da parte di ognuno dei convenuti per l’intero ».
A sostegno di questa censura viene richiamato il principio espresso da questa Corte con la sentenza 31/03/2011, n.7441.
B.1.1. Il motivo è manifestamente infondato e si pone al limite della pretestuosità.
La perfetta sovrapponibilità tra le conclusioni rese dal danneggiato in primo grado e in appello -al di là di alcune variazioni terminologiche e della riduzione del petitum al quantum già accertato in ragione dell’avvenuta condanna di NOME COGNOME nonché, soprattutto, la circostanza che in entrambe le sedi l’attore aveva domandato la condanna solidale dei convenuti al risarcimento del danno, emergono con evidenza dalla trascrizione di dette conclusioni effettuata dalla stessa ricorrente incidentale a pag. 27 del ricorso.
Stando al tenore di questa trascrizione, infatti, NOME COGNOME aveva domandato, in primo grado, di « condannare i convenuti, in solido, al risarcimento dei danni … nella misura di almeno € 2.000.000 ciascuno » e, in appello, di condannare gli appellati COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, sempre « in solido fra loro e con il Sig. NOME COGNOME, già condannato in primo grado e non destinatario dell’appello, « al risarcimento del danno … nella misura accertata nella sentenza gravata e pari ad € 608.000 ».
Pertanto, il ricorrente aveva espressamente invocato la condanna solidale dei convenuti in entrambe le sedi, pur differenziando la domanda, sotto il profilo soggettivo, in ragione della già ottenuta condanna di NOME COGNOME nonché, sotto il profilo oggettivo, in ragione della già avvenuta liquidazione del l’ intero danno in relazione alla posizione del condebitore già condannato.
Ad abundantiam , va poi rilevato che, quand’ anche, in primo grado, fosse mancata l’ espressa richiesta di accertamento della comune corresponsabilità nella causazione dell ‘ evento dannoso, l’ esercizio dell ‘ azione di risarcimento dei danni cumulativamente nei confronti di tutti i convenuti per l’intero avrebbe comunque postulato la loro responsabilità solidale ai sensi dell ‘ art. 2055 cod. civ., sicché l’ estensione solidale ad NOME COGNOME della condanna già emessa in confronto di NOME COGNOME non avrebbe costituito oggetto di domanda nuova, essendo essa già stata formulata in primo grado, sul presupposto della sussistenza del vincolo di solidarietà.
Ciò, in conformità al principio espresso proprio da Cass. 31/03/2011, n.7441 (e ribadito da Cass. 18/06/2015, n. 12602), non pertinentemente richiamata dalla ricorrente incidentale, secondo il quale , nell’ipotesi di esercizio cumulativo dell’azione risarcitoria nei confronti di tutti i soggetti cui sono imputabili le condotte illecite dedotte dall’attore, la mancanza dell’ espressa richiesta del vincolo della solidarietà comporta soltanto che il relativo accertamento non costituisca oggetto della decisione con efficacia di giudicato, ma non preclude evidentemente al giudice la possibilità di condannare ciascun debitore per l’intero , previo accertamento (da reputarsi meramente incidentale) della sua responsabilità solidale ex art. 2055 cod. civ., la cui sussistenza è comunque presupposta dall’azione risarcitoria cumulativamente esercitata.
Nella fattispecie in esame, tuttavia -giova ripeterlo -, l’attore, sin dal primo grado, aveva agito verso tutti i condebitori, non sul mero presupposto della solidarietà, ma invocandone espressamente la condanna solidale, sicché è manifestamente infondata la censura di
novità -e di conseguente inammissibilità -della domanda da lui spiegata in appello.
Il primo motivo del ricorso incidentale va dunque rigettato.
B.2. Con il secondo motivo dello stesso ricorso viene denunciata la « Violazione e falsa applicazione ed interpretazione dell’art. 116 c.p.c . con riferimento alla prova della legittimazione attiva in capo al Sig. COGNOME NOME anche in relazione all’art. 2704 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) ».
Riproponendo una doglianza già formulata dinanzi al giudice d’appello e da esso respinta, viene contestata la legittimazione all’azione risarcitoria in capo a NOME COGNOME sull’assunto che, nell’ipotesi di intestazione fiduciaria di azioni o quote sociali , l’esercizio dei diritti e dei poteri correlati alla titolarità della partecipazione sociale competerebbe esclusivamente al fiduciario.
La ricorrente, citando una pronuncia della giurisprudenza di merito (Trib. Roma, Sez. III, 21/02/2017, n. 3410), sostiene che il c.d. pactum fiduciae (nella specie concluso tra NOME COGNOME e NOME COGNOME con l’intestazione fiduciaria delle quote sociali di cui era stato poi domandato ed ottenuto il sequestro giudiziario) sarebbe efficace soltanto nei rapporti interni, tra fiduciante e fiduciario; invece, nei rapporti esterni e, dunque, rispetto ai terzi ed alla stessa società delle cui partecipazioni si discute, dovrebbe considerarsi socio reale il soggetto fiduciario, intestatario effettivo della quota.
B.2.1. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, nonché decisamente pretestuoso.
La legittimazione all ‘ azione risarcitoria dipende dall’ affermazione della qualità di danneggiato. Chi si afferma danneggiato da un fatto illecito altrui è perciò stesso legittimato all’azione risarcitoria, in quanto
la legitimatio ad causam va verificata in chiave di affermazione. La verifica della sussistenza dell’ illecito e del danno attiene al merito della domanda e alla sussistenza in concreto del diritto di credito risarcitorio. Esso, nella circostanza, è stato accertato come sussistente dal giudice del merito, il quale ha ritenuto imputabili sia a NOME COGNOME che ad NOME COGNOME le condotte illecite di distrazione del patrimonio della società RAGIONE_SOCIALE e di soppressione delle quote di capitale sociale oggetto di sequestro, da cui erano conseguiti effetti patrimonialmente pregiudizievoli per l’attore .
Il carattere persino pretestuoso della doglianza in esame emerge, poi, con tutta evidenza, dalla considerazione che l’ indebita individuazione delle condizioni della legittimazione all’azione risarcitoria nella formale titolarità delle quote sociali comporterebbe, nella fattispecie, l’ irragionevole implicazione per cui la predetta legittimazione avrebbe dovuto riconoscersi allo stesso NOME COGNOME
Anche il secondo motivo del ricorso incidentale, pertanto, deve essere rigettato.
B.3. Con il terzo motivo del medesimo ricorso viene denunciata la « Violazione e falsa applicazione ed interpretazione, con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c. in ordine alla responsabilità della dott.ssa NOME COGNOME (art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c.) ».
NOME COGNOME critica la sentenza impugnata per averla ritenuta responsabile, in solido con NOME COGNOME, del danno subìto da NOME COGNOME.
Reputa che ad essa « non può essere ascritta alcuna responsabilità » per tale danno.
Rammenta che il giudice di primo grado aveva correttamente osservato, da un lato, che, venendo in considerazione un sequestro di
quote del capitale della RAGIONE_SOCIALE e non dell’intera società, essa, in quanto custode, non aveva potuto concretamente impedire la realizzazione delle operazioni illecite da parte dell’amministratore e, dall’altro, che, in ogni caso, non erano emersi ele menti che inducessero a ritenere manifestamente errata o colpevolmente adottata la sua decisione di votare favorevolmente alle operazioni sul capitale e di rinunciare alla prelazione sulle quote medesime, tenuto conto che dai dato di bilancio si poteva ragionevolmente dubitare della sopravvivenza della società.
Si duole che il giudice d’ appello non abbia considerato che il custode sequestratario giudiziario di quote altro non è che un gestore delle stesse che opera sotto il controllo del giudice e che essa, nel partecipare all’ assemblea del 14 settembre 2011, si era attenuta scrupolosamente alle indicazioni fornitegli dal Tribunale di Ancona.
Imputa alla Corte territoriale di non aver considerato il provvedimento del Tribunale del Riesame del 4 novembre 2021 in cui era stato rilevato che il custode giudiziario non aveva posto in essere alcuna condotta elusiva del sequestro; sostiene che l’ omessa considerazione di tale provvedimento, in spregio al principio della valutazione globale delle risultanze istruttorie, avrebbe concretato la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
B.3.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.
Esso, infatti, propone la revisione dell’accertamento di fatto relativo alla responsabilità della ricorrente, sulla base di una diversa ricostruzione dei fatti e di una alternativa valutazione delle prove, omettendo di considerare che tali attività sono riservate al giudice del merito e che la Corte di cassazione non può sindacare il giudizio di inferenza probatoria motivatamente assegnato ad ognuna risultanza
istruttoria, posto che -come si è già osservato -al giudice del merito è esclusivamente riservata non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, tra di esse, di quelle ritenute maggiormente attendibili e concludenti.
In maniera non coerente con le (inammissibili) argomentazioni formulate, è stata poi dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., la quale sussiste, rispettivamente, soltanto quando il giudice decida sulla base di prove non proposte dalle parti o in violazione del principio di non contestazione, oppure disattenda il principio di libera valutazione della prova in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 19/04/2021, n. 10253).
Il terzo motivo del ricorso incidentale, quindi, deve essere dichiarato inammissibile.
B.4. Con il quarto motivo del ricorso incidentale viene denunciata la « Violazione e falsa applicazione ed interpretazione dell’art. 2055, comma 3, c.c. per avere la Corte erroneamente ritenuto che un egual grado di colpa nelle condotte poste in essere dalla Dott.ssa COGNOME NOME e dal Sig. COGNOME NOME (art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.) ».
NOME COGNOME sostiene che, nel riformare in suo sfavore la sentenza di primo grado, la Corte d’appello, facendo « errata ed illegittima applicazione dell’art. 2055, comma 3, c.c. », avrebbe ritenuto « un paritetico concorso delle singole condotte poste in essere dall’odierna ricorrente e dal Diomedi nella causazione del predetto danno », in spregio al principio per cui il giudice può fare ricorso alla presunzione di uguaglianza delle colpe previsto dalla suddetta disposizione « solo in presenza di una situazione di dubbio oggettivo e
reale, configurabile quando non sia possibile valutare neppure approssimativamente le misura delle singole responsabilità ».
Deduce che, nella fattispecie, risulterebbe « ictu oculi che a fronte di quanto posto in essere dal Diomedi le responsabilità addossate alla ricorrente sono assai di diverso spessore e con un efficienza causale assai ben inferiore, dovendo indubitabilmente ritenersi il Diomedi l’unico ideatore ed esecutore materiale dell’intera operazione economica che ha poi portato all’azzeramento delle quote ».
B.4.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.
La Corte d’ appello non ha svolto alcuna graduazione delle colpe tra i corresponsabili , ai sensi dell’art. 2055, terzo comma, cod. civ., essendosi limitata a provvedere, ai sensi del primo comma dello stesso articolo, sulla domanda risarcitoria proposta dal danneggiato nei loro confronti, accertando la responsabilità di NOME COGNOME in solido con quella già accertata di NOME COGNOME e condannandola al risarcimento del danno.
Il giudizio di graduazione delle colpe e di accertamento dell’entità delle conseguenze derivate dalla condotta di ognuno dei compartecipi del fatto dannoso -nella fattispecie non richiesto dal danneggiato, che aspirava ad una condanna solidale -attiene, in via generale, non già al lato esterno dell’obbligazione risarcitoria solidale (ovverosia ai rapporti tra il danneggiato e la pluralità dei danneggianti), bensì ai rapporti interni tra questi ultimi, sicché la legittimazione a proporre la relativa domanda spetta non al creditore ma ad ognuno dei debitori, in funzione dell’ esercizio del diritto di regresso (artt. 2055, secondo e terzo comma, 1298, 1299 cod. civ.).
In altre parole, in tema di fatto illecito imputabile a più persone, la questione della gravità delle rispettive colpe e dell ‘ entità delle
conseguenze derivatene può essere esaminata dal giudice del merito, adìto dal danneggiato, solo se uno dei condebitori abbia esercitato l ‘ azione di regresso nei confronti degli altri oppure -secondo un principio consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte inteso all’ interpretazione evolutiva del rigoroso disposto testuale delle norme surrichiamate -se, in vista del regresso, il condebitore abbia chiesto il predetto accertamento in funzione della ripartizione interna tra i corresponsabili (Cass. 19/03/2025, n. 7332; in precedenza, v. Cass. 11/03/1998 n. 2680; Cass. 13/11/2002, n.15930; Cass. 19/05/2008, n. 12691; Cass. 20/12/2018, n. 32930).
Nel caso di specie, la legittimazione a chiedere l ‘ accertamento della gravità delle colpe e dell’entità delle conseguenze derivate dalla condotta propria e da quella di NOME COGNOME spettava, dunque, ad NOME COGNOME ma tale legittimazione avrebbe dovuto essere esercitata espressamente (non potendo la relativa domanda ricavarsi dalle eccezioni con le quali il condebitore abbia escluso la sua responsabilità nel diverso rapporto con il danneggiato: Cass. n. 32930/2018, cit. ) e tempestivamente (non potendo la medesima domanda essere proposta ex novo , in grado d’appello e, men che meno, nel giudizio di cassazione: Cass. n.7332/2025, cit. ).
Il quarto motivo del ricorso incidentale, pertanto, si traduce nella proposizione, in questa sede di legittimità, di una questione che la parte legittimata, attinta dalla domanda risarcitoria del danneggiato, avrebbe avuto l’onere di proporre già in primo grado e che invece non dimostra (né deduce) di avere ritualmente proposto, neppure in sede di appello incidentale.
Ne discende la manifesta inammissibilità del motivo in esame.
B.5. Con il quinto motivo del ricorso incidentale viene denunciata la « Violazione e falsa applicazione ed interpretazione dell’art. 2055, comma 3, c.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. per avere la Corte erroneamente ritenuto l’importo del danno lamentato dall’appellante COGNOME Massimo pari a € 608.000,00 e omettendo ogni val utazione al riguardo (art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.) ».
La sentenza impugnata è censurata per aver liquidato il danno nella somma di Euro 608.000,00, senza motivare al riguardo e senza considerare il reale ammontare del pregiudizio, da reputarsi « assai inferiore » all ‘importo liquidato.
Secondo la ricorrente incidentale, infatti, questo importo, tenuto conto che « poco tempo dopo le vicende per cui è causa » la RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata dichiarata fallita e che NOME COGNOME aveva agito per ottenere il risarcimento dell’equivalente della quota societaria pari al 30,5%, avrebbe dovuto ritenersi « fuori da ogni logica e non ancorato a quello che era il valore concreto della quota ».
B.5.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.
Non è affatto vero che la Corte territoriale abbia proceduto alla liquidazione del danno senza motivare al riguardo, dal momento che essa, nell’ estendere solidalmente ad NOME COGNOME la condanna già emessa dal primo giudice nei confronti di NOME COGNOME ha reputato, richiamando le ragioni già evidenziate dal primo giudice, che il danno subìto da NOME COGNOME dovesse essere liquidato facendo riferimento al « valore patrimoniale delle quote soppresse in epoca antecedente al compimento delle operazioni pregiudizievoli », pur considerando, peraltro, « i soli elementi dell’attivo patrimoniale » risultanti dagli atti.
In ragione di ciò , la Corte d’appello ha quindi convenuto che il pregiudizio fosse liquidabile nella misura di Euro 608.000,00, « pari al 30,5% del valore stimato del ramo d’azienda ceduto ».
Ciò posto, è evidente che la censura in esame, ad onta della formale intestazione, con cui si evoca un inesistente vizio di omessa pronuncia, attinge ancora una volta le valutazioni di fatto espresse dal giudice territoriale, indirizzando al giudizio di merito concernente il quantum debeatur critiche analoghe a quelle rivolte mediante il terzo motivo (v., supra , Punti B.3. e B.3.1. ) al giudizio di merito concernente l’ an debeaur .
Tali critiche, in quanto tendenti a suscitare da questa Corte un apprezzamento dei fatti e una valutazione delle risultanze probatorie alternative a quelle motivatamente svolte dalla Corte d’ appello, vanno pertanto incontro alla medesima sanzione di inammissibilità.
In conclusione, va accolto il terzo motivo del ricorso principale proposto da NOME COGNOME rigettato il quarto e dichiarati inammissibili il primo, il secondo e il quinto.
Va complessivamente rigettato il ricorso incidentale proposto da NOME COGNOME per essere manifestamente infondati il primo e il secondo motivo e manifestamente inammissibili il terzo, il quarto e il quinto.
La sentenza impugnata va cassata senza rinvio in relazione al motivo accolto, limitatamente alla statuizione di condanna de ll’appellante principale, NOME COGNOME alle spese processuali del grado a favore di NOME COGNOME appellato contumace.
C.1. In ragione della cassazione parziale, restano ferme le altre statuizioni della sentenza impugnata, mentre vanno compensate le spese del giudizio di legittimità in relazione ai rapporti processuali tra
il ricorrente e i controricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
NOME COGNOME soccombente nei confronti del controricorrente NOME COGNOME va condannata a rimborsare a quest’ultimo le spese del giudizio di legittimità concernenti il relativo rapporto processuale, liquidate come in dispositivo, mentre non vi è luogo a provvedere su quelle del rapporto processuale intercorso tra NOME COGNOME e gli altri controricorrenti, non avendo la ricorrente incidentale indirizzato alcun motivo di ricorso nei loro confronti.
C.3. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente NOME COGNOME dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME rigetta il quarto, e dichiara inammissibili il primo, il secondo e il quinto; in relazione al motivo accolto, cassa senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla sola statuizione di condanna di NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali del grado d’appello in favore di NOME COGNOME
Compensa le spese del giudizio di legittimità concernenti i rapporti processuali tra NOME COGNOME e i controricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
Rigetta il ricorso proposto da NOME COGNOME e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente NOME COGNOME le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 14.000,00 per compensi, oltre
alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
A norma dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di NOME COGNOME dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 24 giugno 2025.
Il Presidente NOME COGNOME