Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7332 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7332 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 02525/2022 R.G., proposto da
NOME COGNOME ; rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAILpec.ordineforense.salerno.it), in virtù di procura in calce al ricorso;
-ricorrente-
nei confronti di
Condominio ‘ RAGIONE_SOCIALE , ubicato in Chieti, INDIRIZZO, in persona del l’amministratore e legale rappresentante pro tempore ; rappresentato e difeso dall ‘ Avv. NOME COGNOME (pec: EMAILpec.ordineavvocatichietiEMAIL), in virtù di procura conferita con atto separato, depositato nel fascicolo telematico;
-controricorrente-
nonché di
NOME COGNOME , NOME COGNOME eredi di NOME COGNOME; rappresentat i e difesi dall’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL), in virtù di procura rilasciata su foglio separato congiunto al controricorso;
-controricorrenti- e di
NOME COGNOME Curatela del Fallimento di NOME COGNOME
-intimati-
per la cassazione della sentenza n. 1705/2021 della CORTE d ‘ APPELLO d ell’AQUILA , depositata il 17 novembre 2021, notificata il 25 novembre 2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 23 maggio 2014, NOME COGNOME, proprietario di un appartamento ubicato al sesto piano del Condominio ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ , situato a Chieti, in INDIRIZZO all’esito di un ATP che aveva accertato la sussistenza di infiltrazioni dalle unità immobiliari poste ai piani settimo e ottavo, convenne in giudizio risarcitorio e riparatorio dinanzi al Tribunale di Chieti la proprietaria di tali unità, NOME COGNOME oltre allo stesso Condominio.
Nella contumacia della prima, si costituì il secondo, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, sul l’assunto che i locali siti al settimo e ottavo piano erano distinti catastalmente in tre diverse unità immobiliari, una parte delle quali era nella nuda proprietà di NOME
COGNOME, mentre l’altra parte era nella proprietà di NOME COGNOME e NOME COGNOME (dichiarato fallito nel 2010), i quali erano anche usufruttuari della quota oggetto della nuda proprietà di NOME COGNOME.
Espletata una prova per testimoni e una CTU, Il Tribunale, con sentenza non definitiva 31 maggio 2018, n.231, rigettò la domanda nei confronti del Condominio e con successiva ordinanza ordinò l’integrazione del contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME e del Fallimento di NOME COGNOME cui l’attore estese la domanda risarcitoria e riparatoria.
Con sentenza definitiva 3 dicembre 2019, n. 767, il Tribunale di Chieti dichiarò inammissibile la domanda nei confronti del Fallimento, in quanto essa avrebbe dovuto proporsi dinanzi al Giudice Delegato, secondo il rito previsto dalla legge fallimentare; accertò la solidale responsabilità di NOME COGNOME e di NOME COGNOME e le condannò al pagamento, in favore dell’attore, della somma di Euro 31.415,70, oltre interessi, nonché all’esecuzione , sugli immobili, delle opere necessarie a prevenire ulteriori infiltrazioni, secondo quanto stabilito dalla CTU; rinnovò, infine, la pronuncia di rigetto delle domande formulate dall’ attore nei confronti del Condominio.
La decisione del Tribunale teatino è stata integralmente confermata dalla Corte d’ appello dell’Aquila che, con sentenza 17 novembre 2021, n. 1705, pronunciando nel contraddittorio di NOME COGNOME e NOME COGNOME (costituitisi quali eredi dell’attore NOME COGNOME, nonché del Condominio ‘ RAGIONE_SOCIALE , e nella contumacia di NOME COGNOME e della Curatela fallimentare, ha rigettato l ‘ appello proposto da NOME COGNOME.
La Corte territoriale ha deciso sulla base dei seguenti rilievi:
Ila pronuncia di rigetto della domanda dell’ originario attore nei confronti del Condominio, contenuta nella sentenza non definitiva n. 231 del 2018, non era stata impugnata dall’appellante , sicché su tale sentenza e sul giudizio di irresponsabilità del Condominio era sceso il giudicato;
IIla doglianza secondo la quale la condanna solidale dell’ appellante e di NOME COGNOME non avrebbe tenuto conto della circostanza che degli appartamenti ubicati al settimo e ottavo piano (distinti catastalmente in tre proprietà) NOME COGNOME era nuda proprietaria soltanto per una parte mentre la parte restante era di proprietà di NOME COGNOME e NOME COGNOME, pure usufruttuari della quota della prima (circostanza da cui sarebbe derivata l’implicazione che NOME COGNOME e NOME COGNOME non avrebbero potuto essere condannate al ristoro dell’intero danno, comprensivo della parte imputabile alla proprietà di NOME COGNOME), era infondata, atteso, da un lato, che nei confronti del danneggiato tutti i responsabili del danno (proprietari ed usufruttuari) erano coobbligati in solido e considerato , dall’a ltro lato, che in relazione ai rapporti interni tra i coobbligati non risultava essere stata tempestivamente formulata alcuna domanda tesa alla graduazione delle colpe e che essa domanda non poteva essere proposta per la prima volta in grado d’appello;
IIIl’ eccezione relativa all’ indisponibilità dei locali da parte di NOME COGNOME per effetto del fallimento di NOME COGNOME era restata allo stato di mera allegazione difensiva ed era comunque contraddetta dal dato processualmente acquisito che l’appellante era usufruttuaria degli appartamenti posti ai piani superiori rispetto a quello in cui era ubicato l’appartamento dell’originario attore;
IVnon era quindi fondata la deduzione circa l’impossibilità di eseguire i lavori di manutenzione e di riparazione per indisponibilità dei locali , dovendo tra l’altro ritenersi che eventuali questioni relative all’ esecuzione di tali lavori andavano poste dinanzi al giudice dell’esecuzione.
Avverso la sentenza della Corte aquilana propone ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di due motivi.
Rispondono con controricorso NOME e NOME COGNOME.
Risponde altresì con distinto controricorso il Condominio RAGIONE_SOCIALE . Non svolgono difese in sede di legittimità, benché intimati, NOME
COGNOME e la Curatela fallimentare di NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte.
I controricorrenti NOME e NOME COGNOME e il controricorrente RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo è denunciata «illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.Violazione e falsa applicazione art. 2909 c.c.».
La ricorrente censura la gravata sentenza nella parte in cui ha statuito che sulla pronuncia di rigetto della domanda proposta dall’originario attore nei confronti del Condominio era sceso il giudicato perché la sentenza non definitiva n. 231 del 2018, in cui tale pronuncia era contenuta, non era stata da lei impugnata.
NOME COGNOME s ostiene che la Corte d’ appello avrebbe omesso di considerare che la predetta sentenza non definitiva era stata emessa prima della sua chiamata nel processo, sicché essa non era
stata parte del rapporto processuale definito con tale sentenza e non era quindi né vincolata dalle sue statuizioni, né legittimata ad impugnarla.
1.2. Con il secondo motivo è denunciata «illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.- Violazione e falsa applicazione art. 115 , comma 1 c.p.c.».
Sulla premessa che, ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ., il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita, NOME COGNOME sostiene che, nella fattispecie, diversamente da quanto reputato dalla Corte territoriale (secondo cui « non sarebbe stata specificata la proprietà riconducibile alla COGNOME »), era stata invece debitamente documentata « la proprietà riconducibile al soggetto fallito e per esso alla Curatela », con la conseguenza che essa ricorrente non avrebbe potuto essere chiamata a rispondere « per le infiltrazioni scaturenti da detta parte di edificio », tanto più che risultava altresì provata l’ avvenuta sistematica eliminazione, da parte di NOME COGNOME, delle infiltrazioni verificatesi prima della sua dichiarazione di fallimento, mentre solo dopo tale dichiarazione era venuta meno la manutenzione degli immobili.
I due motivi di ricorso -da trattarsi congiuntamente per ragioni di connessione -sono inammissibili, poiché le doglianze con esse veicolate non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata, mentre va corretta in via integrativa la motivazione di quest’ultima , il cui dispositivo è conforme a diritto (art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ.).
2.1. Il rilievo circa il passaggio in giudicato, anche nei confronti di NOME COGNOME, della pronuncia di rigetto della domanda proposta
dall’ originario attore nei confronti del Condominio è corretto, in quanto tale pronuncia, come risulta anche dal ricorso (pag.4), sebbene fosse stata resa con la sentenza di primo grado non definitiva n.231/2018, era stata tuttavia ribadita anche in quella definitiva n. 767/2019 (cfr. la motivazione di tale sentenza -pagg. 5-11 -nonché il suo dispositivo -pag.18) e in quanto essa statuizione (evidentemente emessa anche in confronto di NOME COGNOME a definizione del giudizio in cui era stata ritualmente chiamata) non risulta essere stata specificamente impugnata con l’atto d’ appello.
2.2. La pronuncia di condanna in solido al risarcimento del danno emessa nei confronti di NOME COGNOME (nuda proprietaria di una parte dei locali posti ai piani superiori rispetto a quello interessato dalle infiltrazioni) e di NOME COGNOME (usufruttuaria della medesima parte, nonché proprietaria, insieme a NOME COGNOME, della parte residua) ha trovato fondamento, non già nella reputata mancata specificazione della parte di proprietà riferibile a NOME COGNOME e di quella riconducibile al soggetto fallito (e, per esso, alla Curatela), bensì nell’ accertamento di merito circa la cooperazione colposa di tutti i soggetti, titolari di diritti di proprietà ed usufrutto sugli immobili situati ai piani superiori rispetto a quelli interessati dalle infiltrazioni, nella produzione del danno complessivamente sofferto dall’attore.
Accertata l’im putabilità del fatto dannoso al concorso di tutti questi soggetti, essi correttamente sono stati condannati in solido al risarcimento delle conseguenze pregiudizievoli (salva la pronuncia di mero rito pure correttamente emessa in confronto della Curatela fallimentare, stante la regola per cui ogni credito vantato nei confronti del fallito va accertato, salvo diverse disposizioni di legge, secondo le norme stabilite dal Capo V della legge fallimentare, dinanzi al giudice
delegato, con conseguente improcedibilità delle domande proposte in violazione di tale rito: artt. 52, secondo comma, e 93 legge fall.).
Invero, trova applicazione anche nelle obbligazioni ex delicto , il canone di solidarietà che normalmente caratterizza le obbligazioni soggettivamente complesse ex latere debitoris , secondo il quale, nel lato esterno dell’obbligazione ( ovverosia, nei confronti del comune creditore che agisce per l’adempimento o per il risarcimento del danno), tutti i condebitori o corresponsabili sono obbligati in solido ad eseguire la prestazione per l’intero e il pagamento da parte di uno libera gli altri (artt. 2055, primo comma, e 1292 cod. civ.).
La Corte d’appello non solo ha fatto corretta applicazione di questa regola ma ha anche -altrettanto correttamente -precisato che la divisione del carico della prestazione risarcitoria nei rapporti interni tra i soggetti responsabili (nella misura determinata dalla gravità delle rispettive colpe e dell ‘entità delle conseguenze derivatene: art. 2055, secondo comma, cod. civ.) avrebbe postulato una domanda di regresso non proponibile per la prima volta in appello.
Al riguardo giova infatti ricordare che la legittimazione alla domanda di regresso -ad onta del rigoroso disposto testuale dell’art. 1299 cod. civ. -non presuppone necessariamente l’avvenuto pagamento del debito, poiché tale domanda può essere proposta anche in via preventiva dal condebitore ex delicto , in previsione dell’esito positivo dell’azione intrapresa dal danneggiato (Cass. 11/03/1998 n. 2680; Cass. 13711/2002, n.15930; Cass. 19/05/2008, n. 12691).
Tuttavia, la domanda di regresso -e, più in generale, quella diretta all’accertamento della gravità delle diverse colpe e dell’entità delle conseguenze derivatene -per un verso, deve essere proposta espressamente dal responsabile regrediente in funzione della
ripartizione interna del peso del risarcimento con i corresponsabili e non può invece ricavarsi dalle eccezioni con cui il condebitore abbia escluso la sua responsabilità nel diverso rapporto con il danneggiato (Cass. 20/12/2018, n.32930); per altro verso, resta soggetta alla regola generale del divieto di ius novorum (art. 345 cod. proc. civ.) talché non può essere proposta, ex novo , in grado d’appello.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le peculiari vicende processuali della controversia (caratterizzata, in particolare, nel giudizio di primo grado, dall’emissione di una sentenza non definitiva di rigetto della domanda formulata nei confronti di uno dei consorti e dalla successiva estensione del rapporto processuale nei confronti di altri) giustificano l’integrale compensazione, tra le parti costituite, delle spese del giudizio di legittimità.
L a decisione di inammissibilità dell’impugnazione comporta che deve darsi atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , al competente ufficio di merito, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione