Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5519 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5519 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 2340 del ruolo generale dell’anno 20 20, proposto
da
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE– RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE,
in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, giusta procura speciale su foglio separato allegato al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, presso lo studio del quale in Battipaglia, alla INDIRIZZO, elettivamente si domicilia
-ricorrente-
contro
NOME NOME, elettivamente domiciliatasi in Reggio Calabria, alla INDIRIZZO, presso lo studio del proprio difensore e procuratore AVV_NOTAIO, giusta procura speciale su foglio allegato al controricorso
-controricorrente-
Oggetto: RAGIONE_SOCIALE– Esecuzione di bonificiResponsabilità solidaleQuestione di giudicato.
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME
-intimati-
per la cassazione della sentenza del la Corte d’appello di Salerno n. 1510/19, depositata in data 5 novembre 2019; 21
udita la relazione sulla causa svolta nell’adunanza camerale del febbraio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
Emerge dagli atti e dalla sentenza impugnata che NOME COGNOME eseguì il pagamento di forniture di latticini freschi compiute da NOME COGNOME tramite la propria banca, per mezzo di bonifici su un conto corrente aperto presso la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE–RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed artigiana, indicando come beneficiario il proprio fornitore, ma con un IBAN che identificava altro correntista della medesima banca, ossia RAGIONE_SOCIALE NOME e NOME (RAGIONE_SOCIALE).
NOME COGNOME, non avendo ricevuto la somma oggetto dei bonifici, convenne in giudizio la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per sentirla condannare ad accreditargli gli importi in questione con gli interessi, e, in subordine, a risarcirgli i danni subiti, per un importo pari a quello dei bonifici, e chiamò in causa NOME COGNOME. Anche costei aveva convenuto in giudizio la banca, nonché RAGIONE_SOCIALE, per sentirle condannare al risarcimento dei danni che aveva subito o comunque alla restituzione de ll’indebito .
Il Tribunale di Salerno, disposta la riunione dei due giudizi, per i profili ancora d’interesse rigettò le domande risarcitorie proposte dagli attori nei confronti della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, perché, si legge nella sentenza impugnata, pur affermando la responsabilità dell’istituto di credito, escluse che fosse stata fornita la prova del
quantum del danno subito; rigettò la domanda di restituzione d’indebito proposta da NOME COGNOME nei confronti della banca, ritenendo irrilevante che le somme fossero transitate nella sfera patrimoniale dell’istituto , ma l’accolse nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
La locale corte d’appello ha poi parzialmente accolto l’appello proposto da NOME COGNOME e ha condannato la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in solido con RAGIONE_SOCIALE.c. RAGIONE_SOCIALE S.A.B., la prima ex art. 2043 c.c., la seconda a norma dell’art. 2033 c.c., a pagare entrambe all’appellante la somma oggetto dei bonifici, e il solo istituto di credito anche la rivalutazione monetaria sul relativo importo dal momento del fatto, tenuto conto delle date di versamento dei diversi bonifici bancari fino al deposito della sentenza, e degli ulteriori interessi al tasso legale dal deposito della sentenza al soddisfo.
A fondamento della decisione la corte territoriale ha ritenuto che l’omessa proposizione da parte della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di appello incidentale contro la statuizione della sentenza di primo grado che ne aveva affermato la responsabilità, pur rigettando la domanda risarcitoria per mancanza di prova del quantum, avesse determinato la produzione di un giudicato interno, di modo che ha circoscritto le proprie valutazioni al profilo concernente la quantificazione del danno. Al riguardo ha stabilito che il danno corrispondesse alla somma erogata a NOME COGNOME, che andava, invece, versata a NOME COGNOME, e che doveva essere rivalutata, trattandosi di debito di valore e non di valuta.
La corte ha anche affermato che la diversità dei titoli di responsabilità (extracontrattuale quanto alla banca, ex art. 2033 c.c. quanto al beneficiario delle somme) non è d’ostacolo alla pronuncia di solidarietà, poiché l’art. 2055 c.c. , nel richiedere soltanto che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, riferisce l’unicità del fatto
dannoso soltanto al danneggiato, e non postula affatto l’identità delle norme giuridiche violate.
Contro questa sentenza la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per ottenerne la cassazione, che affida a cinque motivi e illustra con memoria, cui la sola NOME COGNOME replica con controricorso, pure corredato di memoria.
Motivi della decisione
1.- Col primo motivo di ricorso la banca lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 324, 343, 346 c.p.c., nonché degli artt. 2043 e 2909 c.c., là dove la corte d’appello ha affermato che le fosse precluso l’esame della questione concernente la sussistenza della responsabilità extracontrattuale della banca a causa dell’omessa proposizione di appello incidentale contro la statuizione di primo grado con la quale si era ravvisata quella responsabilità, sia pure limitatamente all’ an .
Il motivo è infondato.
In primo grado vi fu una statuizione espressa sulla responsabilità: il tribunale ritenne sussistente il comportamento illecito della banca, la quale non si era attivata per rilevare la difformità tra IBAN e beneficiario indicato negli ordini di bonifico ed evitare o limitare le conseguenze dannose derivanti da quella indicazione scorretta.
Poiché questa statuizione sull’ an debeatur non fu impugnata, la corte d’appello non avrebbe potuto riesaminarla d’ufficio in assenza di appello incidentale, in virtù del principio tantum devolutum, quantum appellatum .
1.1.- Né si può applicare l’art. 346 c.p.c., in base ai principi fissati dalla giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte (e, in particolare, da Cass., sez. un., nn. 7700/16 e 11799/17,
ribaditi, tra varie, da Cass. n. 29642/17; n. 25933/18; n. 20718/23).
Si è difatti stabilito che:
se una questione è decisa espressamente dal giudice in senso sfavorevole alla parte comunque vittoriosa in base all’esito finale della lite, quella statuizione deve essere impugnata con l’appello incidentale;
la questione “non accolta”, che è possibile riproporre in appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c. da parte di chi sia risultato vittorioso in primo grado, e a fronte dell’impugnazione proposta dalla controparte, è solo quella sulla quale il giudice di primo grado non si sia pronunciato, per assorbimento od altra ragione.
1.2.- Al cospetto di una determinata domanda, difatti, il contenuto della decisione, che segna i confini dell’oggetto del giudicato, non è sempre il medesimo, ma varia in ragione del motivo che la sorregge, potendosi avere un accertamento più o meno esteso, posto che « oggetto del processo, oggetto della domanda giudiziale e oggetto del giudicato risultano essere cerchi sicuramente concentrici, ma le cui aree non appaiono sempre perfettamente sovrapponibili » (Cass., sez. un., n. 26242/14).
E, in particolare, la pronuncia sull’ an debeatur è autonoma e distinta da quella sul quantum (così già Cass. n. 6339/81 e, da ultimo, n. 20718/23, cit.).
Il motivo è rigettato.
2.- Col terzo motivo di ricorso , che per ragioni di ordine logico va esaminato prima del secondo, la banca deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., perché la corte d’appello avrebbe errato nel respingere l’eccezione della banca d’inammissibilità del novum in appello quanto alla determinazione dei danni, che in primo grado sarebbero stati ritenuti « al momento indeterminabili », tanto da ritenere indispensabile lo svolgimento
di una consulenza tecnica d’ufficio, per l’espletamento della quale NOME COGNOME non avrebbe, invece, insistito in appello.
Il motivo presenta al contempo profili d’inammissibilità e d’infondatezza.
Anzitutto esso è inammissibile perché non si confronta col tenore della decisione, in cui si legge che « Né è a dirsi, come pure ha sostenuto l’istituto ap pe llato, che l’appellante non abbia fornito la prova del quantum del danno avendone affermato la necessità di procedere a quantificazione mediante consulenza tecnica di ufficio dal momento che tale affermazione va riferita unicamente ai danni non patrimoniali (enfasi aggiunta) pure richiesti in primo grado e non riconosciuti dal Tribunale senza che sia stata prospettata alcuna censura al riguardo nel presente grado di giudizio ».
2.1.- Esso è poi infondato poiché le deduzioni svolte in appello circa la quantificazione del danno concernono l’esatta determinazione del quantum , nella cornice dei fatti sostanziali e del petitum già proposto: le variazioni puramente quantitative del petitum non comportano alcuna violazione del principio del contraddittorio né menomazione del diritto di difesa dell’altra parte, qualora non alterino i termini sostanziali della controversia e non introducano nuovi temi di indagine (tra varie, Cass. n. 17977/07; n. 1083/11).
Il motivo è respinto.
3.- Inammissibile è il quarto motivo di ricorso, col quale la banca lamenta la nullità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 132, n. 2, c.p.c. e dell’art. 118 disp.att. c.p.c., nonché dell’art. 111 Cost., perché la motivazione sulla misura dei danni subiti sarebbe apparente o incomprensibile.
La motivazione al riguardo c’è ed è adeguatamente argomentata, in quanto la corte d’appello ha evidenziato che
l’attrice ha fornito la prova di aver compiuto dodici bonifici per l’importo complessivo di euro 107.572,38 accreditati in favore di RAGIONE_SOCIALE anziché su quello dell’effettivo beneficiario NOME COGNOME e che il danno da lei patito corrisponde giustappunto alla somma versata a NOME COGNOME sulla base dell’errore nell’indicazione dell’identificativo IBAN.
5.- Col quinto motivo di ricorso , che pure va esaminato per connessione logica, la banca lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1292, 1293, 1294, 2033, 2043 e 2055 c.c., là dove la corte d’appello ha stabilito di poter condannare in solido la banca e RAGIONE_SOCIALE benché la prima fosse tenuta a risarcire il danno ex art. 2043 c.c. e la seconda a restituire la somma indebita ex art. 2033 c.c.
Il motivo è infondato.
È indubbio che la distinzione tra la condanna ex art. 2043 c.c. e quella ex art. 2033 c.c. riguarda sia la causa petendi , posto che gli obblighi restitutori sono ricollegati a fatti costitutivi che prescindono dalla violazione di obblighi di condotta imputabili a titolo di dolo o colpa e dalla verificazione di un danno ingiusto (e dunque prescindono dal titolo di responsabilità del soggetto tenuto alla restituzione); sia il petitum , limitato quantitativamente, nella pretesa restitutoria, all’oggetto della prestazione in natura da ripetere o alla cosa determinata da recuperare o al controvalore di essi, mentre nel risarcimento del danno non si chiede soltanto il ripristino del patrimonio di un soggetto considerato in determinato momento anteriore all’illecito, ma il ristoro integrale di una situazione patrimoniale, da valutare anche in relazione agli incrementi di valore che il patrimonio del danneggiato avrebbe potuto conseguire, ex art. 1223 c.c., in assenza dell’illecito.
E tuttavia, dal punto di vista del soggetto che agisce, il risultato finale cui le due azioni tendono viene a sovrapporsi, in particolare
quando, come nel caso in esame, si abbia una coincidenza tra la res oggetto della restituzione e il pregiudizio patrimoniale oggetto di risarcimento arrecato dall’illecito civile.
In tal caso, infatti, l’obbligo di restituzione della res , se non risulta già interamente coincidente con l’obbligazione risarcitoria, è comunque idoneo ad assolvere, e in parte a elidere, anche tale obbligazione, con la conseguenza che la evidenziata distinzione concettuale delle due azioni non consente di scindere l’oggetto dei due diritti, che viene pur sempre -almeno in parte- a identificarsi con la reintegrazione della diminuzione patrimoniale corrispondente alla prestazione o al bene da restituire.
È logico corollario, allora, che, nel caso in cui vengano a cumularsi, nella medesima fattispecie produttiva della perdita patrimoniale, plurime e distinte condotte, anche riferibili a soggetti giuridici diversi, alcune sanzionate con la responsabilità civile (contrattuale od extracontrattuale) e altre invece anche non qualificabili illecite, ma che obbligano comunque alle restituzioni, deve essere ravvisata la unitarietà dell’evento pregiudizievole, idoneo a fondare la responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. di tutti i soggetti la cui condotta ha concorso, secondo il nesso di causalità materiale previsto dall’art. 41 c.p., a produrre il medesimo eventus damni , tutte le volte in cui quest’ultimo, nel suo atteggiarsi fenomenico, implichi, come appunto è accaduto nel caso in esame, un ‘ effettiva coincidenza tra l’oggetto della restituzione e il danno risarcibile o comunque la continenza del primo nel secondo (Cass., n. 7016/20; sulla medesima falsariga, sez. un., n. 13143/22).
Ne consegue il rigetto della censura.
6.- Col secondo motivo di ricorso la banca lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1288, 1289, 2033, 2043 e 2909 c.c., nonché dell’art. 324 c.p.c., perché, essendo divenuto cosa giudicata il capo della sentenza di condanna ex art. 2033 c.c. di RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, il passaggio in giudicato della condanna della banca in via solidale determinerebbe un contrasto di giudicati.
Il motivo è infondato.
L’obbligazione solidale, pur avendo ad oggetto un’unica prestazione, dà luogo non a un rapporto unico ed inscindibile, ma a rapporti giuridici distinti, anche se fra loro connessi: poiché il creditore può ripetere da ciascuno dei condebitori l’intero suo credito, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, il quale può utilmente svolgersi nei confronti di uno solo dei coobbligati.
Ne consegue che la mancata impugnazione, da parte di un coobbligato solidale, della sentenza di condanna pronunciata verso tutti i debitori solidali -che, pur essendo formalmente unica, consta di tante distinte pronunce quanti sono i coobbligati con riguardo ai quali essa è stata emessa-, così come il rigetto dell’impugnazione del singolo, comporta il passaggio in giudicato della pronuncia concernente il debitore non impugnante (o il cui gravame sia stato respinto) esclusivamente con riferimento a lui, pure qualora lo stesso sia stato convenuto nel giudizio di appello ex art. 332 c.p.c., mentre il passaggio in giudicato di detta pronuncia rimane, poi, insensibile all’eventuale riforma od annullamento delle decisioni inerenti agli altri coobbligati (Cass. n. 24728/18).
Nessun contrasto di giudicati è quindi prospettabile.
Il motivo è respinto.
7.- Il ricorso è in definitiva rigettato e le spese seguono la soccombenza nei confronti della parte costituita.
Per questi motivi
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese alla parte costituita, che liquida in euro 7000,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, al 15% a titolo di spese forfetarie, iva e
cpa. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2024.