Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32807 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 32807 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29282/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , in proprio e quale capogruppo mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Bologna n. 803/2021, depositata il 14 aprile 2021.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 19 settembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso. Udito l’ avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -La RAGIONE_SOCIALE di diritto svizzero, ora RAGIONE_SOCIALE esponendo di essere capogruppo mandataria dell’Associazione temporanea di impresa (RAGIONE_SOCIALE) RAGIONE_SOCIALE si era opposta al decreto ingiuntivo ottenuto dalla RAGIONE_SOCIALE che vantava un credito di euro 953.774,20 e accessori derivante da fatture per lavori commissionati dall’ATI e non pagati, credito asseritamente riconosciuto dalla mandante RAGIONE_SOCIALE in seguito fallita, eccependo: l’inesistenza o, in subordine, la nullità della notifica del decreto ingiuntivo, effettuata ai sensi dell’accordo bilaterale ItaliaSvizzera, in quanto l’atto era corredato da una traduzione giurata in tedesco che, tuttavia, non conteneva la traduzione del decreto ingiuntivo, del quale riportava unicamente alcune righe finali; per tali motivi, l’attrice proponeva querela di falso avverso il verbale di giuramento di traduzione, nonché avverso la traduzione stessa; il difetto di giurisdizione del giudice italiano; in ulteriore subordine, la violazione dell’art. 641, comma 2, cod. proc. civ. in quanto il decreto ingiuntivo conteneva l’avvertimento circa la possibilità di effettuare l’opposizione nel termine di 40 giorni dalla notifica, pur avendo l’attrice opponente sede all’estero, derivando dal termine diminuito un pregiudizio alla difesa; nel merito, l’attrice negava che vi fosse stato il conferimento di alcun incarico né da parte dell’ATI né da RAGIONE_SOCIALE, unica legittimata ad impegnare l’ATI in qualità di mandataria e, nel contempo, eccepiva il difetto di poteri del soggetto
che aveva sottoscritto l’incarico (NOME COGNOME che in realtà era il legale rappresentante della mandante RAGIONE_SOCIALE): la difesa disconosceva una serie di documenti prodotti, e in particolare i documenti n. 14 e 16 in quanto non sottoscritti dai legali rappresentanti della predetta RAGIONE_SOCIALE o della RAGIONE_SOCIALE; infine, negava che le prestazioni oggetto delle fatture e degli incarichi prodotti unitamente al ricorso per ingiunzione fossero state eseguite, contestando ciascuna delle fatture azionate e le prestazioni elencate.
La RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio.
Con sentenza n. 249/2018, pubblicata in data 15 febbraio 2018, il Tribunale di Parma rigettava l’opposizione, conferma ndo il decreto ingiuntivo.
-Avverso la sentenza ha interposto appello la società soccombente.
Si è costituita la RAGIONE_SOCIALE per chiedere di disattendere i motivi di appello e di confermare l’impugnata sentenza.
La Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 803/2021, depositata il 14 aprile 2021, ha respinto l’impugnazione, condannando l’impresa appellante al pagamento delle spese del giudizio.
-La RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a dieci motivi.
La RAGIONE_SOCIALE si è costituita con controricorso.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
In prossimità della pubblica udienza le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto sostanziale e processuale, ai sensi dell’art. 360 , n. 4, cod. proc. civ., in relazione alla convenzione dell’Aja del 1965 e a ll’art. 142 cod. proc. civ. In tema di notificazione
a persona non residente, né dimorante, né domiciliata nella Repubblica, l’art. 142 cod. proc. civ. attribuisce il valore di fonte primaria alle convenzioni internazionali (Cass. Civ., Sez. Unite, 22 giugno 2007, n. 14570). Inoltre, dal combinato disposto delle dichiarazioni e riserve n. 2 e 3 apposte dalla Confederazione Svizzera alla Convenzione dell’Aja del 1965 , emergerebbe che l’atto da notificarsi deve essere redatto nella lingua dell’autorità adita, o corredato di una traduzione nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali della regione Svizzera nella quale l’atto deve essere notificato o comunicato. Di conseguenza, soltanto nel caso in cui esistano espresse disposizioni di diritto internazionale pubblico di segno contrario, si potrebbe giungere a una conclusione diversa. Posto che, nel caso di specie, non sussiste tale eccezione e visto che la RAGIONE_SOCIALE ha chiesto la notifica all’autorità competente per il Cantone di San Gallo, la cui unica lingua ufficiale è il tedesco, da ciò deriverebbe che l’atto doveva necessariamente essere corredato dalla traduzione giurata in lingua tedesca. Tuttavia, costituisce fatto pacifico tra le parti e accertato nei precedenti gradi di giudizio, la mancanza di una pagina nella copia notificata della traduzione tedesca. Della traduzione alla ricorrente è pervenuto unicamente quanto contenuto nel documento n. 20 versato agli atti del primo grado. Nel caso di specie, l’omissione ha interessato proprio il decreto ingiuntivo, che era composto di due sole pagine. Deduce il ricorrente che non si può sostenere che quella parte di decreto ingiuntivo effettivamente notificata fosse intellegibile al soggetto giuridico estero che l’ha ricevuto, e l’eccezione è stata proposta dalla ricorrente sin dal primo grado di giudizio. Secondo quanto argomentato, la giurisprudenza cui fa riferimento il giudice dell’appello, secondo cui la mancanza di una o più pagine nella copia dell’atto notificato non costituisce automaticamente motivo di invalidità della notifica stessa si applica ai soli casi in cui la
manchevolezza colpisca una parte non essenziale dell’atto notificato e non, invece, ove essa riguardi metà dell’atto.
1.1. -Il motivo è infondato.
Secondo il costante insegnamento di questa S.C., la mancanza di una o più pagine nella copia dell’atto processuale notificato assume rilievo solo se abbia impedito al destinatario della notifica la comprensione dell’atto e, quindi, compromesso in concreto le garanzie della difesa e del contraddittorio (Cass., Sez. VI-3, 31 ottobre 2013, n. 24656; Cass., Sez. II, 22 gennaio 2010, n. 1213; Cass., Sez. Un., 22 febbraio 2007, n. 4112; Cass., Sez. II, 26 marzo 2004, n. 6074)
Nel caso di specie, come evidenziato dalla Corte d’appello, non vi è stata alcuna menomazione del diritto di difesa, avendo la società convenuta preso posizione su tutte le questioni sollevate, come emerge dagli atti di costituzione in giudizio.
2. -Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto sostanziale e processuale- ai sensi dell’art. 360, n. 3 e 4 , cod. proc. civ., in relazione all’art. 641, comma 2, cod. proc. civ. Nel caso di specie, avendo l’odierna ricorrente sede in Svizzera, doveva trovare applicazione il secondo comma dell’art. 641 cod. proc. civ., il quale prevede un termine di opposizione al decreto ingiuntivo pari a 60 giorni e non a 40 giorni, salva la facoltà del giudice di ridurre il suddetto termine sino a 30 giorni, qualora concorrano giusti motivi. Tuttavia, la versione italiana del decreto ingiuntivo opposto conteneva l’avvertimento in base al quale l’opposizione poteva essere effettuata entro il termine di soli 40 giorni. Tanto costituirebbe violazione dell’art. 641, comma 2, cod. proc. civ. posto che la RAGIONE_SOCIALE non ha mai formulato alcuna istanza di abbreviazione dei termini. Le condizioni che potrebbero giustificare l’esistenza di giusti motivi devono infatti essere rappresentate dal presunto creditore nel testo del ricorso e i motivi e le ragioni che li caratterizzano, come giusti, devono risultare
enunciati nel provvedimento. Correttamente, il g iudice dell’appello ha ritenuto che, nei procedimenti sommari, il giudice ha il potere di ridurre o aumentare il termine entro il quale il debitore può proporre opposizione al decreto ingiuntivo, se concorrono giusti motivi e purché ne dia conto nella propria decisione. Tuttavia, nel caso di specie non soltanto il ricorrente in via monitoria non aveva formulato alcuna istanza di abbreviazione dei termini ma non aveva nemmeno rappresentato alcuna ragione atta a dimostrare la sussistenza di ‘giusti motivi’.
2.1. -Il motivo è infondato.
Il potere, attribuito al giudice dall’art. 641, comma 2, cod. proc. civ., di ridurre o aumentare il termine entro il quale il debitore può proporre opposizione al decreto ingiuntivo “se concorrono giusti motivi” non si sottrae all’obbligo di motivazione imposto dal precedente comma 1 (“con decreto motivato”) per l’emissione del provvedimento di ingiunzione, se esistono le condizioni previste dall’art. 633 cod. proc. civ.; pertanto, i motivi che consentono la modifica della durata di detto termine, nonché le ragioni che li caratterizzano come “giusti”, devono essere enunciati nel provvedimento, quantomeno con rinvio implicito alle condizioni che ne giustificano la sussistenza, specificamente rappresentate dal creditore nel testo del ricorso, in modo che si possa ritenere, da un lato, che il giudice le abbia vagliate ed accolte e, dall’altro, garantito il diritto di difesa del debitore ingiunto. (Cass., Sez. II, 27 luglio 2022, n. 23418; Cass., Sez. VI-2, 30 agosto 2017, n. 20561; Cass., Sez. V, 16 febbraio 2005, n. 3090).
La Corte d’appello ha ritenuto implicita la richiesta di riduzione dei termini dall’insieme delle circostanze -tra cui la rilevanza della somma richiesta, il reiterato riconoscimento del debito -che avrebbero giustificato la concessione della provvisoria esecuzione. In questo modo, il Tribunale, pur non ritenendo di ordinare il
pagamento immediato della somma ingiunta, ne ha ridotto il termine per proporre opposizione.
Peraltro, non vi è stata alcuna lesione del diritto di difesa poiché la parte si è tempestivamente costituita, svolgendo puntualmente le sue difese, trovando applicazione il generale principio di sanatoria dei vizi degli atti processuali del raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, cod. proc. civ. L’atto processuale è inesistente solamente se privo degli elementi necessari alla sua qualificazione come atto inquadrabile e riconoscibile in una astratta fattispecie giuridica, nel qual caso si considera tamquam non esset e, pertanto, insuscettibile di sanatoria; mentre è viceversa nullo, e come tale sanabile ex art. 156, ultimo comma, cod. proc. civ., qualora sia soltanto privo di un elemento, (o inficiato da un vizio), essenziale ai fini della produzione di effetti processuali (Cass., Sez. III, 29 marzo 2004, n. 6194).
3. -Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto sostanziale e processuale ai sensi dell’art. 360, n. 3 e 4, cod. proc. civ. e 112 cod. proc. civ. Nel proprio atto di citazione in appello, la ricorrente ha dedotto la violazione del principio della domanda e di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., poiché la sentenza di primo grado aveva ravvisato la sussistenza di un’obbligazione di garanzia della m andataria, quella di cui all’art. 37 , comma 5, d.lgs. n. 163/2006, su cui la controparte non avrebbe fondato la propria pretesa, nei termini preclusivi di legge. In particolare, la controparte aveva allegato -sino all’udienza di precisazione delle conclusioni -unicamente la sussistenza di un potere di rappresentanza dell’ATI (pur rivestendo la qualità di mandante e non mandataria) producendo agli atti anche una procura artefatta (doc. n. 12 versato in atti dalla controparte nel primo grado di giudizio, che pertanto la ricorrente ha prontamente disconosciuto e che il giudice di prime cure ha giudicato come inutilizzabile),
mentre il giudice di prime cure ha fondato la responsabilità della mandataria sulla base del codice degli appalti. La sentenza d’appello ha invece respinto il motivo di gravame in base alla motivazione secondo cui l’art. 37, comma 5, d.lgs. n. 163/2006 rappresenterebbe un vincolo di solidarietà previsto dalla legge ed è a quello che il Tribunale ha fatto riferimento nella sua decisione. Tuttavia, tale ragionamento sarebbe giuridicamente errato in quanto una pretesa introdotta a titolo di rappresentanza implica la sussistenza di un rapporto di mandato tra rappresentante e rappresentato, rapporto che controparte aveva allegato in primo grado ma di cui non ha dimostrato l’esistenza. Il giudice di prime cure aveva invece ravvisato la sussistenza di un’obbligazi one solidale ex lege in base all’art. 37 , comma 5, per un contratto non sottoscritto dall’ATI ma dalla mandante in proprio. Pertanto, il giudice di prime cure aveva -seppure in maniera estremamente confusa -ritenuto che la mandataria dovesse rispondere di un contratto concluso dalla mandante (evidentemente in proprio). Tuttavia, si deduce che controparte non avrebbe mai allegato di aver sottoscritto il contratto in proprio, ma ha sempre sostenuto di averlo fatto in rappresentanza dell’ATI. Nel primo caso il titolo dedotto in giudizio è la rappresentanza e dunque il mandato, mentre il giudice di primo grado ha fondato la sentenza di condanna su di un titolo diverso, mai allegato da controparte nei termini preclusivi del primo grado di giudizio, ossia un’obb ligazione contratta in proprio dalla mandante di cui ha chiamato la mandataria a rispondere solidalmente.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto sostanziale ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. e art. 37, comma 5, d.lgs. n. 163/2006. Al riguardo si evidenzia che la pretesa fatta valere in giudizio dalla resistente è basata su documentazione, sconosciuta alla ricorrente mandataria in ATI e sottoscritta dalla mandante in ATI ad insaputa della mandataria. Tale documentazione non avrebbe data certa e non
recherebbe alcuna indicazione di prezzo, alcun termine di pagamento, alcuna clausola. Il giudice d’appello ha accertato che il contratto azionato in giudizio è stato sottoscritto prima della presentazione delle offerte. Al riguardo, si deduce come sarebbe incontestato tra le parti, sin dalle allegazioni nel primo grado, che la gara d’appalto per cui l’ATI è stata costituita era relativa alla costruzione e gestione di impianti fotovoltaici per numerosi Comuni della Provincia di Parma. L’aggiudicatario della gara avrebbe assunto l’onere di costruire gli impianti a proprie spese e versa re un canone mensile ai Comuni, mentre gli impianti sarebbero rimasti di proprietà dei Comuni stessi. Come contropartita, l’aggiudicatario avrebbe beneficiato della cessione degli incentivi statali per la produzione di energia rinnovabile per un ventennio (corrispondente alla durata degli incentivi). Sin dal primo grado di giudizio, parte ricorrente ha contestato la genuinità della documentazione versata in atti dalla controparte evidenziando l’illogicità di un incarico conferito dalla mandante in ATI a un so ggetto terzo prima dell’aggiudicazione (e dunque prima della stipula del contratto principale) senza condizione sospensiva o risolutiva collegata alla futura aggiudicazione. Il fatto che l’origine del rapporto contrattuale dedotto in giudizio sia precedente sia all’aggiudicazione dell’appalto principale sia alla presentazione delle offerte sarebbe giuridicamente incompatibile con l ‘ affermazione di una responsabilità solidale ex art. 37, comma 5, d.lgs. n. 163/2006 della mandataria in ATI, non potendosi applicare la disciplina del codice degli appalti.
Con l’ottavo motivo di ricorso (indicato come nono nella rubrica) parte ricorrente denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ. per violazione dell’art. 1392 cod. civ., art. 37, comma 5, d.lgs n. 163/2006 e 116 cod. proc. civ. La ricorrente evidenzia che il giudice d’appello avrebbe compiuto un grave errore di diritto nel ritenere che, con la sottoscrizione del contratto di fornitura da parte del legale rappresentante della società
RAGIONE_SOCIALE quest’ultima avesse agito in qualità di rappresentante dell’ATI, non essendo mai esistita alcuna procura conferita in favore della mandante. Tale procura avrebbe dovuto rivestire la forma scritta ai sensi dell’art. 1392 cod. civ. Nel ca so di specie, l’avere ritenuto che, con la sottoscrizione dell’accordo di fornitura tra l’ATI RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE del 30 luglio 2010, la RAGIONE_SOCIALE avesse agito in qualità di rappresentante dell’ATI, renderebbe evidente il vizio i n cui è incorso il giudice: l’utilizzo (peraltro illegittimo) della carta intestata di una figura giuridica (ATI) che RAGIONE_SOCIALE non poteva rappresentare né far sorgere un potere di rappresentanza.
3.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono fondati nei termini di cui in motivazione.
La Corte d’appello ha evidenziato come la mandante, nel concludere il contratto di fornitura, aveva agito in qualità di rappresentante dell’ATI, escludendo la rilevanza del disconoscimento effettuato dall’opponente in relazione all’accordo di fornitura giacché sottoscritto dal legale rappresentante della mandante RAGIONE_SOCIALE e non dalla mandataria appellante, così come degli altri documenti della medesima provenienza.
Tuttavia, dalla motivazione non emerge la prova della procura ad agire in rappresentanza dell’ATI da parte della mandante , lì dove era stata costituita una specifica mandataria. La procura prodotta nel corso del giudizio è stata ritenuta non utilizzabile.
Nel caso di collegamento negoziale tra un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam (nella specie, un appalto pubblico) e uno a forma libera (nella specie, un contratto di subappalto privatistico), deve ritenersi necessario che anche il secondo negozio rivesta la forma prescritta per la validità del primo, sebbene non occorra che il requisito della forma scritta sia assicurato in un unico contesto, ben potendo la volontà negoziale esprimersi in diversi documenti o negozi, dovendo comunque assicurarsi che tutte
le obbligazioni che formano il sinallagma siano documentate per iscritto (Cass., Sez. I, 19 marzo 2024, n. 7323).
Ai sensi dell’art. 1392 cod. civ., quando per il contratto che il rappresentante deve concludere la legge prescrive la forma scritta, sia pure non ad substantiam , ma solo ad probationem , la procura deve essere conferita per atto scritto, con la conseguenza che, essendo soggetta al medesimo regime probatorio dell’atto cui si riferisce, la restrizioni nell’utilizzazione dei mezzi di prova stabilite per il negozio rappresentativo valgono sempre anche per la procura (Cass., Sez. III, 19 luglio 2004, n. 13357; Cass., Sez. I, 21 novembre 1983, n. 6932; Cass., Sez. II, 27 maggio 1982, n. 3217).
Pertanto, nel caso di specie, trattandosi di appalti pubblici, era necessaria la medesima forma scritta anche per la procura che conferiva il relativo potere rappresentativo per la stipula del contratto per cui è causa, circostanza del tutto assente nella motivazione.
Vi è inoltre da osservare che dall’art. 37, comma 5, del d.lgs. n. 163/2006 (secondo cui ‘ l’offerta dei concorrenti raggruppati o dei consorziati determina la loro responsabilità solidale nei confronti della stazione appaltante, nonché nei confronti del subappaltatore e dei fornitori. Per gli assuntori di lavori scorporabili e, nel caso di servizi e forniture, per gli assuntori di prestazioni secondarie, la responsabilità è limitata all’esecuzione delle prestazioni di rispettiva competenza, ferma restando la responsabilità solidale del mandatario ‘) non si può ricavare la giustificazione del potere rappresentativo della mandante, poiché la solidarietà è l’effetto di un contratto legittimamente stipulato all’interno dell’ATI , essendo la ratio della previsione della responsabilità solidale dei concorrenti associati o dei consorziati volta ad assicurare, nei casi di inadempimento o di fallimento dell’impresa mandataria o capogruppo, una più incisiva tutela delle situazioni soggettive attive dell’amministrazione e dei terzi, mediante l’estensione della
responsabilità anche alle imprese associate o consorziate (Cass., Sez. I, 2 aprile 2010, n. 8124).
Sul punto, la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sezione V, 21 novembre 2007, n. 5906) aveva già chiarito che nel caso del raggruppamento temporaneo chi concorre e chi poi stipula il contratto è l’associazione e non le imprese che l a costituiscono. Non si tratta, come è noto, di un autonomo centro di imputazione giuridica, ma di una mera aggregazione finalizzata ad agevolare (grazie alla sommatoria dei requisiti degli aderenti) il dispiegarsi del gioco della concorrenza. È peraltro evidente che il rapporto si costituisce in capo all’associazione temporanea, nella persona del mandatario, e non in capo ai singoli componenti. Sicché è del tutto fisiologico che questi non possano disporre, mediante contratti di subappalto, di obbligazioni di cui non sono direttamente titolari.
4. -L’accoglimento del terzo, del quarto e dell’ottavo motivo determina l’assorbimento degli altri (con il quinto motivo di ricorso si prospetta la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. per violazione dell’art. 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, art. 1418 cod. civ., 1421 cod. civ. sulla nullità del contratto per violazione delle norme imperative che regolano i subcontratti disciplinati dal d.lgs. n. 163/2006. Con il sesto motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 , n. 3 e n. 4, cod. proc . civ., per violazione dell’art. 1418 cod. civ. , 1421 cod. civ., 112 cod. proc. civ. sulla nullità per difetto di causa e per la mancanza degli elementi essenziali del rapporto contrattuale azionato in giudizio. Con il settimo motivo di ricorso si prospetta la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. per violazione degli artt. 115, 116 e art. 132, secondo comma, n. 4. cod. proc. civ. sulla prova derivante dalle fatture azionate e sulla necessità dell’autorizzazione dell’autor ità competente. Con il nono motivo di ricorso (indicato come decimo nella rubrica) si deduce la
violazione e falsa applicazione di norme di diritto sostanziale e processuale ai sensi dell’art. 360, n. 3. 4 e 5 cod. proc. civ. in relazione all’art. 2697 e 2729 cod. civ., 1309 cod. civ. 115 cod. proc. civ. sull’assenza di prova della pretesa azionata circa l’effettivo svolgimento delle prestazioni da parte della resistente. Con il decimo motivo di ricorso (indicato come undicesimo nella rubrica) si denuncia l ‘ omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. e l’ illogicità manifesta ex art. 360, n. 4, cod. proc. civ. sull’omessa valutazione di più fatti determinanti che hanno comportato un errore nella decisione).
5. -Consegue l’accoglimento del ricorso in relazione ai motivi indicati e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame della causa, uniformandosi ai richiamati principi e provvedendo altresì a liquidare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il III, IV e VIII motivo di ricorso, rigetta I e II, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione