Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20119 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20119 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
nel ricorso R.G. n. 33953/2018
promosso da
RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE), elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in atti;
RICORRENTE IN INDIRIZZO
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Curatore pro tempore , elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e dife so dall’AVV_NOTAIO in virtù di procura speciale in atti;
CONTRORICORRENTE E RICORRENTE IN INDIRIZZO
nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE), elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio
dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in atti;
CONTRORICORRENTE AL RICORSO INCIDENTALE E RICORRENTE IN INDIRIZZO INCIDENTALE CONDIZIONATA avverso la sentenza n. 4081/2018 della Corte di appello di Milano, pubblicata il 12/09/2018, notificata il 17/09/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/02/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME; letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 08/05/2001 la RAGIONE_SOCIALE (di seguito “RAGIONE_SOCIALE“) stipulò con l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (di seguito “ATI”) costituita tra RAGIONE_SOCIALE (di seguito ‘TME’) , in qualità di capogruppo mandataria, e le RAGIONE_SOCIALE mandanti RAGIONE_SOCIALE (di seguito “RAGIONE_SOCIALE“) e RAGIONE_SOCIALE (di seguito “RAGIONE_SOCIALE“) l’appalto avente ad oggetto la progettazione esecutiva, la ristrutturazione e la riqualificazione tecnologica ed ambientale di un impianto di termoutilizzazione di rifiuti, ubicato nel comune di Granarolo dell’Emilia (BO).
Con atto di citazione notificato il 19/08/2005 la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE , di seguito ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ) convenne in giudizio COGNOME dinanzi al Tribunale di Milano, chiedendo la condanna di quest’ultima al pagamento dei corrispettivi per le prestazioni eseguite dalla stessa RAGIONE_SOCIALE e dall’a ssociazione RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE da questa costituita con le società RAGIONE_SOCIALE, in favore di COGNOME, in proprio e quale capogruppo mandataria de ll’ATI da quest’ultima costituita con le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in relazione ai contratti di subappalto stipulati con la RAGIONE_SOCIALE rispettivamente in data 04/12/2001 (con la RAGIONE_SOCIALE in proprio) e in data 06/11/2002 (con la RAGIONE_SOCIALE in qualità di mandataria della menzionata RAGIONE_SOCIALE), con condanna di TME anche al risarcimento del danno
conseguente alla interruzione del rapporto contrattuale, operato dalla RAGIONE_SOCIALE.
Nel costituirsi, la TME affermò che non era stata l’ATI aggiudicataria, ma solo la RAGIONE_SOCIALE, in nome proprio e per conto proprio, a stipulare i contratti di subappalto e di fornitura sopra menzionati, e che pertanto quest’ultima poteva essere considerata l’unica chiamata a rispondere alle domande formulate dalla RAGIONE_SOCIALE, aggiungendo che le fatture e i SAL non avevano alcun rilievo probatorio nei confronti della TME, essendo le prime provenienti dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, che di esse si avvaleva, ed i secondi provenienti da un soggetto terzo, considerata anche la intrinseca inidoneità probatoria del materiale offerto, in ragione delle discrasie esistenti tra i numeri identificativi dei contratti indicati nelle fatture prodotte e quelli riportati sui contratti in base ai quali la RAGIONE_SOCIALE aveva agito in giudizio.
Nel corso del giudizio di primo grado, venne dichiarato il fallimento della RAGIONE_SOCIALE e, con sentenza n. 7135/2007, il Tribunale di Milano accolse le domande formulate, condannando la RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore della fallita della somma di € 2.478.888,80, con gli interessi moratori al tasso legale.
Il Tribunale, premessa la legittimazione passiva della RAGIONE_SOCIALE, società capogruppo dell’RAGIONE_SOCIALE , ritenne provati sia il credito per l’attività svolta dalla società fallita RAGIONE_SOCIALE (risultante dagli stati di avanzamento dei lavori, sottoscritti dal tecnico di cantiere della RAGIONE_SOCIALE, e dalle fatture della RAGIONE_SOCIALE), sia quello per il risarcimento del danno (derivante dall’interruzione del rapporto contrattuale) al cui pagamento considerò tenuta anche la TME ai sensi del l’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 109 del 1994.
Contro tale sentenza propose appello la RAGIONE_SOCIALE, chiedendo preliminarmente che fosse dichiarata l’inammissibilità della domanda originariamente proposta da RAGIONE_SOCIALE e la propria carenza di legittimazione
passiva, ovvero, in subordine, il rigetto nel merito delle richieste avversarie o, comunque, la riduzione dell’importo liquidato a titolo risarcitorio.
Nel costituirsi, il RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE chiese il rigetto dell’appello , proponendo anche impugnazione incidentale, per ottenere la condanna al pagamento degli interessi di mora non al tasso legale, ma a quello di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, limitatamente agli importi insoluti dei contratti di subappalto.
La Corte d’appello di Milano accolse il gravame proposto dalla soccombente TME, ritenendo, da un lato, che il credito non poteva far carico anche alla società capogruppo, in base alla regola di cui all’art. 1309 c.c., secondo cui il riconoscimento del debito effettuato da uno dei condebitori in solido non ha effetto riguardo agli altri, e, da un altro lato, che i SAL erano stati sottoscritti dal solo tecnico della subappaltante (e cioè della RAGIONE_SOCIALE e che le fatture non avevano valenza probatoria, trattandosi di documenti di provenienza unilaterale, mancando, dunque, la complessiva prova dell’esecuzione dei lavori da parte della pretesa creditrice, anche in base alla avvenuta contestazione, da parte della TME, dell’efficacia dimostrativa dei documenti versati in atti.
Inoltre, sempre secondo la Corte territoriale, la convenuta appellante NOME non era responsabile dei danni subiti dall’attrice appellata per l’inadempimento dell’obbligazione della RAGIONE_SOCIALE, divenuta impossibile per causa d i quest’ultima , sia perché, a suo parere, il creditore non poteva chiedere il risarcimento del danno ulteriore agli altri condebitori solidali non inadempienti, sia perché la Curatela non aveva fornito la prova dei danni, che avrebbe subito per effetto dell’inadempimento contrattuale della RAGIONE_SOCIALE.
Avverso tale pronuncia il RAGIONE_SOCIALE propose ricorso per cassazione articolato in tre motivi di doglianza. La RAGIONE_SOCIALE resistette con controricorso, proponendo anche ricorso incidentale.
Con sentenza n. 2963/2017, questa Corte annullò la decisione impugnata, accogliendo i tre motivi di ricorso principale del RAGIONE_SOCIALE e respingendo il ricorso incidentale della TME (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2963 del 03/02/2017).
Nella sentenza appena richiamata, questa Corte rilevò che l’a ssociazione RAGIONE_SOCIALE tra RAGIONE_SOCIALE (ATI) costituisce una formula negoziale che si manifesta in forme di aggregazione tra RAGIONE_SOCIALE, aventi natura occasionale, RAGIONE_SOCIALE e limitata, finalizzate alla partecipazione alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, e che si caratterizzano per la loro cooperazione, al fine di integrare le rispettive capacità economico-finanziarie e tecnico-organizzative, in vista dell’ aggiudicazione o della esecuzione d ell’ opera pubblica. Evidenziò, inoltre, che il regime della responsabilità intercorrente fra l’ATI e le singole RAGIONE_SOCIALE raggruppate nei confronti della Stazione appaltante e dei terzi (nella specie l’impresa subappaltatrice) è stato risolto, sulla base di una espressa previsione di legge (l ‘ art. 13 l. n. 109 del 1994, applicabile ratione temporis ), nel senso della responsabilità solidale in capo all’ATI per atti o fatti inerenti alla gestione ed esecuzione dell’appalto da parte della singola impresa raggruppata.
In tale ottica, questa Corte di legittimità affermò l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui, pur assumendo una responsabilità solidale tra la capogruppo mandataria e la mandantecommittente delle specifiche opere (eseguite dalla subappaltante), non aveva, poi, tratto tutte le conseguenze, al punto che aveva erroneamente affermato l’applicabilità della regola di cui all’art. 1309 c.c., secondo cui il debito riconosciuto da uno dei condebitori in solido non aveva effetto riguardo agli altri (i SAL erano stati sottoscritti dal
tecnico della RAGIONE_SOCIALE e le fatture della RAGIONE_SOCIALE non potevano costituire prova di quanto in esse contenuto), mentre, invece, gli stati di avanzamento, i libretti della misurazione e la contabilità relativa ai lavori dati in appalto dalla P.A. sono atti pubblici, perché formati da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni per costituire la prova dei fatti giuridicamente rilevanti, dai quali derivano obblighi a carico della P.A. Evidenziò, inoltre, che, alla luce del richiamato principio di responsabilità solidale della capogruppo anche verso i terzi (dopo l’entrata in vigore della l. n. 109 del 1994), la sentenza impugnata aveva errato anche nell’affermare che la RAGIONE_SOCIALE non potesse essere dichiarata responsabile dei danni subiti dalla RAGIONE_SOCIALE per l’i nterruzione del rapporto contrattuale, a causa del comportamento della RAGIONE_SOCIALE, che aveva sostituito la RAGIONE_SOCIALE con altra impresa per la continuazione dei lavori, precisando che costituisce un danno patrimoniale risarcibile, quale danno emergente, anche la perdita di chance , qualora sussista un pregiudizio certo (anche se non nel suo ammontare), consistente nella perdita di una possibilità attuale, desumibile anche per presunzioni.
La causa venne riassunta dal RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE e con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Milano confermò la sentenza di primo grado.
La Corte territoriale ritenne di non poter trattare nel giudizio di rinvio le questioni non trattate nei gradi precedenti, e soprattutto dal giudice di legittimità, anche se rilevabili d’ufficio, come quelle relative alla legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE sollevata dalla TME.
La stessa Corte, tenuto conto dei principi enunciati dal giudice di legittimità, ritenne provato il credito vantato dal RAGIONE_SOCIALE per le prestazioni eseguite ed anche la risarcibilità da parte della TME del danno cagionato alla RAGIONE_SOCIALE dalla RAGIONE_SOCIALE come liquidato dal giudice di prime cure, non accogliendo i rilievi di TME, relativi alla
tardività dell’invocazione avversaria dell’art. 1671 c.c. , alla naturale scadenza dei contratti antecedente alla data del presunto recesso della RAGIONE_SOCIALE, alla mancanza di prova del presunto danno ed alla arbitrarietà della sua RAGIONE_SOCIALE equitativa.
Infine, la menzionata Corte ritenne inammissibile l’appello incidentale del RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE, volto ad ottenere la corresponsione degli interessi moratori ex d.lgs. n. 23 del 2002, anziché quelli legali, rilevando che la parte non aveva specificato tale richiesta in primo grado.
Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione la TME, affidato a due motivi di ricorso.
Il RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE si è difeso con controricorso, formulando anche ricorso incidentale, affidato a un solo motivo.
Nel difendersi con controricorso al ricorso incidentale, la RAGIONE_SOCIALE ha formulato ricorso incidentale condizionato all’accoglimento de l ricorso incidentale avversario.
Con nota del 31/03/2023 la ricorrente ha depositato alcuni documenti.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso principale vengono così riassunti dalla ricorrente (p. 2-3 del ricorso per cassazione):
‘(i) in via preliminare, violazione o falsa applicazione (ai sensi dell’art. 360, co. 1°, n. 3, c.p.c.) dell’art. 81 c.p.c. e dell ‘ art. 2909 c.c.: la Sentenza omette di rilevare il difetto (segnalato da TME) di legittimazione ad agire di RAGIONE_SOCIALE, in violazione dell’art. 81 c.p.c., assumendo che la con la sentenza della Cassazione n. 2963/2017 si sia formato il giudicato interno al riguardo. Tuttavia suddetto assunto è errato e costituisce violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c.
giacché la succitata sentenza di Cassazione non si è espressa a tale riguardo (non essendo stata rilevata in tale sede la questione) ed il giudicato interno preclude la rilevabilità d’ufficio delle relative questioni solo se espresso, cioè formatosi su rapporti tra “questioni di merito” dedotte in giudizio e, dunque, tra le plurime domande od eccezioni di merito, e non quando implicito, cioè formatosi sui rapporti tra “questioni di merito” e “questioni pregiudiziali” o “preliminari di rito o merito” sulle quali il giudice non abbia pronunziato esplicitamente, sussistendo tra esse una mera presupposizione logico-giuridica .’
‘ (ii) nel merito, violazione o falsa applicazione (ai sensi dell’art. 360, co. 1°, n. 3, c.p.c.) degli artt. 384, co. 2°, e 112 c.p.c., degli artt. 2697, co. 1°, 1226 e 1227, 1671 c.c.: la Sentenza nella sostanza erroneamente assume che la pronuncia della Cassazione n. 2963/2017 imponga di considerare senz’altro provati i crediti vantati da RAGIONE_SOCIALE, sia per quanto riguarda i corrispettivi rimasti impagati sia per quanto riguarda il danno asseritamente derivato dalla cessazione dell ‘ ‘esecuzione dei contratti alla data del 30 aprile 2003. Ma così non è: la Cassazione invece, dopo aver stabilito i principi di diritto sulla responsabilità in astratto della mandataria per le obbligazioni assunte dalla mandante in seno al rapporto di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e sull’astratta idoneità dei SAL emessi dalla stazione appaltante ad essere assunti come prova, aveva demandato alla Corte di Appello di verificare nel merito se le pretese avanzate da RAGIONE_SOCIALE verso RAGIONE_SOCIALE fossero effettivamente provate. Ma la Corte d’Appello ha sostanzialmente eluso tale verifica, formalmente liquidando le giuste obiezioni di NOME con sommarie argomentazioni del tutto apodittiche e meramente apparenti, mentre di fatto si è limitata ad assumere quale automatica conseguenza della pronuncia di Cassazione il riconoscimento della prova delle pretese di RAGIONE_SOCIALE sia per quanto riguarda i corrispettivi vantati sia per quanto attiene all ‘ esistenza del danno da
cessazione dell’esecuzione dei contratti al 30 aprile 2003. Così facendo la Corte d’Appello ha violato l’ art. 384, co. 2°, c.p.c., eludendo/omettendo il giudizio che le era stato rimesso dalla Suprema Corte, e ha altresì violato l’art. 2697, co. 1°, c.c., ritenendo provate le pretese di RAGIONE_SOCIALE pur in palese difetto di idonee prove ed anzi in presenza di decisivi elementi contrari il cui esame viene, a seconda dei casi, del tutto omesso o si rivela solo apparente. Difatti, in tal modo la Corte d’Appello ha sostanzialmente trascurato di ponderare:
che sussistono significative discrepanze tra fatture e contratti, tali da rendere incerta la riconduzione delle prime ai contratti effettivamente stipulati da RAGIONE_SOCIALE nel quadro dell’appalto affidato da RAGIONE_SOCIALE all ‘ RAGIONE_SOCIALE capeggiata da RAGIONE_SOCIALE. L’omessa pronuncia su tale punto, già oggetto di discussione tra le parti, risulta censurabile ai sensi dell’art. 360, co. 1°, n. 5, c.p.c.;
-che i SAL prodotti da RAGIONE_SOCIALE sono stati emessi in realtà da RAGIONE_SOCIALE e non dalla stazione appaltante RAGIONE_SOCIALE;
che i contratti erano già scaduti alla data del 30 aprile 2003 e RAGIONE_SOCIALE non ha mai dimostrato se e perché avrebbe avuto il diritto di continuare ad eseguirli oltre tale data;
che il presunto danno è completamente sprovvisto di prova, anche solo in via presuntiva;
che la RAGIONE_SOCIALE equitativa del danno è del tutto incongrua ed ingiustificata, andando addirittura ultra petitum (art. 112 c.p.c.).
Peraltro, anche sul piano dell’an del credito risarcitorio la Sentenza appare carente, violando o facendo falsa applicazione (con motivazione contraddittoria) dell’art. 1671 c.c. e delle norme processuali (artt. 167 e 183 c.p.c.) che fissano i limiti temporali per la definizione della domanda giudiziale.
Si dovrà conseguentemente cassare la Sentenza della Corte d’Appello e, in riforma della pronuncia del Tribunale di Milano, rigettare le
domande di RAGIONE_SOCIALE in quanto inammissibili e/o infondate e/o non provate.»
Con l’unico motivo di ricorso incidentale è dedotta la violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., del d.lgs. n. 231 del 2002 (in vigore dal 07/11/2002) e dell’art. 1284 c.c., nella parte in cui il giudice del rinvio ha respinto l’appello incidentale del RAGIONE_SOCIALE, relativo alla mancata applicazione degli interessi moratori al tasso calcolato ai sensi del d.lgs. cit. (piuttosto che a quello legale) sulla somma accertata come dovuta.
Nell’illustrare il motivo , il RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto che il giudice avrebbe dovuto rilevare d’ufficio che, con riferimento al contratto del 06/11/2002, si dovevano applicare gli interessi previsti dal d.lgs. n. 231 del 2002, anche se la parte non aveva effettuato tale specificazione, perché si trattava di interessi dovuti ex lege, in presenza dei previsti presupposti.
Secondo il RAGIONE_SOCIALE, per ottenere la condanna al pagamento degli interessi moratori di cui al menzionato d.lgs., era sufficiente che il creditore chiedesse la corresponsione degli interessi senza ulteriore specificazione, indicando la natura e la fonte dell’obbligazione pecuniaria, in modo tale da rendere applicabile la norma in questione.
Con ricorso incidentale condizionato è dedotta, per il caso di accoglimento del ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE, la violazione e falsa applicazione della disciplina di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., non avendo la Corte di merito rilevato, sul piano sostanziale, la non applicabilità nella specie della disciplina prevista dal d.lgs. n. 231 del 2002, non trattandosi di debiti derivanti da rapporti commerciali tra le parti, ma di obblighi di pagamento gravanti ex lege sulla mandataria dell’ATI, in virtù dell’art. 13 l. n. 109 del 1994, e comunque derivanti da contratti cui detta
disciplina, come quella prevista dall’art. 1284, comma 4, c.c., non era applicabile ratione temporis .
Occorre preliminarmente rilevare che parte ricorrente ha dedotto di avere impugnato per revocazione la sentenza di questa Corte appena illustrata (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2963 del 03/02/2017).
L’impugnazione risulta , tuttavia, essere stata dichiarata inammissibile (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24241 del 09/08/2023).
Il primo motivo di ricorso principale, trattato al par. III.2, è infondato.
5.1. La TME ha censurato il mancato rilievo ad opera del giudice del rinvio del difetto di legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE, e poi anche del RAGIONE_SOCIALE di tale società, per avere quest’ultima ceduto i crediti azionati nel presente giudizio alla RAGIONE_SOCIALE prima dell’avvio del processo e per essere uno dei due contratti posti a fondamento dell’azione, quello del 06/11/2002, sottoscritto non dalla RAGIONE_SOCIALE in proprio ma in qualità di mandataria della ATI, costituita insieme alla RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
La parte ha dedotto di avere prospettato tale questione nella comparsa di costituzione nel procedimento in grado di appello, che ha portato alla decisione poi cassata dal giudice di legittimità, aggiungendo che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice del rinvio, non poteva essere intervenuto il giudicato su tale questione, perché sul punto né il giudice di merito né la RAGIONE_SOCIALE.C. si sono espressi.
5.2. Tale prospettazione si pone, tuttavia, in contrasto con la giurisprudenza oramai consolidata di questa Corte, secondo la quale il giudizio di rinvio è un procedimento chiuso, preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, nel corso del quale non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum mediante la formulazione di domande ed eccezioni nuove, ma operano anche le preclusioni derivanti dal giudicato implicito, formatosi con la sentenza
rescindente, onde neppure le questioni rilevabili d’ufficio, che non siano state considerate dalla Corte Suprema possono essere dedotte o comunque esaminate, giacché, diversamente, si finirebbe per porre nel nulla o limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 24357 del 10/08/2023).
Il giudice del rinvio è, in sintesi, investito della controversia nei limiti segnati dalla decisione di legittimità relativamente alle questioni da essa decise e non può riesaminare gli antecedenti logici e giuridici delle stesse , anche se astrattamente rilevabili d’ufficio (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 636 del 14/01/2019; v. anche Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11939 del 22/05/2006).
Il secondo motivo di ricorso principale contiene plurime censure.
6.1. Com’è noto, in tema di ricorso per cassazione, costituisce ragione d’inammissibilità l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza, quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le censure, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 26790/2018; Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 7009/2017; v. anche Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 36881/2021).
L’inammissibilità della censura per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei, riconducibili alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, c.p.c. può essere superata solo se la formulazione del motivo permette di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse
fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., Sez. U, Sentenza n. 9100/2015; v. da ultimo Cass., Sez. 1, Sentenza n. 39169/2021).
6.2. Nel caso di specie, parte ricorrente ha prospettato che il giudice del rinvio ha male interpretato i principi posto a fondamento della sentenza di questa Corte, che ha cassato la prima pronuncia della Corte d’appello, attribuendo a tale statuizione una portata che non aveva, aggiungendo che tale vizio della decisione in questa sede impugnata, in sé rilevan te come violazione dell’art. 384 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. , ha comportato anche l’omesso esame di elementi decisivi, discussi tra le part i, censurato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. e, in alcuni casi, la violazione di disposizioni di legge.
Nel formulare tali censure, la parte ha suddiviso le doglianze in tre gruppi, riconducibili, in particolare, al capo della decisione che ha ritenuto sussistente il credito per il corrispettivo delle prestazioni eseguite (par. III.3), al capo della decisione che ha ritenuto sussistente il danno conseguente all’interruzione del rapporto contrattuale (par. III.4) e al capo della decisione che ha quantificato tale danno (par. III.5). Per ogni gruppo, la parte ha ritagliato delle specifiche sottocategorie, contenenti autonome ragioni di doglianza (es. par. III.a, par. III.b, ecc.).
6.3. È, dunque, possibile esaminare separatamente le censure, seguendo lo schema adottato dalla parte ricorrente.
Con riferimento all’accertamento del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE per le prestazioni eseguite in adempimento dei contratti di subappalto, la censura al par. III.3 contiene la prospettazione della violazione o falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., oltre che l ‘allegazione dell’omessa considerazione di elementi decisivi e discussi tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., richiamando anche il disposto dell’art. 115 c.p.c.
7.1. La censura contenuta nel par. III.3, nella parte in cui è dedotta la violazione dell’art. 384 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., è infondata.
Secondo parte ricorrente, il giudice del rinvio ha erroneamente ritenuto di poter trarre dalla sentenza di questa Corte, che ha cassato la prima pronuncia del giudice di appello (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2963 del 03/02/2017), la conseguenza di dover ritenere provate le pretese economiche della RAGIONE_SOCIALE, mentre invece aveva demandato al giudice del rinvio di accertare in concreto e nel merito se, sulla scorta dei principi enunciati, le domande formulate da RAGIONE_SOCIALE fossero effettivamente provate.
È, però, sufficiente leggere la sentenza impugnata per rilevare come, invece, con riguardo al credito vantato per le prestazioni eseguite, il giudice del rinvio abbia operato tale nuova valutazione delle risultanze istruttorie, tenendo conto dei principio enunciati dalla RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE., rispondendo anche alle eccezioni della TME ivi riportate (pp. 8-14 della sentenza impugnata).
7.2. Le censure contenute nel par. III.3, riferibili al dedotto vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per vari motivi non superano invece il vaglio di inammissibilità.
7.2.1. Com’è noto, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c. consente l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» e non più «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio» .
La norma si riferisce al mancato esame di un fatto decisivo, che è stato offerto al contraddittorio delle parti, da intendersi come un vero e proprio fatto storico, come un accadimento naturalistico.
Costituisce, pertanto, un fatto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una questione o un punto controverso, ma un vero e
proprio evento, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018; v. anche Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 13024 del 26/04/2022).
Può trattarsi di un fatto principale ex art. 2697 c.c. (un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche di un fatto secondario (un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché sia controverso e decisivo (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016), nel senso che il mancato esame, evincibile dal tenore della motivazione, vizia la decisione perché influenza l’esito del giudizio.
Non integrano, dunque, fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. le mere argomentazioni o le deduzioni difensive (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 14802 del 14/06/2017), né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato dal giudice, o le mere ipotesi alternative, e neppure le singole risultanze istruttorie, qualora il fatto storico rilevante sia, comunque, stato preso in considerazione (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018). Per gli stessi motivi, non costituisce omesso esame, nei termini appena indicati, la mancata valutazione di domande o eccezioni, ovvero dei motivi di appello (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 29952 del 13/10/2022).
Con particolare riferimento all’ omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie (Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 28887 del 08/11/2019; Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018).
Ovviamente, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della Corte di cassazione, con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione, restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 37382 del 21/12/2022).
In applicazione del disposto dell’art. 366, comma 1, n n. 4 e 6, c.p.c., inoltre, la parte che propone ricorso per cassazione facendo valere l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, a pena d’inammissibilità, è tenuta ad allegare in modo non generico il ‘fatto storico’ non valutato, il ‘dato’ testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il ‘come’ e il ‘quando’ tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua ‘decisività’ per la defin izione della vertenza (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7472 del 23/03/2017; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13578 del 02/07/2020).
7.2.2. Nel caso di specie, parte ricorrente ha dedotto che la Corte di appello ha omesso di rilevare le discordanze tra i numeri identificativi dei contratti indicati sulle fatture e quelli relativi ai contratti azionati, che avrebbero messo in discussione la valenza probatoria delle fatture
stesse (p. 23 del ricorso), ma non ha neppure allegato la rilevanza di tali documenti ai fini della decisione.
In effetti, detta documentazione non risulta essere stata valutata dalla Corte territoriale, davanti alla quale la materia del contendere risulta essersi incentrata sulla rilevanza attribuita, per il secondo contratto, ai SAL e alla circostanza che RAGIONE_SOCIALE avesse pagato il corrispettivo dovuto alla RAGIONE_SOCIALE (p. 8-10 della sentenza impugnata).
7.2.3. Parte ricorrente ha pure rilevato che la Corte territoriale ha omesso di considerare che i SAL prodotti da RAGIONE_SOCIALE erano stati emessi dalla RAGIONE_SOCIALE, e non dalla stazione appaltante (p. 23 del ricorso), ma è sufficiente leggere la sentenza per rilevare che la Corte di merito, non solo non ha omesso di esaminare detti SAL, ma ha anche tenuto conto di tale loro caratteristica, motivando chiaramente sul punto (p. 9 della sentenza impugnata).
Non si tratta, dunque, di omesso esame di un fatto, inteso nel senso sopra indicato, ma di non condivisione nel merito delle conseguenze dell’ esame effettuato.
7.2.4. Parte ricorrente ha pure affermato che la Corte territoriale ha omesso di considerare che i contratti erano già scaduti alla data del 30 aprile 2003 e che RAGIONE_SOCIALE non aveva dimostrato ‘s e ‘ e ‘perché’ avrebbe avuto il diritto di continuare ad eseguirli oltre tale data, ove non avesse ricevuto la disdetta della RAGIONE_SOCIALE (p. 23 del ricorso).
È tuttavia evidente che non è prospettato il mancato esame di fatti, ma l’omessa considerazione di argomenti e allegazioni difensive, che, peraltro, risultano espressamente valutati in sentenza, anche se in modo non condiviso dalla parte (p. 13 della sentenza impugnata).
7.2.5. Del tutto al di fuori de ll’ambito operativo dell’ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. è, poi, la deduzione in ordine alla mancata considerazione che il presunto danno lamentato dal RAGIONE_SOCIALE fosse
completamente sprovvisto di prova, anche solo presuntiva (p. 23 del ricorso).
Non è infatti prospettato l’omesso esame di alcun fatto, inteso nel senso sopra indicato, essendo semplicemente criticat o l’esito complessivo del giudizio operato.
Sono inammissibili anche le censure riportate al par III.3.a, al par. III.3.b e al par. III.3.c.
8.1. Nel par. III.3.a, parte ricorrente ha dedotto di non avere effettuato alcuna delle ammissioni ad essa attribuite, in ordine alla natura pubblica dell’appalto affidato da RAGIONE_SOCIALE all’ATI di cui era mandataria la RAGIONE_SOCIALE, criticando anche altre valutazioni del giudice di merito e richiamando l’inapplicabilità del disposto dell’art. 115 c.p.c., ma la censura si sostanzia in una inammissibile critica diffusa, rivolta ad argomenti della sentenza e delle difese della controparte, a volte in fatto e a volte in diritto, finalizzate ad esprimere la non condivisione della decisione non riconducibile ad una chiara illustrazione di alcuno dei motivi di ricorso per cassazione.
8.2. Nel par. III.3.b, la parte ha illustrato in modo più esteso le censure già esaminate, riferite alla provenienza dei SAL e alla idoneità probatoria dell ‘ulteriore documentazione (v. supra ), ritenendo la violazione dell’art. 384 c.p.c., ma operando, in realtà, una inammissibile critica alla valutazione in fatto delle risultanze istruttorie acquisite al processo.
8.3. Le discordanze tra i numeri identificativi dei contratti indicati sulle fatture e quelli relativi ai contratti azionate, riportate al par. III.3.c, ripropongono la censura sopra già esaminata, riferita all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., da ritenersi inammissibile per i motivi sopra illustrati.
Nel par. III.4 la ricorrente ha dedotto la violazione o falsa applicazione dell’art. 384, comma 2, c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. , per
avere la Corte d’appello ritenuto dimostrata la sussistenza di un danno risarcibile, nascente dall’interruzione del rapporto contrattuale e dalla sostituzione di RAGIONE_SOCIALE con altra impresa nel completamento delle opere, con violazione dell’art. 1671 c.c. e delle norme processuali che scandiscono la definizione della domanda e vincolano il giudice a pronunciarsi nei limiti della medesima, richiamando il capo della sentenza impugnato, specificando poi:
– al par. III.4.a che la Corte di merito non ha considerato che, al momento in cui la RAGIONE_SOCIALE ha comunicato alla RAGIONE_SOCIALE la fine dei lavori, i termini di durata dei contratti di subappalto erano già scaduti, sicché era la RAGIONE_SOCIALE a dover dimostrare che aveva diritto a proseguire il rapporto, al fine di ottenere il risarcimento del danno, mentre la sentenza impugnata aveva violato l’art. 2697 c.c., pretendendo da TME la controprova anziché dal RAGIONE_SOCIALE la prova diretta delle sue pretese.
– al par. III.4.b che i contratti conferivano a RAGIONE_SOCIALE la facoltà di porre termine liberamente al subappalto, escludendo qualsiasi indennizzo a beneficio di RAGIONE_SOCIALE, nella specie peraltro richiesto inammissibilmente nella prima memoria 183 c.p.c. in primo grado ( l’atto introduttivo del giudizio conteneva la richiesta del solo risarcimento del danno), mentre la motivazione della sentenza impugnata sul punto era solo apparente e la Corte d’appello era incorsa in un duplice errore di diritto, rilevando erroneamente che l’eccezione riferita alla pattuizione sul recesso fosse tardiva, perché proposta per la prima volta nel giudizio di rinvio, mentre si trattava di una mera difesa, e non di una eccezione in seno stretto, senza considerare che, invece, era tardiva la richiesta di indennizzo introdotta con la prima memoria ex art. 183 c.p.c.
al par. III.4.c che la RAGIONE_SOCIALE non risultava neppure avere richiesto di continuare nell’esecuzione de i contratti di subappalto, né fatto
alcunché per evitare o ridurre il danno, sicché il risarcimento era stato riconosciuto in violazione dell’art. ;
al par. III.4.d che la domanda risarcitoria era del tutto sfornita di prova, non avendo la RAGIONE_SOCIALE offerto alcuna valida dimostrazione, neppure indiziaria del presunto danno subito, tanto meno in termini di perdita di chances .
9.1. Con riferimento alla censura al par. III.4, deve subito ritenersi inammissibile per genericità la critica riferita alla violazione ex art. 384 c.p.c. dei principi di diritto enunciati da questa Corte nella sentenza che ha cassato la prima pronuncia del giudice di primo grado (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2963 del 03/02/2017), non essendo neppure specificato in che modo i principi sopra menzionati non siano stati applicati. Anche il riferimento alla violazione delle altre norme è del tutto generico e privo di una minima illustrazione. Le censure risultano, in sintesi, inammissibili, in violazione dell’art. 366, comma 1, nn. 4 e 6, c.p.c.
9.2. È inammissibile anche la censura con la quale, nel par. III.4.a, è dedotta la violazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte di appello ritenuto esistente e risarcibile la lesione della legittima aspettativa alla prosecuzione dei contratti di appalto, pure scaduti.
9.2.1. Com’è noto, la violazione dell’art. 2697 c.c., sussiste soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate dalla predetta norma, non potendo ravvisarsi nell’ipotesi in cui si prospetti che, a seguito di una valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia, o meno, assolto tale onere, giacché in siffatta ipotesi vi sarà soltanto un apprezzamento in fatto, sindacabile in sede di legittimità nei limiti in cui è configurabile il vizio di cui all’art. 360,comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018; Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 18092 del 31/08/2020).
9.2.2. Nel caso di specie, parte ricorrente ha impostato la questione in termini di violazione del riparto dell’onere della prova, ritenendo gravante sulla RAGIONE_SOCIALE l’onere di dimostrare l’esistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto contrattale, nonostante il termine della durata previsto in contratto, ma non ha colto la ratio della decisione.
Sul punto la Corte d’appello ha statuito come segue: «Ha rilevato la TME l’inesistenza del danno da risarcire atteso che quando la RAGIONE_SOCIALE ha comunicato a RAGIONE_SOCIALE la fine dei lavori erano già scaduti i termini previsti dai relativi contratti previsti per l’ultimazione dei lavori stessi, come emerge dall’art. 5 contratto 4.12.2001 (doc. 2 fasc. I grado RAGIONE_SOCIALE), che prevedeva il termine finale ad aprile 2003, e dal contratto 6.11.2002 (doc. 8 fasc. I grado RAGIONE_SOCIALE) che prevedeva il termine per il 20.01.2003; eventuali prosecuzioni sarebbero derivati dal ritardo di RAGIONE_SOCIALE nell’esecuzione delle opere e, dunque, sarebbero da addebitarsi alla stessa RAGIONE_SOCIALE. L’argomento non è condivisibile. I contratti in questione, infatti, pur stabilendo dei termini di durata, prevedevano la possibilità che le opere fossero ultimate oltre i termini fissati ed, in tal caso, consentivano a RAGIONE_SOCIALE, qualora il ritardo fosse imputabile al subappaltatore, di risolvere il contratto con preavviso scritto, applicando anche una penale. Nel caso di specie, tuttavia, non risulta alcuna contestazione di RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE (né potrebbe tenersi conto di problematiche mai contestate a questa parte) ed, anzi, nella lettera di risoluzione nessun addebito è contenuto di rallentamenti, ritardi od inesatto adempimento a carico della RAGIONE_SOCIALE. Conseguentemente la RAGIONE_SOCIALE del tutto legittimamente nutriva aspettative di poter portare a compimento le opere previste nei contratti conclusi ed, in vista di ciò, è presumibile che si sia organizzata in modo da potervi far fronte.»
Non si tratta, dunque, di un caso in cui il giudice ha posto a carico di parte l’onere della prova di fatti o circostanze che, invece, devono essere provati dall’altra parte, avendo il giudice semplicemente operato una valutazione delle risultanze di causa e ritenuto provata una legittima aspettativa alla prosecuzione del rapporto contrattuale.
9.3. È inammissibile anche la censura al part. III.4.b, ove la parte non ha tenuto conto della ratio della decisione impugnata.
Il giudice di merito ha, infatti, supportato la statuizione con due distinte ragioni fondanti, dal momento che, in primo luogo, ha dedotto che la domanda risarcitoria formulata dalla RAGIONE_SOCIALE con l’atto introduttivo del giudizio poteva essere riqualificata come domanda di indennizzo ex art. 1671 c.c., aggiungendo, in secondo luogo, che anche come domanda risarcitoria conseguente all’interruzione dei rapporti contrattuali era fondata, sussistendo il diritto al risarcimento dei danni, che la RAGIONE_SOCIALE aveva contenuto nell’importo del materiale già preparato e non ritirato dalla committenza e nel mancato guadagno che avrebbe percepito con la prosecuzione dei subappalti (p.12-13 della sentenza impugnata).
Tutte le censure alla ammissibilità della domanda ex art. 1671 c.c. devono ritenersi superate da tale statuizione, che ritiene comunque configurabile e risarcibile anche un danno conseguente alla interruzione del rapporto contrattuale.
Si deve, inoltre, tenere presente che questa stessa Corte, con la sentenza che ha cassato la prima pronuncia della Corte d’appello , ha esplicitamente respinto il primo motivo di ricorso incidentale per cassazione, con il quale la TME aveva dedotto l ‘ inammissibilità per novità delle conclusioni della RAGIONE_SOCIALE contenute nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., sicché la richiesta ex art. 1671 c.c. poteva essere legittimamente esaminata.
Inoltre, deve precisarsi che correttamente il giudice del rinvio ha escluso l’ammissibilità della nuova allegazione della TME in ordine alla previsione di una pattuizione che escludeva l’indennizzo in caso di recesso, tenuto conto del carattere chiuso del giudizio di rinvio, come sopra illustrato.
9.4. È inammissibile la censura al par. III.4.c, risultando del tutto generica in ordine alla individuazione dei danni che avrebbero potuto essere evitati da un eventuale comportamento della creditrice RAGIONE_SOCIALE.
9.5. È altresì inammissibile la censura al par. III.4.d, ove la ricorrente ha rilevato la RAGIONE_SOCIALE del danno in assenza di ogni minima prova e con motivazione apparente, tenuto conto che la censura si sostanzia in una contestazione della valutazione in fatto operata dal giudice, espressa ed esplicita, ma non condivisa dalla parte.
Con la censura al par. III.5 del ricorso per cassazione, la ricorrente ha dedotto che la sentenza impugnata ha violato o falsamente applicato gli artt. 1226 e 2697 c.c., ove ha ritenuto congrua la RAGIONE_SOCIALE del danno del Tribunale, violando o facendo falsa applicazio ne dell’art. 112 c.p.c. , nella parte in cui non ha rilevato che la pronuncia andava ultra petita , e violando l’art. 1227 c.c., laddove non ha considerato l’incidenza del comportamento di RAGIONE_SOCIALE.
La critica è, tuttavia, formulata con allegazioni del tutto assertive e generiche, prive di autosufficienza, in violazione dell’art. 366, comma 1, nn. 4 e 6 c.p.c.
È in ammissibile l’ulteriore censura, illustrata nel par. III.6 del ricorso per cassazione, con il quale è dedotta l’errata imputazione de ll’onere delle spese e la loro incongrua RAGIONE_SOCIALE, contrastando con il principio più volte affermato da questa Corte, secondo il quale, in tema di regolamento delle spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte
totalmente vittoriosa (tra le tante, v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15317 del 19/06/2013; Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 24502 del 17/10/2017).
L’unico motivo di ricorso incidentale, formulato dal RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE è inammissibile.
12.1. La Corte di appello, in sede di rinvio, ha ritenuto inammissibile l’appello incidentale del RAGIONE_SOCIALE, che aveva lamentato la mancata applicazione degli interessi di mora al tasso previsto dal d.lgs. n. 231 del 2002, rilevando che in primo grado la RAGIONE_SOCIALE aveva semplicemente richiesto gli interessi di mora dal dovuto al saldo e il Tribunale aveva accolto tale domanda.
In sostanza, la Corte d’appello ha ritenuto che la parte non avesse richiesto in primo grado gli interessi moratori ai sensi del d.lgs. cit., sicché la domanda formulata per la prima volta in grado di appello dal RAGIONE_SOCIALE non poteva essere ammessa in appello.
Secondo il RAGIONE_SOCIALE, invece, il giudice avrebbe comunque dovuto rilevare che, con riferimento al contratto del 06/11/2002, si dovevano applicare gli interessi previsti dal d.lgs. n. 231 del 2002, anche se la parte non aveva effettuato tale specificazione, perché si trattava di interessi dovuti ex lege ed era, dunque, sufficiente la generica richiesta volta al pagamento degli interessi moratori , unita all’indicazione della natura e della fonte dell’obbligazione pecuniaria, che consentiva al giudice di applicare la norma in questione.
12.2. La censura si rivela inammissibile in quanto manifestamente infondata, tenuto conto che non offre elementi per contrastare l’orientamento di questa Corte , secondo la quale la spettanza degli interessi moratori non è automatica, poiché ai fini del relativo riconoscimento il giudice deve verificare, come prescritto dall’art. 3 del d.lgs. n. 232 del 2002, che il ritardo nel pagamento non sia stato determinato dalla impossibilità della prestazione derivante da causa
non imputabile al debitore (Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 28151 del 31/10/2019).
In tale ottica, questa Corte ha conseguentemente affermato che, ove il giudice del merito non specifichi quale specie di interessi legali siano stati applicati -come avvenuto nel caso di specie a causa della mancata specificazione della creditrice – si devono intendere dovuti solamente gli intessi previsti dall’art. 1284 c.c., nel testo vigente ratione temporis (precedente all ‘aggiunta operata dall’art. 17 d.l. n. 132 del 2014, conv. con modif. in l. n. 162 del 2014), contenendo tale articolo una norma di portata generale, rispetto alla quale le altre varie ipotesi di interessi contemplate dalla legge hanno natura speciale (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 20273 del 14/07/2023).
In conclusione, deve essere rigettato il ricorso principale e il ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE deve essere dichiarato inammissibile.
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE preclude l’esame dell’ammissibilità e della fondatezza del ricorso incidentale condizionato della TME.
Le spese di lite devono essere compensate nella misura del 50%, tenuto conto della soccombenza reciproca delle parti, gravando sulla ricorrente principale il restante 50%, in considerazione della notevole differenza di valore della materia del contendere oggetto delle rispettive impugnazioni.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della TME e del RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello spettante per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M. La Corte
rigetta il ricorso principale;
dichiara inammissibile il ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE; condanna la ricorrente principale alla rifusione del 50% delle spese processuali sostenute dalla ricorrente incidentale, che liquida per l’intero in complessivi € 15.000,00 per compenso ed € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge, compensando tra le parti il restante 50%;
dà atto che, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile