Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20090 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20090 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18848/2021 r.g., proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO.ti NOME AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO.
ricorrente
contro
NOME , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO, presso AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
contro
ricorrente
nonché
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore .
intimate
e
sul ricorso successivo proposto
OGGETTO: vizio di motivazione -insussistenza o apparenza di motivazione -accertamento
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , elett. dom.ti in INDIRIZZO, presso AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO .
ricorrenti
contro
NOME , in persona del legale rappresentante pro tempore , elett. dom.to in INDIRIZZO, presso AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO.
contro
ricorrente
nonché
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore .
intimata
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova n. 10/2021 pubblicata in data 16/02/2021, n.r.g. 231/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 08/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
1.- NOME COGNOME era stato dipendente della RAGIONE_SOCIALE con mansioni di autista, inquadrato nel livello 3S ccnl per i dipendenti di aziende di trasporto, dal 02/09/2008 al 25/03/2016 data in cui era stato licenziato per giusta causa.
Deduceva che il licenziamento era illegittimo sotto molteplici profili.
Assumeva altresì di essere creditore della datrice di lavoro per la complessiva somma di euro 187.481,33 a titolo di differenze retributive derivanti dall’orario di lavoro ulteriore e maggiore rispetto a quello indicato nelle buste paga, per le quali erano responsabili in solido anche le RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in qualità di committenti ai sensi degli artt. 29 d.lgs. n. 276/2003 e 1676 c.c.
Pertanto adìva il Tribunale di Savona per ottenere l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento, la condanna della datrice di lavoro al pagamento di sei mensilità a titolo risarcitorio, ovvero, in subordine, l’accertamento dell’insussistenza della giusta causa e la conseguente condanna della medesima datrice di lavoro a pagare l’indennità sostitutiva
del preavviso; chiedeva altresì la condanna della datrice di lavoro e, in via solidale, di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE al pagamento della predetta somma a titolo di differenze retributive.
2.Radicatosi il contraddittorio, espletata una consulenza tecnica d’ufficio di tipo contabile, il Tribunale dichiarava illegittimo il licenziamento e condannava la RAGIONE_SOCIALE datrice di lavoro alla riassunzione entro tre giorni o, in mancanza, a pagare l’indennità risarcitoria pari a 4 mensilità di retribuzione; accoglieva poi parzialmente le ulteriori domande e, dichiarati prescritti i crediti anteriori al 04/10/2010 in considerazione della ritenuta interruzione del rapporto di lavoro dal 25 settembre al 03 ottobre 2010, condannava la datrice di lavoro a pagare al ricorrente la somma complessiva di euro 45.873,95 a titolo di differenze retributive, nonché la RAGIONE_SOCIALE in solido con la prima nei limiti di euro 45.573,77 e la RAGIONE_SOCIALE in solido con la prima nei limiti di euro 14.833,65.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello rigettava sia il gravame interposto dalle tre RAGIONE_SOCIALE, sia quello incidentale proposto dal lavoratore.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
l’orario di lavoro osservato dal COGNOME è dimostrato dalle deposizioni dei testimoni NOME, COGNOME e NOME, ossia dalle 7 alle 18 da lunedì a venerdì con una pausa di 45 minuti e, sino al 31/12/2013, anche il sabato due volte al mese dalle 8 alle 13;
non rileva in senso parzialmente contrario la deposizione del teste COGNOME, secondo cui le pause di 45 minute erano previste ogni 4,5 ore di viaggio, in quanto tale affermazione non trova conferma nelle altre deposizioni ed anzi è smentita dalla deposizione del teste COGNOME NOME, secondo cui la pausa era unica e della durata di 30 minuti e anzi spesso gli autisti neppure riuscivano a fruirne perché erano impegnati anche a ‘scaricare i vetri’;
quanto ai dischi cronotachigrafi, le relative risultanze non valgono ad attestare l’effettivo orario di lavoro, in quanto i testimoni hanno riferito che il COGNOME era impegnato oltre che alla guida del mezzo al quale si riferiscono i dischi predetti, anche nel carico e nello scarico
merci e a volte anche come magazziniere, il che conferma l’orario di lavoro indicato dai testimoni;
non è applicabile l’art. 11 bis ccnl logistica trasporti relativo all’orario settimanale di 47 ore, poiché non vi è prova delle condizioni di applicabilità relativamente ai veicoli utilizzati e all’organizzazione del lavoro;
sulla base di questi dati il consulente tecnico d’ufficio ha effettuato i calcoli, che non sono stati di per sé contestati dalle appellanti;
l’assenza di prova circa il preciso ammontare dei ‘fuori busta’ giustifica il fatto che il Tribunale non ne abbia tenuto conto ai fini della determinazione delle differenze retributive, pur essendo rilevanti come indizio di prestazioni eccedenti l’orario ordinario di lavoro;
i contratti stipulati dalla datrice di lavoro con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE sono stati di appalto e non di trasporto, sia perché così qualificati dalle parti, sia perché oggetto del contratto erano anche le attività relative al carico e allo scarico e al magazzino; in ogni caso trova applicazione il principio di diritto affermato da Cass. ord. n. 6449/2020 circa la differenza tra contratto di trasporto e appalto di servizi di trasporto;
quanto al licenziamento, va condiviso il convincimento del Tribunale circa la genericità di parte della contestazione (aver tenuto una condotta ostile nei confronti di altro collega di lavoro) e l’infondatezza per altra parte, non essendo stato provato che il lavoratore si fosse reso inadempiente agli obblighi assunti in sede di pregressa conciliazione sindacale e, quanto alle parole offensive asseritamente indirizzate a COGNOME NOME, per il ridimensionamento del fatto da parte dello stesso COGNOME sentito come testimone, il quale anzi non ha saputo neppure ricordare precisamente l’episodio.
4.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
5.- NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
6.- Avverso la stessa sentenza anche RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
7.- NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
8.- Tutte le RAGIONE_SOCIALE ricorrenti hanno depositato memoria.
9.- Il Collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
I due ricorsi devono ritenersi riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
PRIMO RICORSO
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132, co. 1, n. 4), c.p.c. perché, a fronte di uno specifico motivo di appello relativo alla prova sull’orario di lavoro, volto ad evidenziare che il teste COGNOME aveva riferito fino al marzo 2010 (per essere stato dipendente fino a tale data), sicché la sua deposizione era irrilevante una volta dichiarati prescritti i crediti fino al 04/10/2010, la Corte territoriale nulla ha motivato.
Il motivo è inammissibile perché la Corte ha ampiamente motivato anche con riguardo ad altre deposizioni testimoniali, ulteriori rispetto a quella resa dal teste COGNOME, e non ha in alcun modo affermato che quest’ultimo teste fosse da essa utilizzato per la formazione del suo convincimento anche in relazione al periodo successivo al 2010.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2697 e 2712 c.c., nonché del regolamento CEE 3821/85 e della direttiva 2002/15/CE per avere la Corte territoriale ritenuto irrilevanti le risultanze delle registrazioni dei dischi cronotachigrafi.
Il motivo è inammissibile per varie ragioni.
In primo luogo si addebita la violazione di interi atti normativi (regolamento CEE 3821/85 e direttiva 2002/15/CE) senza specificare quali specifiche norme di tali fonti sarebbero state violate (Cass. sez. un. n. 17555/2013)
In secondo luogo la ricorrente non si confronta con la specifica motivazione spesa dai giudici d’appello (v. sentenza impugnata, p. 6, 2^ cpv.), secondo cui quelle risultanze non erano utilizzabili in quanto superate dalle deposizioni testimoniali, dalle quali era emerso che il COGNOME svolgeva non soltanto le mansioni di autista sui mezzi dotati di quei dischi cronotachigrafi, ma altresì altri compiti (carico e scarico merci, magazziniere) che implicavano l’ulteriore orario di lavoro. Dunque si è
trattato di un apprezzamento di fatto, come tale non sindacabile sotto forma di vizio di violazione di norma di diritto.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso la pronunzia sul motivo di appello, con cui essa RAGIONE_SOCIALE si era doluta che il Tribunale, pur avendo ritenuto provato che il lavoratore avesse lavorato per due sabati al mese, avesse poi chiesto al consulente tecnico d’ufficio di calcolare la retribuzione dovuta per il lavoro straordinario per quattro sabati al mese.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza: il ricorrente non ha riportato la relazione di consulenza tecnica d’ufficio , o almeno gli estratti salienti, da cui in ipotesi risultasse il calcolo del lavoro straordinario per quattro sabati al mese . D’altronde, a fronte di questo motivo di gravame, la decisione della Corte d’appello che, al contrario di questa Corte, ha esaminato la relazione dell’ausiliario nominato dal Tribunale deve ritenersi connotata da un rigetto implicito di quel motivo, sicché la denunziata omissione di pronunzia non sussiste.
4.Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n n. 3) e 5), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per avere la Corte territoriale condiviso la tesi del Tribunale circa l’esistenza del sistema del ‘fuori busta’, aggiuntivi rispetto ai prospetti paga, e circa la loro rilevanza ai fini indiziari dell’ulteriore orario di lavoro, ma poi esclusi come prova delle somme effettivamente percepite, confermate dai testimoni escussi (COGNOME e COGNOME).
Lamenta altresì l’omesso esame dell’istanza istruttoria di esibizione ex artt. 210 e 213 c.p.c. da essa avanzata al fine di acquisire dal lavoratore o da alcune banche gli estratti di conto corrente relativi al medesimo periodo, al fine di accertare se egli avesse versato su tali conti somme ulteriori rispetto ai bonifici delle buste paga o comunque avesse avuto a disposizione altre somme.
Il motivo è inammissibile, perché la prima censura sollecita a questa Corte un diverso apprezzamento di alcune deposizioni testimoniali, interdetto in sede di legittimità. E comunque la Corte territoriale ha dato
adeguata motivazione del proprio convincimento, ritenendo che il ‘sistema del fuori busta’ fosse stato dimostrato dalle deposizioni testimoniali, ma non altrettanto i relativi importi, donde la ritenuta impossibilità di calcolare ulteriori somme come ‘percepite’ e quindi da detrarre dal dovuto.
La seconda censura è inammissibile, perché con essa non viene lamentata l’omessa motivazione, bensì il mancato apprezzamento di quell’istanza, che in realtà deve ritenersi sia stata implicitamente rigettata dai giudici d’appello, che dunque, contrariamente all’assunto della ricorrente, l’hanno apprezzata.
Infine il motivo è inammissibile perché impedito dalla c.d. doppia conforme (art. 360, penult. co., c.p.c.).
5.Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132, co. 1, n. 4), c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di motivare in ordine agli specifici motivi di appello relativi ai fatti oggetto di contestazione disciplinare e poi posti a fondamento del licenziamento.
Il motivo è infondato.
A pag. 7, ult. cpv., della sentenza impugnata la Corte d’Appello ha motivato, ritenendo la prima contestazione di addebito in parte generica, laddove aveva ad oggetto un asserito comportamento ostile e non corretto. Trattasi di una valutazione legata al tenore letterale della contestazione disciplinare, sicché nessun ulteriore onere motivazionale era dovuto.
La Corte territoriale, poi, ha ritenuto l’ulteriore parte della contestazione disciplinare infondata laddove aveva ad oggetto asseriti inadempimenti agli obblighi assunti in sede di conciliazione sindacale, in quanto ritenuti non provati.
A fronte di tale motivazione sarebbe stato onere del ricorrente indicare la prova di quell’inadempimento e, soprattutto, dedurre che quella prova fosse stata oggetto di un motivo di appello non esaminato. Tali oneri non sono stati adempiuti.
Inoltre, a pag. 8, primo cpv. della sentenza impugnata, la motivazione non è apparente: da un lato la Corte territoriale ha affermato che l’episodio (la frase offensiva indirizzata dal lavoratore al superiore COGNOME) ‘ sarebbe stato ridimensionato dallo stesso soggetto ‘, poi, a giustificazione di tale
convincimento, ha ricordato che il COGNOME, escusso come testimone, aveva ‘ affermato di non ricordare in che occasione sarebbe stata pronunciata dal COGNOME la frase incriminata ‘. Si tratta di una spiegazione plausibile .
6.Con il sesto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di pronunziarsi sul quinto motivo di appello, con cui essa RAGIONE_SOCIALE si era doluta della condanna, pronunziata dal Tribunale, al rimborso di tutte le spese del primo grado di giudizio, nonostante le domande fossero state accolte solo in parte.
Il motivo è inammissibile, perché vi è stato un rigetto implicito di quel motivo , all’esito di un apprezzamento globale e complessivo della lite . Infatti, la condanna alle spese del secondo grado implica necessariamente il giudizio sulla correttezza di quella pronunciata dal primo giudice, sicché il motivo di gravame relativo a tale condanna deve intendersi implicitamente respinto e assorbito dalla generale pronuncia di integrale rigetto dell’impugnazione e piena conferma della sentenza di primo grado (Cass. ord. n. 2830/2021). Ne deriva che la pretesa di un’ulteriore e specifica motivazione si rivela contraria ad un elementare principio di economia processuale (Cass. n. 12131/2023).
RICORSO SUCCESSIVO
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. le due RAGIONE_SOCIALE ricorrenti lamenta no ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 1655 ss, 1678 ss, 1362 ss., c.c., onché 115, 116 e 345 c.p.c. per avere la Corte d’Appello ritenuto che il rapporto contrattuale con RAGIONE_SOCIALE fosse un appalto di servizi di trasporto e non una pluralità di contratti di trasporto.
In particolare addebitano alla Corte territoriale di non aver considerato che le prestazioni di trasporto erano state effettuate dalla RAGIONE_SOCIALE nello stesso periodo in favore di entrambe le ricorrenti, ciò che sarebbe incompatibile con un contratto di appalto.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
E’ inammissibile laddove sollecita a questa Corte una diversa interpretazione dei contratti intercorsi con la RAGIONE_SOCIALE, interdetta in sede di legittimità. E’ altresì inammissibile perché, sul piano ermeneutico, non è
indicato in cosa sarebbe consistita la violazione dei criteri interpretativi di cui all’art. 1362 ss. c.c., indicazione ancora più necessaria laddove si consideri che la Corte territoriale ha espressamente evidenziato che le stesse parti contraenti avevano qualificato i contratti in questione come ‘appalto’, sicché anche il criterio letterale deponeva in tal senso. A ciò, peraltro, i giudici d’appello hanno aggiunto l’ulteriore considerazione della complessità dell’oggetto di quei contratti, non limitato al trasporto (come ammettono anche le ricorrenti: v. ricorso per cassazione, p. 17), ma comprensivo di spedizione, nonché deposito, conservazione e custodia merci, sicché all’esito dell’interpretazione complessiva di quei contratti sono giunti alla qualificazione giuridica in termini di appalto di servizi.
Il motivo è poi infondato laddove le ricorrenti assumono che un requisito essenziale dell’appalto sarebbe l’esclusività del rapporto, requisito invece non richiesto dall’art. 1655 c.c. Cosa diversa è quell’unicità del rapporto, indicata da questa Corte in presenza di una pluralità di prestazioni (ad esempio di trasporto) come criterio idoneo proprio a ravvisare l’appalto (di servizi) piuttosto che tanti contratti quante sono le prestazioni eseguite.
L’ulteriore argomento utilizzato dai giudici d’appello circa la contitolarità del rapporto e l’unicità delle strutture fra appaltatrice e committenti rappresenta solo un obiter dictum . Trattasi di rilievo che esula completamente dalla causa petendi della domanda avanzata dal lavoratore, fondata esclusivamente sull’art. 29 d.lgs. n. 276/2003 ed è comunque ininfluente nell’economia della motivazione della sentenza impugnata.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. le ricorrenti lamenta no ‘violazione e falsa applicazione’ degli artt. 29, co. 2, d.lgs. n. 276/2003, 115, 116 e 345 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto applicabile la predetta disciplina anche in presenza di una pluralità di committenti.
Il motivo è manifestamente infondato.
La presenza di più committenti, ossia di più soggetti giuridici nell’ambito di una delle parti di un contratto di appalto, è fenomeno del tutto comune, che dà luogo alla parte c.d. plurisoggettiva. Questo aspetto non inficia in alcun modo la qualificazione giuridica del contratto in termini di appalto, atteso che l’art. 1655 c.c. non richiede affatto che la parte committente sia
c.d. monosoggettiva, ossia costituita da un solo soggetto giuridico. Ne consegue che tale plurisoggettività, lasciando ferma la qualificazione giuridica in termini di appalto, non impedisce l’applicabilità del relativo regime della responsabilità solidale prevista dall’art. 29 d.lgs. cit. in capo a i vari soggetti che costituiscono il contraente committente. Resta ovviamente ferma la necessità che, ai fini dell’invocazione della responsabilità solidale del committente, il lavoratore sia stato impiegato in quell’appalto riferibile a tutti quei soggetti giuridici che hanno costituito la parte plurisoggettiva del committente, profilo questo pacifico in causa.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4), c.p.c. le ricorrenti lamenta no la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di pronunziarsi sul quarto motivo di appello, con cui esse RAGIONE_SOCIALE si erano dolute della condanna, pronunziata dal Tribunale, al rimborso di tutte le spese del primo grado di giudizio, nonostante le domande fossero state accolte solo in parte.
Il motivo è inammissibile per le ragioni già esposte nell’esame del sesto motivo del primo ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta i due ricorsi riuniti; condanna le RAGIONE_SOCIALE ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per ciascun ricorso, in solido quelle fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per i ricors i a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in