Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24911 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24911 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 20134-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 194/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/04/2021 R.G.N. 3083/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
APPALTO
R.G.N. 20134/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 24/06/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha accertato l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato tra NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione per il periodo 1.6.1999-28.2.2010, con inquadramento nel livello B2 del CCNL personale dipendente dalle azienda esercenti autorimesse, noleggio auto con autista, ed ha condannato la Cooperativa al pagamento di differenze retributive, compresi i compensi per lavoro straordinario. I giudici del merito hanno, inoltre, accertato la responsabilità solidale della committente RAI Radiotelevisione italiana s.p.a., ex art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, respingendo l’eccezione di decadenza dalla domanda nonché di prescrizione dei crediti.
La RAI ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza impugnata sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria. Il lavoratore e il fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione sono rimasti intimati.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 29, secondo comma, del d.lgs. n. 276 del 2003 (nel testo ” ratione temporis ” vigente prima delle modifiche apportate dal d.l. n. 5 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 35 del 2012) e 2964 c.c. rilevando che la Corte territoriale ha erroneamente interpretato la disposizione normativa nella misura in cui ha ritenuto che il termine di decadenza biennale (per far valere la responsabilità del committente con riguardo al pagamento delle retribuzioni e
dei contributi non versati dal datore di lavoro appaltatore) possa essere interrotto da un atto stragiudiziale (e non esclusivamente dalla proposizione della domanda giudiziale).
Il motivo non è fondato.
2.1. Questa Corte ha affermato che la decadenza prevista dall’art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, nel testo ” ratione temporis ” vigente prima delle modifiche apportate dal d.l. n. 5 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 35 del 2012, secondo cui il committente è obbligato in solido con l’appaltatore e con gli eventuali subappaltatori per il pagamento dei trattamenti retributivi dovuti al lavoratore entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, è impedita anche dalla richiesta stragiudiziale di pagamento (Cass. n. 30602/2021).
2.2. L’orientamento è stato confermato da numerosi successivi provvedimenti (cfr. Cass. nn.31037, 31038, 31340, 31684 del 2022; Cass. nn. 28408 e 32867 del 2023; Cass. n. 9130 e 20321 del 2024) e non si pone in contrapposizione a più datati precedenti di questa Corte (cfr. Cass. n. 19184 del 2016, Cass. nn. 6983 e 17725 del 2017, Cass. n. 18004 del 2019) ove ci si è limitati ad affermare che il termine biennale previsto dalla norma suindicata è termine dì decadenza, astenendosi dall’affrontare espressamente la questione della idoneità anche di atti stragiudiziali ad impedirne l’operatività (del pari, Cass. n. 4237 del 2019 ha esclusivamente affrontato la questione dell’individuazione del regime di solidarietà da applicare ratione temporis, mentre Cass. n. 29629 del 2019 ha ribadito la natura decadenziale del termine e la decorrenza dalla cessazione dell’appalto).
Con il secondo ed il terzo motivo di ricorso si denunzia violazione degli artt. 1362, 1363, 2943, 1219, 29, secondo comma, del d.lgs. n. 276 del 2003 nonché degli artt. 2935 c.c.,
avendo, la Corte territoriale errato ove ha ritenuto idonea – la lettera inviata dal lavoratore alla RAGIONE_SOCIALE e per conoscenza alla RAI – ad interrompere il termine di prescrizione e ove ha ritenuto di individuare, anche nei confronti della RAI, il dies a quo del termine dii prescrizione dalla cessazione del rapporto di lavoro (e non dal momento della asserita maturazione dei crediti).
I motivi, che concernono il regime di prescrizione dei crediti vantati dal lavoratore, possono essere esaminati congiuntamente: il secondo motivo è inammissibile e il terzo non è fondato.
4.1. La censura concernente l’interpretazione della lettera (del 29.12.2014) inviata dal lavoratore alla RAGIONE_SOCIALE e alla RAI sollecita, ad onta dei richiami normativi, un nuovo accertamento di merito in ordine al contenuto della missiva, accertamento insindacabile in questa sede di legittimità, essendosi, inoltre, la parte ricorrente limitata ad offrire solo una diversa opzione interpretativa della risultanza documentale (a fronte della disamina, da parte della sentenza impugnata, di sufficienti indicazioni quanto alle competenze maturate e non godute in riferimento all’intero periodo del rapporto di lavoro, alle singole voci rivendicate e all’intenzione di far valere giudizialmente i diritti pretermessi, pag. 9 della sentenza impugnata).
4.2. In ordine alla individuazione del dies a quo del termine di prescrizione dei crediti, la Corte territoriale ha correttamente individuato il regime di prescrizione del credito vantato dal lavoratore in base al titolo giuridico che costituiva la fonte dell’obbligazione, ossia il rapporto di lavoro subo rdinato instaurato tra la RAGIONE_SOCIALE e il Masala, essendo la RAI tenuta all’adempimento dell’obbligazione pecuniaria quale mero debitore sussidiario, in forza dell’art. 29, secondo comma, del
d.lgs. n. 276 del 2003. Posto che la Corte territoriale ha accertato che si trattava di rapporto di lavoro sottratto al regime di stabilità (in quanto destinatario di tutela obbligatoria in caso di illegittimità del licenziamento), il dies a quo è stato correttamente individuato alla data di cessazione del rapporto.
4.3. Invero, il diritto del lavoratore di ottenere dal committente, ai sensi dell’art. 29, secondo comma, del d.lgs. n. 276 del 2003, la corresponsione dei trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti dal datore di lavoro appaltatore non è distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro: il tenore lessicale della disposizione normativa è chiaro nel senso di creare un vincolo solidale tra obbligazioni (retributive e contributive) aventi lo stesso contenuto in modo che il debitor principale e il condebitore siano tenuti alla medesima prestazione. Conseguentemente, la prestazione (retributiva e contributiva) ha lo stesso contenuto per tutti i debitori e soggiace allo stesso regime di prescrizione applicabile ai crediti retributivi (regime che, nell’ambito dei rapporti di lavoro, dipende dalla sussistenza del presupposto della stabilità del contratto).
Con il quarto motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 c.c. e 15 CCNL personale dipendente dalle aziende esercenti autorimesse, noleggio auto con autista, ove la Corte territoriale ha affermato il diritto all’inquad ramento del lavoratore nel livello B2 delle declaratorie contrattuali senza indagare le effettive mansioni disimpegnate e sulla esclusiva base dell’inquadramento risultante dalle buste paga della Cooperativa.
Con il quinto motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c. ove la Corte territoriale ha riconosciuto emolumenti per lavoro straordinario
come da conteggi allegati al ricorso pur in assenza di prova (a carico del lavoratore) delle concrete modalità e dei tempi effettivi del servizio prestato dal lavoratore.
Entrambi i motivi sono inammissibili.
7.1. Le censure – formalmente dedotte in termini di violazione di norme di diritto e dei contratti collettivi -schermano, in realtà, una deduzione di vizi di motivazione, perchè addebitano alla sentenza il malgoverno delle risultanze istruttorie in ordine all’accertamento di mansioni inferiori rispetto al profilo di inquadramento e sollecitano una nuova, inammissibile, lettura del materiale istruttorio.
7.2. Questa Corte ha da tempo consolidato il principio secondo cui una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., Cass. S.U. n. 20867 del 2020; nello stesso senso, fra le più recenti, Cass. n. 6774 del 2022, Cass. nn. 1229 del 2019, 4699 e 26769 del 2018, 27000 del 2016), restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, non essendo tale vizio inquadrabile nè nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nè in quello del precedente n. 4, che, per il tramite dell’art. 132 c.p.c.,
4, attribuisce rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. n. 11892 del 2016).
In conclusione, il ricorso va rigettato, nulla sulle spese in assenza dei controricorrenti.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 giugno 2025.
Il Presidente dott.ssa NOME COGNOME