Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24396 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24396 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23024/2020 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
nonché contro
NOME
-intimata-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n. 502/2020, depositata il 21/05/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/03/2025
dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
NOME COGNOME ha proposto opposizione al decreto che gli ha ingiunto il pagamento di euro 53.307,14, quale corrispettivo per i lavori di restauro e risanamento di un fabbricato, in favore dell’appaltatore NOME COGNOME in quanto i lavori erano stati eseguiti in parte difformemente dal progetto originario e in parte non erano stati autorizzati. COGNOME, costituendosi, ha eccepito che le difformità non erano a lui addebitabili e di avere eseguito i lavori secondo il progetto e la variante in corso d’opera così come indicato dal direttore dei lavori.
Con la sentenza n. 618/2015, il Tribunale di Fermo, riunita la causa di opposizione a quella di risarcimento del danno promossa dal committente COGNOME nei confronti del direttore dei lavori NOME COGNOME ha respinto l’opposizione e ha condannato il direttore dei lavori COGNOME a pagare al committente COGNOME euro 36.066,96, quale importo necessario per eliminare le difformità dell’opera rispetto al progetto. Per quanto interessa il presente giudizio, il Tribunale ha osservato che la responsabilità solidale dell’appaltatore, ipoteticamente sussistente, è esclusa dalla domanda di COGNOME che nelle proprie conclusioni ha diviso le obbligazioni di ciascun condebitore, euro 36.066,96 a carico di COGNOME ed euro 9.318,93 a carico di COGNOME manifestando così la sua rinuncia alla solidarietà.
La sentenza è stata impugnata da COGNOME che ha in particolare denunciato la mancata condanna in solido di COGNOME e COGNOME.
Con la sentenza n. 502/2020 la Corte d’appello di Ancona ha parzialmente accolto il gravame: ha revocato il decreto ingiuntivo opposto, ha condannato COGNOME a pagare a COGNOME euro 43.368,26 e ha condannato COGNOME e COGNOME al pagamento in via solidale di euro
36.066,96 in favore di COGNOME. Ad avviso del giudice d’appello l’evento dannoso è conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell’appaltatore e del direttore dei lavori, configurandosi la loro responsabilità solidale, anche se il committente per strategia processuale ha agito singolarmente nei loro confronti.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
L’intimata NOME COGNOME non ha proposto difese.
Memoria è stata depositata dal ricorrente e dal controricorrente (quest’ultimo unicamente riportandosi al controricorso).
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in quattro motivi che contestano la condanna di COGNOME al pagamento di euro 36.066,96 in solido con COGNOME:
il primo motivo lamenta la mancanza di esposizione delle ragioni di fatto e di diritto ovvero per incomprensibilità delle ragioni della condanna solidale, in quanto è stata disposta la responsabilità solidale senza indicare gli inadempimenti dell’appaltatore;
il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 1311 c.c. e 112 c.p.c. perché la Corte d’appello ha pronunciato condanna in solido e per l’intero sebbene nelle conclusioni COGNOME avesse chiesto la condanna solo nei confronti di COGNOME
il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 1176, 1218 e 1667 c.c., nonché dell’art. 112 c.p.c. perché la responsabilità dell’appaltatore non sussiste quando ha agito quale nudus minister , ovvero gli errori progettuali esulino dalle sue competenze;
il quarto motivo fa valere omesso esame di un fatto decisivo, ossia che COGNOME ha eseguito i lavori secondo le schede tecniche del direttore dei lavori e del committente.
I motivi non possono essere accolti.
Quanto al primo motivo, non sussiste il vizio di mancanza della motivazione. La Corte d’appello ha richiamato l’orientamento di
questa Corte, secondo il quale l’appaltatore e il direttore dei lavori rispondono solidalmente dei danni essendo sufficiente, per la sussistenza della solidarietà, che le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, facendo il giudice ricorso al criterio sussidiario della parità delle colpe – di cui all’art. 2055, comma 3, c.c. – nel caso in cui, per l’impossibilità di provare le diverse entità degli apporti causali, residui una situazione di dubbio oggettivo e reale (in tal senso, da ultimo, cfr. Cass., n. 14378/2023). Nel caso in esame la Corte d’appello ha rilevato la difficoltà di ricondurre alcune tipologie di costi/danni alla negligenza del direttore dei lavori oppure delle altre parti e ha così applicato il criterio sussidiario della parità delle colpe (vedere pag. 5 della sentenza impugnata).
Il secondo motivo è infondato. Non è vero, come sostiene il ricorrente, che COGNOME abbia chiesto la condanna pro quota di COGNOME e COGNOME. Come si legge nell’estratto delle conclusioni precisate da COGNOME all’udienza del 26 novembre 2014 (riportate alla pag. 16 del controricorso), quest’ultimo ha chiesto ‘in accoglimento della domanda proposta in via riconvenzionale nei confronti dell’impresa COGNOME e in via diretta nei confronti dell’ing. NOME COGNOME in solido tra loro e/o secondo le loro rispettive responsabilità’ di condannarli al risarcimento dei danni ‘che si quantificano in euro 45.385,89, di cui 36.066,96 per il direttore dei lavori ed euro 9.318,93 per l’impresa RAGIONE_SOCIALE. COGNOME, pertanto, ha chiesto la condanna in solido di COGNOME e COGNOME e solo in via eventuale e subordinata una loro condanna pro quota.
Il terzo ed il quarto motivo, tra loro strettamente connessi, sono infondati. Il ricorrente contesta alla Corte d’appello di non avere considerato la propria deduzione di essere stato un ‘mero esecutore, considerate anche le numerose richieste di variazione del progetto originario ad opera della moglie del committente’ e di avere ‘dovuto compiere i lavori seguendo esclusivamente le
istruzioni ricevute dal committente e dal direttore dei lavori, senza alcuna propria iniziativa e senza alcun rilievo critico’. In tal modo il ricorrente non considera che la mera esecuzione dei lavori, seguendo le istruzioni del committente e del direttore dei lavori, non esclude di per sé la responsabilità dell’appaltatore. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, riportata dallo stesso ricorrente, ‘l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto a eseguirle, quale nudus minister , per le insistenze del committente e a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori’ (in tal senso cfr. Cass., n. 23594/2017, ribadita da Cass. n. 777/2020).
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente, che
liquida in euro 6.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione