Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14575 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 14575 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/05/2024
SENTENZA
sul ricorso 9387 -2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, come da procura in calce al ricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in INDIRIZZO;
– intimato – e contro
COGNOME NOME
– intimato –
avverso la sentenza n. 2486/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 28/12/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7/11/2023 dal consigliere COGNOME; sentite le conclusioni del P.M. in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 28/02/2007, il RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Trapani, la RAGIONE_SOCIALE, in persona del liquidatore e legale rappresentante protempore NOME COGNOME, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per gravi difetti di costruzione dello stabile condominiale realizzato dalla società convenuta, emersi nel marzo 2006 a seguito di abbondanti piogge.
Il giudizio fu interrotto nel 2011 per l’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese della società liquidata e, quindi, riassunto nei confronti degli ex soci NOME COGNOME e NOME COGNOME.
1.2. Con sentenza n.56/2013, resa in data 25-27 febbraio 2013, il Tribunale di Trapani, sez. di Alcano accertò la sussistenza, la natura e l’imputabilità alla società appaltatrice dei vizi nella costruzione dell’edificio e condannò gli ex soci, in solido, al risarcimento dei danni in favore del RAGIONE_SOCIALE per Euro 208.142,66, oltre interessi, in applicazione dell’art. 2495, II comma, cod. civ., nella formulazione operante ratione temporis , introdotta dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 e anteriore alla modific a disposta dall’art. 40, comma 12 -ter, lett. b), d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. con modif. in l. 11 settembre 2020, n.
120; ritenne infatti, per quel che qui ancora rileva, che il limite della loro responsabilità per i debiti della società cancellata dovesse essere calcolato in Euro 100.667,50 perché considerò, oltre la quota di utili loro riconosciuta nel bilancio di liquidazione, pari a soli Euro 19.667,50 per ognuno, il valore degli immobili che erano risultati loro assegnati in proprietà, con atto pubblico del 28 dicembre 2010, a titolo di «anticipazione della liquidazione», secondo la specificazione contenuta nello stesso atto, per un valore dichiarato di Euro 81.000.
Avverso questa sentenza, i due soci NOME e NOME proposero appello, rappresentando tra l’altro, in relazione alla questione qui controversa, che gli immobili che erano risultati loro assegnati in proprietà a titolo di «anticipazione della liquidazione» erano stati, invece, loro ceduti non a titolo gratuito ma a compensazione di loro crediti, come risultava da una nota di rettifica redatta dallo stesso AVV_NOTAIO rogante -a seguito di una loro dichiarazione -il 28 marzo 2013 (in data successiva alla sentenza di primo grado).
Con sentenza non definitiva n. 2486/2017, depositata il 28/12/2017, la Corte di Appello di Palermo, in parziale accoglimento dell’appello, escluse il vincolo di solidarietà tra i due soci, ma confermò la condanna di ciascuno di loro per i debiti sociali nei limiti della somma di Euro 100.667,50 ciascuno, oltre interessi dalla data di liquidazione finale, come già determinato dal Tribunale; confermò, quindi, in Euro 74.056,18 la quantificazione dei danni causati nella esecuzione dell’appalto relativo ai « lavori di consolidamento e ripristino per RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE», e dispose, invece, un supplemento di istruttoria per i danni conseguenti ai vizi lamentati in riferimento alle «opere di messa in sicurezza per complesso scolastico».
3.1. In particolare, sul punto dei limiti della responsabilità ex art. 2495 secondo comma cod. civ., la Corte d’appello valutò come non
rilevante -seppure ammissibile ex art. 345 cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis ) – la documentazione prodotta dai soci appellanti con l’impugnazione: ritenne, infatti, non significativi né la rettifica dell’atto pubblico, comunque successiva alla sentenza, in quanto fondata su dichiarazioni provenienti dagli stessi ex soci, né, in quanto conseguenti al contenuto delle stesse dichiarazioni, i riportati esiti degli accertamenti della Guardia di finanza, secondo cui «tutte le movimentazioni patrimoniali contenute nel suddetto atto pubblico del 28/12/2010 erano state eseguite nel pieno rispetto della normativa vigente».
Avverso questa sentenza non definitiva NOME COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo. Il RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
La causa, fissata per la discussione in camera di consiglio, è stata rimessa alla trattazione in pubblica udienza in quanto involgente l’interpretazione dell’art. 2495 cod. civ.; con la stessa ordinanza, è stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’altro socio NOME COGNOME che, ritualmente intimato, non ha svolto difese.
Il Procuratore Generale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo, NOME COGNOME ha prospettato, in riferimento all’art. 360, comma I n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2495, II comma cod. civ.: ha sostenuto che il limite della responsabilità di ciascun socio, dopo l’estinzione della RAGIONE_SOCIALE, è segnato soltanto dal bilancio finale di liquidazione, unico documento certo sull’ammontare degli utili distribuiti; conseguentemente, nella fattispecie, il valore dell’immobile acquistato con l’atto pubblico del 28
dicembre 2010 non avrebbe dovuto essere computato per determinare il limite della sua responsabilità, quale socio, per i debiti della società cancellata; ha rimarcato di aver rappresentato alla Corte d’appello che la specificazione, nell’atto pubblico, dell’essere il trasferimento dell’immobile avvenuto a titolo di «anticipazione della liquidazione» è stata causata da un «errore di stampa», che l’errore è stato rettificato dallo stesso AVV_NOTAIO con successivo atto del marzo 2013 e che la Guardia di Finanza ha confermato la regolarità del trasferimento a titolo oneroso.
1.1. Il motivo è infondato.
Al suo esame giova innanzitutto ribadire alcuni fatti, come risultanti dalla sentenza impugnata e dal ricorso.
La società RAGIONE_SOCIALE era stata posta in liquidazione dal 2005 ed è stata cancellata all’inizio dell’anno 2011; il 28 dicembre 2010 è stata stipulata, per atto pubblico, la cessione dei due immobili di proprietà della società al ricorrente COGNOME e all ‘altro socio COGNOME e, in questo atto, alla data di stipulazione, è stato riportato, quale motivo del trasferimento, l’«anticipo della liquidazione»; dagli accertamenti effettuati dalla Guardia di Finanza nel corso del procedimento penale instaurato nel 2011 a seguito di denuncia-querela del RAGIONE_SOCIALE, è stato accertato che l’assegnazione degli immobili ai soci COGNOME e COGNOME risulta fatturata dalla società, che l’operazione è avvenuta a titolo oneroso soggetta a IVA e tassazione; è stata, pure, prodotta in appello, in quanto formatasi dopo la sentenza di primo grado, una «nota» con cui il AVV_NOTAIO rogante ha dichiarato che, «in rettifica di quanto erroneamente riportato in seno all’atto pubblico l’assegnazione immobiliare a loro fatta da parte della soci età RAGIONE_SOCIALE doveva e deve essere considerata effettuata a titolo di rimborso dei crediti all’epoca ancora vantati da essi signori soci NOME COGNOME e
NOME COGNOME e quindi non a titolo di anticipo sulla liquidazione complessiva delle rispettive quote sociali».
Ciò puntualizzato, deve considerarsi, in diritto, che il secondo comma dell’art. 2495 cod. civ., nella formulazione applicabile ratione temporis , introdotta dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 e anteriore alla modifica disposta dall’art. 40, comma 12 -ter, lett. b), d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. con modif. in l. 11 settembre 2020, n. 120, prevedeva (e prevede, oggi, al terzo comma) che «ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi».
1.2. Innanzitutto, deve allora precisarsi che, nella fattispecie, l’avvenuta attribuzione, con il bilancio di liquidazione, della somma di Euro 19.667,50 a ciascuno dei due soci consente di ritenere che sussistessero certamente sia la legittimazione passiva di entrambi che l’interesse del creditore RAGIONE_SOCIALE ad una pronuncia nei loro confronti.
In conseguenza, può escludersi che, nel caso in esame, rilevi la questione -rimessa alle S.U. di questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 7425/2023 – se la condizione testualmente fissata dall’art. 2495 cod. civ., al fine di consentire ai creditori sociali di fare valere i loro crediti, dopo la cancellazione della società, nei confronti dei soci, si rifletta sul requisito dell’interesse ad agire in capo al creditore o sulla legittimazione passiva del socio medesimo ai fini della prosecuzione del processo originariamente instaurato contro la società e se la riconducibilità nell’ambito dell’una condizione dell’azione o dell’altra implichi conseguenze specifiche in tema di onere della prova.
1.3. Non risulta neppure più controverso, invero, che il trasferimento ai due soci dei beni immobili della società sia avvenuto in pendenza della liquidazione: pertanto, non ricorre più un problema di prova o, prima ancora, di ripartizione dell’onere proba torio sull’avvenuta attribuzione ai soci di beni sociali, non registrata nel bilancio di liquidazione.
Quel che, invece, il ricorrente ha sottoposto allo scrutinio di questa Corte è se questa attribuzione di beni sociali possa o non essere considerata come «riscossione a seguito di liquidazione» sì da incorrere o non nella previsione dell’art. 2495 cod. civ . in quanto distribuzione di una quota dell’attivo sociale.
In tal senso, il socio COGNOME (e con lui l’altro socio COGNOME che non ha poi più inteso coltivare il giudizio) ha prodotto in appello una dichiarazione del AVV_NOTAIO, successiva all’atto pubblico di trasferimento degli immobili, che, a suo dire, sarebbe significativa per escludere la natura di questo atto quale distribuzione di una quota dell’attivo sociale: con la nota di rettifica, il AVV_NOTAIO ha affermato che la iniziale indicazione di un trasferimento a motivo di «anticipo liquidazione quota» deve intendersi sostituita con la dichiarazione di una «assegnazione immobiliare a loro fatta da parte della società RAGIONE_SOCIALE a titolo di rimborso dei crediti all’epoca ancora vantati da essi signori soci» (così testualmente nella nota); secondo il ricorrente, pertanto, «di fatto si è trattato di una cessione di beni immobili a titolo oneroso soggetta ad IVA e alla tassazione prevista dalla dichiarazione dei redditi».
La Corte d’appello ha considerato questa rettifica del tutto ininfluente sul calcolo del limite della responsabilità dei due soci per i debiti sociali: ha rimarcato, infatti, che la rettifica si fonda su mere dichiarazioni dei soci stessi, inidonee per sé sole ad escludere la natura
del disposto trasferimento immobiliare quale attribuzione di una quota di attivo, ancor più se si considera che l’indicazione dell’avvenuta «compensazione» con crediti da loro vantati «contraddice» l’affermazione di un trasferimento a titolo oneroso.
Seppure stringata, la motivazione è corretta per le ragioni di seguito precisate.
Affermare, infatti, che il trasferimento degli immobili ai soci sia avvenuto a titolo di «compensazione con un credito da loro vantato nei confronti della società» non è sufficiente, in difetto di ulteriori specificazioni, ad escludere la natura dell’atto quale attribuzione di una quota di attivo.
1.4. Innanzitutto, deve qui puntualizzarsi che oggetto del presente giudizio è soltanto l’accertamento del limite della responsabilità del socio ex art. 2495 II comma e, in stretta conseguenza, del limite della pronuncia di una condanna nei suoi confronti.
Ciò posto, deve allora ribadirsi, come puntualizzato dalle S.U. di questa Corte con la sentenza n. 6070 del 2013, che, dopo la riforma del diritto societario attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, quando all’estinzione della società, nella specie di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico, si determina un fenomeno di tipo successorio; in conseguenza, l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione.
Come proprio rilevato nella sentenza n. 6070 del 2013, la responsabilità dei soci trova giustificazione nel «carattere strumentale del soggetto società»: venuto meno questo, i soci sono gli effettivi
titolari dei debiti sociali nei limiti della responsabilità che essi avevano secondo il tipo di rapporto sociale prescelto; in tal senso, limitare la responsabilità dei soci di società di capitali al valore dell’attivo loro distribuito con la liquidazione non implica alcun pregiudizio alle ragioni dei creditori, perché se la società è stata cancellata senza distribuzione di attivo, ciò evidentemente vuol dire che vi sarebbe stata comunque incapienza del patrimonio sociale rispetto ai crediti da soddisfare.
D’altro canto, tuttavia, è necessario assicurare, ex art. 2740 cod. civ., alla garanzia dei crediti sociali -e, in conseguenza, al limite della responsabilità dei soci – qualunque bene distribuito, oltre il limite formale dell’appostazione in bilancio (Ca ss. Sez. 5, n. 9094 del 07/04/2017; Sez. 5, n. 9094 del 07/04/2017; Sez. 6 – 5, n. 14446 del 05/06/2018; Sez. 5, n. 22692 del 26/07/2023): l’art. 2492 cod. civ. non accorda, infatti, ai creditori la legittimazione a proporre reclamo contro il bilancio finale di liquidazione della società debitrice, il cui deposito prelude alla cancellazione, sicché è a loro precluso poter recuperare in tal sede gli eventuali beni distratti dalla funzione di garanzia (S.U. n. 6070 del 2013 cit.).
Ciò precisato, deve allora considerarsi, in riferimento al caso in esame, che il motivo dell’attribuzione degli immobili diviene certamente rilevante per l’individuazione dei limiti della responsabilità dei due soci: COGNOME, sul punto, ha sostenuto che il motivo di una accordata compensazione di precedente dazione di denaro è sufficiente ad escludere che gli immobili trasferiti dovessero invece destinati, in quanto attivo sociale, alla garanzia ex art. 2740 cod. civ..
Come questa Corte ha già rilevato, (cfr., in ultimo, Cass. Sez. 1, n. 29325 del 22/12/2020, Sez. 1, n. 7471 del 23/03/2017), le erogazioni di denaro dei soci in favore della società possono essere effettuate per finalità tra loro molto diverse, a cui risponde una
diversità di disciplina (conferimenti, finanziamenti, versamenti a fondo perduto o in conto capitale, versamenti in conto futuro aumento di capitale). In conseguenza, la qualificazione dipende dall’esame della volontà negoziale delle parti, dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi e, in mancanza di una chiara manifestazione di volontà, dalla qualificazione che le dazioni hanno ricevuto nel bilancio (Cass. Sez. 1, n. 12994 del 15/05/2019).
Nella specie, invero, non è stato allegato dal ricorrente alcunché sull’appostazione in bilancio sia, in attivo, della asserita dazione di denaro che, in passivo, della cessione dei beni in conseguente restituzione, né sono stati offerti altri elementi (neppure la data) da cui desumere la natura dell’erogazione poi «compensata».
La questione rileva nel caso in esame, perché – limitando l’esame alle due fattispecie più ricorrenti – il versamento di danaro fatto a società di capitali dal suo socio «in conto capitale» non comporta il diritto del socio al rimborso, è iscritto nel passivo dello stato patrimoniale tra le riserve e definitivamente acquisito al patrimonio della società, in quanto assimilabile al capitale di rischio a cui è equiparato agli effetti sostanziali; la riserva così formata, al pari delle riserve ordinarie o facoltative per la quota eccedente la riserva legale, ha dunque di regola carattere disponibile, ma la distribuzione non costituisce un diritto soggettivo del socio perché il diritto alla restituzione sussiste all’esito della liquidazione sociale soltanto ove vi sia un residuo da distribuire fra i soci, all’esito dell’adempimento di tutte le obbligazioni sociali, con una postergazione della restituzione al soddisfacimento di tutti i creditori sociali, esattamente come avviene per i conferimenti (Cass. Sez. 1, n. 14056 del 07/07/2015).
I finanziamenti in senso proprio, invece, in quanto contratti di mutuo (art. 1813 cod. civ.), a forma libera, fra socio e società devono essere riportati al passivo dello stato patrimoniale fra i debiti verso i soci e devono essere effettivamente restituit i al socio; ai sensi dell’art. 2467 cod. civ., nella formulazione applicabile ratione temporis , tuttavia, il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori, proprio allo scopo di contrastare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale in società «chiuse» (quale era quella in causa, costituita da due soci), determinati dalla convenienza a ridurre l’esposizione al rischio d’impresa: in tal senso, cioè, potrebbe accadere che i capitali siano posti a disposizione dell’ente collettivo nella forma del finanziamento anziché in quella del conferimento perché possano essere artificiosamente classificati fra i prestiti «liberamente rimborsabili», al solo fine di poter procedere a distribuzioni preferenziali del patrimonio aziendale, in danno dei creditori.
Allo scopo di scongiurare questo pericolo, allora, nell’art. 2467 cod. civ. i finanziamenti dei soci a favore della società da postergare sono quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento.
In particolare, questa Corte ha precisato che si tratta di un’ipotesi di postergazione legale che, seppure non opera una «riqualificazione» del prestito, da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, incide comunque sull’ordine di soddisfazione dei crediti ed opera in tal senso già durante la vita della società e non soltanto quando si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, perché
integra una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione; in caso di pretesa a tale titolo del socio, è il giudice del merito a dover verificare la sussistenza di questa condizione di inesigibilità; la questione è sindacabile dal giudice d’ufficio, perché fatto impeditivo del diritto alla restituzione del finanziamento. Della prova della natura dell’erogazione del denaro è onerato il socio attore in restituzione (Cass. Sez. 1, n. 12994/2019 cit.; Sez. 1, n. 7471 del 23/03/2017).
Da questi principi si comprende, quindi, come fondatamente la Corte d’appello abbia ritenuto non rilevante in sé la rettifica dell’atto, in quanto non corredata da alcuna informazione sulla natura della dazione di denaro «compensata» con la cessione degli immobili: il contenuto non specifico della rettifica non ha consentito alla Corte territoriale di poter escludere che il trasferimento dei beni ai soci abbia costituito comunque una violazione della postergazione, atteso che questo trasferimento è stato disposto in pendenza della procedura di liquidazione, quando già nel giudizio risarcitorio instaurato dal RAGIONE_SOCIALE, pendente sin dal 2007, era stata espletata l’istruttoria ed era stata fissata l’udienza di precisazione delle conclusioni; in tal senso, permanendo ragioni di credito non soddisfatte, in assoluta mancanza di specificazioni in fatto sul credito oggetto di «compensazione» o di riferimenti alle appostazioni in bilancio , la Corte d’appello non ha potuto escludere che la cessione degli immobili non abbia integrato una attribuzione di attivo, rilevante ai fini della responsabilità ex art. 2495 cod. civ..
Per queste considerazioni, il ricorso è respinto. Non vi è statuizione sulle spese perché nessuno degli intimati ha svolto difese.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda