Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24240 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24240 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/08/2025
Oggetto: Consob – Violazione dell’art. 94, comma 2, T.U.F. – Collegio sindacale.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6345/2019 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliato.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME NOME COGNOME e domiciliata presso la propria sede in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 107/2018, depositata il 13 luglio 2018 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4
aprile 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con delibera n. 19932/2017, emessa in data 30 Marzo 2017 dalla Consob all’esito del procedimento disciplinato dall’art. 195 d.lgs. n. 58 del 1998, era stata applicata, ai sensi degli artt. 94, comma 2, e 191 T.U.F., a NOME COGNOME quale membro del Collegio Sindacale della Banca Popolare di Vicenza dal 26/04/2014, la sanzione amministrativa pecuniaria di € 40.000,00, per effetto del cumulo giuridico tra la sanzione prevista per il primo aumento di capitale, pari a € 25.000,00 e quella prevista per il secondo aumento di capitale, pari a € 20.000,00, stabilite per l’omissione, nei relativi prospetti, delle informazioni relative a due aumenti di capitale deliberati dalla Banca il 15/04/2014 e realizzati attraverso un primo aumento di capitale mediante emissione di azioni in opzione ai soci (periodo 12/05/2014-08/08/2014) e un secondo aumento di capitale mediante emissione di azioni finalizzato all’ampliamento della base sociale, da offrire esclusivamente a non soci (periodo 12/05/2014-19/12/2014).
Era stata, in particolare, contestata:
l’omessa indicazione, nei Prospetti del 2014, delle modalità di determinazione del prezzo di emissione delle azioni, avendo disatteso la normativa interna in materia di pricing approvata dal Consiglio di Amministrazione il 12/04/2011 e costituita dall’architettura metodologica e dal decalogo dei requisiti che rappresentavano, rispettivamente, l’impianto metodologico e i requisiti valutativi da porre a fondamento dell’attività estimativa dall’esperto indipendente, incaricato della stima del valore del titolo azionario, e avendo dato preminenza al criterio reddituale, dando luogo a prezzi sensibilmente differenti;
l’omessa informativa in merito alla sussistenza, entità ed effetti della concessione di finanziamenti strumentali alla sottoscrizione e acquisto di azioni della Banca, ossia all’impiego, da parte della
clientela, di somme rinvenienti da finanziamenti erogati dalla banca, funzionali alla sottoscrizione degli aumenti di capitale e all’acquisto di azioni proprie nel periodo antecedente agli aumenti di capitale del 2014 e a partire dal 2008, essendo stato accertato che la Banca, nel 2013 e nel 2014, aveva accordato finanziamenti correlati all’acquisto o alla sottoscrizione di azioni proprie per rilevanti importi atti a dimostrare il ricorso, da parte sua, alla pratica del capitale finanziato ben prima della conclusione degli aumenti di capitale sociale del 2014;
3) l’omessa rappresentazione, nella documentazione d’offerta della compravendita delle azioni BPVi, di notizie attinenti 1) al persistere di una situazione di significativa mancata evasione delle richieste di vendita di azioni della banca (periodo fine 2013-primi quattro mesi 2014), 2) alla decisione, adottata dal C.d.A. il 03/12/2013, di stabilire l’avvio del c.d. blocking period , ossia la sospensione dell’operatività sulle azioni con decorrenza dal 04/12/2013 fino all’assemblea dei soci per l’approvazione del bilancio, ancorché ciò incidesse sulla possibilità per l’investitore di rappresentarsi una corretta aspettativa circa l’effettiva possibilità di disinvestire i titoli illiquidi acquistati, con conseguente violazione dell’art. 94, comma 2, T.U.F.
Ad avviso della Consob, il ricorrente, nella sua qualità di componente del Collegio Sindacale, non aveva assicurato che queste rilevanti informazioni venissero incluse nei prospetti del 2014, con conseguente impossibilità per gli investitori di acquisire notizie utili a pervenire a un giudizio di investimento sui prodotti finanziari offerti, sulla situazione patrimoniale e finanziaria della Banca, sui risultati economici e sulle prospettive dell’emittente, nonché sulla possibilità di rappresentarsi correttamente l’aspettativa in ordine alla realizzazione del disinvestimento delle azioni oggetto di offerta dopo l’eventuale sottoscrizione.
Il giudizio di opposizione avverso la suddetta delibera, interposto da NOME COGNOME con ricorso depositato il 20/6/2017, si concluse, nella resistenza della Consob, con la sentenza n. 107/2018, depositata il 13/7/2018, con la quale la Corte d’Appello di Venezia accolse in parte la domanda, riducendo l’ammontare della sanzione da euro 40.000,00 a euro 35.000,00.
Per quanto qui interessa, i giudici di merito ritennero, innanzitutto, di respingere la richiesta di applicazione del principio del favor rei con riferimento all’attuale testo dell’art. 191 T.U.F., in ragione della natura sanzionatoria del procedimento in questione, sostenendo che le modifiche apportate dal d.lgs. n. 72 del 2015 non potessero trovare applicazione per fatti accaduti in data antecedente alla sua entrata in vigore.
Quanto all’elemento oggettivo dell’illecito, evidenziarono che le informazioni riguardanti il rilievo preminente attribuito dal C.d.A. al criterio reddituale, o le indicazioni sull’imponente fenomeno del capitale finanziato o sul rilevante numero di richieste delle azioni BPVi ancora inevase fossero certamente necessarie anche ai fini della corretta comprensione delle informazioni esplicitamente richieste dalle norme, avuto riguardo alla finalità perseguita dall’art. 94, comma 2, T.U.F., di assicurare al risparmiatore la formazione di un fondato giudizio di investimento.
Quanto alle carenze dei Prospetti 2014 sulla determinazione del prezzo del titolo azionario al 31/12/2013, osservò che il Consiglio d’Amministrazione, con la delibera del 01/04/2014, aveva deciso di discostarsi dalla normativa interna, decidendo di attribuire rilievo preminente al criterio reddituale, benché sapesse che l’applicazione del Market Approach restituiva un valore inferiore al primo, che il Collegio Sindacale aveva avallato tale operazione, che la disamina delle indicazioni contenute nelle Note Informative relative ad entrambi gli aumenti di capitale confermava l’omessa
rappresentazione, nei Prospetti del 2014, sia dei risultati restituiti dall’applicazione dei criteri di stima di valore delle azioni bancarie previsti dalla normativa interna, sia della disapplicazione della medesima che chiedeva la compresenza di tre approcci valutativi.
Sostenne poi che la condotta contestata al ricorrente, quale membro del Collegio Sindacale della Banca, attenesse non già alla correttezza dei risultati della valutazione effettuata dal soggetto incaricato, quanto piuttosto al fatto che nei Prospetti del 2014 l’emittente si fosse limitata a un fugace riferimento all’impiego di una metodologia valutativa quanto più possibile ancorata alla redditività dell’emittente, senza chiarire ai potenziali investitori che il valore del titolo era determinato obliterando il risultato inferiore risultante dall’applicazione del Market Approach , di cui, invece, avrebbe dovuto far menzione.
Osservò, altresì, che il fenomeno del capitale finanziato era stato riconosciuto dalla Banca per la prima volta nella relazione semestrale al 30/06/2015, sebbene la pratica dei finanziamenti correlati all’acquisto di proprie azioni fosse già diffusa ben prima dell’inizio del 2012, in funzione dello svuotamento periodico del Fondo Acquisto RAGIONE_SOCIALE e che i Prospetti fossero carenti di informazioni in relazione alla compravendita di azioni della banca (sul rilevante numero di richieste di vendita di azioni non evase alla fine del 2013-primi quattro mesi del 2014, sull’esistenza del Blocking period deliberato dal Consiglio di Amministrazione nella seduta del 03/12/2013 e sue modalità attuative).
Ritenne, infine, che i predetti illeciti andassero ascritti al ricorrente in quanto questi, pur consapevole delle irregolarità commesse dalla Banca, sia in ragione della denuncia del socio NOME COGNOME, avvenuta in occasione della seduta del C.d.A. del 26/4/2014, quando egli era stato nominato, sia della nota della Consob datata 16/5/2014 (con cui era stato sottoposto all’attenzione del C.d.A. il
problema dei finanziamenti correlati all’acquisto di azioni derivanti dagli aumenti di capitale del 2014), non si era attivato, ancorché, nella sua specifica funzione, vi fosse tenuto.
Contro la predetta sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati anche con memoria. Consob – Commissione Nazionale per le Società e la Borsa si difende con controricorso, illustrato anche con memoria.
Considerato che :
1.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 94, commi 2 e 8, 191, comma 2, e 195 T.U.F., nonché dell’art. 1, legge n. 689 del 1981, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, nell’applicare la normativa suddetta al ricorrente, benché non fosse in carica al tempo della redazione e approvazione dei Prospetti e benché il soggetto emittente e responsabile fosse espressamente indicato nei documenti d’offerta, avevano ricostruito la responsabilità del medesimo in modo confliggente col principio personalistico delle sanzioni amministrative, in quanto non avevano considerato che l’art. 94, comma 8, individuava i soggetti responsabili del prospetto nell’emittente, nell’offerente e nell’eventuale garante, nonché nelle persone responsabili in relazione alle parti di propria competenza, mentre egli, quale componente del Collegio Sindacale, non si occupava del Prospetto informativo, né aveva mai sottoscritto le dichiarazioni attestanti la conformità delle informazioni in esso contenute, con conseguente sua totale estraneità all’attività contestata, siccome esaurita prima della sua nomina a Sindaco. Era, inoltre, paradossale che nessuna sanzione fosse stata comminata all’offerente BPVi, benché l’atto di accertamento, che faceva parte integrante della delibera 19932 del
30/03/2017, indicasse nella Banca-persona giuridica responsabile del Prospetto.
1.2 Il primo motivo è infondato.
Occorre innanzitutto osservare come l’art. 94 d.lgs. del 24/02/1998 n. 58 (T.U.F.), come modificato dall’art. 6 del d.lgs. 4 marzo 2014, n. 44 e in vigore dal 9/4/2014, e, dunque, nella versione ratione temporis applicabile, avendo il ricorrente rivestito la qualifica di Sindaco dal 26/4/2014, prevedeva, al comma 2, che coloro che intendessero effettuare un’offerta al pubblico avrebbero dovuto redigere, in conformità agli schemi previsti dai regolamenti comunitari che disciplinano la materia, e pubblicare preventivamente, previa approvazione della Consob, il Prospetto che doveva contenere, ‘ in una forma facilmente analizzabile e comprensibile, tutte le informazioni che, a seconda delle caratteristiche dell’emittente e dei prodotti finanziari offerti, sono necessarie affinché gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive dell’emittente e degli eventuali garanti, nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti. Il prospetto contiene altresì una nota di sintesi la quale, concisamente e con linguaggio non tecnico, fornisce le informazioni chiave nella lingua in cui il prospetto è stato in origine redatto. Il formato e il contenuto della nota di sintesi forniscono, unitamente al prospetto, informazioni adeguate circa le caratteristiche fondamentali dei prodotti finanziari che aiutino gli investitori al momento di valutare se investire in tali prodotti ‘ (comma 1), mentre ‘ Qualunque fatto nuovo significativo, errore materiale o imprecisione relativi alle informazioni contenute nel prospetto che sia atto ad influire sulla valutazione dei prodotti finanziari e che sopravvenga o sia rilevato tra il momento in cui è approvato il prospetto e quello in cui è definitivamente chiusa l’offerta al
pubblico deve essere menzionato in un supplemento del prospetto ‘ (comma 7). Il successivo comma 8 della medesima disposizione stabiliva, infine, che ‘ l’emittente, l’offerente e l’eventuale garante, a seconda dei casi, nonché le persone responsabili delle informazioni contenute nel prospetto rispondono, ciascuno in relazione alle parti di propria competenza, dei danni subiti dall’investitore che abbia fatto ragionevole affidamento sulla veridicità e completezza delle informazioni contenute nel prospetto, a meno che non provi di aver adottato ogni diligenza allo scopo di assicurare che le informazioni in questione fossero conformi ai fatti e non presentassero omissioni tali da alterarne il senso ‘.
Come chiarito da Cass., Sez. 2, 2/3/2023, n. 6295, il destinatario del Prospetto non è la Consob, non essendo detto documento posto a tutela dell’attività di controllo e vigilanza della stessa in occasione della sua approvazione, ma il pubblico degli investitori cui sono dirette in una forma facilmente analizzabile e comprensibile, tutte le informazioni che, a seconda delle caratteristiche dell’emittente e dei prodotti finanziari offerti, sono necessarie affinché possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici e sulle prospettive dell’emittente e degli eventuali garanti, nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti, onde porre l’investitore o sottoscrittore nelle condizioni ottimali per valutare la convenienza dell’offerta. L’approvazione del Prospetto da parte della Consob costituisce un’attività strumentale alla tutela dell’investitore, fine ultimo a presidio del quale è posta l’esigenza di trasparenza sottesa alla norma in esame. Ne consegue che il momento di consumazione dell’illecito non è quello della approvazione del Prospetto mancante di informazioni rilevanti, ma quello della sua pubblicazione.
L’art. 191 T.U.F., nella versione applicabile ratione temporis , poi, sanzionava chiunque violasse la disposizione in esame, non
potendosi applicare, invece, la versione di tale norma come modificata dall’art. 5 del d.lgs. 12 maggio 2015, n. 72, il quale ha stabilito al comma 2bis che ‘ Se all’osservanza delle disposizioni previste dai commi 1 e 2 è tenuta una società o un ente, le sanzioni ivi previste si applicano nei confronti di questi ultimi; la stessa sanzione si applica nei confronti degli esponenti aziendali e del personale della società o dell’ente nei casi previsti dall’articolo 190-bis, comma 1, lettera a). Se all’osservanza delle medesime disposizioni è tenuta una persona fisica, in caso di violazione, la sanzione si applica nei confronti di quest’ultima ‘, stante il riferimento al letterale dettato del comma 2 dell’art. 6 d.lgs. n. 72/2015, secondo cui ” le modifiche apportate alla parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia secondo le rispettive competenze ai sensi dell’articolo 196-bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 ‘.
Alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia continuano, dunque, ad applicarsi le norme della parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, vigenti prima della data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, essendo stata la violazione contestata commessa antecedentemente alla sua entrata in vigore. Al riguardo occorre ricordare l’insegnamento di Cass., Sez. 2, 2/3/2023, n. 6295, secondo cui ‘in tema di sanzioni amministrative, i principi di legalità, irretroattività e di divieto dell’applicazione analogica di cui all’art. 1 della legge 24.11.1981, n. 689, comportano l’assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano
considerarsi tali ab origine , senza che possano trovare applicazione analogica, attesa la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all’art. 2, secondo e terzo comma, cod. pen., i quali, recando deroga alla regola generale dell’irretroattività della legge, possono, al di fuori della materia penale, trovare applicazione solo nei limiti in cui siano espressamente richiamati dal legislatore (cfr. Cass. 28/12/2011, n. 29411; si veda anche Corte cost. 24/4/2002, n. 140, secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, secondo comma, della legge n. 689 del1981, nella parte in cui non prevede che, se la legge in vigore al momento in cui fu commessa la violazione e quella posteriore stabiliscono sanzioni amministrative pecuniarie diverse, si applichi la legge più favorevole al responsabile)’.
Con l’ulteriore conseguenza che deve applicarsi il principio secondo cui il criterio d’imputazione di tale responsabilità è chiaramente individuato dall’art. 6 della legge n. 689 del 1981, il quale, richiedendo che l’illecito sia stato commesso dalla persona fisica nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze, stabilisce un criterio di collegamento che costituisce al tempo stesso il presupposto e il limite della responsabilità dell’ente, nel senso che a tal fine si esige soltanto che la persona fisica si trovi con l’ente nel rapporto indicato, e non anche che essa abbia operato nell’interesse dell’ente Cass., Sez. 2, 30/12/2015, n. 26132; Cass. 12.3.2012, n. 3879).
Deriva da quanto detto l’infondatezza della censura, posto che i giudici di merito hanno correttamente imputato gli illeciti in esame alla persona fisica, quale componente del Collegio Sindacale, e non all’ente.
2.1 Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 94, comma 2, e 195 T.U.F., nonché dell’art.
1 legge n. 689 del 1981 la violazione degli artt. 94 bis , 13 e 14 della direttiva 2003/71CE e dell’art. 8 del Regolamento emittenti -Inapplicabilità a soggetti entrati in carica successivamente all’approvazione dei prospetti e senza previa contestazione degli addebiti ascritti in sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte di merito confermato la sanzione a carico di un soggetto che non era ancora Sindaco durante lo svolgimento delle attività dei Prospetti. Il ricorrente ha, in proposito, osservato come il Prospetto, per essere pubblicato, dovesse essere previamente approvato dalla Consob che ne doveva verificare la completezza, ivi incluse coerenza e comprensibilità delle informazioni fornite, chiedendo previamente eventuali informazioni supplementari, mentre solo con la sua approvazione sarebbe stato depositato presso Consob e messo a disposizione del pubblico, e come egli non avesse ancora accettato la carica di sindaco alla data della sua deliberazione e approvazione da parte del C.d.A. e dell’invio alla Consob, sicché non aveva potuto compiere attività preventiva sui Prospetti, non avendo all’epoca la qualifica di Sindaco. Allo stesso modo, anche le deliberazioni assunte dal C.d.A. sull’emissione di azioni a titolo di aumento del capitale sociale, sulla determinazione del prezzo e sulla rappresentazione degli ulteriori criteri nei documenti di offerta, nonché il fenomeno occulto del capitale finanziato e la predisposizione e approvazione della documentazione dell’aumento del capitale erano tutti antecedenti all’assunzione di detta qualifica, come confermato dagli stessi giudici di merito.
Pertanto, era scorretto il giudizio di responsabilità da essi espresso, sul presupposto che il predetto, pur in carica al momento della pubblicazione del documento di registrazione e delle note informative, non si fosse attivato per segnalare al Consiglio d’Amministrazione l’obbligo di pubblicazione di un supplemento che
contenesse le informazioni necessarie mancanti, così come previsto dall’art. 94, comma 7, T.U.F., non avendo considerato che oggetto della contestazione e della sanzione non era il mancato aggiornamento della documentazione d’offerta prevista dall’art. 94, comma 7, ma solo la redazione del Prospetto originario di cui all’art. 94, comma 2, T.U.F.
2.2 Il secondo motivo è infondato.
Il ricorrente non considera, infatti, che la complessa articolazione della struttura organizzativa della banca non può comportare l’esclusione od anche il semplice affievolimento del potere-dovere di controllo riconducibile a ciascuno dei componenti del Collegio Sindacale, i quali, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la prestazione del servizio di negoziazione, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functione , gravando sui sindaci, da un lato, l’obbligo di vigilanza in funzione non soltanto della salvaguardia degli interessi degli azionisti nei confronti di atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche del controllo del corretto operato della banca intermediatrice, secondo parametri procedimentali dettati dalla normativa regolamentare Consob ed a garanzia degli investitori – e, dall’altro lato, l’obbligo legale di denuncia immediata alla Banca d’Italia e alla Consob, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, delle violazioni delle norme dettate in tema di intermediazione mobiliare (Cass., Sez. U, 30/09/2009, n. 20934; conf. Cass. Sez. 1, 29/03/2016, n.6037), dovere di controllo e correlativo obbligo di segnalazione alla CONSOB che si estende anche alle violazioni, da parte della società, delle norme di condotta previste da regolamenti interni, le quali, benché maggiormente stringenti rispetto a quelle di portata generale poste dalla legge, dalle fonti regolamentari o dai codici di autodisciplina, devono tuttavia ritenersi cogenti per la società medesima, essendo
esse adottate all’esito di una scelta del tutto libera, che costituisce una volontaria autolimitazione dell’operatore del mercato (Cass., Sez. 2, 3/1/2019, n. 5).
Infatti, come chiarito da Cass., Sez. 2, 3/1/2019, n. 5, cit., la funzione del Collegio Sindacale si estrinseca nel controllo del regolare svolgimento della gestione della società, posto che «il dovere di vigilanza e di controllo imposto ai sindaci delle società per azioni ex art.2403 cod. civ. non è circoscritto all’operato degli amministratori, ma si estende a tutta l’attività sociale, con funzione di tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali, e ricomprende, pertanto, anche l’obbligo di segnalare tutte le situazioni che esigano, in applicazione degli artt. 2446 e 2447 cod. civ., la riduzione del capitale sociale» (Cass. Sez. 1, 24/03/1999, n. 2772, Rv.524490; conf. Cass. Sez. 1, 28/05/1998, n. 5287), dovere che, nelle società quotate in borsa, si fa ancora più stringente, in vista della funzione di garanzia dell’equilibrio del mercato (cfr. Cass. Cass. Sez. U, 30/09/2009, n.20934 e Cass. Sez. 1, 29/03/2016, n.6037, entrambe già citate). Il principio, costantemente riaffermato da questa Corte, si ricollega alla funzione di garanzia che i vari organismi di controllo sono deputati a svolgere nell’ambito delle società, soprattutto se quotate e strutturate in un’articolazione interna complessa, che preveda il riparto delle competenze gestorie tra diversi organi, sicché essi, a partire da quelli deputati al controllo interno aziendale, fino alle società di revisione dei conti e al Collegio Sindacale, sono investiti di un ineludibile compito di costante verifica della corrispondenza dei meccanismi di gestione della società al paradigma corretta amministrazione, così come definito dalla scienza dell’economia aziendale.
Né può il ricorrente obiettare che le scelte relative al Prospetto fossero state adottate prima che egli assumesse l’incarico di
Sindaco, posto che l’obbligo di comunicare alla platea degli investitori fatti o informazioni acquisite successivamente alla pubblicazione del Prospetto (autonomamente sanzionato in caso di violazione) vale, a maggior ragione, per le informazioni rilevanti omesse sin dalla fase di approvazione, sicché risulta evidente che, in un caso come quello in esame, la condotta illecita si protrae fino alla chiusura dell’offerta (in questi termini, Cass., Sez. 2, 2/3/2023, n. 6295).
2.3 Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto che gli illeciti in esame fossero imputabili al ricorrente in quanto questi, pur non avendo partecipato alla seduta del Consiglio d’Amministrazione dell’1/4/2014, nella quale il Collegio Sindacale aveva espresso parere favorevole all’applicazione del solo criterio reddituale per la determinazione del valore del titolo azionario della Banca, siccome nominato Sindaco nel corso della seduta assembleare del 26/4/2014, non poteva che avere preso visione del relativo verbale, nel quale era contenuta non solo la sua nomina, ma anche la denuncia del socio NOME COGNOME sull’obbligo dell’emittente di indicare nella documentazione d’offerta le predette informazioni, sicché avrebbe dovuto segnalare all’organo amministrativo la necessità di integrare i suddetti Prospetti, eventualmente anche mediante il supplemento di cui all’art. 94, comma 7, T.U.F., onde rappresentare in modo esaustivo i valori restituiti dall’applicazione di tutti e tre i criteri di stima, le ragioni dell’esclusione di uno solo di essi e la deroga costituita da quella scelta rispetto alla normativa interna approvata dal Consiglio di Amministrazione nel 2011.
Quanto al capitale finanziato, ritennero sussistente la responsabilità del ricorrente alla luce dei compiti di vigilanza e controllo amministrativo e contabile attribuiti al Collegio Sindacale sia dalle norme, primarie e secondarie, del diritto bancario (Regolamento
congiunto Banca d’Italia-Consob dal 29/10/2007, artt.6 e 10), sia dall’art. 2403 cod. civ., evidenziando altresì, a comprova della conoscenza o conoscibilità della situazione, la nota della Consob datata 16/5/2014 (con cui era stato sottoposto all’attenzione del C.d.A. il problema dei finanziamenti correlati all’acquisto di azioni derivanti dagli aumenti di capitale del 2014) e le osservazioni del socio NOME COGNOME all’assemblea del 1/4/2014, senza che, peraltro, valesse il breve lasso di tempo in cui il ricorrente aveva ricoperto l’incarico, posto che questo aveva comunque superato i sei mesi, sicché non valeva il periodo di ambientamento.
Quanto, infine, all’ascrivibilità ai Sindaci dell’omissione informativa concernente la compravendita delle azioni della Banca, ritennero che l’anomalia data dal rilevante numero di ordini di vendita in contropartita diretta di azioni BVPi, alla fine dell’esercizio 2013 e nei primi mesi del 2014, fosse agevolmente conoscibile dal Collegio Sindacale, tale da dover essere approfondita e verificata al fine di darne contezza nei Prospetti Informativi, attesa la sua incidenza sulla realizzabilità del disinvestimento delle azioni BVPi offerte in vendita.
In definitiva, ad avviso dei giudici, non rilevava il fatto che il ricorrente, non essendo ancora sindaco, non avesse partecipato al Consiglio d’Amministrazione dell’1/4/2014, nel quale fu approvata la bozza di prospetto informativo, in quanto il Documento di Registrazione e le Note Informative erano state pubblicate quando l’opponente era in carica, mentre egli non si era attivato per segnalare al Consiglio d’Amministrazione l’obbligo di pubblicazione di un supplemento che contenesse le informazioni necessarie mancanti, così come previsto dall’art. 94, comma 7, T.U.F..
Tali considerazioni sono perfettamente in linea con i principi sopra espressi ai quali deve, peraltro aggiungersi che l’illecito contestato, come sopra ricordato, ha natura permanente e che l’approvazione
definitiva era avvenuta il 19/6/2014, quando il predetto era già membro del Collegio Sindacale.
3.1 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 49 Carta Diritti Fondamentali Unione Europea – Legge successiva più favorevole, consistente nell’esclusione della punibilità di persone fisiche in caso di condotte poco rilevanti prevista dall’art. 190bis , introdotto dall’art. 5 del d.lgs. n. 72 del 2015, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché la Corte d’Appello, facendo leva sull’art. 6 del d.lgs. n. 72 del 2015, aveva negato la natura penale della sanzione irrogata e, dunque, l’applicabilità dello ius superveniens dato dall’intervenuta riformulazione dell’art. 191 T.U.F., operato dal medesimo d.lgs. del 2015, che impone ora di comminare alla Banca le relative sanzioni nel caso in cui sia questa ad essere tenuta all’osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 4.
In tal modo, i giudici non avevano considerato che la sanzione comminata aveva natura sostanzialmente penale alla stregua dei criteri Engel costituiti 1) dalla classificazione dell’illecito nell’ordinamento nazionale, 2) dall’intrinseca natura dell’illecito e 3) dalle caratteristiche della sanzione applicabile (tipo e afflittività), stante la forbice edittale e soprattutto l’entità della pena massima, che la responsabilità da Prospetto era governata dal diritto eurounitario e imponeva, dunque, al giudice di disapplicare la norma interna contrastante con quella europea, come affermato dalla Corte di Giustizia e dalla stessa Corte di legittimità, e che la Corte costituzionale era ora chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’art. del ridetto d.lgs. in seguito a ordinanza del Tribunale di Milano n. 87 del 9/3/2017.
3.2 Il terzo motivo è infondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, le modifiche alla parte V del d.lgs. n. 58 del 1998 apportate dal d.lgs. n. 72 del
2015, si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla Consob, in tal senso disponendo l’art. 6 del medesimo decreto legislativo, senza che sia possibile ritenere l’applicazione immediata della legge più favorevole, atteso che il principio cd. del favor rei , di matrice penalistica, non si estende, in assenza di una specifica disposizione normativa, alla materia delle sanzioni amministrative, che risponde, invece, al distinto principio del tempus regit actum . Né tale impostazione viola i principi convenzionali enunciati dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014 (COGNOME ed altri c/o Italia), secondo la quale l’avvio di un procedimento penale a seguito delle sanzioni amministrative comminate dalla Consob sui medesimi fatti violerebbe il principio del ne bis in idem , atteso che tali principi vanno considerati nell’ottica del giusto processo, che costituisce l’ambito di specifico intervento della Corte, ma non possono portare a ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione qualificata come amministrativa dal diritto interno, con conseguente irrilevanza di un’eventuale questione di costituzionalità ai sensi dell’art. 117 Cost. (Cass., Sez. 1, 30/06/2016, n. 13433; Cass., Sez. 2, 9/8/2018, n. 20689).
Non è del resto conferente, ai fini voluti, la richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 63 del 5/2/2019, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo – in via consequenziale (ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953) – l’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015, nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dal comma 3 dello stesso art. 6 alle sanzioni amministrative previste per l’illecito di manipolazione del mercato di cui all’art. 187ter del d.lgs. n. 58 del 1998, affermando altresì l’identità del quadro sanzionatorio all’abuso di informazioni privilegiate, previsto dall’art. 187bis , rispondente esso pure a un’evidente logica punitiva, e la
conseguente irragionevolezza della deroga al principio della retroattività della lex mitior , atteso che essa si riferisce a una fattispecie (l’abuso di informazioni privilegiate ex art. 187ter ) che ha certamente carattere penale e per la quale opera l’applicazione retroattiva del trattamento sanzionatorio più favorevole introdotto dal d.lgs. n. 72 del 2015 (in questi termini, Cass., Sez. 2, 13/4/2022, n. 12031).
Le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla CONSOB, diverse da quelle di cui all’art. 187ter T.U.F., non sono, invece, equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle appunto irrogate dalla CONSOB per manipolazione del mercato, sicché esse non hanno la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, né pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU, agli effetti, in particolare, della violazione del ” ne bis in idem ” tra sanzione penale ed amministrativa comminata sui medesimi fatti (cfr. Cass., Sez. 2, 6/6/2022, n. 18032; Cass., Sez. 2, 3/1/2019, n. 4; Cass., Sez. 2, 3/1/2019, n. 5 in ordine all’art. 193; Cass., Sez. 5, 4/12/2019, n. 31632; Cass., Sez. 2, 5/4/2017, n. 8855; Cass., Sez. 2, 23/1/2018, n. 1621).
Ciò comporta che per esse la disciplina applicabile è quella vigente al momento di consumazione dell’illecito, atteso che, in materia di illecito amministrativo, il principio di legalità ed irretroattività comporta l’assoggettamento del fatto alla legge del tempo del suo verificarsi in base al principio tempus regit actum (Cass., Sez. 2, 2/3/2023, n. 6295).
4.1 Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 25 della Direttiva 2003/71/CE – la violazione del principio di proporzionalità tra violazione contestata e sanzione irrogata -la violazione e falsa applicazione dell’art. 49 Carta dei Diritti
Fondamentali dell’Unione Europea -la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 legge n. 689 del 1981, da interpretarsi anche alla luce dell’art. 39, comma 1, lett. a), del Regolamento (UE) 2017/1129 e dell’art. 194 -bis con riferimento alla durata della violazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito avevano errato allorché avevano omesso di applicare una sanzione proporzionale, nonostante la responsabilità del ricorrente avesse riguardato un periodo inferiore. Infatti, quand’anche si volesse comunque riconoscere una forma di responsabilità ad un sindaco che avesse accettato la carica dopo l’approvazione dei Prospetti, la sanzione comminata sarebbe stata comunque non proporzionale alla condotta tenuta, come sancito dall’articolo 25 della citata Direttiva che, pur rivolta agli Stati membri, detta principi incidenti sull’assetto delle fonti primarie e secondarie dell’Unione, tali da essere di diretta applicazione anche per l’autorità nello svolgimento dell’intera attività amministrativa, a maggior ragione se sanzionatoria. Nella specie, il ricorrente, con riguardo ad un periodo inferiore ad un anno, era stato sanzionato col medesimo importo applicato ai sindaci in carica durante la redazione della documentazione d’offerta, i quali avrebbero potuto rilevarne più agevolmente le lacune all’esito delle verifiche effettuate dall’autorità, così non tenendo conto dei parametri valutativi dettati dall’art. 39 del Regolamento (UE) 2017/1129 e, in particolare, del criterio della gravità e della durata della violazione. Peraltro, proprio in quanto il ricorrente era divenuto esponente aziendale della Banca soltanto nell’ultimo periodo di sua esistenza, la Banca d’Italia e la Banca Centrale Europea non lo avevano sanzionato, mentre Consob aveva comminato non solo la sanzione di euro 40 mila oggetto del presente giudizio, ma anche le ulteriori sanzioni di € 100.000,00 in relazione alla sollecitazione del pubblico risparmio per la vendita di azioni del fondo azioni proprie e di €
15.000,00 in relazione a carenze di prospetti per la vendita di obbligazioni.
4.2 Il quarto motivo è infondato.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che nel caso di contestazione della misura della sanzione, il giudice è autonomamente chiamato a controllarne la rispondenza alle previsioni di legge, senza essere soggetto a parametri fissi di proporzionalità correlati al numero ed alla consistenza degli addebiti, e a reputare congrua l’entità della sanzione inflitta in riferimento ad una molteplicità di incolpazioni anche qualora escluda l’esistenza di alcune di esse (Cass., Sez. 2, 2/4/2015, n. 6778).
Non è, invece, tenuto a controllare la motivazione dell’ordinanzaingiunzione, dovendo determinare la sanzione entro i limiti edittali previsti, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, desumendola globalmente dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 11 della legge n. 689 del 1981 (Cass., Sez. 2, 15/06/2020, n. 11481; Cass., Sez. 2, 17/07/2024, n. 19716).
Nella specie, i giudici di merito hanno ampiamene argomentato sulla questione afferente alla quantificazione della sanzione, evidenziando che la sanzione applicata rispettava i limiti edittali sanciti dall’art. 191, comma 2, T.U.F. (previsti nella misura minima di euro 5.000,00 e massima di euro 500.000.000,00) e valorizzando, all’uopo, sia la funzione rivestita dal ricorrente, quale componente del Collegio sindacale, sia la colpa grave ascrittagli, sia la gravità obiettiva della condotta, tenuto conto della rilevanza
degli interessi protetti e della diffusività delle conseguenze derivanti dall’omessa informativa nelle note informative e nel documento di registrazione relative alle emissione di azioni BPVi, con conseguente insussistenza della lamentata disparità di trattamento rispetto ad altre posizioni.
5.1 Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 49 Carta dei Diritti Fondamentali dell’unione Europea, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 legge n. 689 del 1981 da interpretarsi anche alla luce dell’art. 39, comma 1, lett. c), del Regolamento (UE) 2017/1129 e dell’art. 194 -bis in relazione alle condizioni economiche, in assenza di prova a carico della Consob ex art. 6bis , comma 5, lett. d), T.U.F., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte di merito e prima ancora la Consob omesso di tener conto delle capacità finanziarie del ricorrente, senza considerare i principi dettati da questo a Corte con il provvedimento n. 12503/2018, in relazione alla necessità di considerare le condizioni economiche del sanzionato, e dal legislatore europeo, che impone di tener conto di tutte le circostanze pertinenti, tra cui la capacità finanziaria dal soggetto responsabile della violazione quale risulta dal fatturato totale nel caso di persona giuridica o dal reddito annuo e dal patrimonio netto nel caso di persona fisica. La valutazione della capacità economica, necessariamente nota alla Consob in ragione della possibilità di accedere al sistema informativo dell’anagrafe tributaria, avrebbe imposto alla predetta di acquisire informazioni in merito, onde valutare la congruità della sanzione, mentre il giudice non aveva fatto alcuna menzione di tale imprescindibile parametro.
5.2 La quinta censura è inammissibile.
Va, infatti, evidenziato come, nella sentenza impugnata, non vi sia alcun richiamo alla questione giuridica prospettata nel motivo, che
non risulta né descritta nella parte relativa allo svolgimento del processo, né trattata nella parte riguardante la decisione.
Ciò comporta che, implicando essa un accertamento di fatto, il ricorrente, nel proporla in sede di legittimità, avrebbe dovuto, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde consentire a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa (Cass., Sez. 6-5, 13/12/2019, n. 32804; Cass., Sez. 6-1, 13/6/2018, n. 15430), non essendo consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il thema decidendum e implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., Sez. 2, 15/3/2022, n. 12877; Cass., Sez. 2, 06/06/2018, n. 14477).
Non avendo dunque il ricorrente provveduto nei termini sopra descritti, la censura deve considerarsi inammissibile.
6. In conclusione, dichiarata l’infondatezza dei primi quattro motivi e l’inammissibilità del quinto, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda