Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 28030 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 28030 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5357/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso gli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresentano e difendono;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 105/2018, depositata il 6/07/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
NOME COGNOME, sindaco dall’DATA_NASCITA e presidente del collegio sindacale dal 24 aprile 2002 al 7 luglio 2016 della Banca Popolare di Vicenza, ha proposto opposizione alla sanzione amministrativa (pari a euro 60.000) irrogatagli dalla RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) con atto n. 19932/2017, adottato in data 30 marzo 2017, per l’omissione di rilevanti informazioni nei prospetti relativi ai due aumenti di capitale deliberati dalla Banca nel 2014.
La Corte d’appello di Venezia, con la sentenza n. 105/2018, ha respinto l’opposizione.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE, che deduce l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso.
Il ricorrente e la controricorrente hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in quattro motivi.
Il primo motivo denuncia ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 195, comma 1 c.p.c., in ragione della tardività dell’esercizio della potestà sanzionatoria e della conseguente decadenza di RAGIONE_SOCIALE dal potere sanzionatorio per decorso del termine’: la RAGIONE_SOCIALE avrebbe avuto contezza di tutti gli elementi e della documentazione necessaria per formulare la contestazione della presunta violazione già dal 17 settembre 2015; ha invece effettuato la contestazione soltanto il 5 aprile 2016, dunque bel oltre il termine perentorio di 180 giorni sancito dall’art. 195, comma 1, TUF, cosicché la sanzione doveva ritenersi invalida o inefficace, né al riguardo sono condivisibili gli argomenti fatti valere
dalla Corte d’appello, secondo cui le indagini si sarebbero protratte fino al 24 febbraio 2016, tanto più che la Corte d’appello ha omesso di valutare se l’acquisizione della documentazione successiva al 17 settembre 2015 fosse necessaria o comunque utile ai fini della contestazione e dell’accertamento delle violazioni oggetto della stessa.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha accertato che il materiale probatorio raccolto dall’Autorità di vigilanza sino al 17 settembre 2015 non era sufficiente a fornire un quadro completo della violazione in oggetto, anche sotto il profilo del ruolo rivestito da ciascun esponente aziendale, cosicché è stato necessario acquisire ulteriori dati, anche al fine di stabilire l’eventuale connessione di tale accertamento con altre violazioni addebitate al ricorrente e a numerosi altri esponenti aziendali, all’esito dell’indagine ispettiva conclusasi con il deposito della relazione in data 25 febbraio 2016, cosicché la contestazione contenuta nella lettera del 5 aprile 2016 risulta tempestiva.
Il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi espressi da questa Corte che ha ribadito che, in tema di sanzioni amministrative previste per la violazione delle norme che disciplinano l’attività di intermediazione finanziaria, il momento dell’accertamento, dal quale decorre il termine di decadenza per la contestazione degli illeciti da parte della RAGIONE_SOCIALE, va individuato in quello in cui la constatazione si è tradotta, o si sarebbe potuta tradurre, in accertamento, dovendosi a tal fine tener conto, oltre che della complessità della materia, delle particolarità del caso concreto anche con riferimento al contenuto e alle date delle operazioni (Cass. n. 21171/2019), competendo al giudice di merito valutare la congruità del tempo utilizzato per tale attività, in rapporto alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato (cfr. Cass. n. 27405/2019).
b) Il secondo motivo contesta ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 94, comma 2, e 8, 1 191, comma 1, TUF, nonché dell’art. 1 della legge 689/1981, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio’: gli artt. 94 e 191 TUF da un lato dispongono l’obbligo per chi ha intenzione di effettuare l’offerta di redigere preventivamente un prospetto sanzionando chi effettua l’offerta senza pubblicare previamente il prospetto; il soggetto punito è quello che pubblica l’offerta, dunque l’offerente, che nel caso è anche l’emittente ossia la banca. Se così è, il ricorrente non appare punibile, non avendo invero mai effettuato un’offerta e men che meno posto in essere atti commissivi od omissivi intenzionali a tal fine volti; egli non ha quindi posto in essere il comportamento illecito tipico che la disposizione descrive in ossequio al principio di legalità delle sanzioni amministrative; l’elemento soggettivo ascritto al ricorrente è infatti semmai di mera colpa; nel caso in esame la delega per la predisposizione dei prospetti era conferita al direttore generale e al vicedirettore generale nonché al dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili; ne consegue che il ricorrente poteva al più svolgere un controllo formale, controllo che ha svolto, non avendo potuto rilevare nulla di anomalo perché non era a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato e perché risultavano assolutamente corretti e completi i prospetti informativi, prospetti che erano stati sottoposti al vaglio preventivo di RAGIONE_SOCIALE e sui quali essa nulla ebbe a rilevare.
Il motivo è infondato.
Al ricorrente è ascrivibile la responsabilità anche per le condotte materialmente poste in essere da altri soggetti, in ragione degli obblighi di vigilanza e controllo incombenti sui componenti del collegio sindacale, in quanto la responsabilità individuale dei singoli componenti degli organi collegiali degli istituti di credito, lungi dal porsi in contrasto con la ratio , i principi regolatori (tra cui il
carattere personale della responsabilità) e le norme vigenti in materia di sanzioni amministrative, discende dall’applicazione della disciplina del concorso di persone nell’illecito amministrativo ai sensi dell’art. 5 della legge n. 689/1981, secondo cui quando più persone concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di esse soggiace alla sanzione di legge, salvo che sia diversamente stabilito. Quanto al controllo svolto, la Corte d’appello ha sottolineato che l’effettiva possibilità di rilevare le accertate correlazioni tra finanziamenti e acquisti azionari dipendesse dalla misura della diligenza dei componenti del collegio sindacale e, come dagli accertamenti ispettivi risulti che al ricorrente furono poste più richieste di verifica, richieste che avrebbero dovuto ‘scuotere’ il collegio sindacale e che quindi COGNOME non può sostenere la sua incolpevole ignoranza del fatto che del fenomeno del capitale finanziato dovesse essere data contezza nei prospetti.
c) Il terzo motivo denuncia ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 49 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dell’art. 11 della legge 689/1981, relativamente alle condizioni economiche del ricorrente e in assenza di prova a carico della RAGIONE_SOCIALE ex art. 6bis , comma 5, lett. d), TUF: ai sensi dell’art. 11 della legge 689/1981 è necessario che nella determinazione della sanzione si tenga conto anche delle condizioni economiche del soggetto sanzionato; le condizioni economiche, che possono essere intese come capacità finanziaria della persona, sono necessariamente note alla RAGIONE_SOCIALE che ha accesso al sistema informativo dell’Anagrafe tributaria ed è dunque la RAGIONE_SOCIALE che deve provare tale capacità nella determinazione della sanzione, mentre nel caso in esame nulla ha allegato in proposito.
Il motivo non può essere accolto.
La Corte d’appello ha confermato la sanzione di euro 60.000 richiamando i parametri oggettivi e soggettivi di cui all’art. 11 della legge n. 689/1981 e tra questi le condizioni patrimoniali
dell’incolpato. Come ha sottolineato la pronuncia n. 14152/2022, va richiamato il costante orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di sanzioni amministrative pecuniarie, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi. Peraltro, il giudice non è tenuto a specificare nella sentenza i criteri adottati nel procedere a detta determinazione, né la Corte di cassazione può censurare la statuizione adottata, ove tali limiti siano stati rispettati e dal complesso della motivazione risulti che quella valutazione è stata compiuta (si vedano Cass. n. 4844/2021 e Cass. n. 5526/2020). Avendo quindi la Corte d’appello contenuto la sanzione nei limiti edittali, non appare suscettibile di deduzione come motivo di ricorso l’omessa considerazione di uno dei molteplici criteri in base ai quali deve orientarsi il potere discrezionale del giudice di merito di commisurazione della sanzione.
d) Il quarto motivo denuncia ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 689/1981 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto pur prendendo in considerazione le circostanze pacificamente emerse relativamente all’occultamento agli organi della banca la Corte ha ritenuto erroneamente carente la buona fede in capo a COGNOME ed evincibile l’elemento soggettivo della colpa’: l’art. 3 della legge n. 689/1981 sancisce l’imputabilità della sanzione amministrativa esclusivamente a titolo di dolo o colpa e prevede l’esclusione di responsabilità nel caso in cui l’errore sulla liceità della condotta sia legato alla buona fede; la Corte d’appello viola tale disciplina e in ogni caso omette di considerare circostanze che portano ad escludere integralmente l’imputabilità dei comportamenti contestati al ricorrente.
Il motivo deve essere disatteso, sostanziandosi nella contestazione della valutazione di merito operata dalla Corte d’appello. Come ha sottolineato la pronuncia n. 14145/2022, alla quale si rinvia per un più puntuale sviluppo delle argomentazioni, questa Corte ha reiteratamente ribadito che in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni previste dal testo unico finanziario, sussiste la responsabilità dei sindaci che omettano o esplichino in modo inadeguato il controllo su tutta l’attività sociale, poiché il dovere di vigilanza sancito dall’art. 2403 c.c. non è circoscritto all’operato degli amministratori, ma attiene al regolare svolgimento dell’intera gestione dell’ente ed è posto a tutela, oltre che dei soci, anche dei creditori sociali, in modo ancora più stringente nelle RAGIONE_SOCIALE quotate, considerata l’esigenza di garantire l’equilibrio del mercato.
Sulla scorta di tale premessa, la sentenza gravata ha quindi verificato, in relazione all’infrazione contestata, quale fosse stata la condotta in concreto tenuta da parte del ricorrente riscontrando una colpevole inerzia, concludendo quindi per l’insussistenza di fatti non smascherabili ove invece la parte avesse conformato la propria condotta a quanto impostogli per legge (cfr. la sentenza impugnata alle pagg. 27-54).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese liquidate in dispositivo seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente che liquida
in euro 8.200, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 13 febbraio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME