Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14148 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 14148 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
SENTENZA
sul ricorso 10704 -2019 proposto da:
DI NOME COGNOME NOME E COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio degli avv.ti prof. NOME COGNOME e NOME COGNOME che li rappresentano e difendono giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura della banca, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME
COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso il decreto n. cronol. 10095/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 6/10/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del l’11 /6/2024 dal consigliere NOME COGNOME sentito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; sentito l’avvocato NOME COGNOME per parte controricorrente .
FATTI DI CAUSA
1. Con ordinanza n. 10095/2018, la Corte d’appello di Roma, adita ex art. 145 T.U.B. a seguito di declinatoria di giurisdizione del TAR Lazio, rigettò l’opposizione di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME proposta avverso il provvedimento sanzionatorio n. 316593 del 28 marzo 2013, approvato con delibera n. 180 del 2013, con cui, all’esito dell’ispezione relativa al periodo 27 settembre 2011 9 marzo 2012, il Direttorio di Banca d’Italia aveva loro inflitto, ex art. 144 comma 1 lett.a) e art. 53 comma 1 lett.b) del d.lgs. 385/1993 e art. 53 comma 1 lett. b) e lett. d), una sanzione, per ognuno, di complessivi Euro 225.000,00 ciascuno in qualità di componente del collegio sindacale di Monte dei Paschi di Siena (Euro 135.000 per violazione di normativa in materia di contenimento dei rischi finanziari ed Euro 90.000 per carenze nei controlli).
Era stata loro contestata, in particolare, la violazione della normativa in materia di contenimento dei rischi finanziari e, cioè, il Tit. II cap. 4 e Tit. V cap. 2 delle Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, circolare 263 del 2006, Comunicazione Banca d’Italia del 10/12/2007, bollettino di vigilanza n. 12/2007, nonché carenze nei
contro
lli come previsti dal Tit. IV cap.2 delle Istruzioni di vigilanza per le banche di cui alla circolare 229 del 1999, dal Tit. I cap. 1 parte quarta delle Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche, di cui alla suddetta circolare 263 del 2006 e dalle Disposizioni di vigilanza del 4 marzo 2008 in materia di organizzazione e Governo societario delle banche.
Per quel che qui ancora rileva , la Corte d’appello escluse la tardività dell’adozione del provvedimento sanzionatorio , in considerazione dell’avvenuta proroga del termine a difesa, nonché la natura non penale delle sanzioni applicate e confermò la sussistenza della condotta e dell’elemento soggettivo; escluse , altresì, il dubbio di incostituzionalità dell’art. 3 della L. 689/1981 nella parte in cui consente di presumere la colpevolezza dell’accusato e la violazione dell’art. 11 della L. 689/1981 quanto alla misura delle sanzioni.
Avverso questa ordinanza, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidandolo a otto motivi, illustrati da successiva memoria; Banca d’Italia ha resistito con controricorso.
In prossimità della pubblica udienza il P.M. ha depositato le conclusioni scritte nel senso del rigetto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno lamentato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 145 TUB, dell’art. 24 l. n. 262/2005, dell’art. 7 del Regolamento di Banca d’Italia del 25 giugno 2008 e dei relativi allegati e delle disposizioni di vigilanza in materia di sanzioni e procedura sanzionatoria amministrativa del 18 dicembre 2012, per avere la Corte d’appello escluso la tardività della contestazione del provvedimento sanzionatorio in relazione alla data del 3 agosto 2012, cioè alla scadenza della proroga del termine per la
presentazione delle controdeduzioni come concessa in favore di uno degli incolpati, NOME COGNOME secondo i ricorrenti, rilevante sarebbe invece la data del 26 giugno 2012, in cui è avvenuta la notifica dell’ultima contestazione a NOME COGNOME e il conseguente termine per le sue controdeduzioni del 17/7/2012, sicché il procedimento avrebbe dovuto concludersi entro il 14 marzo 2013, mentre la sanzione è stata contestata il 28 marzo 2013, dunque tardivamente.
1.1. Il motivo è infondato. Questa Corte (Sez. 2, n. 9385 del 21/05/2020) ha già stabilito la tempestività dello stesso provvedimento sanzionatorio n. 316593 del 28 marzo 2013, approvato con delibera del direttorio della Banca d’Italia n. 180 del 2013, pronunciandosi su eccezione di tardività dal medesimo contenuto, sollevata dal direttore generale e presidente del comitato direttivo, NOME COGNOME.
In particolare, premesso che il termine di duecentoquaranta giorni, previsto del regolamento della Banca d’Italia del 25 giugno 2008 per la conclusione del procedimento nella procedura sanzionatoria ex art. 145 del d.lgs. n. 385 del 1993, inizia a decorrere dalla scadenza del termine per la presentazione delle controdeduzioni da parte del soggetto che ha ricevuto per ultimo la notifica della contestazione, questa Corte ha puntualizzato che, ove tale termine sia stato prorogato, il termine finale di conclusione del procedimento decorre dallo scadere del termine della proroga, a prescindere che non vi sia coincidenza tra colui che l’ ha ottenuta e il soggetto che ha ricevuto l’ultima notifica : il termine, infatti, è unico per tutti i destinatari delle contestazioni, anche a prescindere dal concorso nella medesima violazione , in considerazione dell’unicità del procedimento e della correlazione tra i fatti da accertare e contestare; sarebbe, perciò, evidentemente contraddittorio concedere termini per controdeduzioni
ma avviare il procedimento sanzionatorio prima che tutte le difese siano state raccolte.
Con il secondo motivo i ricorrenti hanno lamentato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 117 Cost., dell’art. 6 CEDU e degli artt. 144 e 145 t.u.b. per avere la Corte d’appello escluso la natura sostanzialmente penale degli illeciti contestati; la natura penale, invece, conseguirebbe alla severità della sanzione per l’illecito contestato e al grave danno alla reputazione derivante dalla pubblicazione del provvedimento sul b ollettino dell’Autorità di vigilanza.
2.1. Anche questo motivo è infondato. Deve qui ribadirsi che le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 144 t.u.b. per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle irrogate dalla CONSOB ai sensi dell’art. 187-ter TUF per manipolazione del mercato, sicché esse non hanno la natura sostanzialmente penale riconosciuta a queste ultime né pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 4 marzo 2014, COGNOME e altri c. Italia).
In particolare, questa Corte ha rimarcato che, seppure è vero che i «criteri Engel» per la qualificazione di una sanzione sono alternativi e non cumulativi, è parimenti vero che «ciò non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l’analisi separata di ogni criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una “accusa in materia penale”» (Grande Stevens, punto 94).
Nel caso in esame, pertanto, è stato considerato che non offre un risultato univoco il criterio della qualificazione della sanzione, nel
sistema nazionale, come amministrativa: la sanzione è posta, infatti, a tutela di interessi generali (la tutela del credito e del risparmio) e ha una funzione non soltanto ripristinatoria ma anche deterrente, essa, allo stesso tempo, risulta destinata ad una platea ristretta di possibili destinatari (i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione o i dipendenti delle banche e degli altri intermediari di cui al testo unico bancario) e ciò limita la ‘ generalità ‘ della portata della norma.
La valutazione dell’afflittività, inoltre, non può essere svolta in termini totalmente astratti, ma va necessariamente rapportata al contesto normativo nel quale la disposizione sanzionatoria si inserisce: pertanto, considerato che, nell’ordinamento del cr edito e della finanza, sono previste anche sanzioni penali detentive, nonché sanzioni amministrative pecuniarie che, come quelle per gli abusi di mercato, possono ascendere a molti milioni di euro, una sanzione pecuniaria come quella in esame, applicabile ratione temporis , compresa tra il minimo edittale di Euro 2.580 ed il massimo edittale di Euro 129.110 e non corredata da sanzioni accessorie né da confisca, non risulta connotata da una afflittività così spinta da trasmodare dall’ambito amministrativo a quello penale (cfr. Sez. 2, n. 16517 del 31/07/2020, con indicazione di numerosi precedenti).
Diversamente non rileva neppure la pubblicazione sul bollettino dell’Autorità di vigilanza (sostituita, a far data dal 2015, dalla pubblicazione sul sito web, ex art. 8 t.u.b.) che non ha funzione afflittiva, ma di informazione degli operatori di mercato al fine di assicurare l’interesse generale -e certamente prevalente -di salvaguardia del mercato stesso: l’essere informati è, infatti, indispensabile ai rapporti di scambio e il Bollettino comunque riportava -e riporta nel suo attuale formato elettronico -anche gli atti a carattere generale, che interessano una pluralità di soggetti in funzione
direttiva o di controllo, oltre a quelli a carattere particolare, che riguardano gli specifici operatori, sicché la pubblicità è caratteristica intrinseca alla rilevante funzione svolta, non conseguenza sanzionatoria del comportamento antigiuridico.
3. Con il terzo motivo, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno lamentato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 l. n. 689/1981 e dell’art. 6 CED U per avere la Corte d’appello respinto la censura relativa alla genericità delle contestazioni formulate e, in riferimento al n. 5, la mera apparenza della motivazione resa sul punto; la Banca d’Italia non avrebbe , invero, precisato in maniera analitica le condotte asseritamente poste in essere da ciascuno e avrebbe attribuito una mera responsabilità da posizione; in particolare, quanto ai rilievi connessi ai «profili di rischio finanziario», avrebbe contestato omissioni «avulse dall’ambito dei controlli che competono a l Collegio sindacale di una banca» (così in ricorso) perché relative al merito delle scelte di competenza del manegement ; sarebbe stato, pertanto, omesso il dovuto accertamento in concreto delle condotte omissive effettivamente produttive di danno.
3.1. Il motivo è infondato.
Innanzitutto, quanto al profilo ex n. 5, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, nel senso della «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, restando così
esclusa qualunque rilevanza del semplice «difetto di sufficienza». Ricorre, allora, il vizio denunciato con il secondo motivo quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, in ultimo, Sez. Un., n. 2767 del 30/01/2023, in motivazione, con numerosi richiami; Cass. Sez. 1, n. 7090 del 03/03/2022).
Nella specie, invece, la Corte d’appello ha esaminato il comportamento esigibile, il contenuto delle condotte contestate, le conseguenze derivate dalle violazioni, richiamando puntualmente i documenti rilevanti.
Da pag. 5 a pag. 7 del decreto impugnato, la Corte territoriale ha, infatti, esaminato il deterioramento del profilo di liquidità e lo ha ricondotto anche alla insufficiente azione di sorveglianza del Collegio sindacale; più in dettaglio, alla pag. 7, ha rimarcato l’assenza di dibattito in seno all’organo di controllo e, al contrario, l’esigibilità di un’attività di sorveglianza diversa dalla mera «presa d’atto» e ha sottolineato l’assenza di interlocuzione con la Banca d’Italia, invece prescritta dal l’art. 52 t.u.b.; ha, pure, individuato la violazione dei compiti di vigilanza sull’adeguatezza e sulla rispondenza del sistema di gestione e controllo dei rischi ai requisiti stabiliti dalla normativa, come imposti dalle fonti normative secondarie emanate dalla stessa Banca d’Italia , costituenti integrazione dell’art. 53 t.u.b., quali la circolare n. 263/2006, allora applicabile anche alle banche; ancora, alle pag. 8, 9 e 10, ha ricostruito in riferimento a singole e specifiche scelte gestionali le responsabilità proprie della funzione dell’organo sindacale conseguenti all’assenza di analisi critiche di impatto e di adeguate
valutazioni del profilo di rischio/rendimento; infine, alle pag. da 11 a 17, ha esaminato la consistenza di ciascun rilievo, le manchevolezze riscontrate e le conseguenze che ne sono derivate.
Con la sua analisi e la sua motivazione, pertanto, la Corte d’appello ha deciso in conformità ai principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ciascuno dei componenti del collegio sindacale, in caso di accertate carenze delle procedure aziendali predisposte per la corretta gestione societaria, sono sanzionabili a titolo di concorso omissivo quoad functione .
Con il quarto motivo, i ricorrenti hanno denunciato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 l.n. 689/1981 per aver e la Corte d’appello escluso la tardività della contestazione e, in riferimento al n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , reso sul punto una motivazione carente e apparente della sentenza impugnata: secondo quanto disposto dall’ art. 14, «gli estremi della violazione debbono essere notificati agli intere ssati entro il termine di novanta giorni dall’accertamento» e perciò, alla data della contestazione, avvenuta soltanto nel 2012, il potere sanzionatorio si sarebbe già consumato perché nessun addebito è stato tempestivamente formulato a seguito dei rilievi del 2010.
Per altro connesso profilo, i ricorrenti hanno quindi contestato anche il quantum della sanzione, sostenendo che siano state sanzionate anche alcune condotte relative agli accertamenti del 2010, rispetto alle quali era certamente intervenuta decadenza del potere sanzionatorio.
4.1. Il motivo, suggestivo nella sua formulazione, è infondato per il primo profilo e inammissibile nel secondo.
Richiamate qui le suesposte considerazioni sulle caratteristiche di una motivazione apparente come individuate nella giurisprudenza di
questa Corte, si può escludere, ancora una volta, la ricorrenza di questo vizio nella fattispecie, perché la Corte d’appello ha dedicato all’esame della questione uno specifico punto di motivazione.
La Corte territoriale ha infatti rilevato, in riferimento al quarto motivo di appello (pag. 12), che i fatti oggetto di rilievo si collocano in un lasso temporale successivo alla chiusura della precedente ispezione del 2010.
In particolare, la Banca d’Italia aveva già svolto accertamenti ispettivi presso la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. nel 2010 e da tali verifiche erano emerse problematiche nella situazione di liquidità, un’elevata esposizione ai rischi di tasso e altre criticità gestionali legate alle caratteristiche di taluni cospicui investimenti in titoli di Stato italiani. Dall’estate del 2011, a seguito di un nuovo marcato indebolimento della situazione di liquidità di Monte dei Paschi, Banca d’Italia aveva nuovamente sollecitato i vertici aziendali ad assumere con urgenza tutte le iniziative idonee a ripristinare congrui margini di liquidità. L’organismo di vigilanza aveva avviato anche un’ispezione per garantire un presidio diretto sulla gestione della liquidità del gruppo. Gli accertamenti ispettivi svolti nel periodo compreso tra il 27 settembre 2011 e il 9 marzo 2012, determinanti le sanzioni irrogate con la delibera impugnata, avevano ad oggetto la gestione dei rischi finanziari al fine di verificare se fossero state superate le carenze emerse nel corso della precedente ispezione, nonché l’adeguatezza dei processi di quantificazione dell’attivo a rischio. L’ultima ispezione si era conclusa con un giudizio sfavorevole dal quale era emerso un marcato degrado dei profili tecnici della banca ed era stato accertato il sensibile peggioramento del profilo relativo alla liquidità, sfociato nella seconda metà del 2011 in una vera e propria crisi finanziaria, originata dalla carente azione strategica e manageriale, nonché da iniziative contraddittorie non ispirate a criteri di sana e prudente gestione: erano
state, infatti, promosse azioni di massimizzazione della redditività nel breve periodo, in larga parte estranee all’operatività tipica del gruppo, nonché connotate in termini di rischio e non sostenibili sulla scorta degli usuali parametri di governo e dei correlati presidi di controllo.
Pertanto, come proprio sottolineato dalla Corte d’appello (pag. 12) il fatto che indici delle responsabilità contestate fossero già emersi nella precedente ispezione non rileva al fine della tempestività dell’esercizio del potere sanzionatorio ma risulta, al contrario, significativo soltanto della persistenza di una condotta imprudente.
A queste considerazioni in fatto si aggiunga, in diritto, che, come chiarito da questa Corte, il momento dell’accertamento – in relazione al quale va collocato il dies a quo del termine previsto dall’art. 14, comma 2, della l. n. 689 del 1981 per la notifica degli estremi della violazione – non coincide necessariamente né con quello della mera constatazione dei fatti nella loro materialità né con quello in cui le relazioni o i rapporti finali degli incaricati degli accertamenti siano stati depositati o comunque messi a disposizione degli organi dell’autorità di supervisione competenti al relativo esame, dovendo, invece, essere individuato nella data in cui detta autorità ha completato l’attività intesa a verificare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’infrazione. Al giudice di merito, quindi, compete proprio valutare la congruità del tempo utilizzato per tale attività, in rapporto alla maggiore o minore difficoltà del caso e l’apprezzamento, involgendo valutazioni di merito, è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato ( ex plurimis , Cass. Sez. 2, n. 27405 del 25/10/2019; Sez. 2, n. 21171 del 08/08/2019; Sez. 2, n. 9022 del 30/03/2023).
4.2. Quanto al secondo profilo e alla asserita sanzione di condotte in violazione dei termini di decadenza di esercizio del potere sanzionatorio, come dettagliatamente chiarito, in riferimento all’ottavo
motivo di appello (pag. 19 del decreto), con il provvedimento impugnato sono state inflitte due sanzioni, l’una per violazione della normativa in materia di contenimento dei rischi finanziari, di importo pari a Euro 135.000,00, l’altra per carenze nei controlli, di importo pari a Euro 90.000,00.
L’art. 8 è stato applicato alle sole violazioni della normativa in materia di contenimento dei rischi finanziari perché, come precisato nel decreto, erano state contestate, nei plurimi rilievi, più violazioni delle medesime norme, suscettibili di considerazione autonoma, sicché ha operato il cumulo giuridico.
A fronte di questa motivazione i ricorrenti non hanno neppure enucleato quali dei plurimi rilievi fossero riferibili a violazioni concernenti fatti accertati prima dell’ispezione da cui è scaturita la delibera oggetto di giudizio; in tal senso la censura è inammissibile.
Con il quinto motivo, i ricorrenti hanno prospettato, in riferimento al n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 144 e 145 t.u.b. e dell’art. 6 CEDU per avere la Corte d’appello omesso di valutare autonomamente le condotte sanzionate e per aver omesso di analizzare le argomentazioni difensive, incorrendo quindi nei vizi di difetto di motivazione e di motivazione apparente sul punto.
In particolare, hanno rilevato la mancata considerazione del doloso occultamento di informazioni da parte dei vertici di Monte dei Paschi di Siena, soprattutto in riferimento alle contestazioni di cui al rilievo n. 9.
5.1. Il motivo è infondato. Come esposto nell’esame del terzo motivo, al punto 3.1. , la Corte d’appello ha dettagliatamente ricostruito i confini, in fatto e indiritto, del comportamento esigibile invece omesso.
In particolare, quindi, per quel che concerne le contestazioni di cui al rilevo n. 9, la Corte d’appello ha rimarcato a pag. 16 la spettanza ai sindaci di «poteri di indagine forti ed estesi» che, tuttavia, evidentemente, non sono stati attivati.
Gli illeciti contestati sono, pertanto, illeciti omissivi, consistenti essenzialmente nella violazione della normativa in materia di contenimento dei rischi finanziari e nella carenza nei controlli, in riferimento ai quali l’insegnamento di questa Corte è nel senso che «la prova della condotta positiva di adempimento di un obbligo attivo spetta, a fronte della contestata omissione, al soggetto tenuto ad attivarsi» (Cass. SU 20930/09, pag. 117/118).
Il collegio sindacale avrebbe potuto e dovuto attivarsi autonomamente al fine di controllare l’attività gestoria della società, in particolare riferimento alle problematiche nella situazione di liquidità, all’elevata esposizione ai rischi di tasso e altre criticità gestionali legate alle caratteristiche di taluni cospicui investimenti in titoli di Stato italiani; in conseguenza, per sottrarsi alla propria responsabilità amministrativa, i ricorrenti avrebbero dovuto provare di aver esercitato i poteri loro conferiti, come dettagliatamente individuati dalle fonti normative secondarie emanate dalla Banca d’Italia , integranti, come detto, l ‘art. 53 t.u.b..
A tal fine, rileva, come già evidenziato da questa Corte, il Titolo IV, capitolo 11, sezione IV della circolare n. 229/1999 della Banca d’Italia, vigente all’epoca dei fatti, alla cui stregua «il collegio sindacale, nel rispetto delle attribuzioni degli altri organi della banca e collaborando con essi, assolve alle proprie responsabilità istituzionali di controllo, contribuendo ad assicurare la regolarità e la legittimità della gestione, senza fermarsi agli aspetti meramente formali, il rispetto delle norme che disciplinano l’attività della banca, nonché a preservare l’autonomia dell’impresa bancaria»; rileva poi, nella specifica ottica del
contro
llo dei rischi, il Titolo I, capitolo 1, parte quarta, par. 2.3 della circolare n. 263/2006 della Banca d’Italia, allora applicabile anche alle banche, là dove prevede che «l’organo con funzione di controllo vigila sull’adeguatezza e sulla rispondenz a del sistema di gestione e controllo dei rischi, , ai requisiti stabiliti dalla normativa (co.1). Per lo svolgimento delle proprie attribuzioni, tale organo dispone di adeguati flussi informativi da parte degli altri organi aziendali e delle funzioni di controllo interno (co. 2)»; rilevano, infine, le Disposizioni di Vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche del 4 marzo 2008, che stabiliscono che «i controlli devono riguardare trasversalmente tutta l’organizzazione aziendale, includendo verifiche in ordine ai sistemi e alle procedure (es. quelli informativi e amministrativo-contabili), ai diversi rami di attività (credito, finanza, etc.), all’operati vità (introduzione di nuovi prodotti, ingresso in nuove aree di business o geografiche, continuità operativa, outsourcing)».
Da questo quadro normativo emerge allora come i poteri di controllo dei sindaci non siano meramente formali: pertanto, per andare esenti da responsabilità, i sindaci devono dare prova di averli esercitati appieno, senza che diversamente possa rilevare la circostanza di essere stati tenuti dolosamente all’oscuro dagli amministratori, delle condotte illecite da loro poste in essere; al contrario, infatti, dai sindaci è esigibile lo sforzo diligente di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori (Cass. Sez. 2, n. 24170 del 04/08/2022).
6. Con il sesto motivo articolato in riferimento al n. 3 e al n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , i ricorrenti hanno riproposto la rilevanza della circostanza del doloso occultamento di informazioni da parte dei vertici gestionali di Monte dei Paschi di Siena: la doverosa considerazione del carattere esimente di questo fatto sarebbe stata invece omessa e, in conseguenza, sarebbero stati violati gli artt. 6 e 7
CEDU, l’art. 117 Cost. e l’art. 3 l.n. 689/1981 e la presunzione di innocenza.
6.1. Il motivo è infondato per le considerazioni già svolte e per i rilievi seguenti.
Le ipotesi regolate dagli artt. 144 e ss. t.u.b. contemplano illeciti cosiddetti «di mera trasgressione» e appaiono strutturate in modo che l’azione, esaurendosi nella oggettiva difformità rispetto alla fattispecie astratta, si identifica con la condotta inosservante (cd. suitas ), che è neutra sotto l’ulteriore profilo del dolo o della colpa del responsabile (Cass. n. 9546/2018). L’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria resta quindi a carico dell’Amministrazione (Cass. n. 1921/2019), ma, nel caso dell’illecito omissivo di pura condotta, essendo il giudizio di colpevolezza ancorato a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, è sufficiente la dimostrazione dell’elemento oggettivo dell’illecito comprensivo della «suità» della condotta inosservante, in assenza di elementi tali da rendere inesigibile la condotta o imprevedibile l’evento (Cass. Sez. 2, n. 16517 del 31/07/2020, relativa agli amministratori privi di delega operativa).
In altri termini, la Banca d’Italia, anche in base ai principi ricavabili dall’art. 3, L. n. 689/1981, ha unicamente l’onere di dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre i sindaci a esigere un supplemento di informazioni e ad attivarsi anche presso l’Organo di vigilanza; a tale dimostrazione è correlata la sussistenza dell’esigibilità del comportamento attivo di controllo; spetta, invece, a questi ultimi provare di avere tenuto efficacemente questo comportamento, per scongiurare il danno (Cass. n. 24170/2022 cit.).
La Corte d’appello ha correttamente applicato questi principi, motivando in merito alla violazione dei doveri dei sindaci in riferimento a ciascun rilievo; in tal senso certamente può essere esclusa la
sussistenza di una violazione del principio di non colpevolezza perché con il decreto è stato invece correttamente ripartito l’onere probatorio tra Organo di vigilanza e incolpati.
Con il settimo motivo NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno denunciato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 7 CEDU, dell’art. 117 Cost. e dell’art. 3 l.n. 689/1981 per aver e la Corte d’appello ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del l’art. 3 l. n. 689/1981 nella parte in cui ammette la presunzione di colpevolezza dell’accusato, imponendo a quest’ultimo di fornire gli elementi probatori a sua discolpa.
7.1. Anche questo motivo è infondato per le considerazioni suesposte. La fattispecie soggettiva dell’illecito amministrativo è ricalcata su quella dei reati penali contravvenzionali: la norma, pertanto, come sopra detto, non contempla propriamente un’inversione dell’onere della prova, ma prescrive soltanto che, ai fini della sussistenza della colpa del trasgressore, è sufficiente che sia dimostrata la consumazione di una condotta (anche omissiva) in violazione di norme specifiche di legge o di precetti generali di comune prudenza, gravando sull’incolpato esclusivamente la prova dell’inesigibilità di un diverso e ulteriore comportamento diretto a impedire la violazione (Cass., S.U., n. 20930/2009) (Sez. 2 n. 16517 del 31/07/2020 cit.).
In tal senso, non è ravvisabile alcun dubbio di illegittimità costituzionale dell’articolo.
Con l’ottavo motivo i ricorrenti hanno infine sostenuto, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , la violazione e falsa applicazione dell’art. 144 t.u.b. e dell’art. 11 l.n. 689/1981 per avere la Corte d’appello giudicato corretta la
determinazione della misura della sanzione, sebbene contestate siano state soltanto condotte omissive a titolo di colpa.
8.1. Il motivo è inammissibile. La Corte d’appello ha, sia pure con motivazione sintetica, escluso la determinabilità di una diversa misura della sanzione tra amministratori e sindaci proprio in quanto la violazione dei doveri propri della funzione ha implicato la imputazione di fatti della stessa gravità nelle conseguenze, sia pure a titolo di condotta omissiva.
Prima ancora, la Corte d’appello ha giustificato la misura di una delle due sanzioni applicate, quella conseguente alla violazione della normativa in materia di contenimento dei rischi finanziari, in applicazione del cumulo giuridico ex art. 8 l. n. 689/1981 e dell’aumento dell’importo base fino al triplo; la misura della seconda sanzione, invece, risulta compresa nella forbice edittale.
Ciò posto, questa Corte non può riformare il giudizio di congruità della sanzione applicata se risultano rispettati i limiti edittali e dal complesso della motivazione risulti che è stata compiuta dal Giudice del merito la valutazione di congruità della misura in riferimento alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi (Cass. Sez. 2, n. 4844 del 23/02/2021).
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna in solido di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore di Banca d’Italia , liquidate come in dispositivo in relazione al valore della causa.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento, in favore di Banca d’Italia , delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre agli esborsi liquidati in Euro 200,00, alle spese forfettarie nella misura del 15%, e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda