Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4430 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4430 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13272/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-Ricorrente
Contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-Controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME, COGNOME
–COGNOME – avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO DELL ‘ AQUILA n. 161/2020 depositata il 28/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO CHE:
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero dinanzi al Tribunale dell ‘ Aquila NOME COGNOME e NOME COGNOME, esponendo di essere proprietari dell ‘ immobile sito in Sulmona, INDIRIZZO e che in quello adiacente era stato di recente realizzato un pubblico esercizio di rosticceria e pizzeria, i cui fumi e odori defluivano sulla propria proprietà danneggiando anche la propria produzione artigianale di confetti attraverso una canna fumaria in eternit che, sia pure esistente in passato sulla chiostrina, era stata comunque modificata ed aveva sostituito quella a dispersione naturale dei fumi, nonché attraverso un ‘ apertura a vasistas della finestra della cucina, su cui erano stati installati pure due potenti ventilatori, con superamento della normale tollerabilità. Gli attori chiesero di inibirsi ai convenuti l ‘ uso della canna fumaria e le immissioni dalla finestra, inibirsi l ‘ uso del motore per l ‘ espulsione dei fumi o apportarvi modifiche tecniche suggerite da eventuale CTU, sostituirsi la canna fumaria, realizzarsi un impianto di rinnovamento dell ‘ aria a regola d ‘ arte, con condanna al risarcimento dei danni e alle spese.
Si costituì il solo NOME COGNOME chiedendo in via riconvenzionale la condanna del COGNOME, suo dante causa, al risarcimento del danno per vizi e minor valore dell ‘ immobile in ragione della sua minore godibilità.
Accertate dal CTU le immissioni in questione, da ritenersi illecite in quanto intollerabili, il Tribunale dell ‘ Aquila dichiarò cessata la materia del contendere limitatamente alla domanda avanzata dal COGNOME, che aveva rinunciato all ‘ azione, e, in accoglimento della domanda proposta dagli altri attori, ordinò ai convenuti di sostituire il tratto in eternit della canna fumaria, di elevarla di mt 1,5 rispetto al colmo del tetto e sostituire l ‘ impianto di smaltimento con impianto di abbattimento dei fumi a fasi multiple, condannandoli al risarcimento del danno, liquidato equitativamente e all ‘ attualità in euro 30.000,00, nonché alle spese.
Entrambi i convenuti proposero appello facendo rilevare la cessata la materia del contendere per essere stata dismessa l ‘ attività di pizzeria già dal 2004 produttiva delle immissioni oggetto di causa con attuale destinazione dei locali in questione a sportello bancario e la iniquità della condanna risarcitoria nei loro confronti, non avendo essi, in qualità di proprietari, posto in essere l ‘ attività ritenuta dannosa, esercitata dai locatori dell ‘ immobile; a loro volta gli appellati proponevano appello incidentale volto alla determinazione del danno a mezzo di CTU.
La Corte di Appello dichiarò cessata la materia del contendere per il motivo in questione e respinse nel resto l ‘ appello dei convenuti ritenendo che anche i proprietari potessero essere condannati al risarcimento dei danni per non aver impedito al conduttore di effettuare le immissioni.
La Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, adita dai convenuti appellanti, ha accolto il primo motivo del ricorso con il quale questi avevano censurato la conferma della domanda risarcitoria, effettuata nonostante essi non fossero i gestori dell ‘ attività commerciale fonte del preteso danno. In proposito la Corte ha osservato che la domanda risarcitoria va proposta secondo i principi della responsabilità aquiliana e quindi nei confronti del soggetto individuato dal criterio di imputazione della responsabilità, ossia nei confronti dell ‘ autore materiale o morale del fatto illecito allorché il criterio di imputazione è la colpa o il dolo (art. 2043 cc), nei confronti del custode della cosa (e quindi dell ‘ immobile) allorché il criterio di imputazione è il rapporto di custodia ex art. 2051 cc; nella fattispecie andava pertanto proposta nei confronti dei proprietari solo ove avessero concorso nella realizzazione del fatto dannoso quali autori o coautori dello stesso, mentre il solo fatto di essere proprietari, ancorché consapevoli, ma senza alcun apporto causale al fatto dannoso, non era idoneo, neppure in astratto, a realizzare una loro responsabilità o corresponsabilità aquiliana, all ‘ uopo rilevando come il proprietario di un immobile concesso in
locazione non possa essere di norma chiamato a rispondere dei danni a terzi causati da macchinari utilizzati dal conduttore quando non abbia avuto possibilità concrete di controllo sugli stessi, a nulla rilevando che egli ometta di rivolgergli una diffida ad adottare gli interventi del caso, in quanto non idonea ad incidere sul funzionamento della cosa dannosa. Ha quindi cassato la sentenza per aver affermato la responsabilità risarcitoria dei ricorrenti sul solo presupposto che essi erano i proprietari del locale adibito a ristorante, senza accertare se avessero concorso, con il conduttore titolare del ristorante, alla realizzazione del fatto dannoso, rinviando alla Corte di Appello dell ‘ Aquila quale giudice del rinvio.
Il giudizio è stato riassunto da NOME COGNOME, quale unica erede di NOME COGNOME, rilevando come il COGNOME, quale comproprietario dell ‘ immobile nel quale erano stati installati gli impianti di smaltimento dei fumi della cottura di cibi, aveva chiesto ed ottenuto una concessione edilizia e vari permessi da parte del Sindaco del Comune di Sulmona; egli pertanto non era meramente consapevole dei fatti denunciati ma aveva voluto tutto questo ed aveva concorso all ‘ allestimento delle trasformazioni poi risultate dannose, come accertato dal CTU, dovendo poi considerarsi che nel corso del giudizio di primo grado egli si era sempre difeso nel merito specificando, già nel costituirsi in prime cure, che egli era stato costretto più volte ad eseguire numerosi e costosi interventi di adeguamento alle numerose prescrizioni amministrative delle autorità in specie edilizie ed igienico-sanitarie, al punto da riportare la canna fumaria allo stato originario, ossia nella situazione in cui si trovava al momento in cui egli ebbe ad acquistare l ‘ immobile, sicché i proprietari dovevano considerarsi e qualificarsi quali autori o coautori del fatto causativo del danno. Doveva pertanto confermarsi la sentenza della Corte d ‘ Appello.
Nel costituirsi in giudizio, la COGNOME, anche quale erede con beneficio d ‘ inventario del COGNOME, nelle more deceduto, ha criticato gli
assunti di controparte contestando ex art. 345 cpc l ‘ avversa produzione di documenti.
A seguito del giudizio di rinvio, con sentenza n. 161/2020, depositata in data 28/1/2020, oggetto di ricorso, la Corte d ‘ Appello dell ‘ Aquila ha respinto la domanda risarcitoria proposta nei confronti dei convenuti proprietari dei locali, ritenendo che nel caso di specie non fosse configurabile il concorso dei proprietari (ora della sola NOME COGNOME) nella produzione del fatto dannoso.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui NOME COGNOME resiste con controricorso.
Sono rimasti intimati NOME e NOME COGNOME.
In data 7 aprile 2023 veniva emessa dal Presidente di Sezione delegato dal Presidente Titolare proposta di definizione del giudizio ai sensi dell ‘ art. 380-bis c.p.c. nel testo novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022 e di essa veniva data comunicazione alle parti costituite.
Con atto del 15 maggio 2023 la parte ricorrente chiedeva, con il ministero del suo difensore, sulla base di nuova procura, la decisione ai sensi del primo inciso del secondo comma di detta norma.
Veniva conseguentemente fissata la trattazione ai sensi dell ‘ art. 380bis 1 c.p.c.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 2043 c.c. – art. 2733 c.c.- art. 116 c.p.c. ‘ , in ordine alla confessione resa dal proprietario COGNOME NOME in sede di interrogatorio formale al verbale dell ‘ 11/7/2007 davanti al Tribunale di Sulmona sulla sua partecipazione alla realizzazione del nuovo impianto di smaltimento dei fumi e degli odori originanti le immissioni illecite nell ‘ immobile della attuale ricorrente, nonché alle ammissioni contenute nelle difese dei convenuti dalla prima costituzione in giudizio e all ‘ accertamento della condotta del
proprietario dell ‘ immobile per ottenere realizzare le modifiche al locale condotto in locazione dal terzo.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., ‘ Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e ‘ stato oggetto di discussione tra le parti ‘ , lamentando che la sentenza gravata non avrebbe esaminato ‘ affatto le circostanze in ordine alle ammissioni, rese nell ‘ interrogatorio formale e nella stessa difesa del COGNOME ‘ .
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c., ‘ Nullità della sentenza (art. 360, n. 4 c.p.c.) ‘ , in riferimento alla totale assenza di motivazione sugli argomenti prospettati dalla difesa della COGNOME in ordine alla responsabilità del proprietario dell ‘ immobile dal quale provenivano le immissioni.
Nella proposta ai sensi dell ‘ art. 380bis c.p.c. si è osservato quanto segue: « rilevato che il primo motivo, pur dovendo enunciare secondo l ‘ intestazione, la ‘ violazione o falsa applicazione ‘ delle norme degli artt. 2043 e 2733 c.c. e dell ‘ art. 116 c.p.c., in realtà nella sua illustrazione non contiene argomentazioni evidenzianti l ‘ una o l ‘ altra, bensì procede ad una serie di considerazioni su emergenze istruttorie delle quali propone un apprezzamento contrario a quello fatto dalla corte territoriale, non consentito vigente l ‘ art. 360 n. 5 c.p.c. nel testo attuale (per come interpretato da Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014 e dalla conseguente consolidata giurisprudenza della Corte); rilevato, in particolare, che l ‘ evocazione dell ‘ art. 116 non è svolta secondo i criteri indicati da Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020; rilevato, inoltre, ferma la decisività del rilievo svolto, che i riferimenti agli atti che contengono dette emergenze sono svolti senza fornirne l ‘ indicazione specifica ai sensi dell ‘ art. 366 n. 6 c.p.c. sia per taluni sotto il profilo della riproduzione del loro contenuto, sia per tutti sotto il profilo della loro localizzazione in questo giudizio di legittimità (cui non si provvede nemmeno facendo riferimento alla loro presenza nel fascicolo d ‘ ufficio del giudice della sentenza impugnata,
come ammette Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011); ritenuto, dunque, che il primo motivo è inammissibile; rilevato che il secondo motivo, che dovrebbe denunciare omesso esame di un fatto decisivo ai sensi del n. 5 dell ‘ art. 360 c.p.c., non individua il fatto omesso, ma si duole che<> la sentenza non avrebbe esaminato <>, sicché il motivo soffre anche della sorte del primo; rilevato che il terzo motivo deduce la <> senza evocare l ‘ art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. e considerato che se di ciò si trattasse, vi sarebbe inammissibilità per essere l ‘ assenza di motivazione prospettata sulla base di elementi aliunde rispetto alla sentenza stessa (cioè in difformità da quanto ammesso dalle citate Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014), mentre se così non fosse, il motivo si risolverebbe sempre in una manifestazione di dissenso dalla valutazione delle risultanze istruttorie, come per il primo motivo, e sempre senza osservanza dell ‘ art. 366 n. 6 c.p.c.; ritenuta dunque l ‘ inammissibilità di tutti i motivi; Visto l ‘ art. 380-bis c.p.c. nel testo introdotto dal d.lgs. n. 149 del 2022, applicabile al ricorso ai sensi dell ‘ art. 34, comma 7, di esso; P.Q.M. propone che il giudizio sul ricorso sia definito con pronuncia di inammissibilità » .
Il Collegio rileva in primo luogo che parte ricorrente, pur avendo nella sua istanza di prosecuzione del giudizio preannunciato di illustrare i motivi di dissenso dalle valutazioni della proposta ‘nel termine dell’art. 380 -bis 1 ‘, a tale preannuncio non ha fatto seguire il deposito di alcuna memoria ai sensi di tale norma.
Tanto non esime il Collegio dal procedere alla decisione del ricorso esaminando in primo luogo se le ragioni poste a fondamento della proposta sono condivisibili. La richiesta di definizione del giudizio, infatti, non esige motivazione ed è semplicemente volta a provocare la decisione collegiale della Corte, la quale deve prima verificare se
le ragioni indicate nella proposta di definizione anticipata sono corrette e, nel caso non lo siano, decidere sul ricorso, potendo la decisione all’esito essere comunque negativa per la sorte del ricorso oppure non esserlo.
Il Collegio ritiene che le ragioni, indicate analiticamente per ciascuno dei tre motivi, siano pienamente condivisibili e, dunque, la decisione sul ricorso può avvenire sulla base della loro condivisione, tanto più che l’assenza di memoria non esige valutazioni ulteriori siccome necessarie in forza di argomentazioni di dissenso della parte ricorrente.
Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
In forza del disposto imperativo dell’art. 380 -bis terzo comma c.p.c. si deve far luogo ad ulteriore condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c.
Anche in considerazione della proposizione di una richiesta di decisione senza che sia stata seguita dall’illustrazione delle ragioni del dissenso dalla proposta, ritiene il Collegio che la somma ai sensi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c. possa stabilirsi in un ammontare corrispondente a quello dei compensi, mentre la somma ai sensi del quarto comma di detta norma può stabilirsi in euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore della parte resistente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 2.050,00, oltre agli esborsi, liquidati in euro 200,00, oltre al rimborso spese generali 15% e accessori di legge, in favore della controricorrente, NOME COGNOME. Visto l’art. 380 -bis terzo comma c.p.c. condanna la ricorrente al pagamento alla ricorrente dell’ulteriore somma di euro 2. 050,00 ai sensi del terzo comma dell’art. 96 c.p.c. e della somma
di euro 1.000,00 a favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende ai sensi del quarto comma di tale norma.
Ai sensi dell’art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n . 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 04/10/2023, nella camera di consiglio della