Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31984 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 31984 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
Oggetto: banca promotore finanziario
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25107/2020 R.G. proposto da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME – ricorrenti –
contro
Banca RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
COGNOME RobertoCOGNOME rappresentato e difeso da ll’ avv. NOME COGNOMEcontroricorrente – avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 3070/2020, depositata il 24 giugno 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
– NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, depositata il 24 giugno 2020, che, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, ha respinto le loro domande di condanna di NOME COGNOME e della Banca Consulia s.p.a. (già, Banca IPIBI Financial Advisory s.p.a.), in solido tra loro (nonché con NOME COGNOME), al risarcimento dei danni, il primo, per indebita appropriazione di somme di loro pertinenza e omessa esecuzione delle operazioni di investimento prospettate, e, la seconda, per omessa vigilanza in ordine alle operazioni bancarie dagli stessi effettuate ovvero per aver omesso di porre in essere le misure di sicurezza necessarie per evitare che il predetto NOME COGNOME disponesse di materiale riservato e si appropriasse dei titoli dati in gestione al personale della banca e per essersi avvalsa dell’operato di NOME COGNOME;
– la Corte di appello ha dato atto che a fondamento delle domande proposte in primo grado gli attori avevano allegato che: erano titolari, sin dal 2001, di due rapporti di conto corrente accessi presso la Banca IPIBI Financial Advisory s.p.a. (per l’esattezza, uno cointestato a NOME COGNOME e NOME COGNOME con delega a operare in favore NOME COGNOME, e un secondo intestato a quest’ultima); la banca aveva indicato loro e assegnato quale promotore incaricato di seguirli e assisterli nella gestione dei rapporti contrattuali in essere e per le operazioni di investimento NOME COGNOME il quale li aveva seguiti sino al 29 ottobre 2008, data di cessazione del suo rapporto con la banca; nel periodo compreso tra l’accensione dei conti e tale data NOME COGNOME con l’ausilio del suo collaboratore NOME COGNOME, aveva gestito tali rapporti, ricevendo le somme da depositare sui conti o da destinare a specifiche operazioni di investimento; nell’anno 2010 si erano resi conto che alcuni dei conti correnti e deposito titoli a loro intestati erano stati estinti e che non vi era più traccia di gran parte delle somme depositate nonché degli altri strumenti finanziari
acquistati; avevano successivamente accertato che molti degli assegni emessi erano stati incassati, senza alcun titolo, da NOME COGNOME e da suoi familiari ovvero da soggetti sconosciuti; complessivamente, le somme illecitamente sottratte ammontavano a euro 191.698,06;
la Corte territoriale ha riferito che il giudice di primo grado aveva: dichiarato la cessazione della materia del contendere limitatamente all’azione promossa nei confronti della Banca di Credito Cooperativo S. Barnaba di Marino – Roma e alla domanda di manleva proposta da COGNOME NOME nei confronti d i tale banca; condannato NOME COGNOME, NOME COGNOME e la Banca IPIBI Financial Advisory s.p.a., in solido tra loro, al pagamento, in favore degli attori della complessiva somma di euro 200.000,00, oltre interessi legali, nonché delle ulteriori somme di euro 40.000,00, oltre interessi legali, in solido con NOME COGNOME e di euro 9.000,00, oltre interessi, in solido con NOME COGNOME; condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME a manlevare e tenere indenne la Banca IPIBI Financial Advisory s.p.a. per quanto quest’ ultima dovesse trovarsi a versare agli odierni attori in forza della sentenza; respinto la domanda di manleva formulata da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME, NOME Reali, NOME COGNOME e della Banca IPIBI Financial Advisory s.p.a.;
ha, quindi, accolto i gravami proposti dai soli NOME COGNOME e Banca Consulia s.p.a., evidenziando la estraneità del primo alle condotte illecite dedotte in giudizio e, con riferimento alle attività poste in essere da NOME COGNOME, l’assenza del nesso di occasionalità necessaria tra le stesse e le mansioni da questo espletate -peraltro, per un periodo limitato, dal 2001 al marzo 2002 -quale dipendente della banca;
il ricorso è affidato a nove motivi;
resistono, con separati controricorsi, la Banca Consulia s.p.a. e NOME COGNOME ;
parte ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod.
proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
-con l’ultimo motivo , esaminabile prioritariamente per ragioni di ordine logico-giuridico, i ricorrenti allegano la nullità della sentenza per violazione degli artt. 128, primo comma, 190, 281sexies e 352 cod. proc. civ., 83, settimo comma, lett. h), d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con modif. nella l. 24 aprile 2020, n. 37, e 24 e 111, primo e secondo comma, Cost., nella parte in cui ha ritenuto che la discussione orale in udienza potesse essere sostituita, in applicazione della normativa speciale dettata per frenare l’emergenza pandemica da coronavirus, dal mero scambio e deposito in telematico di note difensive;
il motivo è infondato;
lo svolgimento dell’udienza di discussione orale della causa ai sensi dell ‘ art. 281 sexies c.p.c. in forma scritta, mediante l’assegnazione alle parti di un termine unico e comune anteriore alla data dell’udienza per il deposito di note scritte previsto nel periodo di emergenza pandemica dall’art. 83, settimo comma, lett. h), d.l. n. 18 del 2020, conv. con modif. dalla l.n. 37 del 2020, è legittimo in quanto tale procedimento -in linea generale e salve le eccezioni normativamente previste -è idoneo a garantire il contraddittorio in tutti i casi in cui sia per legge consentita la trattazione della causa in forma scritta e non sia invece imposta la discussione in forma orale (o addirittura in presenza) e anche, quindi, in relazione alla fase decisoria del giudizio di merito (così, Cass. 19 dicembre 2022, n. 37137);
con il primo motivo i ricorrenti denuncia no, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 178, primo comma, 342, 343, 346 e 359, cod. proc. civ., nella parte in cui ha ritenuto inammissibili le istanze istruttorie già articolate in primo grado e disattese in quella sede in quanto oggetto di riproposizione e non già di specifico motivo di appello;
con il secondo motivo i ricorrenti deducono, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza motivazione inesistente o apparente, nella parte in cui ha disatteso le richieste istruttorie articolate in primo grado e riproposte in appello sul fondamento che avevano a oggetto «circostanze non rilevanti ai fini del decidere; non contestate, di emergenza documentale o genericamente articolate»;
i motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono, il primo inammissibile e il secondo infondato;
la Corte di appello ha ritenuto che la reiterazione delle istanze
istruttorie non ammesse in primo grado richiedesse la articolazione di una specifica censura della statuizione di rigetto impugnazione e che tali istanze «per altro verso» concernessero circostanze non rilevanti, non contestate, provate documentalmente o genericamente articolate; – una siffatta argomentazione esprime, dunque, due autonome e distinte rationes decidendi : una prima vertente sull’inammissibilità della censura e una seconda vertente sulla infondatezza della stessa;
-quest’ultima ratio è aggredita con il secondo motivo per vizio motivazionale, ma questa Corte ritiene che il rigetto di istanze istruttorie, in quanto giustificato dal giudice di appello con la considerazione che le stesse riguardano circostanze non rilevanti ai fini del decidere ovvero già adeguatamente dimostrate per via della mancata contestazione della controparte o delle altre prove documentali acquisite ovvero non specificamente individuate, sia assistito dall’esplicitazione dell’ iter argomentativo seguito dal giudice e, per tale ragione, si sottrae alla censura articolata;
-sul punto, si rammenta che il sindacato di legittimità sulla motivazione si è ormai ridotto alla verifica del rispetto del cd. minimo costituzionale che nel caso in esame risulta essere osservato (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; nello stesso senso, più recentemente, Cass. 16 maggio 2024, n. 13621; Cass. 11 aprile 2024,
n. 9807; Cass. 7 marzo 2024, n. 6127);
la resistenza della ratio decidendi consistente nella infondatezza delle richieste istruttorie osta all’esame delle critiche mosse avverso l ‘ulteriore ratio decidendi consistente nell’inammissibilità delle stesse, in quanto inidonee a condurre, stante l’intervenuta definitività della prima, alla cassazione della decisione;
con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio ovvero della motivazione inesistente o apparente, in relazione alla mancata considerazione delle risultanze istruttorie emerse nel corso del dibattimento penale svolto dinanzi al Tribunale di Velletri e riportate nella relativa sentenza da cui emergeva la responsabilità di COGNOME benché lo stesso fosse stato prosciolto per prescrizione del reato ascrittogli;
evidenziano che la Corte di appello si era limitata a prendere in esame solo gli accertamenti eseguiti in sede di indagini preliminari senza valutare le prove acquisite nel giudizio penale, tra cui, in particolare, le dichiarazioni rese dai testi COGNOME, appartenente alla Guardia di Finanza, dalle quali emergeva « l’accesso del Reali ai conti bancari dei ricorrenti propiziato dal COGNOME, la distribuzione dei proventi dell’attività illecita tra i due concorrenti, col COGNOME che si affrettava ad incassare sul proprio conto i contanti prelevati dal Reali sul proprio conto dopo avervi indebitamente incamerato i titoli del Franzese, ecc.»,
e COGNOME
con il quarto motivo lamentano la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 111, sesto comma, Cost. e per motivazione inesistente o apparente, in relazione alla mancata indicazione delle ragioni per cui i verbali di polizia giudiziaria prodotti in giudizio erano inidonei a fondare, unitamente agli altri elementi probatori acquisiti, il convincimento del giudice e del valore attribuito alle prove testimoniali raccolte nel giudizio penale;
con il quinto motivo criticano la sentenza di appello per omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio ovvero per motivazione inesistente o apparente, in relazione alla mancata considerazione del coinvolgimento dei NOME COGNOME nella emissione non autorizzata di due assegni circolari sui conti intestati ai ricorrenti -di importo pari, rispettivamente, a euro 28.000,00 e 5.000,00 -le cui somme erano state incassate da terzi;
con il sesto motivo censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 111, sesto comma, Cost. e per motivazione inesistente o apparente, in relazione alla mancata indicazione delle ragioni per cui la vicenda relativa all’emissione e incasso di tali due assegni circolari fosse priva di rilevanza;
con il settimo motivo deduce la nullità della sentenza di appello per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 111, sesto comma, Cost. e per motivazione inesistente o apparente, in relazione alla mancata indicazione delle ragioni che avevano indotto la Corte territoriale a discostarsi dagli accertamenti compiuti in sede penale;
tali motivi, esaminabili congiuntamente, sono in parte inammissibili e in parte infondati;
i fatti storici asseritamente non esaminati -così come indicati, per l’esattezza, nel terzo e nel quinto motivo risultano essere stati presi espressamente in considerazioni dal giudice di appello, il quale ha rilevato la «assenza di rapporti» tra i ricorrenti e COGNOME, tale da deporre per l’assenza di attività manipolative a lui riconducibili direttamente, e ha aggiunto che «per altro verso la istruttoria non dimostra alcuna attività del COGNOME riconducibile, neppure attraverso COGNOME NOME, alla sfera dei danneggiati … », evidenziando l’estraneità dello stesso al compimento di alcuna attività esecutiva o anche solo propiziatoria della indebita gestione del patrimonio dei ricorrenti;
ha, inoltre, osservato che « non sono emerse condotte del COGNOME riconducibili alla fattispecie del reato di truffa e alla qualifica di promotore della banca»;
-con particolare riferimento all’emissione e l’incasso dei «titoli in oggetto» ha sottolineato che (anche) tale attività non era riconducibile a NOME COGNOME;
ha, poi, giudicato non decisivi gli accertamenti espressi nei verbali di polizia giudiziaria, avuto riguardo alla loro natura di indizi di prova ex art. 116 cod. proc. civ. e al loro assoggettamento alla libera valutazione del giudice;
la Corte territoriale ha ritenuto, nella sostanza, che le risultanze probatorie acquisite al giudizio non fornivano un adeguato riscontro dei fatti dedotti dagli attori, su cui vertono i motivi di ricorso formulati ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ma, anzi, che le stesse escludevano che questi si fossero verificati;
a nulla rileva, poi, che il giudice non abbia dato conto di tutte gli elementi probatori acquisiti al giudizio, atteso che la valutazione delle risultanze delle prove, così come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che rite nga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (cfr. Cass. 4 luglio 2017, n. 16467; Cass. 23 maggio 2014, n. 11511);
-infondate sono, poi, le censure di motivazione inesistente o apparente, atteso che la motivazione della Corte territoriale consente di individuare l’ iter argomentativo della decisione e, per tale ragione, si sottrae alla censura articolata;
come rilevato in precedenza, infatti, il sindacato di legittimità sulla motivazione si è ormai ridotto alla verifica del rispetto del cd. minimo costituzionale, per cui è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia
motivazionale -insussistente nel caso in esame -che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. 27 dicembre 2023, n. 35947; Cass. 11 ottobre 2023, n. 28390; Cass. 18 settembre 2023, n. 26704);
-con l’ottavo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1292 e 2049 cod. civ. e 31 t.u.f., per aver la sentenza impugnata escluso la responsabilità della banca per l’attività illecita posta in essere da NOME COGNOME, in concorso con NOME COGNOME in relazione alle attività poste in essere quale promotore finanziario incaricato della gestione del patrimonio dei ricorrenti;
il motivo è inammissibile;
la doglianza si fonda, in primo luogo, sul ritenuto concorso di NOME COGNOME nell’attività illecita posta in essere da NOME COGNOME che, tuttavia, è stato negato dalla sentenza di appello con accertamento che ha resistito ai motivi di ricorso per cassazione articolati sul punto;
la stessa non rispetta, dunque, il requisito per la formulazione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, consistente nell’assunzione dell’accertamento di fatto come operato dal giudice del merito quale termine obbligato dell’operazione di sussunzione (cfr. Cass. 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);
in secondo luogo, la censura muove da una supposta attività di NOME COGNOME inadempiente rispetto agli obblighi conseguenti al suo ruolo di promotore finanziario assegnato alla gestione del patrimonio dei ricorrenti e/o agevolatrice delle condotte distrattive poste in essere da NOME COGNOME;
-anche con riferimento a tale profilo la doglianza poggia su accertamento di fatto di cui non vi è evidenza nella sentenza impugnata, non osservando, dunque, il predetto limite per la formulazione del motivo di ricorso di violazione o falsa applicazione di
legge;
pertanto, per le indicate considerazioni, il ricorso non può essere accolto;
le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 8.000,00 in favore di ciascuna parte controricorrente, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale del 13 novembre 2024.