Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2471 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2471 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/01/2024
Oggetto
Responsabilità professionale – AVV_NOTAIO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14497/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio degli AVV_NOTAIO NOME COGNOME e NOME COGNOME ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , entrambi rappresentati e difesi dall’ AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL);
-controricorrenti –
e nei confronti di
Eredità giacente ‘COGNOME NOME‘ , in persona del curatore p.t., AVV_NOTAIO;
-intimata – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 1424/2021 depositata in data 23 febbraio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME convenne in giudizio davanti al Tribunale di Roma il AVV_NOTAIO chiedendone la condanna al risarcimento dei danni ed alla restituzione della somma di Euro 4.800,00 corrispostagli quale compenso in relazione alla prestazione resa in occasione della stipula, presso il suo studio, per scrittura privata autenticata, di contratto preliminare di compravendita di immobile con tale NOME COGNOME.
Premesso di avere successivamente appreso che la persona presentatasi a sottoscrivere il preliminare, e ad incassare gli assegni circolari, non era il vero proprietario del l’appartamento, ma un ignoto truffatore, sostituitosi al sig. NOME COGNOME con l’uso di documenti contraffatti, dedusse che di tanto doveva rispondere il AVV_NOTAIO avendo agito, nell’esercizio della propria attività professionale , in modo gravemente imprudente e negligente. Ciò segnatamente per non aver prestato la cura e la specifica attenzione richieste nell’accertamento dell’identità del soggetto venditore , rimanendo assente alla lettura ed alla sottoscrizione dell’atto ed alla esibizione del documento da cui era stata tratta unicamente copia fotostatica.
Esteso il contraddittorio nei confronti della compagnia assicuratrice chiamata in causa dal COGNOME per esserne manlevato, il
giudizio ─ interrotto per la morte del convenuto ─ venne riassunto nei confronti degli eredi.
All’esito dell’istruttoria compiuta il Tribunale pronunciò sentenza n. 4638 del 2016 con la quale rigettò la domanda, condannando l’attore alle spese. Ritenne, infatti, che il AVV_NOTAIO -a prescindere dal fatto che la lettura del preliminare di compravendita fosse stata effettuata da suo figlio -avesse comunque accertato l’identità del promittente venditore attraverso la presentazione di carta d’identità e di una tessera sanitaria non palesemente contraffatti, non avendo peraltro nemmeno il RAGIONE_SOCIALE, prima de lla stipula dell’atto, confidato al AVV_NOTAIO dubbi sull’identità del sedicente NOME COGNOME e che, in definitiva, se truffa vi era stata, essa non poteva essere addebitata al convenuto.
Con sentenza n. 1424 del 2021, resa ex art. 281sexies cod. proc. civ. all’udienza del 21 febbraio 2023, la Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame interposto dal RAGIONE_SOCIALE, confermando la decisione di primo grado, seppur con diversa motivazione.
Ha infatti rilevato che:
─ l’ istruttoria svolta nel corso del giudizio di primo grado « al più ha dato prova del fatto che l’attività di accertamento della identità non è stata conforme alle prescrizioni della legge notarile ma a tale violazione (dovendosi ritenere non provata la errata identificazione del soggetto che ha apposto la firma in calce al preliminare nella qualità di promittente venditore) non può ricondursi il lamentato danno da perdita della caparra confirmatoria ma al più potrebbe essere circostanza utile a sostenere la domanda di risoluzione del contratto professionale e restituzione degli onorari (versati) per la ipotesi in cui alla non conformità del rogito alle prescrizione della legge notarile avesse fatto seguito la inutilizzabilità di tale atto per i suoi vizi di forma »; « invero all’esito della istruttoria espletata la errata identificazione del promittente venditore è rimasta una mera
affermazione del RAGIONE_SOCIALE »;
─ q uanto alla domanda diretta alla restituzione degli onorari, « le dichiarazioni rese dal teste in ordine alle modalità di raccolta delle firme e alla identificazione delle parti (avvenuta solo in un secondo momento da parte del AVV_NOTAIO a mezzo di documenti non idonei in tal senso) ben potrebbero in astratto essere idonee a fondare la domanda di restituzione degli onorari professionali ove le modalità di identificazione avessero reso non utilizzabile l’atto ma il profilo di responsabilità dedotto è stato un altro e in ogni caso il pagamento degli onorari non è stato documentato con la conseguenza che anche la domanda di restituzione deve ritenersi non provata »;
─ peraltro, « non è dato ricondurre la provvista dei cinque assegni in oggetto all’odierno appellante non essendo sufficiente, a tal fine, i dati che emergono dalle fotocopie degli assegni versati in atti (numero di assegno; importo; banca; filiale) nella mancata prova della titolarità del conto ».
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resistono, depositando unico controricorso, gli RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE .
L’altra intimata (e redità giacente ‘COGNOME NOME‘ ) non svolge difese in questa sede.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione alla errata identificazione del promittente venditore da parte del AVV_NOTAIO.
Lamenta che la Corte d’appello, pur avendo ritenuto dimostrato che l’attività di accertamento della identità del promittente venditore non era stata conforme alle prescrizioni della legge notarile, abbia nondimeno escluso la responsabilità del AVV_NOTAIO per non essere stata data prova alcuna « del fatto che la identificazione del promittente venditore non sia stata corretta », atteso che «all’esito dell’istruttoria espletata, la errata identificazione del promittente venditore è rimasta una mera affermazione del RAGIONE_SOCIALE »
Afferma che un tale convincimento è frutto di « una superficiale e frettolosa lettura degli atti di causa », atteso che:
─ il fatto, specificamente dedotto in domanda, che « la persona presentatasi a sottoscrivere il preliminare e ad incassare gli assegni circolari, non era il signor NOME COGNOME proprietario dell’appartamento in questione ma un ignoto truffatore, sostituitosi al signor NOME COGNOME, con l’uso di documenti contraffatti » non era stato specificamente contestato dal convenuto, essendosi questo piuttosto limitato a contestare l’esistenza del dedotto inadempimento sotto il diverso profilo della negligenza addebitatagli;
─ anzi, detta circostanza era stata espressamente ammessa, avendo parte convenuta, in comparsa, testualmente affermato che « … quanto sopra è stato oggetto di esposto alla Procura della Repubblica di Roma da parte del AVV_NOTAIO, il quale, una volta appreso dal ‘vero’ NOME COGNOME che il soggetto intervenuto al preliminare non era il reale
titolare del diritto di proprietà sull’appartamento, provvedeva immediatamente alle denunce di rito, anche presso la propria Assicurazione ».
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 3, cod. proc. civ., «nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione alla domanda di restituzione dell’onorario ».
Lamenta che, nella interpretazione di tale domanda, la Corte di appello abbia di fatto alterato il petitum e la causa petendi (e dunque sia incorsa in extrapetizione), non avendo considerato che anche tale profilo di responsabilità era stato prospettato sulla base dell’ inadempimento contrattuale contestato per la dedotta violazione, dovuta a colpevole negligenza, della norma (art. 49 della legge notarile) che disciplina le modalità di identificazione delle parti.
Essendo stata tale violazione espressamente riconosciuta in sentenza, la Corte -sostiene il ricorrente- avrebbe per ciò stesso dovuto accogliere la domanda restitutoria; osserva che, invece, asserendo che « … il profilo di responsabilità dedotto è stato un altro » (cioè quello risarcitorio, già valutato negativamente in relazione alla presunta carenza di prova della errata identificazione del promittente venditore), la Corte, andando extra petitum , ha sostanzialmente interferito nel potere dispositivo della parte, sostituendo d’ufficio la domanda in questione con una diversa, fondata su un fatto costitutivo ( causa petendi ) non dedotto ed allegato in giudizio.
A ll’argomento, pure svolto in sentenza, secondo cui la domanda restitutoria avrebbe potuto trovare fondamento, a motivo della riconosciuta violazione degli obblighi di diligenza professionale, nel caso in cui alla non conformità del rogito alle prescrizione della legge notarile avesse fatto seguito la inutilizzabilità di tale atto per i suoi vizi di forma, il ricorrente oppone il rilievo che tale conseguenza
andava riconosciuta esistente, dal momento che il contratto preliminare è, ipso iure , nullo ed improduttivo degli effetti auspicati dal promissario, che non può certo opporlo al vero proprietario dell’immobile, sig. NOME COGNOME, evidentemente non vincolato da un atto al quale non ha prestato alcun valido consenso.
Quanto, poi, alla rilevata mancanza di prova dell’effettivo pagamento degli onorari oggetto di domanda di ripetizione, rileva che di tale prova egli era esonerato essendo anche questa circostanza non specificamente contestata dal convenuto.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., «violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c.; nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.; in relazione alla pretesa carenza di prova del danno patrimoniale subito dal ricorrente».
Lamenta anche sul punto la violazione, da parte della Corte d’appello, del principio di non contestazione, dal momento che nessuno dei convenuti ha mai contestato che le somme versate al momento della stipula a titolo di caparra confirmatoria fossero riconducibili ad esso ricorrente. Soggiunge che, trattandosi di questione di merito concernente la titolarità del rapporto sostanziale controverso, la stessa deve considerarsi erroneamente rilevata d’ufficio dalla Corte di Appello, in violazione de ll’art. 112 c.p.c..
4. Il primo motivo è fondato.
Come fondatamente evidenziato in ricorso, nel rispetto degli oneri di specificità e autosufficienza imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 2 cod. proc. civ., il fatto che il soggetto intervenuto alla stipula del preliminare non fosse chi dichiarava di essere, ossia il reale titolare del diritto di proprietà sull’appartamento , non è
stato contestato in giudizio dal convenuto ma anzi è stato da lui espressamente ammesso, non potendosi diversamente intendere il rilievo contenuto in comparsa secondo cui il AVV_NOTAIO, « una volta appreso dal ‘vero’ NOME COGNOME che il soggetto intervenuto al preliminare non era il reale titolare del diritto di proprietà sull’appartamento, provvedeva immediatamente alle denunce di rito, anche presso la propria Assicurazione ».
Erroneamente, dunque, e in violazione del disposto di cui all’art. 115, primo comma, cod. proc. civ., la Corte di merito ha ritenuto che, in mancanza di prova, tale circostanza non potesse essere posta a fondamento della decisione.
5. Il secondo motivo è infondato.
L ‘esborso dei compensi in favore del professionista non è «conseguenza» della prestazione inadempiente; tanto meno, da un punto di vista più strettamente giuridico, può considerarsi conseguenza pregiudizievole (come tale risarcibile) dell’evento di danno determinato dall’inadempimento; esso costituisce, piuttosto e semplicemente, la controprestazione gravante sul cliente secondo il sinallagma derivante dal contratto d’opera professionale; trova dunque titolo nel contratto, il quale non viene automaticamente meno in conseguenza dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento dell’obbligo assunto dall’altra parte del contratto, a tal fine richiedendosi, nel nostro ordinamento, la risoluzione del contratto, che è pronuncia costitutiva, non dichiarativa, subordinata alla domanda della parte ed alla valutazione giudiziale della gravità dell’inadempimento (artt. 1453, 1455 cod. civ.), salvo il rimedio preventivo dell’eccezione di inadempimento (art. 1460 cod. civ.)
Intanto, dunque, delle somme a tal titolo versate al professionista si può richiedere la restituzione in quanto sia proposta domanda di risoluzione, la quale peraltro ─ proprio perché distinta e autonoma, quanto a presupposti ed effetti ─ non può ritenersi implicitamente
contenuta nella domanda di risarcimento (v., in tal senso, Cass. n. 23820 del 24/11/2010; principio espressamente richiamato e ribadito da Cass. n. 11348 del 12/06/2020; v. anche Cass. 07/11/2023, n. 31026, in motivazione), né in quella di restituzione.
Non risultando che nella specie una tale domanda (di risoluzione) sia stata proposta, né tanto meno pronunciata la risoluzione del contratto d’opera professionale, la decisione sul punto deve ritenersi corretta, dovendo solo provvedersi ad una correzione nei termini suesposti della motivazione, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ. .
6. Il terzo motivo è fondato.
Anche sul punto la decisione ha violato il disposto di cui all’art. 115, primo comma, cod. proc. civ., avendo ritenuto ostativa alla domanda risarcitoria la mancanza di prova su circostanza (la riconducibilità all’appellante della provvista degli assegni consegnati al sedicente promittente venditore) che invece di tale prova non necessitava, trattandosi di fatto non contestato dal convenuto, sebbene fosse nella sua diretta percepibilità al momento del pagamento. Si dà del resto atto nella stessa sentenza, nella parte dedicata ai fatti di causa (testualmente trasposta dalla decisione di primo grado), che il versamento è stato effettuato a mezzo di assegni circolari, rispetto ai quali il COGNOME risultava mero richiedente, ragione ulteriore per ritenere che la titolarità delle somme utilizzate per il pagamento con quello strumento di pagamento fosse nella diretta percepibilità del convenuto.
In accoglimento, dunque, del primo e del terzo motivo di ricorso, rigettato il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata al giudice a quo , anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; rigetta il secondo motivo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia la causa ad altra Sezione della Corte d’appello di Roma, comunque in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza