Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25399 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25399 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sui ricorsi iscritti al n. 7141/2024 e al n. 25906/2024 proposti da: NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale ex lege ;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv.ssa NOME COGNOME con domicilio digitale, ex lege ;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 740/2023 della CORTE D’APPELLO DI PERUGIA depositata in data 16/10/2023, nonché avverso la sentenza n. 403/2024 della CORTE D’APPELLO DI PERUGIA depositata in data 6/6/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che,
con sentenza resa in data 16/10/2023, la Corte d’appello di Perugia ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta da NOME COGNOME ha condannato NOME COGNOME al risarcimento, in favore dell’a ttrice, dei danni da quest’ultima subiti in conseguenza dell’inadempimento, da parte del COGNOME, della propria prestazione professionale di notaio, avendo il COGNOME rogato l’atto di compravendita di una nuda proprietà immobiliare della COGNOME in presenza di un evidente conflitto di interessi, siccome concluso dal rappresentante della COGNOME con se stesso in forza di una procura speciale del tutto generica, come tale inidonea a scongiurare il ridetto conflitto di interessi;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale -premesso che la prestazione professionale notarile non si riduce al mero accertamento della volontà delle parti o alla direzione nella compilazione dell’atto, estendendosi ad ogni attività volta ad assicurare la serietà e la certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito dalle parti -ha evidenziato come, nel caso di specie, il Campioni avesse colpevolmente proceduto al rogito dell’atto trascurando di accertare la reale volontà negoziale della COGNOME con particolare riguardo alle effettive condizioni economiche della cessione dalla stessa precedentemente concordate con il COGNOME in un precedente contratto preliminare (seppur non riprodotte nella procura speciale), in tal modo causandole il danno patrimoniale consistente nella perdita della nuda proprietà del proprio bene immobile ad un valore nettamente inferiore a quello reale;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione (r.g.n. 7141/2024) sulla base di sette motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME resiste con controricorso;
avverso la medesima sentenza d’appello, NOME COGNOME ha altresì proposto ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c. che la Corte d’appello di Perugia, con sentenza resa in data 6/6/2024, ha dichiarato inammissibile;
a fondamento della sentenza emessa in sede di revocazione, la corte territoriale ha rilevato come il difensore del COGNOME avesse proposto l’impugnazione ex art. 395 c.p.c. in difetto di ius postulandi , siccome sprovvisto di un’idonea procura speciale al momento della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, così come richiesto dall’art. 398, co. 3, c.p.c.;
sotto altro profilo, secondo la corte territoriale, la documentazione che il COGNOME aveva indicato come asseritamente trascurata, o travisata, dal giudice d’appello non rivestisse in ogni caso carattere decisivo, non potendo comunque escludersi, pur considerando il valore rappresentativo di quella documentazione, la sussistenza del danno originariamente denunciato dalla COGNOME;
avverso la sentenza del giudice della revocazione, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione (r.g.n. 25906/20249) sulla base di un unico motivo d’impugnazione;
NOME COGNOME resiste con controricorso;
NOME COGNOME ha depositato comparsa di costituzione di nuovo difensore nel giudizio r.g.n. 7141/2024, proponendo istanza di riunione con il ricorso r.g.n. 25906/2024;
NOME COGNOME ha depositato osservazioni all’istanza di riunione avanzata dal Campioni, il quale ha, a sua volta, depositato ulteriori osservazioni al riguardo;
entrambe le parti hanno depositato memoria;
all’odierna adunanza, è stata disposta la riunione dei due ricorsi;
considerato che ,
dev’essere preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi proposti dal Campioni, trovando nella specie applicazione il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale i ricorsi per cassazione contro la decisione di appello e contro quella che decide l’imp ugnazione per revocazione avverso la prima vanno riuniti in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità nonostante si tratti di due gravami aventi ad oggetto distinti provvedimenti, atteso che la connessione esistente tra le due pronunce giustifica l’applicazione analogica dell’art. 335 c.p.c., potendo risultare determinante sul ricorso per cassazione contro la sentenza di appello l’esito di quello riguardante la sentenza di revocazione (Sez. L, Ordinanza n. 21315 del 06/07/2022, Rv. 665129 – 01), dovendo peraltro nella specie escludersi che la riunione valga a pregiudicare il rispetto del principio della ragionevole durata del processo (cfr. Sez. 2, Ordinanza n. 18966 del 10/07/2024, Rv. 671721 – 01);
ciò posto, occorre procedere in primo luogo all’esame del ricorso proposto avverso la sentenza del giudizio di revocazione (ricorso r.g.n. 25906/2024), poiché, nel caso in cui i ricorsi per cassazione separatamente proposti contro la sentenza di merito resa in grado di appello e contro quella pronunciata dallo stesso giudice d’appello nel successivo giudizio di revocazione vengano riuniti, le questioni poste a oggetto del ricorso avverso la sentenza del giudizio di revocazione assumono carattere pregiudiziale (Sez. L, Sentenza n. 7568 del
01/04/2014, Rv. 630261 -01; Sez. 2, Sentenza n. 14442 del 29/05/2008 (Rv. 603863 – 01);
con l’unico motivo del ricorso r.g.n. 25906/2024, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione di legge (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto inidonea la procura speciale rilasciata dal Campioni al proprio difensore ai fini della proposizione dell’impugnazione per revocazione, in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità incline a riconoscere il rispetto del requisito della specialità della procura in caso di congiunzione materiale o informatica della stessa all’atto cui accede (come nella specie puntualmente accaduto), nonché a riconoscere il rispetto di detto requisito nel caso in cui il conferimento della procura non sia antecedente alla pubblicazione del provvedimento da impugnare, e non sia successivo alla notificazione dell’impugnazione medesima;
sotto altro profilo, secondo il ricorrente, la corte territoriale avrebbe illegittimamente trascurato di considerare il carattere decisivo della costituzione in giudizio del Campioni in proprio, da riguardare alla stregua di una vera e propria ratifica (come tale retroattiva) dell’attività processuale compiuta dal procuratore precedentemente officiato;
da ultimo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver erroneamente escluso la decisività della documentazione offerta dal Campioni in sede di revocazione, dovendosene piuttosto ritenere l’idoneità a dar pienamente conto dell’insussistenza di alcun concreto pregiudizio economico subito dalla COGNOME in conseguenza dell’inadempimento contestato a carico dell’odierno istante;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, rispetto alla questione concernente la ritualità della procura ad litem rilasciata dal Campione al proprio
difensore, ai fini della proposizione del ricorso per revocazione, assuma carattere pregiudiziale ed assorbente, la radicale inammissibilità della censura riguardante il requisito della decisività della documentazione offerta dal Campione in sede di revocazione;
varrà al riguardo sottolineare come, attraverso la proposizione della censura in esame (con particolare riguardo alla doglianza concernente il mancato riconoscimento della decisività della documentazione offerta in sede di revocazione), l’odierno ricorrente si sia limitato a contestare la valutazione effettuata dal giudice a quo in ordine all’efficacia probatoria della documentazione prodotta in sede di revocazione;
in particolare, la corte territoriale ha espressamente sottolineato come «Giova comunque osservare che il mancato esame nella sentenza revocanda del documento B allegato alla memoria di replica di parte appellata nel procedimento n. 497/2020, che prova l’avvenuta aggiudicazione all’asta per il prezzo di euro 151.000,00 (v. verbale del 30.5.203) della nuda proprietà dell’immobile oggetto della compravendita in data 12.3.2010 e della procedura esecutiva n. 233/2016, pendente dinanzi al Tribunale di Arezzo, non appare un errore di fatto determinante ai fini della decisione della causa in quanto non esclude la sussistenza del danno il cui risarcimento era stato chiesto da NOME COGNOME perché l’aggiudicazione non prova di per sé l’avvenuto effettivo trasferimento dell’immobile e il relativo pagamento della somma di aggiudicazione, ma soprattutto, in termini decisivi, non prova l’entità della somma che sarà assegnata all’esito del progetto di riparto alla mutuante (dovendosi detrarre le spese della procedura, allo stato sconosciute, e verificare l’eventuale concorso nella distribuzione di altri creditori eventualmente intervenuti) con conseguente diminuzione del debito della mutuataria, ciò che è sufficiente ad
escludere la dedotta supposizione in sentenza di un fatto la cui verità sarebbe stata incontrovertibilmente esclusa. Nel dettaglio, essendo l’eventuale diminuzione del debito della mutuataria non attuale e del tutto eventuale non si sarebbe potuta ridurre l’entità del danno liquidato in quanto nel momento della pronuncia della sentenza l’unico criterio percorribile era esattamente quello corrispondente alla differenza tra il valore stimato dell’immobile e il corrispettivo effettivamente percepito (euro 30.000,00), somma che avrebbe consentito, all’epoca della stipula della compravendita (e consentirebbe oggi), a COGNOME di estinguere (quantomeno parzialmente) il mutuo. Si deve aggiungere che già alla data del 19.03.2021 il credito della mutuante assurgeva ad euro 183.912,96 (doc. A della memoria di replica dell’appellata), somma probabilmente ulteriormente aumentata in ragione del decorrere degli interessi. Posto dunque che l’errore per essere determinante deve essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, e quindi necessita un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa, l’insussistenza di un errore di fatto così vestito basta a far rilevare anche l’infondatezza della domanda con assorbimento di ogni altra questione o istanza, anche relative al profilo rescissorio» cfr. pag. 7-8 della sentenza n. 403/2004);
a fronte di tali complessive valutazioni d’indole istruttoria del giudice della revocazione, l’odierno ricorrente risulta essersi limitato a prospettare e/o suggerire una diversa incidenza rappresentativa della documentazione prodotta, sostenendone la decisività (rilevante ex art. 395 n. 3 c.p.c.) sulla base di una lettura meramente soggettiva della relativa efficacia rappresentativa; e tanto, sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
al riguardo, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte ai sensi del quale il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della congruità della coerenza logica, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis , Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 331 del 13/01/2020, Rv. 656802 -01; Sez. 5, Sentenza n. 27197 del 16/12/2011, Rv. 620709);
nella specie, la Corte d’appello ha espressamente evidenziato come dall’esame della documentazione prodotta dal COGNOME fosse emersa la sostanziale inidoneità rappresentativa degli elementi probatori offerti (unitamente a quelli già valutati nella sede di merito) a fornire un’adeguata dimostrazione della pretesa esclusione del danno il cui risarcimento era stato chiesto da NOME COGNOME
si tratta di considerazioni che il giudice a quo ha elaborato, nell’esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e di congruità dell’argomentazione, immuni da vizi d’indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;
l ‘inammissibilità di tale profilo della censura avanzata dal Campioni comporta l’assorbimento dei restanti profili di censura illustrati con il medesimo motivo, atteso che, pur quando dovesse ritenersi errata la
decisione del giudice della revocazione in ordine alla ritualità della procura ad litem rilasciata dal Campioni ai fini del giudizio di revocazione (o riconosciuta l’eventuale efficacia sanante della difesa esercitata in proprio dallo stesso Campioni), la decisione definitiva non condurrebbe ad alcun diverso esito, avendo il giudice a quo in ogni caso rilevato il carattere comunque non decisivo della documentazione probatoria offerta;
con riguardo al ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza n. 740/2023 della Corte d’appello di Perugia depositata in data 16/10/2023 (ricorso r.g.n. 7141/2024), occorre preliminarmente affrontare la questione, controversa tra le parti, in ordine alla contestata tempestività di tale ricorso;
come già in precedenza rilevato, avverso la sentenza d’appello, il Campioni ha proposto, sia un’impugnazione per revocazione, sia il ricorso per cassazione in esame;
sul punto, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in caso di impugnazione per revocazione di una sentenza d’appello, il termine per la proposizione del ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza è quello breve di sessanta giorni decorrente dalla notificazione dell’atto con il quale l’interessato ha proposto la revocazione; tale termine può essere sospeso, ai sensi dell’art. 398, co. 4, c.p.c., dal giudice d’appello al quale la parte che ha proposto la revocazione può avanzare la corrispondente istanza, sì che il termine per proporre ricorso per cassazione tornerà a decorrere al termine del giudizio di revocazione;
al riguardo, è appena il caso di richiamare l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la notificazione della citazione per la revocazione di una sentenza d ‘ appello equivale, sia per la parte notificante che per la parte destinataria, alla notificazione della
sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, onde la tempestività del successivo ricorso per cassazione va accertata, non soltanto con riguardo al termine lungo dal deposito della pronuncia impugnata, ma anche con riferimento a quello di sessanta giorni dalla notificazione della citazione per revocazione, a meno che il giudice della revocazione, a seguito di istanza di parte, abbia sospeso il termine per ricorrere per cassazione, ai sensi dell’art. 398, comma 4, c.p.c., con effetto dalla data di comunicazione del provvedimento di sospensione (cfr., ex plurimis , Sez. 3, Ordinanza n. 15926 del 7/6/2024, Rv. 671264 -01);
nel caso in esame, l’atto di citazione con il quale il Campioni ha proposto la revocazione avverso la sentenza d’appello (depositata il 16/10/2023) è stato notificato in data 12/11/2023; ciò che ha determinato l’individuazione della scadenza del termine per la proposizione del ricorso per cassazione alla data dell’ 11/1/2024;
il Campioni ha avanzato in data 30/12/2023 (prima della scadenza del termine per la proposizione del ricorso per cassazione) un’ istanza per la sospensione di tale termine, ottenendo il provvedimento di sospensione invocato con l’emissione , in data 3/1/2024, di un decreto inaudita altera parte del Presidente del Collegio della Corte d’appello di Perugia;
tale decreto inaudita altera parte (con il quale è stato sospeso il termine per ricorrere per cassazione avverso la sentenza d’appello ) è stato tuttavia successivamente revocato dal Collegio della medesima Corte d’appello con provvedimento del 14/3/2024;
tanto premesso, al fine di stabilire se il ricorso per cassazione successivamente notificato dal Campioni in data 21/3/2024 sia tempestivo o meno, occorre preliminarmente stabilire i termini del rapporto tra il decreto inaudita altera parte (del 3/1/2024) emesso dal
Presidente del Collegio della Corte d’appello di Perugia (che ha disposto in prima battuta la sospensione del termine per ricorrere per cassazione contro la sentenza d’appello) e il provvedimento (del 14/3/2024) con il quale il Collegio della medesima Corte d’appello ha, in seconda battuta, revocato tale sospensione;
al riguardo, ritiene il Collegio che l’adozione del preliminare decreto presidenziale emesso inaudita altera parte in data 3/1/2024 abbia senz’altro sortito l’effetto sospensivo del termine per la proposizione del ricorso per cassazione; e tanto, indipendentemente dalla sua successiva revoca in sede collegiale adottata con provvedimento del 14/3/2024;
varrà sul punto sottolineare l’impossibilità di attribuire alcuna efficacia ex tunc a tale provvedimento collegiale di revoca, essendo stato quest’ultimo adottato (non già al fine di rilevare eventuali vizi di legittimità propri del preliminare provvedimento presidenziale, quanto piuttosto) allo scopo di rinnovare un giudizio di mera opportunità in ordine a ll’adozione del provvedimento di sospensione del termine per la proposizione del ricorso per cassazione (cfr. il provvedimento collegiale 14/3/2024 prodotto in questa sede);
in ogni caso, peraltro, converrà senz’altro valorizzare il carattere dirimente del rilievo concernente la tutela dell’affidamento ingenerato nella parte istante, la quale, avendo esercitato una prerogativa processuale alla stessa positivamente accordata dalla legge (quella di invocare la sospensione del termine per la proposizione del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 398, comma 4, c.p.c.), si è vista accogliere l’istanza avanzata e concedere l’invocata sospensione;
da tali premesse deriva che il termine per la proposizione del ricorso per cassazione da parte del Campioni è stato validamente sospeso a far data dal 3/1/2024 (data di adozione del provvedimento
presidenziale di sospensione) fino alla data del 14/3/2024 (data di adozione del provvedimento collegiale di revoca della sospensione);
ciò posto, ai fini del ricalcolo della scadenza del termine per la proposizione del ricorso per cassazione, considerata la ‘consumazione’ di 52 giorni decorsi dal 12/11/2023 (data di notificazione dell’atto di citazione per revocazione) al 3/1/2024 (data del provvedimento presidenziale di sospensione), e applicato lo slittamento dei residui otto giorni (60 -52 = 8) a partire dal 14/3/2024 (data del provvedimento collegiale di revoca della sospensione), la scadenza del termine per la proposizione del ricorso per cassazione dovrà ritenersi fissata alla data del 22/3/2024 (14/3/2024 + 8 giorni);
da qui la tempestività del ricorso per cassazione proposto dal Campioni avverso la sentenza d’appello, siccome notificato in data 21/3/2024;
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c. – art. 360 n. 4 c.p.c.: errore in procedendo -violazione del principio del contraddittorio», per avere la corte territoriale omesso di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli eredi del defunto NOME COGNOME avendo la COGNOME originariamente convenuto, ai fini dell’annullamento della cessione della nuda proprietà, il solo NOME COGNOME (che aveva tuttavia rinunziato all’eredità del padre) senza coinvolgere anche l’altra erede, NOME COGNOME che, al contrario, non avendo rinunziato alla eredità paterna, avrebbe dovuto essere chiamata in causa, con la conseguenza che la successiva rinuncia al giudizio proposto dalla COGNOME nei confronti del solo NOME COGNOME era stata effettuata in una condizione di contraddittorio non integro, con la conseguente nullità di tutti i successivi atti del giudizio;
il motivo è manifestamente infondato;
come espressamente riportato dallo stesso COGNOME nel proprio ricorso (cfr. pag. 9), il giudice di primo grado ha ritenuto di non dover integrare il contraddittorio nei confronti di NOME COGNOME (erede di NOME COGNOME) poiché, a fronte della rinuncia della COGNOME alla domanda proposta nei confronti di NOME COGNOME, l’instaurazione del giudizio nei confronti di quest’ultimo doveva ritenersi del tutto priva di efficacia (avendo quest’ultimo rinunziato all’eredità paterna), con la conseguenza che legittimamente il tribunale considerò concretamente residuata la sola domanda avanzata nei confronti del Campioni (ritenendo come mai citato il COGNOME), trattandosi di domande (quella proposta nei confronti del COGNOME e quella proposta nei confronti del Campioni) del tutto autonome tra loro;
si tratta di una decisione corretta, dovendo escludersi l’esistenza di alcun litisconsorzio necessario tra l’erede di NOME COGNOME e il COGNOME rispetto alla domanda risarcitoria proposto dalla COGNOME nei soli confronti quest’ultimo ;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per «violazione e/o falsa applicazione dell’ art. 102 c.p.c. – art. 360, comma 2, n. 4 c.p.», per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto scindibili le cause originariamente instaurate dalla COGNOME nei confronti del COGNOME e del COGNOME, attesa l’immediata dipendenza dell’una causa rispetto all’altra e la palese interrelazione tra le posizioni dei due diversi coobbligati al risarcimento dei danni;
il motivo è infondato;
fermo il carattere solidale della responsabilità di ciascun coobbligato nei confronti dell’unico creditore al risarcimento dei danni, varrà rilevare come la domanda proposta dalla COGNOME nei confronti del Campioni risulti fondata su un titolo, la violazione degli obblighi professionali propri del notaio nell’adempimento della propria
prestazione, totalmente autonomo e indipendente rispetto a quello indicato a fondamento della domanda risarcitoria proposta nei confronti del COGNOME per aver abusato dei propri poteri di procuratore;
ne discende l’esclusione di alcuna inscindibilità delle due cause e l’insostenibilità della tesi della necessità del litisconsorzio tra tutti i soggetti interessati;
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per «violazione e/o falsa applicazione dell’ art. 2055 c.c. -art. 360 n. 3 c.p.c.», per avere la corte territoriale erroneamente escluso che la condotta del COGNOME, consistita nell’aver concluso un contratto definitivo di compravendita con abuso dei propri poteri di procuratore, avesse avuto un’efficacia causale determinante e assorbente in relazione alla produzione dei danni a carico della COGNOME, con la conseguente esclusione di alcun nesso di causalità tra l’inadempimento contestato a carico del Campioni e i danni subiti dall’originaria attrice;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione del motivo in esame, il ricorrente -lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate -si sia limitato ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo , della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione, neppure coinvolgendo, la prospettazione critica del ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente lo stesso nella prospettazione di una diversa
ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo , con particolare riguardo alla valutazione del carattere causalmente decisivo e determinante del comportamento contrattuale del De Martino, rispetto all’incidenza causale dell’inadempimento notarile;
nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ ubi consistam delle censure sollevate dall’odierno ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. -art. 360 n.
4 c.p.c. Insussistenza del danno risarcibile – Travisamento della prova», per avere la corte territoriale erroneamente determinato il danno liquidato in favore della controparte, avendone trascurato il carattere meramente futuro e incerto, anche nel quantum , senza tener conto di quanto la COGNOME avrebbe comunque ricavato dalla vendita all’asta del proprio immobile, così come peraltro attestato dalla documentazione prodotta dall’istante, consistente nel verbale di vendita senza incanto del bene della COGNOME presso il Tribunale d’Arezzo (ad un prezzo tale da escludere il concreto ricorso di alcun danno residuo) nella specie totalmente travisato dal giudice a quo ;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come – ribadita l’inammissibilità di alcuna prospettazione nel merito di una rilettura dei fatti di causa e delle prove in questa sede di legittimità – la censura in esame si risolve nella sostanziale proposizione di un motivo meramente revocatorio;
sul punto, la corte territoriale ha espressamente sottolineato come la vendita all’asta dell’immobile della COGNOME e l’escussione del credito residuo da parte della banca creditrice (verso la COGNOME) costituissero circostanze meramente eventuali e indeterminabili nel quantum , «essendo allo stato impossibile stabilire quanto la banca eventualmente ricaverà dalla procedura esecutiva. Invero, agli atti del processo non risulta l’ammontare del debito residuo di COGNOME né, allo stato attuale, risulta la vendita dell’immobile» (pag. 7 della sentenza impugnata);
in questa sede, al contrario, il ricorrente afferma di aver comprovato, attraverso la produzione del verbale di vendita senza incanto del bene della COGNOME presso il Tribunale d’Arezzo, che effettivamente non fosse residuato alcun danno a carico della COGNOME, avendo quest’ultima venduto il proprio immobile all’asta a un prezzo
certo, corrispondente a quello che avrebbe conseguito da una vendita valida e comunque superiore al credito della banca esecutante;
sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale il vizio denunziabile per cassazione in ragione dell’asserito omesso esame, da parte del giudice di merito, di fatti in ipotesi decisivi postula che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo in modo che l’omissione venga a risolversi in un implicito apprezzamento negativo sulla rilevanza del fatto stesso, ovvero lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico;
al contrario, qualora l’omessa valutazione dipenda da una falsa percezione della realtà, nel senso che il giudice ritiene per una svista, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, inesistente o esistente un fatto o un documento, la cui esistenza o inesistenza risultino incontestabilmente accertate dagli stessi atti di causa, è configurabile un errore di fatto deducibile esclusivamente con l’impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4 (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 15672 del 27/07/2005, Rv. 583395 -01, e successive conformi);
nel caso di specie, appare pertanto evidente come, secondo il Campioni, la corte territoriale sarebbe incorsa in una svista materiale, poiché dagli atti del giudizio sarebbe risultato incontrastabilmente escluso quanto viceversa affermato in sentenza;
si tratta, di un evidente vizio revocatorio che avrebbe dovuto essere fatto valere davanti alla stessa corte d’appello, e non già in questa sede di legittimità (come, peraltro, puntualmente avvenuto nel caso di specie, attraverso la proposizione del giudizio di revocazione da parte del Campioni: cfr. supra );
è appena il caso di rilevare come, pur quando volesse intendersi la censura in esame come riferita a un errore del giudice a quo concernente l’errata valutazione dei mezzi istruttori offerti, la stessa si rivelerebbe in ogni caso inammissibile, risolvendosi nella prospettazione di una rilettura nel merito di fatti di causa o delle prove, secondo un’impostazione critica e non consentita in questa sede;
con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 27 e 28 della legge notarile, dell’art. 2645 bis c.c. e dell’art. 1273 c.c. -art. 360 n. 3 c.p.c.», per avere la corte territoriale erroneamente imputato, a carico dell’odierno istante, un comportamento negligente nell’adempimento della propria prestazione professionale, senza tener conto dell’impossibilità, per lo stesso notaio, di rintracciare la Borzi prima della confezione del rogito notarile, e senza neppure considerare il carattere irrevocabile della procura rilasciata in favore del COGNOME, si dà pervenire a una decisione del tutto errata nella parte in cui ha preteso di individuare l’asserito danno subito dalla controparte;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come l’odierno ricorrente prospetti l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui individuerebbe (in modo improprio) il preteso comportamento alternativo corretto del notaio (ossia il dovere di astenersi dal rogito), poiché, a dire del ricorrente, detto comportamento alternativo sarebbe risultato contrario agli obblighi della professione notarile, là dove impongono comunque al professionista di dar corso al rogito degli atti illeciti, là dove gli stessi non siano radicalmente nulli;
osserva il Collegio come l’argomentazione così sostenuta dall’odierno ricorrente interpreti erroneamente in modo solo atomistico (o meramente schematico) il senso dei doveri che incombono sul
professionista all’atto di dar corso all’adempimento delle proprie obbligazioni contrattuali, dovendo il professionista in ogni caso procedere in modo scrupoloso e completo (anche in una prospettiva di complessiva utilità della prestazione) alla cura degli interessi dei soggetti che adesso si rivolgono e, in particolare, alla cura del l’interesse nutrito dai propri assistiti alla sicurezza, alla serietà e alla certezza degli effetti tipici dell’atto e del risultato pratico perseguito;
al riguardo, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale gli obblighi di consulenza alle parti – gravanti sul notaio e derivanti dai doveri di correttezza e di buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto, quali criteri determinativi e integrativi della prestazione contrattuale – non si esauriscono nel solo chiarimento rispetto alle clausole di contenuto ambiguo eventualmente presenti nell’atto rogato, ma impongono al notaio di fornire in ogni caso ai clienti tutte le informazioni utili in relazione agli effetti e al risultato pratico dell’atto rogato, oltre che alla corrispondenza di essi alla volontà manifestata dalle parti, dovendo il notaio garantire l’attitudine dell’atto ad assicurare il conseguimento del suo scopo tipico e del risultato pratico voluto dalle parti partecipanti alla stipula dell’atto (cfr., ex plurimis , Sez. 2, Ordinanza n. 23600 del 2/8/2023, Rv. 668716 – 01);
da questa prospettiva, incombe a carico del notaio il dovere di compiere tutte le attività preparatorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato pratico voluto dalle parti, rientrando tra i suoi doveri anche l’obbligo di consiglio o di dissuasione, la cui omissione è fonte di responsabilità per violazione delle clausole generali di buona fede oggettiva e correttezza, ex artt. 1175 e 1375 c.c., quali criteri determinativi ed integrativi della prestazione contrattuale, che impongono il compimento di quanto utile e necessario
alla salvaguardia degli interessi della parte (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 7185 del 4/3/2022, Rv. 664244 – 01);
nel caso di specie, l’ esecuzione del rogito di un atto di compravendita annullabile per conflitto di interessi, con l’esposizione della venditrice (proprio in ragione di tale conflitto di interessi agevolmente accertabile) al danno consistente nella cessione di un bene a un importo inferiore a quello reale, è stata correttamente qualificata da entrambi i giudici del merito alla stregua di un comportamento professionale infedele, come tale suscettibile d’essere qualificato nei termini di un inadempimento contrattuale;
deve conseguentemente ritenersi del tutto arbitraria -e sostanzialmente errata l’affermazione del ricorrente secondo cui il notaio COGNOME non avrebbe in nessun caso potuto ricusare il rogito dell’atto richiesto dal COGNOME; e tanto, poiché proprio tale ricusazione avrebbe integrato gli estremi di un corretto adempimento, da parte del notaio, della propria prestazione professionale nell’interesse della COGNOME (quale parte del contratto professionale, siccome rappresentata dallo stesso COGNOME); una simile ricusazione, dunque, si sarebbe risolta nell’adozione di un comportamento contrattuale, non solo giuridicamente possibile, ma financo dovuto;
con il sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per «violazione e/o falsa applicazione dell’ art. 2697 c.c. – art. 360 n. 3 c.p.c.», per avere la corte territoriale illegittimamente invertito gli oneri della prova spettanti alle parti, onerando erroneamente il notaio della dimostrazione della diligenza della propria condotta e sollevando la Borzi dall’onere (illegittimamente assolto dallo stesso giudice d’appello) di dimostrare che il corretto adempimento della prestazione professionale del notaio sarebbe stato sufficiente ad evitare il danno
denunciato, tenuto conto che, pur quando notaio avesse ricusato il rogito dell’atto, la condizione patrimoniale della COGNOME non sarebbe stata differente da quella in cui la stessa si sarebbe venuta a trovare a seguito del presunto inadempimento del COGNOME;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come la corte territoriale si sia limitata a prendere atto dell’avvenuta dimostrazione, da parte della COGNOME, della conclusione di un contratto professionale con il notaio COGNOME e dell’avvenuta esecuzione, da parte del notaio, del rogito di un atto annullabile per conflitto di interesse, rivelatosi concretamente dannoso per la stessa COGNOME (parte venditrice);
ciò posto, avendo la COGNOME dimostrato la sussistenza degli obblighi professionali del notaio e l’avvenuta esecuzione di un adempimento inesatto da parte di quest’ultimo (specificamente foriero del danno consistito nella cessione del proprio bene a un prezzo inferiore a quello reale), sarebbe spettato al notaio COGNOME dimostrare l’insussistenza di alcun inadempimento, ovvero la riconducibilità dell’inadempimento contestato a una causa a sé non imputabile: dimostrazioni nella specie in nessun modo, raggiunte;
da tanto deriva la sostanziale infondatezza della censura, avendo la corte territoriale deciso la controversia sottoposta al proprio esame nel pieno rispetto dei principi stabiliti dall’art. 2697 c.c. in ordine alla distribuzione tra le parti dei rispettivi oneri probatori;
con il settimo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1395 c.c. – art. 360 n. 3 c.p.c. o, in alternativa, omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti sempre in relazione all’art. 1395 c.c. -art. 360 n. 5 c.p.c.», per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare come, nel caso di specie, la COGNOME
avesse sostanzialmente autorizzato il COGNOME alla conclusione del contratto secondo le condizioni qui contestate, avuto riguardo ai contenuti del precedente contratto preliminare di compravendita concluso dalla COGNOME e al successivo rilascio, da parte della stessa, di una quietanza a saldo del prezzo della compravendita;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come il ricorrente, nel considerare erronea la valutazione dei mezzi di prova e dei fatti di causa operata dal giudice d’appello (con particolare riguardo al mancato rilievo dell’avvenuta dimostrazione dell’autorizzazione , che la COGNOME avrebbe rilasciato al COGNOME, alla conclusione del contratto secondo le condizioni effettivamente erogate dal Campioni), si sia ancora una volta limitato a prospettare una sostanziale rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove; e tanto, sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso sulla sentenza relativa alla revocazione e, rilevata la complessiva infondatezza delle censure con esso avanzate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso diretto contro la sentenza d’appello;
le spese relative ai due ricorsi riuniti seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per i due ricorsi, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso r.g.n. 25906/2024 e rigetta il ricorso r.g.n. 7141/2024; condanna NOME COGNOME al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese relative a entrambi i giudizi
di legittimità, liquidate in complessivi euro 9.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di NOME COGNOME, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per i due ricorsi, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione del 26 maggio 2025.
Il Presidente NOME COGNOME