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Responsabilità professionale ingegnere: sentenza

Una recente sentenza della Corte d’Appello analizza la responsabilità professionale dell’ingegnere per gravi vizi nella progettazione di un’autorimessa. La Corte ha confermato la colpa del professionista, anche a fronte di presunte richieste speculative dei committenti, ma ha parzialmente ridotto il risarcimento per difetto di prova su alcuni danni. Il caso chiarisce i doveri del professionista, l’onere probatorio e l’applicazione delle polizze assicurative.

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Responsabilità professionale ingegnere: limiti e doveri

La responsabilità professionale dell’ingegnere è un tema centrale nel diritto civile, specialmente in ambito immobiliare. Un professionista non può limitarsi a eseguire le direttive del committente se queste compromettono la stabilità, la funzionalità o la legalità dell’opera. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Venezia offre spunti cruciali su questo argomento, delineando i confini dei doveri del progettista e direttore dei lavori, anche di fronte a committenti con intenti puramente speculativi.

I fatti di causa

La vicenda trae origine dall’incarico affidato a un ingegnere per la progettazione e la direzione dei lavori di un’autorimessa interrata. L’opera, una volta completata, presentava gravi vizi che ne pregiudicavano l’utilizzo: la rampa di accesso era inadeguata per la maggior parte dei veicoli e la struttura era sottodimensionata. A questi problemi si aggiunse la realizzazione di opere abusive che portarono alla sospensione dei lavori e all’apertura di un procedimento penale. Tali difformità e ritardi causarono la risoluzione di alcuni contratti preliminari di vendita dei posti auto, generando un notevole danno economico per le committenti, che agirono in giudizio per ottenere il risarcimento.

Il Tribunale di primo grado riconobbe la piena responsabilità del professionista, condannandolo a un cospicuo risarcimento e respingendo la sua domanda riconvenzionale per il pagamento dei compensi. La decisione è stata poi appellata dall’ingegnere.

La decisione della Corte d’Appello e la responsabilità professionale ingegnere

La Corte d’Appello ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, ma ha confermato il fulcro della decisione: la responsabilità professionale dell’ingegnere per i gravi errori commessi. I giudici hanno respinto le argomentazioni del professionista, secondo cui avrebbe agito sotto la supervisione e secondo le richieste speculative dei committenti, volte a massimizzare il profitto a discapito della qualità.

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: il professionista, in virtù delle sue competenze tecniche, ha il dovere di realizzare un’opera a regola d’arte, funzionale e conforme alle normative. Egli non può essere un mero esecutore passivo, ma deve, se necessario, rifiutare l’incarico qualora le richieste del cliente portino a un risultato gravemente viziato. La responsabilità per un progetto inadeguato e per la mancata vigilanza sulla corretta esecuzione dei lavori ricade interamente su di lui.

La quantificazione del danno

Pur confermando la responsabilità, la Corte ha rivisto l’ammontare del risarcimento. I giudici hanno ritenuto non sufficientemente provato il danno derivante da uno degli accordi transattivi per la risoluzione di una vendita, poiché il documento prodotto era privo di data e sottoscrizione. Questo evidenzia l’importanza dell’onere della prova: il danneggiato deve dimostrare con certezza sia l’esistenza del danno sia il suo nesso causale con l’inadempimento della controparte. Per un’altra transazione, invece, il risarcimento è stato confermato perché l’atto era debitamente sottoscritto e motivato.

La gestione delle spese di ATP

Un altro punto significativo riguarda la qualificazione delle spese sostenute per l’Accertamento Tecnico Preventivo (ATP). La Corte, in linea con la giurisprudenza di legittimità, ha stabilito che tali costi non costituiscono una voce di danno, ma rientrano tra le spese processuali. Di conseguenza, non sono soggette a rivalutazione monetaria e seguono le regole della soccombenza per la loro liquidazione.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla natura dell’obbligazione del professionista tecnico. Il suo dovere non si esaurisce nel seguire le indicazioni del committente, ma impone di garantire un risultato conforme alle regole dell’arte e alle leggi vigenti. L’erroneità o l’inadeguatezza del progetto costituisce un inadempimento che genera responsabilità, a prescindere dalle pressioni o dagli obiettivi economici del cliente.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che il direttore dei lavori ha un obbligo di alta sorveglianza. Deve controllare la realizzazione dell’opera in ogni sua fase, verificare la conformità al progetto e alle buone pratiche costruttive e intervenire per correggere eventuali difformità. La realizzazione di opere abusive, ordinata senza le necessarie autorizzazioni, rappresenta una grave negligenza che espone a responsabilità non solo civile ma anche penale.

La reiezione della domanda di pagamento dei compensi professionali è stata motivata sulla base dell’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.): a fronte di un’opera gravemente viziata e in parte inutilizzabile, il committente ha il diritto di rifiutare il pagamento del corrispettivo.

Le conclusioni

La sentenza offre importanti conclusioni pratiche. Per i professionisti tecnici, emerge con forza il dovere di anteporre la correttezza tecnica e la legalità a qualsiasi richiesta del committente. In caso di conflitto, il professionista deve rifiutare l’incarico per non incorrere in gravi responsabilità. Per i committenti, la decisione ribadisce l’importanza di documentare rigorosamente ogni accordo e ogni voce di danno per poter ottenere un giusto risarcimento in sede giudiziaria. Infine, il caso evidenzia la distinzione tra danno risarcibile e spese di lite, con importanti conseguenze sulla loro liquidazione.

Un ingegnere può evitare la responsabilità sostenendo di aver seguito le istruzioni del cliente volte a ridurre i costi o massimizzare i profitti?
No. Secondo la sentenza, il professionista ha il dovere di garantire che l’opera sia progettata e realizzata a regola d’arte, nel rispetto della legge e della sua funzionalità. Qualora le richieste del committente compromettano questi requisiti, il professionista deve rifiutarsi di eseguirle e, se necessario, rinunciare all’incarico per non incorrere in responsabilità.

Come va provato il danno derivante dalla risoluzione di un contratto preliminare a causa dei vizi dell’opera?
Il danno deve essere provato in modo rigoroso. La Corte ha negato il risarcimento basato su un atto di transazione non datato né sottoscritto. È necessario produrre in giudizio documenti certi (come un accordo di risoluzione consensuale debitamente firmato) che dimostrino non solo l’importo del danno, ma anche il suo collegamento diretto con l’inadempimento del professionista.

Le spese per un Accertamento Tecnico Preventivo (ATP) sono considerate parte del danno risarcibile?
No. La Corte ha chiarito che le spese sostenute per un ATP non sono una componente del danno, ma rientrano tra le spese processuali. Pertanto, non sono soggette a rivalutazione monetaria e la loro liquidazione segue le regole generali sulla ripartizione delle spese di lite in base all’esito del giudizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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