Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9528 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9528 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17286/2021 proposto da:
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
NOME COGNOME (EMAIL);
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso, dall’AVV_NOTAIO (EMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3379/2020 della CORTE D’APPELLO DI MILANO, depositata il 16/12/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’11 /03/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 16/12/2020, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME per l’accertamento della responsabilità professionale di NOME COGNOME, e la relativa condanna generica al risarcimento dei danni, in relazione a un contratto d’opera professionale in forza del quale il COGNOME, in qualità di ingegnere, aveva assunto l’incarico di istruire una pratica di condono edilizio nell’interesse della COGNOME, al fine di conseguire la sanatoria relativa al cambio di destinazione d’uso di un immobile della committente e ad un soppalco realizzato al suo interno;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva escluso ricorso di un prospettabile nesso di causalità tra l’eventuale inadempimento del RAGIONE_SOCIALE COGNOME e i danni lamentati dalla COGNOME, atteso che, non essendo stato emesso alcun provvedimento di concessione in sanatoria da parte dell’autorità amministrativa (avuto anche riguardo al carattere solo parziale della documentazione amministrativa tardivamente proAVV_NOTAIOa dalla COGNOME), non era possibile stabilire, sul piano prognostico, che l’eventuale esatto adempimento degli obblighi del professionista avrebbe verosimilmente evitato le conseguenze pregiudizievoli denunciate dalla committente;
sotto altro profilo, la corte territoriale ha evidenziato come, sulla base degli elementi istruttori complessivamente acquisiti, non fosse stato neppure possibile accertare, tanto il momento in cui la COGNOME avrebbe conferito l’incarico al COGNOME, quanto l’effettività dell’inadempimento di quest’ultimo in relazione all’obbligazione di presentazione di una corretta istanza di condono;
avverso la sentenza d’appello NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di sette motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME resiste con controricorso;
la ricorrente ha depositato memoria;
considerato che :
con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’articolo 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, dolendosi della nullità della sentenza impugnata, per avere la corte territoriale motivato in modo solo apparente la ritenuta insufficienza dei pagamenti effettuati al Del COGNOME ai fini della dimostrazione che fosse stato quest’ultimo a presentare la domanda di condono edilizio nell’interesse dell’istante, non avendo la corte territoriale esplicitato le ragioni per cui l’efficacia probatoria dei documentati pagamenti non fosse idonea a fornire la concreta dimostrazione dell’avvenuto conferimento dell’incarico in favore del RAGIONE_SOCIALE al fine di istruire la pratica della sanatoria deAVV_NOTAIOa in giudizio;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il giudice di merito deve ritenersi libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli
argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione aAVV_NOTAIOata e con l’ iter argomentativo svolto (Sez. 5, Ordinanza n. 29730 del 29/12/2020, Rv. 660157 – 01);
peraltro, nell’esplicazione della propria libertà di convincimento circa l’idoneità rappresentativa delle fonti probatorie esaminate, il giudice incontra il solo limite del carattere logico e ragionevole dell’argomentazione svolta al riguardo, ben potendo, le ragioni del convincimento del giudice, implicitamente desumersi dalla natura stessa della prova; in particolare, con riguardo alla ritenuta inefficacia probatoria di singoli dati presuntivi, la ragionevolezza della valutazione prudenziale del giudice ben può emergere dal carattere inevitabilmente equivoco del dato probatorio esaminato che, in quanto non direttamente rappresentativo dei fatti da provare, rende tanto più evidente la necessità di allegare, alla prova critica esaminata, l’eventuale supporto di ulteriori elementi di riscontro;
nel caso di specie, deve ritenersi del tutto priva di fondamento la doglianza concernente la pretesa apparenza della motivazione resa dal giudice a quo a fondamento del mancato riconoscimento, nella documentazione di pagamento del COGNOME, della prova dell’incarico di redigere e depositare una completa domanda di condono edilizio, non potendo in alcun modo negarsi l’irragionevolezza o l’illogicità dell’affermazione, implicitamente contenuta nel provvedimento impugnato, circa l’insufficienza rappresentativa di quei pagamenti a dar conto degli eventuali termini dell’attività negoziale cui, in ipotesi, quei pagamenti avrebbero dovuto riferirsi;
con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la corte territoriale erroneamente trascurato
di considerare l’espressa ed incontestata imputazione di pagamento eseguito in favore del RAGIONE_SOCIALE per la presentazione della domanda di condono;
con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la corte d’appello erroneamente trascurato di considerare le contestazioni inviate dalla COGNOME il 14.11.2016, di cui la lettera del 23.11.2016 del COGNOME costituiva il riscontro;
entrambi i motivi sono inammissibili;
osserva il Collegio come, avendo la corte territoriale confermato la sentenza di primo grado sulla base delle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, indicate a fondamento della decisione impugnata, l’evocazione, in sede di legittimità, del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. deve ritenersi inammissibile, dovendo trovare applicazione al riguardo il divieto di cui all’art. 348ter c.p.c. ai sensi del quale, in presenza di una doppia decisione conforme in fatto, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell’articolo 360;
con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’articolo 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, dolendosi altresì della nullità della sentenza impugnata per contrasto irriducibile fra le affermazioni rese dalla corte d’appello in merito alle attività svolte dal Del COGNOME e descritte nella lettera del medesimo datata 23 novembre 2016, con particolare riguardo alla contraddizione esistente nella motivazione della sentenza impugnata con riferimento all’attestazione, fatta propria dalla corte d’appello e ripresa dalle stesse parole del Del
parco, circa l’avvenuto deposito, da parte dello stesso COGNOME, della domanda di condono nell’interesse della COGNOME;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come la lettura della sentenza impugnata consenta di escludere, con ragionevole certezza, l’effettivo ricorso della contraddizione denunciata dalla ricorrente attraverso la proposizione della censura in esame;
in particolare, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, il giudice a quo non ha in alcun modo affermato che il COGNOME ebbe personalmente a depositare la documentazione per la sanatoria, essendosi unicamente limitato a rilevare come lo stesso professionista ebbe a rassicurare la cliente circa l’avvenuto deposito di detta documentazione, senza che da tale rassicurazione potesse desumersi alcunché, sul piano probatorio, in ordine alla circostanza del personale deposito di detta documentazione da parte dello stesso COGNOME (cfr. pag. 9 della sentenza d’appello) ;
l’asserita contraddizione denunciata dalla ricorrente deve pertanto ritenersi la conseguenza dell’argomentazione logicamente ‘forzata’ contenuta in ricorso (per cui dalla rassicurazione sul deposito non avrebbe potuto discenderne altro che l’imputazione di tale deposito allo stesso COGNOME), laddove, al contrario, la corte territoriale si è ragionevolmente limitata ad affermare come detta rassicurazione non potesse in alcun modo assumere, sul piano probatorio, il significato che quel deposito fosse stato direttamente operato dallo stesso RAGIONE_SOCIALE;
con il quinto motivo, la ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 4, per aver la corte territoriale, nel ritenere indimostrato il conferimento dell’incarico al RAGIONE_SOCIALE di presentare la domanda di sanatoria nel 2004, omesso di pronunciarsi sulla richiesta
istruttoria reiterata dall’appellante volta a fornire la prova di quel conferimento;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come -ferma la sostanziale erroneità del richiamo alla pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c. (trattandosi, nel caso di specie, di una contestazione riguardante l’eventuale mancata ammissione di prove richieste, e non già della denuncia di un’ omessa pronuncia su domande) -ai fini della decisione sulla censura in esame sia appena il caso di richiamare il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti (rifiuto che il giudice di merito non è tenuto a formalizzare in modo espresso e motivato, qualora l’inconcludenza dei mezzi istruttori invocati dalle parti possa implicitamente dedursi dal complesso della motivazione aAVV_NOTAIOata: cfr. Sez. L, Sentenza n. 5742 del 25/05/1995, Rv. 492429 -01), il ricorrente ha l’onere di dimostrare che con l’assunzione delle prove richieste la decisione sarebbe stata diversa, in base a un giudizio di certezza e non di mera probabilità, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23194 del 04/10/2017, Rv. 645753 – 01);
nel caso di specie, varrà sottolineare la piena congruità logicogiuridica della valutazione, implicitamente fatta propria dal giudice a quo , in ordine alla sostanziale irrilevanza delle circostanze di fatto indicate dalla COGNOME come asseritamente decisive al fine di attestare i termini (anche temporali) dell’incarico conferito al COGNOME, atteso che dette circostanze di fatto non sarebbero comunque valse a fornire un’attestazione (da esigere come certa e inequivocabile, ai fini della
decisività della prova) di quanto preteso a fronte della ben più probante valenza della documentazione esaminata;
al riguardo, è appena il caso di richiamare il principio secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della congruità della coerenza logica, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis , Sez. 5, Sentenza n. 27197 del 16/12/2011, Rv. 620709);
nella specie, la corte territoriale ha espressamente evidenziato come, dall’esame delle evidenze processuali disponibili, fosse rimasta esclusa l’acquisizione di alcuna prova idonea a consentire, con tranquillante certezza, la ricostruzione temporale dei rapporti tra le parti; ricostruzione per la quale le prove orali richieste dalla COGNOME non avrebbero consentito di fornire argomentazioni di carattere decisivo;
si tratta di considerazioni che il giudice del rinvio ha elaborato (anche in termini impliciti), nell’esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e di congruità dell’argomentazione, immuni da vizi d’indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dalla ricorrente;
con il sesto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., degli artt. 1218 e 2697 c.c., nonché dell’art. 32 della L. 326/2003 e dell’art. 7 della L. Regione Lazio n. 12/2004, in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c., per avere la corte d’appello erroneamente escluso il nesso di causalità tra il deAVV_NOTAIOo inadempimento del RAGIONE_SOCIALE e i danni prospettati, con particolare riguardo all’effettivo ricorso di una qualificata possibilità di ottenere la sanatoria in caso di corretto adempimento da parte del professionista;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione del motivo in esame, la ricorrente -lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate -si sia limitata ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo , della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione, neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo , con particolare riguardo alle prospettabili evoluzioni del procedimento amministrativo di sanatoria, che l’odierna istante prefigura in termini irriducibili alle contrarie considerazioni argomentate nella sentenza impugnata;
nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ ubi consistam delle censure sollevate dall’odiern a ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi;
con il settimo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 4 c.p.c. e violazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c., dolendosi altresì della nullità della sentenza impugnata per avere la corte territoriale operato il vaglio di lesività dell’inadempimento in relazione ad un pregiudizio diverso da quello prospettato (nella specie consistente nell’impossibilità di sanare le irregolarità edilizie denunciate, tramite il condono edilizio di cui alla legge n. 326/2003), rispetto al quale ha invece omesso la pronuncia, nonché per insuperabile illogicità della motivazione espressa riguardo
al permesso di concessione in sanatoria ritenendo erroneamente tardivo quello depositato nel giudizio di appello;
il motivo è nel suo complesso infondato;
osserva il Collegio come il tema relativo all’affermazione del nesso di causalità tra il preteso inadempimento del professionista e gli (asseriti) danni prospettati dalla ricorrente come conseguenza di quello non possa che dipendere dal decisivo presupposto di fatto (che entrambi i giudici del merito hanno ritenuto non comprovato ) secondo cui, ove il professionista avesse svolto perfettamente il proprio incarico, la cliente avrebbe conseguito con certezza la sanatoria perseguita;
della (ragionevole) certezza di tale sanatoria futura, tuttavia, la COGNOME non ha fornito (secondo l’apprezzamento fatto proprio da entrambi i giudici del merito) alcuna prova, con la conseguenza che anche il preteso danno consistente ‘ nell’impossibilità di sanare le irregolarità edilizie denunciate, tramite il condono edilizio di cui alla legge n. 326/2003 ‘ (come preteso effetto dell’inadempimento del COGNOME) in altro non consista se non nel rilievo di un’occorrenza meramente ipotetica;
nessuna omissione di pronuncia sul punto, conseguentemente, può essere imputata alla decisione del giudice a quo , essendosi piuttosto trattato, al contrario, di un’espressa pronuncia di rigetto;
quanto alla supposta illogicità della motivazione relativa alla tardività della produzione documentale concernente la sanatoria del settembre del 2020, la corte territoriale ha logicamente affermato come, non presentando, detta documentazione, alcun riferimento al soppalco abusivo, dalla stessa non fosse possibile desumere alcuna ragionevole certezza sul fatto che la COGNOME avrebbe potuto conseguire la sanatoria di tale soppalco e di evitare,
conseguentemente, i danni denunciati come conseguenza dell’inadempimento del RAGIONE_SOCIALE;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, deve essere pronunciato il rigetto del ricorso; liquidano come da le spese seguono la soccombenza e si dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 7.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione