Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27480 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27480 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/10/2024
Oggetto
Responsabilità Geometra
professionale
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ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2975/2022 R.G. proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’ AVV_NOTAIO (p.e.c.: EMAIL);
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL);
-controricorrente –
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL) e dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (p.e.c.: EMAIL), con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – e di
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (p.e.c.: EMAIL); -controricorrente -Milano n. 3204/2021
avverso la sentenza della Corte d’appello di depositata in data 5 novembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 settembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero in giudizio davanti al Tribunale di Lecco il geom. NOME COGNOME chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a causa del negligente adempimento dell’incarico a lui affidato di provvedere al la predisposizione e presentazione del progetto del piano di lottizzazione relativo a terreno edificabile di loro proprietà, per il quale essi avevano stipulato in data 8 novembre 2007 contratto preliminare di compravendita con la RAGIONE_SOCIALE S.r.l..
Premesso che detto preliminare prevedeva un termine di quaranta mesi per la stipula della convenzione del piano di lottizzazione, decorso inutilmente il quale il contratto si sarebbe risolto di diritto, esposero che il COGNOME, sebbene consapevole di tale scadenza, aveva presentato il progetto soltanto il 13 dicembre 2008, ossia tredici mesi dopo la sottoscrizione del preliminare, e non si era poi seriamente
attivato per la risoluzione dei problemi rappresentati dall’amministrazione RAGIONE_SOCIALE in ordine alla viabilità.
Quanto ai danni evidenziarono che, da un lato, la società promissaria acquirente, avvalendosi della clausola risolutiva prevista nel contratto preliminare, aveva ottenuto giudizialmente la restituzione di quanto versato (€ 417.000) e , dall’altro lato , che nel 2013 l’amministrazione RAGIONE_SOCIALE aveva approvato il nuovo P.G.T. ridimensionando drasticamente la capacità edificatoria del terreno.
Esteso il contraddittorio nei confronti dell’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, chiamato in causa del convenuto in quanto asseritamente coinvolto nell’incarico professionale, e della compagnia RAGIONE_SOCIALE, chiamata in garanzia sia dal COGNOME che dal COGNOME, il Tribunale, con sentenza n. 47 del 2020, successivamente corretta, in parziale accoglimento della domanda condannò NOME COGNOME al pagamento in favore degli attori della somma di € 174.600 , oltre rivalutazione e interessi compensativi, condannò la RAGIONE_SOCIALE a rivalerlo fino alla concorrenza dell’importo di € 100.000, rigettò ogni altra domanda e regolò le spese secondo soccombenza interna ai vari rapporti.
Per quanto ancora interessa ritenne, infatti, che:
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avendo seguito gli attori nella trattativa che aveva portato alla stipula del preliminare, il COGNOME non potesse non sapere che le parti avevano convenuto di stabilire il termine di quaranta mesi per il completamento dell’iter amministrativo ;
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il ritardo iniziale con cui era stato depositato il progetto aveva di per sé contribuito a determinare la scadenza infruttuosa di detto termine, né il convenuto aveva fornito adeguata prova dell’attività svolta in quel lasso di tempo;
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era tuttavia esente da responsabilità il professionista quanto alla condotta tenuta successivamente ai rilievi de ll’RAGIONE_SOCIALE circa la necessità di apportare modifiche alla viabilità,
essendo emerso che l’adozione di tali modifiche richiede va l’acquisizione di aree esterne al terreno oggetto del piano di lottizzazione e di proprietà di terzi.
Quantificato quindi in Euro 873.000,00 il danno subito dagli attori per la perdita della volumetria (Euro 1.273.000,00 – 400.000,00), ma commisurata nella percentuale del 20% la responsabilità ascrivibile al professionista, determinò il risarcimento spettante nel detto importo di Euro 174.600,00.
Con sentenza n. 3204/2021, depositata in data 5 novembre 2021 , la Corte d’appello di Milano, in accoglimento del gravame interposto dal COGNOME e in conseguente integrale riforma della decisione di primo grado, ha rigettato in toto la domanda risarcitoria dei coniugi COGNOME, con le conseguenti statuizioni restitutorie e in ordine alle spese.
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Ha infatti ritenuto che, pur potendo il COGNOME essere venuto a conoscenza della scadenza prevista nel contratto preliminare, non risultava tuttavia ─ stante anche la mancanza di un contratto scritto ─ che egli avesse concordato alcun termine per l’espletamento dell’incarico , tanto meno qualificabile come termine essenziale, né poteva portare a diversa conclusione quanto pattuito nel contratto preliminare tra i signori COGNOME, da una parte, e la società RAGIONE_SOCIALE , dall’altra, non avendo il COGNOME preso parte a tale contratto, che non risultava da lui sottoscritto; « in ogni caso ha soggiunto il progetto è stato presentato in Comune entro il termine di mesi 40 e, quindi, prima ancora di raggiungere la scadenza del termine stesso ».
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Quanto poi alla ulteriore pretesa risarcitoria, iterata dai coniugi NOME COGNOME con appello incidentale (per non essersi il geometra attivato al fine di dar riscontro a i rilievi dell’amministrazione RAGIONE_SOCIALE), la Corte territoriale ha fatto proprie le considerazioni già svolte in proposito dal primo giudice, soggiungendo che il progetto era
stato infine rigettato per avere il Comune rivisto il piano regolatore generale, sostituito con il Piano di Governo del Territorio: ragioni, quindi, non imputabili al professionista.
Avverso tale sentenza i coniugi COGNOME propongono ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resistono tutti gli intimati, depositando distinti controricorsi.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
I ricorrenti e il controricorrente NOME COGNOME hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente rilevata l’improcedibilità del controricorso depositato dall’intimato NOME COGNOME, in quanto tardivamente depositato, in modalità telematica, in data 10 marzo 2022, al di là dunque del termine di venti giorni fissato dall’art. 370 c.p.c. con decorrenza dalla data di notifica, nella specie avvenuta in data 16 febbraio 2022.
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 1362 cod. civ. per non avere la Corte di merito indagato la comune intenzione delle parti.
Sostengono che, in assenza di un contratto scritto, la Corte d’appello avrebbe dovuto individuare il contenuto delle obbligazioni in capo al geometra attraverso la valutazione del comportamento complessivo delle parti emerso nel corso del giudizio di primo grado e delle clausole del contratto preliminare.
Con il secondo motivo essi poi deducono, con riferimento all’ art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 1176 secondo comma, cod. civ., per non aver e la Corte d’appello considerato
negligente la condotta del geom. NOME COGNOME successiva al deposito del progetto del piano di lottizzazione.
Rilevano che nel corso del giudizio di primo grado era stato dimostrato che solo in data 26 aprile 2010, ossia dopo ben dieci mesi, e successivamente, in data 7 ottobre 2010, dopo ulteriori sei mesi, il COGNOME aveva riscontrato la missiva del Comune di Renate del 4 giugno 2009, peraltro limitandosi a formulare solo alcune osservazioni ma senza presentare e proporre alcuna nuova soluzione per la viabilità, così di fatto disattendendo i rilievi dell’amministrazione RAGIONE_SOCIALE.
Affermano che in ciò avrebbe dovuto vedersi la violazione delle regole di diligenza qualificata da osservarsi da parte del professionista.
Con il terzo motivo, infine, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., falsa applicazione dell’art. 2236 cod. civ. , per aver e i giudici d’appello ritenuto che l’attività del professionista implicasse la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà.
Osservano che era onere del professionista convenuto/appellato fornire la prova che l’attività implic ava la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà.
Il primo motivo è inammissibile .
La violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale non è dedotta nei termini in cui, secondo pacifico insegnamento, l’interpretazione del contratto data dal giudice del merito può essere oggetto di sindacato in cassazione.
Mette conto al riguardo ricordare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione (nei limiti, peraltro, in cui l’allegazione è oggi consentita dal nuovo testo dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.).
Pertanto, onde far valere in cassazione tali vizi della sentenza impugnata, non è sufficiente che il ricorrente per cassazione faccia puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati, ma è altresì necessario che egli precisi in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato ovvero ne abbia dato applicazione sulla base di argomentazioni censurabili per omesso esame di fatto controverso e decisivo (v. Cass. 20/08/2015, n. 17049; 9/10/2012, n. 17168; 31/05/2010, n. 13242; 20/11/2009, n. 24539); con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o sul vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26/10/2007, n. 22536).
Sul punto, va altresì ribadito il principio secondo cui, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che l’interpretazione data alla dichiarazione negoziale dal giudice del merito sia l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma è sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni.
Nella specie, non si ricava dalla motivazione della sentenza alcuna affermazione che si ponga in contrasto con i criteri legali di ermeneutica negoziale.
Piuttosto le censure mosse col ricorso si risolvono nella prospettazione di questioni di merito, comunque eccedenti dai limiti in cui al riguardo ne è consentita la deduzione: in ultima analisi nella mera assertiva contrapposizione di un esito diverso dell’attività esegetica riservata al giudice del merito e legittimamente nella specie compiuta.
6. Anche il secondo motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha motivatamente escluso l’esistenza di un inadempimento, anche nella fase successiva alla presentazione del progetto, sostanzialmente rilevando – conformemente al primo giudice – che la mancata approvazione del progetto era da addebitarsi a cause
non imputabili al professionista. In altre parole – secondo la Corte, ma anche secondo il primo giudice – l’incarico era stato correttamente adempiuto (nessun addebito di imperizia o negligenza potendo muoversi al professionista), poiché era stato soddisfatto l’interesse strumentale (predisposizione e presentazione del progetto) al cui soddisfacimento era preposta l’obbligazione assunta, a nulla rilevando che ciò non avesse comportato anche il soddisfacimento dell’interesse primario presupposto (approvazione del progetto), ciò essendo dipeso da fattori estranei all’incarico e sui quali questo non era chiamato a incidere, né poteva farlo: da un lato, la necessaria acquisizione di aree appartenenti a terzi; dall’altro, in un secondo tempo, comunque, l’approvazione di un diverso strumento urbanistico.
Con tale ratio decidendi i ricorrenti omettono di confrontarsi, limitandosi a sostenere (peraltro in altra parte del ricorso, v. pag. 35), del tutto genericamente, che « il geom. COGNOME disponeva del tempo necessario e della concreta possibilità per la definizione dell’acquisto delle aree esterne richiesto dal Comune di Renate » e ciò sul rilievo che « dopo la risoluzione del rapporto con il geom. COGNOME, i signori COGNOME e COGNOME, con l’ausilio di un nuovo professionista, in un arco di tempo inferiore a 12 mesi provvedevano alla definizione dell’acquisto dell’area esterna, necessaria alla nuova viabilità »: rilievo quest ‘ultimo che al di là della sua novità e natura fattuale, non spiega le ragioni per cui dal fatto che, con l’ausilio di un altro professionista , le aree di terzi siano state successivamente acquisite si dovrebbe desumere che a tale acquisizione avrebbe potuto e dovuto provvedere anche il COGNOME in base al contratto d’opera professionale con lo stesso verbalmente stipulato.
7. In ogni caso, appare evidente che una tale censura, piuttosto che far emergere una erronea qualificazione giuridica della fattispecie concreta così come accertata in sentenza, impinge esclusivamente nella ricognizione della stessa, sindacabile solo sul piano della
motivazione, nei limiti del vizio rilevante ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ..
Pur ricondotta la doglianza a tale diversa prospettiva, nell’esercizio del potere/dovere di autonoma qualificazione della censura (v. Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931), si tratterebbe comunque di censura inammissibile per la preclusione che deriva – ai sensi dell’art. 348ter , ultimo comma, cod. proc. civ. – dall’avere la Corte d’appello deciso, sul punto, in modo conforme alla sentenza di primo grado, come del resto evidenziato anche in sentenza là dove si dice espressamente (pag. 29, in fine) che la Corte condivide sul punto le valutazioni del primo giudice, non avendo i ricorrenti assolto l’onere in tal caso su di essi gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 6/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320).
Per analoghe considerazioni si appalesa inammissibile anche il terzo motivo, postulando esso una ratio decidendi diversa da quella posta a fondamento della sentenza impugnata.
Questa, invero, sebbene si soffermi a lungo, in premessa (pagg. 25 -27) sui concetti di diligenza ordinaria e diligenza qualificata (artt. 1176, primo e secondo comma, c.c.) e correlativamente giunga a discorrere di colpa professionale, non ha poi comunque fondato la decisione ragionando ─ come suppone la critica ─ sul crinale della distinzione tra colpa lieve e colpa grave ex art. 2236 c.c., ma, come detto, ha escluso l’esistenza stessa di un inadempimento e, comunque, di un nesso di causa tra la prestazione resa e il danno dedotto.
8.1. Quanto al fondamento contrattuale della responsabilità
professionale converrà comunque chiarire che l’inadempimento è fenomeno estraneo al profilo soggettivo della colpa, né, in ambito contrattuale, un fondamento soggettivo della responsabilità per inadempimento può trarsi dall’art. 1176 cod. civ..
L ‘art. 1176 c.c., per ormai consolidata acquisizione, usa il termine diligenza in due diverse accezioni e con ben distinti significati normativi.
Da un lato (art. 1176, comma primo, cod. civ.: « Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia »), impiega il termine nel significato proprio di cure, cautele, attenzione, sollecitudine, sforzo, tensione di volontà, implica una valutazione etica del comportamento del debitore e trova il suo opposto in negligenza, colpa. In tale significato la diligenza assume la funzione di criterio di imputazione della causa che ha reso impossibile la prestazione (causa che, se non colpevole, non esclude l’inadempimento ma ne esclude la responsabilità: art. 1218 cod. civ. casus=non culpa ).
Dall’altro ( art. 1176, comma secondo, cod. civ.: « Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata »), nel significato improprio di esecuzione abile della prestazione, agire con l’osservanza delle regole della buona tecnica, attività esperta, perizia; trova l’opposto in imperizia. In tale seconda accezione la diligenza assume la funzione di criterio di determinazione del contenuto dell’obbligo, con particolare riguardo alle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale.
Nelle obbligazioni di comportamento relative all’esercizio di un’attività tecnica professionale, il contenuto dell’obbligazione è un’attività che deve essere svolta in conformità a certe regole tecniche; la prestazione del debitore è un fare bene, esecuzione esperta (o perita) della prestazione secondo le regole dell’arte.
Viene quindi in rilievo la diligenza nel secondo significato,
improprio, di perizia: ex ante essa serve per determinare il contenuto dell’obbligo, per stabilire la quantità e la qualità della prestazione dovuta dal debitore; ex post , raffrontando l’attività eseguita dal debitore con quella dovuta, serve per stabilire se vi sia stato esatto adempimento, oppure, a contrario , inesatto adempimento, quindi inadempimento.
Ciò non toglie che anche nelle obbligazioni di comportamento viene in rilievo la diligenza nel suo primo significato di cura, cautele, attenzione sforzo e il suo opposto negligenza-colpa, ma solo ai fini della prova, incombente sul debitore, della non imputabilità della causa che, in ipotesi, abbi a reso impossibile l’adempimento. La negligenza -colpa gioca qui un ruolo non di criterio di imputazione della responsabilità ma di imputazione della impossibilità sopravvenuta ad adempiere.
L ‘inadempimento è dunque fenomeno estraneo al profilo soggettivo della colpa perché riguarda quello oggettivo della mancata attuazione della regola contrattuale avente ad oggetto l’esecuzione della prestazione.
Come è stato scritto in dottrina, « la pretesa di affiancare al sindacato di inadempimento un ordine di valutazione imperniato sulla regola di condotta della diligenza equivale ad introdurre un secondo livello di normatività del tutto superfluo: l’obbligazione contiene già al suo interno i criteri di imputazione del danno da inadempimento, identificandoli nella mancata o inesatta attuazione del contenuto della prestazione ». La diligenza ordinaria intesa come regola di adempimento costituisce una superfetazione, in quanto l’esattezza dell’adempimento va valutata sulla base del contenuto dell’obbligazione.
La colpa del debitore risiede, eventualmente, non nell’inadempimento, che è fenomeno oggettivo di mancata attuazione di una regola di comportamento, ma nel non aver impedito che una causa, prevedibile ed evitabile, rendesse impossibile la prestazione.
In tali limiti la colpa, a differenza dell’illecito aquiliano, non è fatto costitutivo della responsabilità, ma attiene alla conservazione della possibilità di adempiere. Il ruolo giocato dalla colpa ha, dunque, il suo fulcro non in sede di istituzione della responsabilità, ossia in diretta connessione con l’inadempimento, quanto piuttosto sul versante dell’esonero da essa ed è quindi tema di prova del debitore che opponga il fatto estintivo dell’obbligazione diverso dall’adempimento (art. 1218 cod. civ.). La colpa non è misura o criterio di accertamento dell’inadempimento, ma piuttosto dell a imputabilità della causa che ha reso impossibile l’adempimento (v. Cass. n. 38089 del 2/12/2021, Rv. 663300).
8.2. Orbene, nel caso di specie, la Corte territoriale, a dispetto della lunga premessa di cui s’è detto, ha poi di fatto escluso la dedotta responsabilità contrattuale per avere negato in radice l’inadempimento, al qual fine ─ piuttosto che ragionare, agli effetti di cui s’è detto, sulle caratteristiche e sulle eventuali difficoltà tecniche della prestazione e sul grado di diligenza richiesto ─ è stato ad essa sufficiente rilevare, da un lato, che il progetto è stato presentato senza apprezzabile e comunque rilevante ritardo (e ciò sia per la mancata previsione di un termine, sia comunque perché la presentazione è avvenuta in tempi che avrebbero consentito il rispetto del termini pattuiti dai committenti con un terzo ), dall’altro, che gli ulteriori adempimenti successivamente palesatisi come necessari per ottenere l’approvazione esulavano dall’incarico conferito.
8.3. Ciò precisato, risulta evidente che il motivo in esame non coglie la ratio decidendi e si appalesa inidoneo a svolgere la funzione di critica propria di un motivo di impugnazione.
Devesi al riguardo richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per
le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.
In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (Cass. 11/01/2005, n. 359; v. anche ex aliis Cass. Sez. U. 20/03/2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto; Id. 5/08/2016, n. 16598; Id. 3/11/2016, n. 22226; Cass. 15/04/2021, n. 9951; 5/07/2019, n. 18066; 13/03/2009, n. 6184; 10/03/2006, n. 5244; 4/03/2005, n. 4741).
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate per ciascuno come da dispositivo, con esclusione del COGNOME, il cui controricorso, come s’è detto, risulta improcedibile poiché depositato in ritardo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a
quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; c ondanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, delle spese del presente giudizio, che liquida:
─ in favore della RAGIONE_SOCIALE e in Euro 4.800 per compensi , oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;
─ in favore di NOME COGNOME in Euro 6.000 per compensi , oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza