SENTENZA CORTE DI APPELLO DI FIRENZE N. 1685 2025 – N. R.G. 00000733 2023 DEPOSITO MINUTA 01 10 2025 PUBBLICAZIONE 01 10 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI FIRENZE
QUARTA SEZIONE CIVILE
La Corte di Appello di Firenze, Sezione Quarta Civile, in persona dei magistrati:
Dott.ssa NOME COGNOME
Presidente rel. est.,
Dott.ssa NOME COGNOME
Consigliere,
Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile di II Grado iscritta a ruolo al n. 733/2023 r.g. promossa da:
(c.f./p.iva ), in persona del legale rappresentante pro tempore e (c.f. ), anche in proprio, entrambi rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME come da procura in atti P. C.F.
– appellante –
contro
( c.f./p.iva , in persona del suo legale rappresentante pro tempore , con sede in Firenze, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME come da procura in atti P.
– appellata –
avverso
la sentenza n. 2731/22 del Tribunale di Firenze, pubblicata in data 30.9.2022
trattenuta in decisione all’esito dell’udienza cartolare del 5.6.2025, con ordinanza collegiale ex art. 127 ter c.p.c. del 2.7.2025, pubblicata in pari data, sulle seguenti
CONCLUSIONI :
Per parte appellante : ‘ Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Firenze, contraris reiectis: – In via principale e nel merito: accogliere per i motivi tutti dedotti in narrativa il proposto appello e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza n. 2731/2022 emessa dal Tribunale di Firenze -III Sezione Civile, Giudice Dott. NOME COGNOME nell’ambito del giudizio RG n. 14790/2019, depositata in cancelleria in data 30.09.2022, mai notificata, accogliere parzialmente le conclusioni avanzate nel giudizio di primo grado che qui s i riportano: ‘In via riconvenzionale – condannare la società in persona del suo
l.r.p.t. al pagamento in favore della della somma di € 60.353,75 (€ 46.420,99 al netto della sentenza di primo grado) oppure di quella diversa somma maggiore o minore che dovesse essere ritenuta di giustizia all’esito de l presente giudizio, per le causali di cui in narrativa” e conseguentemente disattendere tutte le eccezioni e le istanze sollevate dall’appellata società dinanzi il Tribunale per tutti i motivi meglio esposti nel presente atto. Nello specifico quindi condannare la società a risarcire alla società ed al Sig. delle seguenti ulteriori somme: · € 19.312,63 di sanzioni ir rogate per l’omesso versamento dell’IRAP 2015, · € 250,00 ed € 125,00 di sanzioni per il mancato invio nei termini delle liquidazioni periodiche dell’IVA, · € 19.038,00 di maggior carico fiscale con riferimento all’errata indicazione del valore della produ zione netta della Società, · € 7.695,36 (già al netto dell’Iva) per il pagamento dei progetti di notula del Rag. , e così per un totale di € 46.420,99. – Ancora in via principale e nel merito: condannare in tesi la società al pagamento integrale delle spese di primo grado, in ipotesi ai 2/3 delle stesse. – In ogni caso: condannare parte appellata al pagamento delle spese e competenze professionali del presente grado di giudizio, oltre rimborso forfettario (15%), IVA e CAP. In via istruttoria: si chiede l’ammissione delle istanze istruttorie non ammesse e/o rigettate in primo grado per tutte le ragioni esposte nella parte motivata del presente appello e nello specifico: ammettersi tutte le prove per testi capitolate con la propria memoria ex art. 183, comma VI, n. 2 c.p.c. che qui si hanno per integralmente ritrascritte.’
Per parte appellata: ‘Affinchè l’Ill.ma Corte di Appello di Firenze, contraris reiectis, confermi la sentenza di primo grado in ogni sua parte. Con vittoria di spese e compensi del presente giudizio di appello.’
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, la (di seguito e avevano proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 3795/2019 emesso dal Tribunale di Firenze, con il quale era stato intimato loro il pagamento di euro 22.284,10, oltre interessi e spese, in favore della (di seguito , chiedendo la revoca dello stesso.
A fondamento dell’opposizione, gli opponenti, oltre a disconoscere formalmente la propria firma sulle raccomandate a mano prodotte dall’opposta nei docc. 12 -13-14 del fascicolo monitorio, avevano dedotto l’insussistenza del credito vantato in via monitoria da parte della società ricorrente, in ragione delle plurime inadempienze realizzate da quest’ultima nello svolgimento del mandato; dell’intervenuto pagamento delle fatture nn. 268/2016, 121/2018, 168/2018 e della violazione dell’obbligo di diligenza ex ar t. 1710 c.c. ed aveva proposto domanda riconvenzionale nei confronti dello per i danni subiti a causa della cattiva gestione contabile, quantificati in euro 60.353,75 (euro 38.725,63 per dichiarazione IRAP 2015, per mancato invio delle liquidazioni IVA; euro 7.695,36 per attività contabile Rag. anno 2018; euro 13.932,76 per errato inquadramento dipendenti INAIL).
Si era costituita in giudizio lo che aveva chiesto la verificazione dell’autenticità delle tre sottoscrizioni disconosciute ed il rigetto dell’opposizione, deducendo la fondatezza del credito vantato in via monitoria; l’irrilevanza dell’intervenuto pagamento delle fatture n. 268/2016, n. 121/2018 e n. 168/2018 ai fini della quantificazione complessiva dell’importo richiesto in via monitoria; l’insussistenza degli inadempimenti imputati alla stessa nell’atto di citazione, stante l’insinda cabile scelta del , quale legale rappresentante della di non versare l’IRAP 2015 e l’IVA periodica mensile e non adire al ravvedimento operoso consentito dall’art. 5 del D.L. 193/2016; il mancato incarico della registrazione delle fat ture di vendita e di acquisto per il 2018; l’infondatezza della richiesta di rimborso della somma complessiva di euro 7.695,36 di cui ai tre progetti di notula del Rag. .
In via subordinata, l’opposta aveva chiesto la compensazione della somma di euro 13.932,76, spettante all’opponente, con il maggior credito da essa avanzato.
La causa, istruita unicamente a mezzo di una c.t.u. grafologica finalizzata ad accertare l’autenticità delle tre sottoscrizioni per accettazione apposte sulle raccomandate dell’11.12.2015, del 30.01.2017 e del 31.01.2018 allegate al ricorso per d.i., era stata definita dal Tribunale di Firenze con la sentenza n. 2731/22, pubblicata in data 30.9.2022, con la quale il predetto tribunale aveva: 1) accolto l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo opposto; 2) accolto parzialmente la domanda riconvenzionale avanzata dalla società opponente e, previa compensazione con il credito di euro 3.899,96 della opposta, condannato quest’ultima al pagamento, in favore degli opponenti, della somma di euro 11.656,33, oltre interessi legali di mora dalla data di pubblicazione della sentenza; 3) compensato le spese di lite tra le parti per la quota di 2/3, ponendo a carico dell’opposta la restante quota di 1/3 e 4) posto le spese di c.t.u. a carico dell’opposta.
In particolare, il Tribunale, in motivazione, aveva affermato che:
‘… in primo luogo, occorre rilevare come, per stessa ammissione della ‘ , le fatture nn. 268/2016 e 121/2018, azionate in via monitoria dalla ricorrente, siano già state saldate da parte dell’attrice opponente (cfr. memoria ex art. 183, co. 6, n. 1 c.p.c., p. 2: ‘Se è vero che le fatture n. 268/2016 e n. 121/2018 sono state pagate a saldo dalla ; cfr. docc. 21 e 22 fascicolo di parte attrice opponente).
Le relative somme (euro 1.464,00 di cui alla fattura n. 268/2016, cfr. doc. 2 fascicolo monitorio; euro 1.464,00 di cui alla fattura n. 121/2018, cfr. doc. 4 fascicolo monitorio), pertanto, devono senz’altro essere detratte dall’importo di cui al decreto i ngiuntivo opposto, il quale deve, dunque, essere revocato.
Quanto alla fattura n. 168/2018 (doc. 5 fascicolo monitorio), invece, considerato il pagamento parziale dell’importo ivi previsto, riconosciuto dalla stessa attrice opponente (cfr. memoria di parte attrice opponente ex art. 183, co. 6, n. 2 c.p.c., p. 2: ‘Anche di questa fattura l’odierna convenuta, ignara e in buonafede, ha provveduto al pagamento parziale di € 2.000,00’; cfr. altresì doc. 23 fascicolo di parte attrice opponente recante la dicitura ‘acconto’), stante la mancata contestazione nell’atto di o pposizione delle prestazioni di cui alla fattura de qua, deve essere disposta la condanna della e del sig.
al pagamento della somma residua da essa risultante, pari a euro 3.856,00. In ordine a detto importo vanno aggiunti gli interessi legali di mora a decorrere dalla data del 9-9-2019 di notifica del provvedimento monitorio, per un ammontare complessivo di euro 3.899,96.
Al contrario, non può trovare riconoscimento quale credito spettante all’opposta la somma di euro 7.320,00, richiesta a titolo di saldo di fatturazione degli anni 2016 (euro 2.928,00) e 2017 (euro 4.392,00) risultante dalla fattura n. 204/2018 (cfr. doc. 3 fascicolo monitorio).
La convenuta ha sostenuto che tale fattura avrebbe a oggetto la ‘medesima attività ordinaria svolta mensilmente dalla per il servizio fiscale e/o contabile e la redazione delle buste paghe del personale dipendente per gli anni 2016 e 2017, già riconosciuta come svolta dalla mediante l’avvenuto pagamento di tutte le fatture del 2016 e del 2017 (vedasi doc. 5 – 6 allegati alla I memoria ex art. 183, comma sesto cpc ), solo adeguata negli importi secondo quando pattuito per iscritto tra le due società con la raccomandata del 11.12.2015, e sollecitata con quelle del 30.01.2017 e del 31.01.2018 (doc. 2, 3 e 4)’ (memoria di parte convenuta opposta ex art. 183, co. 6, n. 2 c.p.c., p. 2).
Ebbene, riconosciute come pagate tutte le fatture del 2016 e del 2017 (cfr. doc. 6 fascicolo di parte convenuta opposta), il sovra descritto adeguamento degli importi (cfr. anche comparsa di costituzione e risposta, p. 4: ‘La fattura n. 204/2018 è poi una errata corrige per adeguamento alle tariffe in vigore per l’anno 2018’) non si può ritenere provato, a fronte dell’avvenuto disconoscimento delle pattuizioni per iscritto rinvenibili nelle raccomandate a mano dell’11 -12-2015, del 30-1- 2017 e del 31-1-2018 (cfr. docc. 2, 3 e 4 fascicolo di parte convenuta opposta).
Chiare, a tal proposito, si presentano le conclusioni della CTU incaricata Dott.sa : ‘Le firme per cui è causa, apposte per ricevuta e accettazione sulle Raccomandate a mano rispettivamente datate 11 dicembre 2015, 30 gennaio 2017, 31 gennaio 2018, non presentano elementi di rapportabilità tecnica con le segnature autografe del Sig. , utilizzate in questa sede per la comparazione. Le differenze di natura dinamica riscontrate, nettamente prevalenti sulle somiglianze formali, non rientrano nel clichè redattivo del Sig. , oltrepassando anche i limiti della sua naturale variabilità scrittoria. Le firme in verifica sono da ritenersi pertanto esito e prodotto di una imitazione a mano libera di forme conosciute’ (CTU, p. 78).
Nel proprio elaborato, in particolare, la CTU, oltre ad evidenziare le ‘significative difformità’ che connotano le sottoscrizioni in esame rispetto a quelle rinvenibili nelle scritture in comparazione (cfr. CTU, pp. 34-53), ha altresì replicato puntualmente alle osservazioni del CTP di parte convenuta opposta Dott. , tanto in punto di inosservanza dei principi metodologici della comunità scientifica in specie, di omissione della cd. ‘Peer review’, cfr. CTU p. 63) quanto in punto di omessa presa in considerazione dell’ipotesi di dissimulazione (cfr. CTU pp. 65 ss.; cfr. in particolare CTU p. 70: ‘Per i motivi sopra esposti si ritiene, in conclusione, non condivisibile l’ipotesi della dissimilazione posta in essere dal Sig. , suppost a dal CTP’).
Pertanto, tenuto conto che il consulente tecnico d’ufficio è pervenuto con ragionamento immune da vizi logici o di altra natura, anche alla luce dei rilievi dei consulenti di parte, simili conclusioni meritano condivisione.
Sul punto mette conto ricordare che, alla stregua di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ‘Il giudice del merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento; non è quindi necessario che egli si soffermi sulle contrarie deduzioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili con le argomentazioni accolte. Le critiche di parte, che tendano al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in tal caso in mere allegazioni difensive, che non possono configurare il vizio di motivazione previsto dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.. (cfr. Cass. 83552007).
In assenza di una pattuizione inter partes, è, dunque, da escludere l’esistenza di ulteriori debenze in capo agli attori opponenti per le annualità 2016 e 2017, come preteso dalla ‘ in ragione del la fattura n. 204/2018.
Ciò depone per lo scomputo delle relative somme dall’ammontare di cui decreto ingiuntivo opposto.
Del pari, la mancata autenticità della sottoscrizione asseritamente apposta da parte opponente alla nota dell’11 -122015 (doc. 2 fascicolo di parte convenuta opposta: ‘Con la presente Vi comunichiamo …che a decorrere dal 1/1/2016 provvederemo ad adeguare il nostro compenso per le attività svolte in Vostro favore, che passerà dalle attuali euro 400,00 mensili nette da Iva ad euro 600,00 mensili nette Iva per la redazione delle buste paga e per gli adempimenti contabili di legge, con esclusione delle dichiarazioni annuali (Iva, UnicoSp, IRAP, CU dipendenti e autonomi, 770, Studi Settore, Unico PF dei Soci, compresi gli invii telematici)’) non può neppure consentire di ritenere ‘come accettati dalla ‘ e, dunque, oggetto di accordo inter partes, gli adempimenti annuali indicati nella fattura n. 214/2018 (cfr. memoria di parte convenuta opposta ex art. 183, co. 6, n. 1, p. 3), anch’essa azionata in via monitoria da parte della ricorrente per l’importo di euro 10.980,00 (cfr. doc. 6 fascicolo monitorio).
Per quanto parte convenuta opposta abbia comprovato, per il tramite della documentazione depositata in atti, l’avvenuto espletamento delle relative attività, la mancanza di accordo negoziale circa la qualificazione delle stesse quali attività ‘straordinarie’ (v. ancora documento 2 di parte convenuta opposta: ‘con esclusione delle dichiarazioni annuali (Iva, UnicoSp, IRAP, CU dipendenti e autonomi, 770, Studi Settore, Unico PF dei Soci, compresi gli invii telematici)’) non consente di ritenere dette prestazi oni come tali, e dunque non ricomprese in quelle svolte mensilmente in via ordinaria.
Tanto premesso, si deve pervenire alla conclusione che le relative competenze siano state liquidate in seno alle fatture già saldate, dovendosi escludere che la sola fattura n. 214/2018 sia sufficiente a comprovare l’autonomia del relativo credito vantato in sede monitoria. 1 cfr. dichiarazione IRES, cfr. doc. 21 fascicolo di parte convenuta opposta; dichiarazione IRAP, cfr. consegna dichiarazioni IRAP 2014, 2015, 2016, 2017, docc. 14 e 15 fascicolo di parte convenuta opposta; 770, cfr. docc. 14 e 15 fascicolo di parte convenuta opposta; studi di settore, cfr. consegna studi di settore per le annate 2014, 2015, 2016, 2017, 2018, docc. 14 e 15 fascicolo di parte convenuta opposta e cfr. doc. 21 fascicolo di parte convenuta opposta; dichiarazione dei redditi personali del sig. e dei soci, cfr. 4 fascicolo di parte attrice opponente; dichiarazioni IVA, cfr. dichiarazioni IVA 2014, 2015, 2016, 2017, doc. 4 fascicolo di parte attrice opponente; certificazioni uniche, cfr. consegna modelli U50 annate 2014-2015 e PF annate 2016-2017, docc. 14 e 15 fascicolo di parte convenuta opposta; cfr. doc. 4 fascicolo di parte attrice opponente.
Anche l’importo di euro 10.980,00, pertanto, deve essere scomputato dalla somma oggetto di ingiunzione.
Venendo, quindi, alle domande riconvenzionali spiegate dall’attrice opponente, si ritiene innanzitutto che debbano essere rigettate quelle inerenti al danno da mala gestio contabile dello per omesso versamento dell’IRAP 2015 (cfr. atto di citazione in opposizione, p. 3: ‘In data 30.04.2019 la riceveva notifica di cartella esattoriale relativa all’omesso versamento dell’Irap 2015 sulla base della dichiarazione presentata dalla nel 2016. Questa non aveva mai predisposto, inviato e di conseguenza consentito il pagamento del relativo modello F24. Ma soprattutto la Società non ha mai ricevuto gli avvisi bonari inviati dall’Agenzia delle Entrate direttamente al professionista , a seguito di tale omissione e che sarebbero stati utili a sanare immediatamente la questione con sanzioni ridotte. Così l’odierna attrice opponente è stata costretta al pagamento della cartella tramite dilazione con l’aggravio delle sanzioni per la somma complessiva dovuta € 19.312,63’) e per mancato invio delle scadenze di liquidazioni periodiche dell’Iva (cfr. atto di citazione in opposizione, p. 4: ‘È quindi evidente come la non abbia nemmeno provveduto all’invio alle rel ative scadenze delle liquidazioni IVA periodiche mensili! La possibilità di sanare tali omissioni con compilazioni quadro VH e ravvedimento operoso con pagamento della sanzione ridotta a 1/8, è stata comunque onerosa; pertanto, l’odierna attrice ha provved uto al pagamento a mezzo F24 della somma di € 250,00 (Doc.13). (..)
Come se tutto ciò non bastasse, in relazione all’invio dei dati fattura del 2018, gli stessi avrebbero dovuto essere inviati con due invii semestrali (1-10-2018 / 28-02-2019).
Per il primo semestre, nessun invio è stato effettuato dalla società ha così provveduto il Rag. con ravvedimento operoso al fine di sanare il tardivo invio con sanzione ridotta, costato alla Società ulteriori € 125,00 (Doc.14) (..) Resta poi l’importo di IVA ad oggi non richiesto alla che ammonta complessivamente ad € 158.516,00 (solo per l’anno 2018), come dovuti mensilmente dal quadro VH della dichiarazione (v. doc. 13)’).
In via preliminare, si rileva che, in tema di sanzioni per le violazioni di disposizioni tributarie, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il mero affidamento a un commercialista del mandato di trasmettere in via telematica la dichiarazione all’ Agenzia delle Entrate non porta a ritenere che il contribuente abbia assolto ai propri obblighi tributari, con quest’ultimo che, invero, risulta tenuto a vigilare affinché tale mandato sia puntualmente adempiuto, sicché la sua responsabilità è esclusa solo in caso di comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento (Cassazione civile sez. trib., 20/07/2018, n.19422).
Pertanto, l’onere della prova dell’assenza di colpa grava, secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, sul contribuente, il quale risponde per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista incaricato ove non dimostri di aver vigilato sullo stesso, ovvero che il medesimo professionista abbia posto in essere un comportamento fraudolento finalizzato a mascherare il proprio inadempimento, mediante la falsificazione di modelli F24, ovvero con altre modalità di difficile riconoscibilità da parte del mandante, mentre non è sufficiente la sola presentazione di una denuncia nei confronti del professionista (Cassazione civile sez. trib., 20/07/2018, n.19422, cit.; Cassazione civile sez. trib., 02/03/2020, n.5661).
Nel caso di specie, la società opponente non ha dimostrato il comportamento fraudolento della ‘ , né di aver assolto al proprio obbligo di vigilanza, ma solo di aver inviato delle comunicazioni a questa contestando i relativi inadempimenti, peraltro alcuni anni dopo (cfr. docc. 9 e 10 fascicolo di parte attrice opponente).
In ogni caso, poi, si deve osservare come nelle produzioni documentali dell’opponente non sia rinvenibile l’attestazione del pagamento da parte della società di alcuna somma a titolo di sanzione per gli asseriti inadempimenti correlati alle imposte IRAP e IVA.
Tanto depone per la mancata dimostrazione, da parte degli onerati opponenti, dei danni da questi asseritamente patiti.
Senza, peraltro, dimenticare, anche avuto riguardo al dedotto mancato inserimento nella dichiarazione dei redditi delle ‘deduzioni effettive spettanti per complessivi € 488.139,00’, che ‘sarebbero servite a diminuire il valore della produzione netta portan do così la quota di imposta alla minor somma di € 28.851,00 contro la somma di € 47.889,00 dichiarata dallo Studio (atto di citazione in opposizione, p. 3), come l’avvenuto deposito in atti della dichiarazione integrativa del 7 -62019 per l’an no 2015, esplicativa dell’imposta finale corretta (doc. 22 fascicolo di parte convenuta opposta), precluda ogni ulteriore doglianza in tal senso.
In ragione di ciò, le domande spiegate con riferimento agli adempimenti contabili IRAP e IVA non possono trovare accoglimento.
Detto, dunque, della mancata prova del danno patito dagli attori opponenti, conseguentemente non meritano condivisione neppure le doglianze di parte opponente avanzate in punto di spese ricollegabili all’ ‘attività prestata dal Rag. ampia e complessa (..) necessaria per cercare di limitare ai minimi possibili i danni subiti dalla (atto di citazione in opposizione, p. 5), per un ammontare complessivo di euro 7.695,36 (cfr. docc. 15, 16, 17 fascicolo di parte attrice opponente).
Difatti, anche siffatte voci di danno (euro 3.045,12 nella parcella n. 167/2019; euro 3.045,12 nella proforma n. 178/2019; euro 3.045,12 nella proforma n. 262/2019) non possono, in assenza di adeguata documentazione a conforto, risultare riconducibili ai l amentati inadempimenti contabili della ‘ per l’anno d’imposta 2018, con l’impossibilità, per l’effetto, di porre a carico di quest’ultima le relative spese asseritamente sostenute dall’opponente.
Al contrario, deve trovare accoglimento la domanda riconvenzionale di parte attrice opponente in relazione all’importo di euro 13.932,76, quale maggiore somma versata negli anni all’INAIL (cfr. doc. 19 fascicolo di parte attrice opponente) a causa dell’err oneo inquadramento professionale, da parte della di ‘due dei tre impiegati della , ‘assoggettati alla voce di rischio degli spurghisti anziché quella a loro specificatamente dedicata in relazione alle mansioni svolte’ (atto di citazione in opposizione, p. 5).
L’esistenza di detto credito da inadempimento professionale non è stata, invero, specificatamente contestata da parte della convenuta opposta nel primo atto difensivo all’atto di opposizione introduttivo del presente giudizio, ovvero in comparsa di costitu zione. Peraltro quest’ultima non ha neppure allegato alcun elemento idoneo a dimostrare la ‘speciale difficoltà’ dell’attività affidatale; pertanto, pur essendo quest’ultima rilevabile d’ufficio (cfr. da ultimo Cassazione civile sez. III, 11/01/2021, n.200 ), nel caso di specie non sussiste alcun indice sintomatico della peculiare insolubilità o novità della problematica qualificatoria affrontata (cfr. Tribunale Milano sez. I, 04/07/2018, n.7514), con la ‘ che, a norma dell’art. 2236 c.c., si trova, dunque, a rispondere della riconnessa responsabilità professionale anche per colpa lieve. Colpa lieve che, nella fattispecie in esame, risulta all’evidenza integrata, alla luce della negligenza manifestatasi nell’erroneo (e non contestato) inquadramento dei dipendenti della società opponente.
In ragione di ciò, ferma altresì la mancata contestazione dei maggiori importi versati all’INAIL (di cui alla tabella sub doc. 19 fascicolo di parte attrice opponente) a fronte della scorretta qualificazione dei lavoratori, la convenuta opposta deve, quindi, essere condannata a rifondere euro 13.932,76 per la negligenza professionale comprovata nel corso di svolgimento del mandato.
In senso contrario a quanto da ultimo evidenziato, del resto, non può neppure essere condiviso il rilievo della convenuta opposta ai sensi del quale la ‘ dovrebbe ‘richiedere solo all’INAIL la restituzione di tali somme percepite indebitament e, non certo alla (memoria di parte convenuta opposta ex art. 183, co. 6, n. 1, c.p.c., p. 8), posto che, a fronte della normativa di settore (si veda, in particolare, l’art. 17 D.M. 12/12/2000, richiamato sub doc. 18 fascicolo di pa rte attrice opponente), la refusione da parte dell’INAIL può aver luogo solo nell’ipotesi, non ricorrente nella specie, di ‘erronea classificazione delle lavorazioni non addebitabile al datore di lavoro che abbia comportato il versamento di un premio maggi ore di quello effettivamente dovuto’. Rispetto alla somma in questione (euro 13.932,76), cui vanno aggiunti la rivalutazione e gli interessi compensativi secondo i criteri di cui a Cass. 1712-1995, a decorrere dal 22 maggio 2019 (cfr. richiesta di pagamento sub doc.19 fasc. parte opponente), per il complessivo importo di euro 15.556,29, conformemente a quanto espressamente richiesto dalla opposta (cfr. memoria di parte convenuta opposta ex art. 183, co. 6, n. 1 c.p.c., p. 7: ‘poiché la Compagnia Assicurativ a della solo a titolo cautelativo, gli ha riconosciuto il rimborso della somma di Euro 13.932,76, questa somma ben potrà essere utilizzata in compensazione qualora l’Ill.mo Giudicante ravvisasse una qualche responsabilità risarcitoria in c apo alla al termine della presente procedura’), va portato in compensazione il (sopra menzionato) credito di euro 3.899,96 di cui alla fattura n. 168/2018. Da tanto discende, in definitiva, una somma a credito per parte attrice opponente, da quantificarsi in euro 11.656,33 (euro 15.556,29 -euro 3.899,96).
Tenuto conto dell’accoglimento parziale della domanda riconvenzionale avanzata in citazione da parte dell’attrice e della revoca del decreto ingiuntivo opposto, le spese di lite vengano compensate per 2/3; la restante quota di 1/3, liquidata come in dispositivo avuto riguardo ai parametri medi di cui al D.M. 55/2014, così come le spese di CTU (già liquidate), vanno poste a carico dell’opposta in ragione della soccombenza prevalente della stessa. Le spese del procedimento monitorio rimangono a carico dell a convenuta.’
Con atto di citazione ritualmente notificato, la e hanno proposto appello avverso detta ordinanza, impugnandola con tre motivi di gravame (per il mancato riconoscimento della mala gestio contabile da parte dello per il mancato riconoscimento delle somme da essa pagate al Rag. per ovviare/limitare/rimediare a tutte le inadempienze dello e per aver compensato i 2/3 delle spese di lite).
Si è costituito in giudizio lo che ha chiesto il rigetto dell’appello.
La causa, che segue il nuovo rito civile ‘Cartabia’, è passata quindi in decisione all’udienza cartolare del 5.6.2025 mediante ordinanza emessa dal Cons. istruttore ex art. 127 ter cpc in data 2.7.2025 e viene decisa dal Collegio all’odierna camera di cons iglio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di gravame, gli appellanti hanno censurato la decisione del giudice di primo grado di rigettare la domanda riconvenzionale da loro avanzata (riguardante il danno da mala gestio contabile patito a causa dei plurimi inadempimenti dello , ritenendo che essi non avessero fornito la prova del comportamento fraudolento tenuto da quest’ultima né dell’avvenuto assolvimento del proprio obbligo di vigilanza nell’adempime nto del mandato da parte del professionista.
In particolare, gli appellanti hanno affermato che il giudice di primo grado avrebbe dovuto tener conto del fatto che essi avevano dimostrato la mala gestio contabile dello avendo provato che la stessa, oltre a non aver predisposto il modello F24 per il pagamento dell’IRAP 2015 e le liquidazioni dell’IVA mensile ed aver errato l’indicazione, nella denuncia dei redditi, del valore della prod uzione netta (omissioni e negligenze che avevano rispettivamente comportato l’applicazione di sanzioni pari ad euro 19.312,63 per il mancato pagamento dell’IRAP ed a complessivi euro 375,00 per il mancato versamento dell’IVA ed una maggior somma da pagare a titolo di imposta pari ad euro 19.038,00), aveva anche falsificato le firme del sulle raccomandate dell’11.12.2025; 30.1.2017 e 31.1.2018, come attestato dalla c.t.u. grafologica espletata.
Il motivo è fondato.
Ed invero, va ricordato che il professionista è tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata, di cui al combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, e 2236 e di conseguenza l’attività del dottore commercialista (e dell’esperto contabile) rientra nell’alveo tipologico del contratto d’opera intellettuale regolato dagli artt. 2222 -2229 c.c. ss. e che il medesimo, nell’esecuzione del contratto il professionista è tenuto a mantenere una diligenza commisurata al tipo di prestazione richiestagli (art. 1176 c.c.), ovvero un grado di diligenza medio a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà: in tal caso la responsabilità del professionista è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave, con conseguente elusione nell’ipotesi in cui nella sua condotta si riscontrino soltanto gli estremi della colpa lieve.
Va, inoltre, ricordato che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di responsabilità contrattuale del prestatore d’opera intellettuale per negligente svolgimento dell’attività professionale: 1) è onere del cliente provare il nesso eziologico sussistente fra la condotta negligente e/o imperita del professionista ed il danno subito, tenendo conto che le prestazioni intellettuali configurano obbligazioni di mezzi e non di risultato; 2) il professionista non è tenuto a garantire l’esito favorevole auspicato dal cliente, per cui il danno derivante da eventuali sue omissioni, in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quella omissione, il risultato sarebbe stato conseguito e 3) il cliente, il quale alleghi di avere subito un danno per l’inesatto adempimento del mandato professionale, è tenuto a dimostrare l’errata o inadeguata prestazione professionale e l’esistenza del danno e cioè deve dimostrare la lesione patrimoniale che deve essere specificatamente allegata e dimostrata nell’ an e nel quantum ovvero il nesso di causalità fra l’errata o inadeguata prestazione professionale e il danno, mentre grava sul professionista l’onere di provare, per andare indenne da responsabilità, di aver adempiuto alle proprie obbligazioni rispettando lo standard di diligenza normativamente imposta (cfr tra le tante Cass. civ. 16.5.2017 n. 12038 e 14.10.2019 n. 25778).
Tanto ricordato, si osserva che le omissioni relative alla mancata predisposizione del modello IRAP e delle liquidazioni IVA, nonché all’erronea indicazione della somma da pagare a titolo di imposta sul reddito della società, rappresentano delle specifiche negligenze verificatesi nel corso della gestione della contabilità operata dalla e nell’espletamento del mandato professionale (che detta società ha, peraltro, tentato di non far emergere mediante l’attività falsificatoria), rilevanti sotto il profilo dell’inadempimento agli obblighi assunti con il contratto d’opera e della conseguente responsabilità professionale dello
e si evidenzia che il principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità, riportato nella motivazione della sentenza di primo grado, secondo cui, in materia di sanzioni tributarie, la colpa del contribuente è presunta, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, per cui, ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava sul contribuente ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997 la prova dell’assenza assoluta di colpa e della dimostrazione di aver adottato tutte le misure necessarie per evitare l’inadempimento, tra le quali l’aver vigilato sulla corretta attività dello studio professionista (cfr da ultimo, Cass. civ. ord. n. 34759 del 12.12.2023), riguarda solo l’opponibilità all’Erario dell’esimente prevista dall’art. 6, terzo comma, del dlgs n. 472/97 e non si applica nei rapporti contrattuali tra privati.
Ciò detto, con riferimento alle conseguenze della predetta attività omissiva e dell’erronea indicazione delle somme da pagare a titolo di imposta IRAP 2015, va rilevato che gli attuali appellanti hanno fornito la prova dei danni subiti per le sanzioni che avevano dovuto versare per il mancato versamento dell’Irap 2015 e dell’IVA mediante il deposito della documentazione attestante l’ammissione alla rateizzazione delle sanzioni Irap e degli F24 relativi al pagamento delle sanzioni IVA effettuati tramite il ravvedimento operoso (vd doc. 10, 13 e 14 del fascicolo di parte degli opponenti), pari a complessivi euro 19.607,63 ( euro 19.312,63 per sanzioni Irap + euro 375,00 per sanzioni IVA), che non sono state contrastate da alcun elemento contrario da parte dello mentre, con riferimento alle deduzioni spettanti, non inserite nella dichiarazione Irpef 2015 dallo Studio predetto per complessivi € 488.139,00 ed al conseguente asserito pagamento a titolo di imposta della maggior somma di euro 19.0 38,00, si osserva che la stessa, a seguito dell’avvenuta presentazione, in data 7.6.2019 della dichiarazione integrativa per l’anno 2015, esplicativa dell’imposta finale corretta, non era stata versata (vd doc. 22 del fascicolo di parte opposta).
Ne consegue che la sentenza va riformata sul punto e lo va condannato al versamento in favore degli attuali appellanti della complessiva somma di euro 19.607,63.
Trattandosi di credito di valore, su tale somma devalutata alla data del fatto (ovvero alle date in cui dovevano essere presentate le dichiarazioni fiscali nel 2015) e rivalutata annualmente secondo indici Istat Foi fino alla pubblicazione della presente sentenza, vanno calcolati gli interessi compensativi al tasso legale con pari decorrenza, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza fino all’effettivo soddisfo.
Con il secondo motivo di gravame, gli appellanti hanno censurato la decisione del giudice di primo grado di rigettare la domanda relativa alle ulteriori spese, pari ad € 7.695,36, che la aveva versato al rag. , nuovo professionista incaricato, per il lavoro svolto (attività di contabilità relative all’anno 2018 che non erano state asseritamente effettuate dello , nonostante che l’attività prestata dal predetto ragioniere fosse stata fondamentale per limitare i danni per la in quanto proprio grazie alla medesima attività che la Società aveva pagato sanzioni ridotte, almeno con riferimento all’IVA.
Il motivo è infondato.
Si osserva, infatti, che, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, dai documenti depositati dalle parti appellanti (in particolare dalle parcelle del rag. – doc. 15-16-17- fascicolo di primo grado di parte appellante), non si evince in alcun modo che le attività espletate dal medesimo avessero riguardato gli inadempimenti contabili della né che i vari pagamenti asseritamente effettuati dall’odierna parte appellante fossero riferibili agli stessi, atteso che la dicitura ‘SERVIZI CONTABILI IN ABBONAMENTO’ è del tutto generica ed aspecifica nella causale e che dalla stessa non sono evincibili le singole prestazioni effettuate dal ragioniere in supplenza alla né l’indicazione delle vari e voci dell’importo richiesto per tali prestazioni.
Non si procede all’esame del terzo motivo di gravame (con il quale l’appellante ha censurato la decisione del giudice di primo grado di compensare parzialmente le spese di lite), in quanto assorbito dalla presente decisione.
Ed invero, la riforma (anche parziale) della decisione impugnata determina la caducazione della pronuncia inclusa quella accessoria sulle spese ed impone al giudice di appello di liquidare nuovamente le spese del doppio grado di giudizio, sulla base dell’e sito finale della lite.
Secondo il costante indirizzo della Cassazione, infatti, il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario o globale; esclusivamente in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (cfr., ex multis: Cass. civ. ord. n. 9064 del 12.4.2018 e n. 1775 del 24.1.2017, nonché sent. 1.6.2016 n. 11423).
Nel regolare tali spese, si deve muovere dalla premessa che, nel caso in esame, all’esito dei due gradi, gli attuali appellanti sono risultati maggiormente vittoriosi con riferimento all’opposizione al decreto ingiuntivo e totalmente vittoriosi (non rientrando nel concetto di soccombenza il minor importo riconosciuto in loro favore) in relazione alla domanda riconvenzionale, per cui le spese dei due gradi, previa compensazione delle stesse nella misura del 20% per la soccombenza reciproca parziale in relazi one all’opposizione, vanno poste a carico dell’appellato sulla base del D.M. 55/14 come modificato dal D.M. 147/22 (in vigore dal 23.10.2022).
Vanno, inoltre, poste a totale carico dello le spese della c.t.u. grafologica svolta in primo grado, nella misura ivi liquidata, atteso che l’espletamento si era reso necessario per il mancato riconoscimento della falsità delle firme apposte sulle raccomandate da parte della società opposta.
Pertanto, secondo i parametri dello scaglione di valore compreso tra euro 5.200,01 ed euro 26.000,00 del decreto del Ministero della Giustizia n. 55 del 10.3.2014, applicabili nel caso in esame in base al valore del credito riconosciuto, si deve liquidare, in favore degli appellanti, per il primo grado, la somma di euro 3.868,00 (euro 4.835,00 x 80%) e, per il secondo grado, euro 5.809,00 a titolo di compenso professionale, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla
e da , quale legale rappresentante della società ed anche in proprio, avverso la sentenza n. 2731/22 del Tribunale di Firenze, pubblicata in data 30.9.2022, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, in parziale riforma della sentenza impugnata e fermo il resto, così provvede:
-in parziale accoglimento dell’appello, condanna la al pagamento in favore degli appellanti della somma di euro 19.687,63, a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali da loro subiti. Su tale somma devalutata alla data del fatto (ovvero alle date in cui dovevano essere presentate le dichiarazioni fiscali nel 2015) e rivalutata annualmente secondo indici Istat Foi fino alla pubblicazione della presente sentenza, vanno calcolati gli interessi compensativi al tasso legale con pari decorrenza, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza fino all’effettivo soddisfo;
condanna la alla refusione in favore degli appellanti delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio che liquida, previa compensazione delle stesse nella misura del 20% in ragione della reciproca soccombenza parziale per l’opposizione al decreto
ingiuntivo, per il primo grado, nell’importo di euro 3.868,00 e, per questo grado di giudizio, in euro 5.809,00 per compenso professionale (oltre al rimborso forfettario delle spese generali pari al 15% del liquidato compenso), con l’IVA ed il CAP come per legge;
-pone definitivamente a carico della nella misura precisata nel decreto emesso in data 30.9.2022, le spese della c.t.u. svolta nel primo grado del giudizio, pari a complessivi euro 3.266,03, oltre interessi legali fino all’effettivo soddisfo.
Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 29.9.2025.
Il Presidente estensore dott.ssa NOME COGNOME
Nota
La divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell’ambito strettamente processuale, è condizionata all’eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.