Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 350 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 350 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17833/2022 proposto da:
STUDIO DOTTORI COMMERCIALISTI ASSOCIATI DOTT. NOME COGNOME DOTT.NOME COGNOME, in persona del dott. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME (EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (avvgiuseppinamoscatoEMAIL;
– controricorrente –
nonché
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore speciale, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME EMAIL;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 791/2022 della CORTE D’APPELLO DI SALERNO, depositata il 16/5/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che,
con sentenza resa in data 16/5/2022, la Corte d’appello di Salerno ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato lo Studio dottori commercialisti associati dott. NOME COGNOME – dott.ssa NOME COGNOME al risarcimento dei danni subiti dalla RAGIONE_SOCIALE in conseguenza dell’inadempimento, da parte dello studio associato convenuto, delle obbligazioni concernenti le prestazioni di consulenza e di assistenza fiscale contratte da detto studio nei confronti della società attrice; inadempimento nella specie consistito nell’omessa trasmissione telematica della dichiarazione dei redditi relativi all’anno d’imposta 2002 e nella conseguente tardiva deduzione in compensazione, nella dichiarazione dei redditi successiva, del credito Iva maturato nel 2002 e mai dichiarato, con la conseguenza che alla società attrice era stata notificato un verbale di contestazione a cui avevano fatto seguito accertamenti di un maggior reddito imponibile e contestazione di illegittima detrazione d’imposta;
con la stessa sentenza, la corte territoriale ha rigettato la domanda proposta dallo studio associato nei confronti di Assicurazioni Generali s.p.a. fine di essere manlevata nel pagamento degli importi eventualmente dovuti a titolo risarcitorio in favore della controparte;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale -fermo il carattere incontestato dell’omessa trasmissione telematica, da parte dello studio professionale, della dichiarazione dei redditi della società attrice relativa all’anno d’imposta 2002 -ha rilevato come, secondo la disciplina normativa correttamente richiamata dalla Commissione tributaria di Salerno (a cui la RAGIONE_SOCIALE aveva fatto ricorso), il diritto al rimborso del credito Iva precedentemente non dichiarato doveva ritenersi scaduto, siccome soggetto al termine di decadenza biennale decorrente dal 1 gennaio dell’anno successivo a quello di maturazione del credito;
peraltro, secondo la corte territoriale, l’onere di provvedere alla tempestiva richiesta del rimborso del credito IVA non competeva alla RAGIONE_SOCIALE poiché la presentazione nei termini dell’istanza costituiva uno specifico onere a carico dello studio professionale attesa la persistente vigenza, all’epoca, del rapporto professionale con la società committente;
quanto alla domanda di manleva proposta nei confronti di RAGIONE_SOCIALE la corte territoriale ha evidenziato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui ha rilevato la produzione in atti della sola copia della polizza assicurativa avente efficacia dal 21/4/2008 al 21/4/2009 insuscettibile di coprire l’inadempimento dello studio associato in relazione a un sinistro risalente al 2003;
un simile esito, peraltro, non sarebbe stato differente neppure in caso di rituale produzione della polizza con efficacia dal 20/1/2003 al 20/1/2004, non essendo pervenuta alcuna richiesta risarcitoria durante il periodo di efficacia dell’assicurazione (nella specie caratterizzata da una clausola claims made ‘spuria’), né avendo provato, la società
attrice, l’assenza di alcuna soluzione di continuità nel rapporto assicurativo con la compagnia avversaria;
avverso la sentenza d’appello, lo Studio dottori commercialisti associati dott. NOME COGNOME dott.ssa NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di sei motivi d’impugnazione;
la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) resistono ciascuna con un proprio controricorso;
RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria, mentre RAGIONE_SOCIALE ha depositato conclusioni scritte;
considerato che,
dev’essere preliminarmente rilevata l’infondatezza dell’eccezione sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE in relazione all’invalidità della procura ad litem rilasciata al proprio difensore dallo studio professionale associato ricorrente, essendo detto studio associato estinto alla data del 31/12/2019, così come risultante dalla cessazione della relativa partita Iva in detta data;
varrà al riguardo considerare come la sola circostanza della cancellazione della partita Iva di un’associazione professionale non significhi, di per sé, il venir meno dell’associazione stessa, ben potendo ipotizzarsi la persistenza dell’accordo associativo, al di là e indipendentemente da tale adempimento formale di carattere tributario, e la conseguente persistenza sostanziale dell’operatività dell’associazione;
con il primo motivo, lo studio ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1223 e 2697 c.c., nonché per omesso esame di un fatto decisivo controverso, per avere la corte territoriale omesso di considerare la decisiva circostanza costituita dall’assenza di alcuna prova del danno subito dalla società avversaria in conseguenza dell’inadempimento dedotto in
giudizio, non avendo il giudice d’appello tenuto conto di quanto rilevato in sede di gravame dall’istante, segnatamente nella parte in cui aveva rilevato come nulla comprovasse che l’esecuzione presso terzi promossa da Equitalia nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (indicata dal giudice di primo grado come riscontro del danno economico subito da quest’ultima) fosse effettivamente comprensiva del credito per recupero Iva del 2002, nonché nella parte in cui aveva richiamato le contrarie illustrazioni del c.t.u.;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come costituisca circostanza di fatto incontestata tra le parti l’avvenuta omessa trasmissione all’autorità fiscale, nell’anno 2003, da parte dello studio professionale ricorrente, delle dovute dichiarazioni della società attrice per i redditi dell’anno 2002;
costituisce circostanza di fatto allo stesso modo incontestata che lo studio professionale avesse tentato di recuperare, nell’interesse dell’attrice, il credito di quest’ultima per il rimborso dell’Iva , attraverso l’attivazione del procedimento del rimborso ‘ anomalo ‘ , ossia attraverso la trasmissione all’autorità fiscale, nell’anno 2004, delle dichiarazioni relative all’Iva per i redditi dell’anno 2002;
è infine incontestato tra le parti che detta procedura di recupero non ebbe buon fine, essendo stato negato il rimborso di tale credito;
ciò posto, l’avvenuto riconoscimento, da parte di entrambi i giudici del merito, dell’acquisizione di elementi probatori idonei a dimostrare l’effettività del danno economico subito dalla società committente (danno economico corrispondente all’importo del credito Iva non più riconosciuto) deve ritenersi espressione conclusiva di una valutazione complessiva, operata da entrambi i giudici del merito, degli elementi probatori acquisiti al giudizio e del comportamento processuale delle parti;
la censura in esame, nella misura in cui intende contestare la valutazione probatoria operata dai giudici del merito deve ritenersi, da un lato, estranea a qualunque ipotesi di violazione di legge (non essendo contestata la ricognizione, da parte del giudice a quo , della fattispecie astratta descritta nei parametri normativi richiamati) e, dall’altro, neppure rilevante ai fini del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (pur volendone ammettere l’invocabilità a fronte di una c.d. ‘doppia conforme’ in contrasto con il disposto di cui all’art. 348ter c.p.c.), non avendo lo studio ricorrente adeguatamente circoscritto i fatti storici di cui la corte territoriale avrebbe omesso l’esame, e dovendo ritenersi mancato (a voler considerare tali ‘ fatti storici’ asseritamente non esaminati come coincidenti con il significato probatorio della procedura esecutiva richiamata in ricorso o con i contenuti della c.t.u.) alcuno sviluppo argomentativo in ordine alla pretesa decisività di tali supposte omissioni;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 5 d.lgs. 471197, degli artt. 19, 27, 28, 30, 55 del d.p.r. n. 633/72 e degli artt. 2 e 8 del d.p.r. n. 322/98, nonché delle Direttive UE nn. 77/388 e 112/2006, per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto insussistente la facoltà della società avversaria di recuperare il proprio credito d’imposta entro le dichiarazioni del secondo anno successivo, senza considerare che lo studio professionale aveva ovviato all’omessa dichiarazione del 2003 (per l’anno 2002) mediante l’inoltro della dichiarazione e la compensazione dell’eccedenza nella dichiarazione del 2004 (per l’anno 2003);
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 38 del d.p.r. n. 602/73, per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare come la società avversaria avrebbe
potuto proporre istanza di rimborso entro il termine di 48 mesi previsti dall’art. 38 del d.p.r. n. 602/73, e che la società avversaria avrebbe potuto invocare il diritto di credito per l’Iva in eccedenza in sede contenziosa impugnando la cartella di pagamento eventualmente emessa dall’agenzia di riscossione o dell’atto di recupero dell’agenzia delle entrate (documenti di cui non risulta traccia tra gli atti del giudizio);
con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 d.lgs n. 546/92 e della Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34/E del 6/8/2012, nonché per omesso esame di un fatto decisivo controverso, per avere la corte territoriale omesso di rilevare come, ai sensi dell’art. 19, co. 1 lett. g), del d.lgs. n. 546/92, tra gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario vi fosse il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi non dovuti; ciò posto, secondo l’art. 21, co. 2, dello stesso decreto, il ricorso avverso il rifiuto espresso della restituzione di tributi non dovuti avrebbe potuto essere proposto entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento, mentre il ricorso avverso il rifiuto tacito dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta fino alla prescrizione del diritto alla restituzione; la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non avrebbe più potuto essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto della restituzione (come confermato dalla richiamata circolare dell’Agenzia delle Entrate);
in forza di tali premesse, la corte territoriale avrebbe del tutto trascurato che la società attrice non ha mai prodotto in giudizio alcun documento attestante l’avvenuto versamento dell’Iva, non essendo
neppure risultato che la stessa avesse impugnato il diniego di rimborso oppostole in data 8/5/2008;
il secondo, il terzo e il quarto motivo – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;
osserva il Collegio come lo studio ricorrente abbia prospettato i vizi in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta;
sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘ non motivo ‘ , è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01);
nella specie, la corte territoriale ha sottolineato come tutte le procedure eventualmente attivabili secondo la legge tributaria dalla RAGIONE_SOCIALE per il recupero del proprio credito Iva relativo all’anno 2002,
avrebbero dovuto essere esperite dallo studio professionale odierno istante poiché, all’epoca, non risultava venuto meno il rapporto professionale tra le parti (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata) e il dovere di diligenza incombente su tale studio imponeva di rimediare al proprio errore attraverso l’esplorazione di tutte le possibili alternative in ipotesi idonee a consentire il recupero di quanto perduto dalla società cliente;
nel caso in esame, in particolare, non risulta comprovato, da parte dello studio associato ricorrente, che il rapporto professionale fosse venuto meno prima della definitiva impossibilità, per la società contribuente, di proporre tutte le istanze, in sede amministrativa o giudiziaria, potenzialmente suscettibili di consentire il recupero del credito per il rimborso Iva perduto a causa dell’inadempimento del medesimo studio ricorrente;
le censure illustrate attraverso la proposizione dei motivi in esame, dunque, là dove intendono contestare la sentenza impugnata per aver omesso di considerare l’esperibilità, ad opera di controparte, delle procedure di rimborso possibili, non confrontandosi con questo aspetto della sentenza impugnata, devono ritenersi non ammissibili in questa sede per le specifiche ragioni in precedenza indicate;
con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1917, 1362, 1363, 1366, 1367, 1370 e 1375 c.c., dell’art. 345 c.p.c., dell’art. 2 Cost., dell’art. 3, co. 5, lett. e), del d.l. nu. 138/2011, per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la domanda di manleva avanzata dallo studio associato nei confronti di Generali s.p.a. sulla base dell’erronea interpretazione della polizza vigente dal 20/1/2003 al 20/1/2004 (già prodotta nel fascicolo di primo grado, sebbene non espressamente richiamata nell’indice, e fatta oggetto di valutazione da parte del
giudice di secondo grado), trascurando di rilevare come la clausola claims made contenuta in tale polizza (tale da escludere la rilevanza della richiesta di pagamento del terzo pervenuta nel maggio del 2008) fosse palesemente priva del requisito della meritevolezza degli interessi disposti secondo quanto previsto dall’art. 1322 c.c., e ciò, anche in ragione della mancata previsione di alcuna copertura assicurativa in relazione al periodo successivo alla cessazione di efficacia della polizza;
con il sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1341, 1343 e 2965 c.c., per avere la corte territoriale omesso di rilevare la nullità per illiceità della causa della polizza stipulata con Assicurazioni Generali s.p.a. nel periodo tra il 20/1/2003 e il 20/1/2004, tenuto conto che, in forza di tale polizza, all’assicurato risultava imposto un termine di decadenza (corrispondente alla scadenza annuale della polizza) di difficile esercizio e del tutto indipendente dalla diligenza dello stesso assicurato;
entrambi i motivi -congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione -sono inammissibili;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione dei motivi in esame, lo studio ricorrente ancora una volta si sia sottratto al confronto con la ratio decidendi posta dal giudice d’appello a fondamento del rigetto della domanda di manleva, segnatamente nella parte in cui la corte territoriale -dopo aver rilevato l’insussistenza della copertura assicurativa dell’inadempimento dello studio associato sulla base della polizza avente efficacia dal 21/4/2008 al 21/4/2009 (atteso che l’inadempimento dello studio associato risaliva a un sinistro del 2003) -ha evidenziato la mancata tempestiva produzione in giudizio, da parte dello studio professionale ricorrente, della polizza efficace nel
periodo dal 20/1/2003 al 20/1/2004 (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata: ‘ nell’atto di chiamata in causa della società assicuratrice l’appellante ha invocato la copertura assicurativa della polizza la quale è unica dall’indice del fascicolo di primo grado risulta prodotta. Orbene, sebbene la polizza rechi la dicitura ‘polizze sostituite ‘ non risulta da alcun atto che quest’ultima sia stata effettivamente prodotta ‘) ;
l ‘affermazione sostenuta dallo studio ricorrente, secondo cui la polizza del 2003 sarebbe stata prodotta perché allegata a quella successiva del 2008 ‘ regolarmente prodotta ‘ (cfr. pag. 30 del ricorso) risulta del tutto priva di riscontro documentale, mentre l’affermazione secondo cui la polizza del 2003 sarebbe stata ‘ ampiamente richiamata nell’atto d’appello, e fatta oggetto di valutazione da parte del giudice di secondo grado ‘ (cfr. pag. 30 ult. cit.) è del tutto irrilevante a fronte dell’avvenuto rilievo della tardività di detta produzione da parte del giudice d’appello ;
in tal senso, l’eventuale invocazione, contenuta in ricorso, dell’inapplicabilità della preclusione di cui all’art. 345 c.p.c. deve ritenersi del tutto fuori luogo, poiché il giudice d’appello non ha mai affermato (neppure implicitamente) che tale documento fosse indispensabile ai fini del giudizio e lo studio ricorrente ha trascurato totalmente, in questa sede, di dedurre un eventuale vizio di violazione dell’art. 345 c.p.c. per avere il giudice d’appello trascurato l’ acquisizione di un documento (in ipotesi) indispensabile ai fini della decisione;
varrà infine sottolineare come il giudice d’appello abbia trattato nel merito i contenuti della polizza del 2003 esclusivamente a ‘ tutto voler concedere ‘ (‘ peraltro, anche l’eventuale produzione della polizza … non porterebbe a diversa statuizione con riguardo alla domanda di
manleva ‘: cfr. pag. 10 della sentenza d’appello), all’unico fine di rilevare anche nel merito l’infondatezza della domanda di manleva;
ferme tali premesse, l ‘impossibilità di ritenere consentita la produzione in giudizio della polizza assicurativa del 2003 vale, conseguentemente, a impedire lo svolgimento di alcuna considerazione in ordine alla validità della stessa polizza per immeritevolezza degli interessi o per illiceità della causa, in conformità, a quanto denunciato in questa sede dallo studio ricorrente;
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dello studio ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del presente giudizio liquidate, per ciascuna parte, in complessivi euro 4.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione del 22 novembre 2024.
Il Presidente NOME COGNOME