Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27167 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 27167  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/10/2025
Oggetto
Responsabilità professionale – Avvocato
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5830/2023 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, domiciliata digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
NOME AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso da sé stesso, domiciliato digitalmente ex lege ;
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE,  rappresentata  e  difesa dall’AVV_NOTAIO, domiciliato digitalmente ex lege ;
-controricorrente -avverso  la  sentenza  della Corte  d’Appello  di Lecce,  n.  78/2023, depositata in data 25 gennaio 2023. Udita  la  relazione  svolta  nella  camera  di  consiglio  del  17  settembre
2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio davanti al Tribunale di Lecce l’AVV_NOTAIO chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per averla negligentemente assistita in una causa di lavoro contro di essa promossa da NOME COGNOME, ex dipendente della società, per il riconoscimento di differenze retributive e  TFR,  avendo  omesso  di  sollevare  tempestivamente  l’eccezione  di decadenza prevista dal CCNL Edilizia Artigianato.
Sostenne che, a causa di tale omissione, il Tribunale di Lecce, nel 2011, aveva condannato la società al pagamento di Euro 41.689,46, oltre interessi e spese. Precisò che la Corte d’appello, nel 2014, aveva poi ridotto l’importo ad Euro 18.909,16, ma aveva dichiarato inammissibile l’eccezione di decadenza in quanto sollevata per la prima volta in appello. Riferì quindi che, con successiva transazione del 25 luglio 2015, essa si era impegnata a corrispondere al lavoratore la somma di Euro 25.000,00, riconoscendo allo stesso anche quanto ricavato dalla vendita all’asta di un autocarro oggetto di pignoramento.
 Esteso  il  contraddittorio  nei  confronti  della  RAGIONE_SOCIALE, chiamata in causa dal convenuto per esserne eventualmente manlevato, il Tribunale pronunciò  sentenza  n.  4110  del  2020  con  la  quale,  ritenuta  la responsabilità professionale del AVV_NOTAIO, lo condannò al risarcimento del danno patrimoniale liquidandolo in Euro 34.692,03, oltre accessori e spese di lite; accolse la domanda di manleva al netto della franchigia
contrattuale;  compensò  le  spese  di  lite  tra  l’AVV_NOTAIO  e  la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
3. In accoglimento del gravame interposto dall’AVV_NOTAIO e in conseguente integrale riforma di tale decisione , la Corte d’appello di Lecce, con sentenza n. 78/2023, resa pubblica il 25 gennaio 2023, ha rigettato la domanda risarcitoria della RAGIONE_SOCIALE, dichiarando assorbita la domanda di garanzia e compensando integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio; ha inoltre condannato la RAGIONE_SOCIALE a restituire alla RAGIONE_SOCIALE la somma di Euro 38.177,72, ricevuta in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre interessi legali.
Ha infatti escluso l’esistenza di un nesso di causa tra la condotta del legale e l’esito negativo della causa da lui patrocinata ritenendo fondata la tesi difensiva al riguardo opposta dal AVV_NOTAIO secondo cui l’evocato CCNL non era direttamente applicabile al rapporto, né dunque avrebbe potuto con successo essere eccepito il termine decadenziale ivi previsto, essendo piuttosto tale contratto richiamato in quel giudizio ─ sia nel ricorso del lavoratore che nella memoria difensiva del datore di lavoro ─ ai soli fini della parametrazione ex art. 36 Cost. delle voci retributive di fonte legale pretese dal lavoratore.
Ha in tal senso anche rimarcato che, nel giudizio presupposto, il COGNOME non aveva avanzato pretese fondate su disposizioni pattizie né erano insorte questioni in ordine ad istituti pattizi quali la decadenza convenzionale, questioni tutte rispetto alle quali il tema dell’applicabilità del CCNL era rimasto estraneo, essendo invece prevedibile che, ove una tale questione fosse sorta, si sarebbe sviluppato tra le parti un contraddittorio vertente sugli indici elaborati dalla giurisprudenza sulla ricorrente questione dell’applicabilità ai singoli rapporti della contrattazione collettiva: indici, nella specie, secondo la Corte pugliese, mancanti, non essendovi prova né della iscrizione delle parti alle associazioni di categoria stipulanti il CCNL in
questione, né dell’adesione espressa ad esso, né, infine, dell’applicazione al rapporto di istituti pattizi, sia di contenuto patrimoniale, sia riguardanti la parte normativa.
Avverso tale decisione la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione articolando sette motivi, cui resistono entrambi gli intimati depositando controricorsi.
 La  trattazione  è  stata  fissata  in  adunanza  camerale  ai  sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. La ricorrente e i controricorrenti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I primi quattro motivi di ricorso investono la  sentenza impugnata  nella  parte  in  cui  ha  ritenuto  insussistente  la  dedotta responsabilità professionale dell’appellante .
Con essi rispettivamente si deduce:
─ o messo esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., per avere l a Corte d’ appello omesso di considerare le statuizioni contenute nelle sentenze del giudizio di lavoro presupposto, che avevano accertato l’applicazione del CCNL Edilizia Artigianato al rapporto di lavoro tra RAGIONE_SOCIALE e il dipendente COGNOME, essendo stata in particolare in quella d’appello dichiarata inammissibile l’eccezione di decadenza solo perché tardivamente proposta soltanto nel giudizio di secondo grado;
─ in subordine, error in procedendo per omessa motivazione su tale circostanza, in violazione dell’ art.  132, secondo comma, num. 4, cod. proc.  civ.,  non  avendo  la  Corte  di  merito  fornito  una  motivazione adeguata  sul  perché  le  statuizioni  del  giudizio  presupposto  fossero irrilevanti, violando l’obbligo di motivazione e il “minimo costituzionale”;
─ nullità della sentenza per violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 404, primo comma, c.p.c., ex art. 360, primo comma, num. 4, cod.
proc.  civ.,  per  avere  l a  Corte  d’ appello  ignorato  le  statuizioni  del giudizio presupposto, proponendo una ricostruzione alternativa dei fatti senza considerare che l’ AVV_NOTAIO avrebbe dovuto impugnare tali statuizioni mediante opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c.;
─ v iolazione e/o falsa applicazione degli artt. 2733, primo comma, e 2735, secondo comma, c.c., ex art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., per avere l a Corte d’ appello erroneamente escluso il valore confessorio delle affermazioni dell’AVV_NOTAIO contenute nella memoria di costituzione e risposta nel giudizio di lavoro, ove era evocata ad altri fini l’applicazione del CCNL suindicato , ignorando il dovere di verità, lealtà e correttezza imposto agli avvocati dal codice deontologico forense.
Gli altri tre motivi investono, invece, la sentenza impugnata nella parte in cui ha condannato la RAGIONE_SOCIALE alla restituzione delle somme ad essa versate da RAGIONE_SOCIALE.
Denuncia al riguardo la ricorrente:
─ nullità della sentenza per violazione dell’art. 336 c.p.c. , ex art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., per avere l a Corte d’ appello accolto la domanda  di restituzione delle somme  versate  dalla RAGIONE_SOCIALE, nonostante questa non avesse impugnato la sentenza di primo grado né formulato la richiesta di restituzione con un atto di appello autonomo o incidentale;
─ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 336 c.p.c. , ex art. 360, primo  comma,  num.  3,  cod.  proc.  civ.,  in  relazione  alla  medesima doglianza;
─ v iolazione e/o falsa applicazione degli artt. 1917, secondo comma e 2033 c.c., ex art.  360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., per avere  l a  Corte  d’ appello  adottato  la  statuizione  censurata  in  favore della RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE,  nonostante  quest’ultima  non  avesse fornito prova di aver effettuato il pagamento su richiesta dell’assicurato o previa comunicazione a quest’ultimo ; sostiene che in assenza di tale
prova, la RAGIONE_SOCIALE poteva rivolgere la richiesta di restituzione solo al proprio assicurato.
3. I primi quattro motivi sono infondati.
Giova premettere che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, « la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente » (Cass. n. 10966 del 2004; n. 34787 del 2022), con la conseguenza che « la mancanza di elementi probatori, atti a giustificare una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito dell’attività del prestatore d’opera, induce ad escludere l’affermazione della responsabilità del legale, in quanto la responsabilità dell’esercente la professione forense non può affermarsi per il solo fatto del mancato corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se, qualora l’avvocato avesse tenuto la condotta dovuta, il suo assistito avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale ed il risultato derivatone » (v., ex multis , Cass. n. 11901 del 2002; n. 9917 del 2010; n. 22376 del 2012; n. 2638 del 2013; n. 1984 del 2016; n. 25112 del 2017; n. 13873 del 2020; n. 4655 del 2021; n. 33466 del 2022).
Secondo altrettanto costante insegnamento il giudizio sul nesso causale tra condotta omissiva del professionista ed esito negativo della prestazione ─ da compiere, come detto, sulla base di una valutazione necessariamente probabilistica circa l’esito della causa ove fosse stata adottata la condotta omessa ─ è riservato al giudice di merito, con decisione non sindacabile da questa Corte se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ratione temporis vigente.
È vero, infatti, che, nelle cause di responsabilità professionale nei
confronti degli avvocati, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione prognostica circa il probabile esito dell’azione giudiziale è una valutazione connotata da un contenuto giuridico, fondata cioè su di una previsione probabilistica di contenuto tecnico giuridico, ma nel giudizio di responsabilità professionale dell’avvocato tale valutazione, ancorché in diritto, assume i connotati di un giudizio di merito, il che esclude che questa Corte possa essere chiamata a controllarne l’esattezza in termini giuridici (in tal senso, Cass. 13/02/2014, n. 3355, secondo cui « nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la valutazione prognostica compiuta dal giudice di merito circa il probabile esito dell’azione giudiziale malamente intrapresa o proseguita, sebbene abbia contenuto tecnico-giuridico, costituisce comunque valutazione di un fatto, censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione »; v. anche, in senso conforme, Cass. 20/08/2015, n. 17016; 28/06/2016, n. 13292; 8/11/2016, n. 22606; 26/09/2017, n. 22420; 20/03/2018, n. 6862; 26/06/2018, n. 16803; 12/07/2018, n. 18455; 14/11/2022, n. 33466; 25/07/2023, n. 22451).
Da ultimo, Cass. 11/11/2024, n. 28903, ha ribadito tale principio facendo  salva  tuttavia  l’ipotesi  della sindacabilità  della  decisione  di merito sub  specie di error  iuris per vizio  di  sussunzione nella  sola eccezionale ipotesi in cui la valutazione del giudice di merito si fondi su un presupposto manifestamente e totalmente errato di  modo che la questione posta al giudice del merito sia di puro diritto .
 Nel  caso  di  specie  le  censure  si  muovono  astrattamente  nel rispetto  di  tali  coordinate,  ma  si  appalesano,  come  detto,  infondate quando non inammissibili.
Non sussiste, anzitutto, il vizio ─ dedotto con il primo motivo ─ di omesso esame delle sentenze rese nel giudizio di presupposto.
La Corte di merito, invero, ha chiaramente espresso (v. pag. 11, prime righe) il convincimento secondo cui, in queste sentenze, « tale
tema (s’intende,  quello  della  integrale  applicazione  del  CCNL  in questione,  anche  per  la  parte  normativa  e  segnatamente  per  l’ivi previsto termine decadenziale per far valere pretese creditorie) non fu affrontato »  e  ciò  perché  era  estraneo  all’oggetto  del  giudizio,  non avendo il COGNOME avanzato pretese fondate su disposizioni pattizie né essendo insorte questioni in ordine ad istituti pattizi quale la decadenza convenzionale.
Appare evidente che tale motivazione esprime o comunque implica una valutazione se non altro di non decisività, nel senso preteso dalla società  odierna  ricorrente,  delle  affermazioni  contenute  in  dette sentenze; si ricade, dunque, sul piano della valutazione di merito del materiale istruttorio, come detto, insindacabile.
 Tanto  meno  è  configurabile  al  riguardo  il  vizio,  in  subordine dedotto con il secondo motivo, di motivazione apparente.
Occorre al riguardo ribadire che, intanto un vizio di motivazione omessa o apparente è configurabile, in quanto, per ragioni redazionali o sintattiche o lessicali (e cioè per ragioni grafiche o legate alla obiettiva incomprensibilità o irriducibile reciproca contraddittorietà delle affermazioni  delle  quali  la  motivazione  si  componga),  risulti  di  fatto mancante e non possa dirsi assolto il dovere del giudice di palesare le ragioni della propria decisione (v. Cass. Sez. U. 7/04/2014, nn. 8053 8054).
Non può, invece, un siffatto vizio predicarsi quando, a fronte di una motivazione in sé perfettamente comprensibile, se ne intenda diversamente evidenziare un mero disallineamento dalle acquisizioni processuali (di tipo quantitativo o logico: vale a dire l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione).
In  questo  secondo  caso,  infatti,  il  sindacato  che  si  richiede  alla Cassazione non attiene alla verifica della motivazione in sé, quale fatto processuale  riguardato  nella  sua  valenza  estrinseca  di  espressione linguistica (significante) idonea a veicolare un contenuto (significato) e
frutto dell’adempimento del dovere di motivare (sindacato certamente consentito alla Corte di cassazione quale giudice anche della legittimità dello  svolgimento  del  processo:  cfr.  Cass.  Sez.  U.  22/05/2012,  n. 8077), ma investe proprio il suo contenuto (che si presuppone, dunque, ben  compreso)  in  relazione  alla  correttezza  o  adeguatezza  della ricognizione della quaestio facti .
Una motivazione in ipotesi erronea sotto tale profilo non esclude, infatti, che il dovere di motivare sia stato adempiuto, ma rende semmai sindacabile il risultato di quell’adempimento nei ristretti limiti in cui un sindacato sulla correttezza della motivazione è consentito, ossia, secondo la vigente disciplina processuale, per il diverso vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.), salva l’ipotesi dell’errore revocatorio.
Nella  specie  la  motivazione  è  perfettamente  comprensibile  ed  è anche da escludere, per quanto sopra detto, la configurabilità di un vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Manifestamente infondato è anche il terzo motivo, non potendosi predicare alcun vincolo di giudicato derivante nel presente giudizio dalle statuizioni rese in quello presupposto nel corso del quale è stata svolta l’attività professionale asseritamente inadempiente e fonte di danno; ciò, a tacer d’altro e in via assorbente, per sin troppo evidenti ragioni soggettive (l’AVV_NOTAIO non era parte, in senso sostanziale, di quel giudizio) ma anche oggettive, posto che nessuna statuizione resa in quel giudizio costituisce presupposto logico necessario del diritto risarcitorio da responsabilità professionale azionato nel presente giudizio.
La violazione dell’art. 404, primo comma, c.p.c., è poi dedotta in termini  sostanzialmente  apodittici,  non  leggendosi  a  supporto  della stessa alcuna comprensibile argomentazione (ci si limita in ricorso ad
una sommaria descrizione della norma senza alcuna indicazione delle ragioni  per  le  quali  essa  dovrebbe  ritenersi  disattesa  o  violata  dai giudici di merito nel caso in esame).
Varrà comunque rammentare che:
─ l’opposizione di terzo è data allo scopo di far valere un proprio diritto, mentre nella specie il AVV_NOTAIO non agisce a tutela di un proprio diritto  ma  si  difende  in  giudizio  promosso  da  altri,  negando  la sussistenza  di  preteso  altrui  diritto  risarcitorio  che  nemmeno  trova diretto fondamento in quella sentenza;
─  l’opposizione  di  terzo  ordinaria  non  è  comunque  data  come esclusivo mezzo di tutela trattandosi al contrario di rimedio facoltativo (cfr. Cass. Sez. U. 26/07/2002, n. 11092).
Palesemente destituito di fondamento è anche il quarto motivo.
La  confessione  deve  avere  ad  oggetto  fatti  obiettivi  ─  la  cui qualificazione giuridica spetta al giudice del merito ─ e non già opinioni o giudizi (Cass. n. 21509 del 18/10/2011): l’applicabilità al rapporto di lavoro del CCNL in questione non era un fatto ma piuttosto la tesi che si  sosteneva a certi fini  in  giudizio  nell’interesse  della  società  e  che appunto spettava poi al giudice valutare.
Che  l’AVV_NOTAIO  l’abbia  sostenuta  nel  giudizio  presupposto  in difesa  del  proprio  assistito  non  è,  comunque,  un  fatto  che  possa risultare  a  lui  sfavorevole  nel  giudizio  di  responsabilità  nei  suoi confronti promosso per responsabilità professionale per aver omesso di eccepire tempestivamente la decadenza contemplata da quel CCNL.
Ciò per due ragioni.
Anzitutto  perché,  trattandosi  appunto  di  tesi,  non  è  detto  che sarebbe stata anche la verità giudizialmente accertata, ed è proprio quest’ultimo il diverso oggetto della valutazione prognostica che nel giudizio di responsabilità il giudice era chiamato a fare.
In secondo luogo perché dallo stralcio riportato in ricorso non si ricava  affatto  che  nella  memoria  difensiva  contenente  la  pretesa
dichiarazione confessoria fosse sostenuta l’applicazione integrale del CCNL ma si ricava solo l’affermazione che la società avesse applicato il CCNL senza alcuna specificazione di quale parte e rispetto a quali aspetti del rapporto: non trovano, dunque, smentita, nemmeno sotto tale profilo, le valutazioni della Corte di merito secondo cui si trattò di affermazioni legate al circoscritto tema del giudizio relativo alle sole voci retributive di fonte legale rispetto alle quali il CCNL in questione veniva invocato solo a fini di parametrazione del dovuto ai sensi dell’art. 36 Cost..
9. Sono anche infondati gli altri tre motivi relativi alla condanna alla restituzione  alla RAGIONE_SOCIALE  delle  somme  da  questa versate in esecuzione della sentenza di primo grado.
10. I motivi quinto e sesto ─ congiuntamente esaminabili, essendo con essi prospettata la medesima  doglianza  solo diversamente qualificata in termini rispettivamente di error in procedendo (art. 360 n.  4)  e  di error  in  iudicando (360  n.  3)  ─  sono  manifestamente infondati.
Precisato che, in astratto, l’erronea applicazione dell’art. 336 c.p.c. concreta un errore di governo del processo, dunque riconducibile alla ipotesi di cui al n. 4 e non al n. 3 dell’art. 360, va escluso che nella specie  un  tale  errore  sia  ascrivibile  alla  Corte  per  aver  accolto  la domanda di restituzione delle somme avanzata in appello da una parte non appellante.
Ai fini della relativa legittimazione non può, infatti, ritenersi necessario che la parte che ne faccia istanza si faccia autrice dell’impugnazione il cui accoglimento comporta l’effetto restitutorio, ben potendo essa limitarsi a partecipare al giudizio quale portatrice di un interesse e di una posizione processuale dipendenti da quelli di altra parte (come tipicamente nel caso, che nella specie ricorre, di terzo chiamato in garanzia) e beneficiare degli effetti anche a sé favorevoli dell’accoglimento dell’impugnazione da questa proposta.
Ciò in quanto la restituzione delle somme versate non è contenuto di una statuizione che riformi o annulli la decisione impugnata e che, come tale, richieda una specifica impugnazione della parte che quelle somme ha versato, ma costituisce il contrarius actus di un’attività meramente esecutiva della statuizione riformata o annullata, diretto al ripristino della situazione preesistente alla decisione riformata o annullata; come tale esso piuttosto presuppone una pronuncia di riforma o cassazione già emessa e ne rappresenta un effetto già ex lege correlato a quella pronuncia senza alcun’altra condizione.
Va in tal senso ribadito che l’art. 336, secondo comma, cod. proc. civ., secondo cui « la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata », comporta che, a seguito della sentenza di riforma, vengono meno immediatamente ─ al fine di scoraggiare successive impugnazioni proposte a scopo dilatorio ─ sia l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, sia l’efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, conseguentemente rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con la ulteriore conseguenza che il giudice di appello ha il potere di adottare direttamente i provvedimenti capaci di ripristinare la situazione precedente, non diversamente da quanto accade nella situazione disciplinata dall’art. 669novies cod. proc. civ., in cui il giudice, nel dichiarare l’inefficacia del provvedimento cautelare, deve dare direttamente le disposizioni necessarie a ripristinare la situazione precedente (v., in motivazione, Cass. 9/10/2012, n. 17227, e ivi richiamati altri precedenti conformi).
11. Discende dalle superiori considerazioni l’infondatezza anche del settimo motivo.
È dirimente al riguardo il rilievo che la RAGIONE_SOCIALE è stata, in primo grado, condannata a tenere indenne l’assicurato dalla statuizione  di condanna nei suoi confronti pronunciata; tra le modalità attuative di tale statuizione vi era certamente il pagamento diretto delle somme
oggetto di detta condanna da parte della RAGIONE_SOCIALE nei confronti del creditore (v. il dispositivo della sentenza di primo grado, pure riportato a pag. 3 della sentenza impugnata in questa sede).
Diretta e appropriata modalità di ripristino della situazione preesistente, in dipendenza della riforma integrale di quella statuizione di  condanna, non può che essere allora la restituzione delle somme direttamente nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
La memoria che, come detto, è stata depositata dal ricorrente, ai  sensi  dell’art.  380bis.1 ,  primo  comma,  cod.  proc.  civ.,  non  offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi
Per le considerazioni che precedono il  ricorso deve essere in definitiva rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione, in favore  dei  controricorrenti,  delle  spese  processuali, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,  da  parte  della  ricorrente ,  ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1 -quater ,  d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno, in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME