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Responsabilità professionale avvocato: onere della prova

Un cliente ha citato in giudizio il proprio avvocato per responsabilità professionale, sostenendo di aver perso la possibilità di ottenere un risarcimento per un sinistro stradale a causa della sua negligenza. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che la colpa del legale non è sufficiente. Per ottenere il risarcimento, il cliente ha l’onere di provare che, senza l’errore del professionista, avrebbe avuto concrete e elevate probabilità di vincere la causa. Il danno, quindi, non è automatico (in re ipsa), ma va dimostrato in concreto.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Responsabilità Professionale Avvocato: Non Basta la Negligenza, Serve la Prova del Danno

La questione della responsabilità professionale avvocato è un tema delicato che tocca il cuore del rapporto di fiducia tra legale e cliente. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per ottenere un risarcimento, non è sufficiente dimostrare un errore o una negligenza del professionista. Il cliente deve anche provare che, senza tale errore, avrebbe avuto elevate probabilità di ottenere un risultato favorevole. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dalla richiesta di risarcimento danni avanzata da un cliente nei confronti del suo ex avvocato. Il cliente lamentava che, a seguito di un sinistro stradale in cui aveva subito lesioni personali, l’avvocato non aveva adempiuto correttamente ai propri doveri professionali, causandogli la perdita della possibilità di ottenere un giusto risarcimento.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano rigettato la domanda. Secondo i giudici di merito, il cliente non aveva fornito elementi sufficienti per dimostrare che, anche se l’avvocato avesse agito con la massima diligenza, l’azione legale avrebbe avuto un esito positivo. Di fronte a queste decisioni, il cliente ha proposto ricorso in Cassazione.

Le Argomentazioni del Ricorrente

Davanti alla Suprema Corte, il ricorrente ha sostenuto che la responsabilità professionale avvocato dovrebbe essere considerata insita nella violazione degli obblighi contrattuali. Secondo la sua tesi, l’inadempimento del legale al dovere di diligenza e informazione costituirebbe di per sé un danno risarcibile, identificabile nella cosiddetta “perdita di chances”. In altre parole, la semplice condotta negligente del professionista sarebbe sufficiente a generare un diritto al risarcimento, poiché avrebbe privato il cliente della possibilità di un esito favorevole.

La Decisione della Cassazione sulla Responsabilità Professionale Avvocato

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per fare chiarezza sui presupposti della responsabilità professionale avvocato. Hanno stabilito che la negligenza del legale non genera automaticamente un danno risarcibile. Il danno non è in re ipsa, cioè non è implicito nella condotta stessa.

Perché la richiesta di risarcimento possa essere accolta, il cliente deve adempiere a un preciso onere probatorio, dimostrando due elementi fondamentali:

1. La condotta negligente dell’avvocato (l’errore o l’omissione).
2. Il nesso di causalità tra tale condotta e il danno subito. Questo danno si concretizza nella perdita di un risultato favorevole che, con un alto grado di probabilità, si sarebbe potuto ottenere.

In sostanza, il cliente deve convincere il giudice che la sua causa originaria, se fosse stata gestita correttamente, avrebbe avuto buone possibilità di successo.

le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che l’obbligazione dell’avvocato è un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Questo significa che il legale si impegna a prestare la propria opera con diligenza e competenza, ma non può garantire la vittoria della causa. Di conseguenza, il semplice fatto di non aver ottenuto il risultato sperato non è di per sé prova di un inadempimento.

Per affermare la responsabilità del professionista, è necessario un giudizio “prognostico”. Il giudice deve valutare, in via ipotetica, quale sarebbe stato l’esito del giudizio se l’avvocato non avesse commesso l’errore. Solo se tale esito fosse stato, con elevata probabilità, favorevole al cliente, allora si può parlare di un danno risarcibile. Nel caso di specie, il ricorrente non è riuscito a fornire questa prova, limitandosi a lamentare la condotta del legale senza dimostrare la fondatezza nel merito della sua pretesa originaria. La tesi del danno in re ipsa, secondo la Corte, è stata correttamente denegata dalla giurisprudenza di legittimità, poiché svuoterebbe di contenuto l’onere della prova che grava su chi agisce per il risarcimento.

le conclusioni

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale ormai granitico in materia di responsabilità professionale avvocato. Le implicazioni pratiche sono notevoli: chi intende agire contro il proprio legale per un presunto errore deve prepararsi a una battaglia processuale complessa. Non basta affermare di aver subito un torto, ma è necessario ricostruire l’intera vicenda originaria e dimostrare, con prove concrete, che le proprie ragioni erano fondate e che l’esito favorevole era più che una semplice speranza. Questa decisione, quindi, serve da monito: la richiesta di risarcimento contro un professionista richiede una preparazione rigorosa e una solida base probatoria, al di là della semplice contestazione di un errore tecnico.

La negligenza di un avvocato comporta automaticamente un diritto al risarcimento per il cliente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la negligenza del legale non è sufficiente. Il cliente deve anche dimostrare che tale negligenza ha causato un danno concreto, ovvero la perdita di un risultato favorevole che si sarebbe molto probabilmente ottenuto.

Cosa deve dimostrare un cliente per ottenere un risarcimento per responsabilità professionale dell’avvocato?
Il cliente deve provare non solo la condotta negligente o l’errore del professionista, ma anche il nesso di causalità tra questo e il danno. In particolare, deve dimostrare che, se l’avvocato avesse agito correttamente, l’azione legale avrebbe avuto un esito favorevole con un alto grado di probabilità.

Il danno da “perdita di chances” è considerato “in re ipsa”, cioè implicito nella condotta dell’avvocato?
No. La Corte ha ribadito che il danno da perdita di chance non è mai in re ipsa. Il cliente non può limitarsi a lamentare la perdita di un’opportunità, ma deve fornire la prova concreta che tale opportunità era seria, apprezzabile e dotata di elevate probabilità di successo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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