Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19439 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19439 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13432/2023 R.G., proposto da
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura in calce al ricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-ricorrente-
nei confronti di
NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura in calce al controricorso; con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza n. 860/2023 del la CORTE d’APPELLO di BOLOGNA, pubblicata il 19 aprile 2023, notificata il 21 aprile 2023; udìta la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. NOME COGNOME convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Modena l’Avv. NOME COGNOME domandandone la condanna al risarcimento dei danni sofferti in conseguenza dell’ inadempimento, da parte della convenuta , dell’obbligazione professionale assunta nei suoi confronti;
espose che la Unipol Banca s.p.a., di cui essa era stata dipendente, aveva introdotto, presso il Tribunale di Verona, una causa (iscritta al n. di R.G. 1088/2003) per l’ accertamento della legittimità di sanzioni disciplinari irrogate nei suoi confronti e che l’Avv. COGNOME ricevuto da lei il mandato per ché l’assistesse in questa controversia, aveva omesso di costituirsi nel termine previsto dalle norme sul rito lavoristico, omettendo di comparire all’udienza del 24 settembre 2004 ;
dedusse che, per effetto dell’omessa costituzione in giudizio, la causa n. 1088/2003, svoltasi in sua contumacia, si era conclusa con la sua soccombenza e condanna alle spese;
aggiunse che, in ragione della mancata difesa in questo processo (e del conseguente accertamento processuale della legittimità delle sanzioni disciplinari applicatele), ella era risultata soccombente anche nel successivo giudizio (iscritto al n. di R.G. 1058/2005) da lei introdotto, sempre dinanzi al Tribunale di Verona, ed avente ad oggetto la condanna della sua datrice di lavoro al risarcimento del danno per mobbing ;
la professionista convenuta resistette alla domanda, negando di avere ricevuto mandato per la costituzione in giudizio nel procedimento n. 1088/2003 e deducendo di avere avuto comunicazione di questo
procedimento solo il giorno prima dell’udienza, allorché erano ormai scaduti i termini per la tempestiva costituzione;
il Tribunale di Modena, con sentenza del 16 marzo 2016, ritenuto non provato il tempestivo conferimento del mandato in epoca antecedente alla scadenza del termine per la costituzione in giudizio, rigettò la domanda proposta da NOME COGNOME
la decisione del Tribunale modenese è stata integralmente confermata dalla Corte d’appello di Bologna, la quale, con sentenza 19 aprile 2023, n. 860, ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME COGNOME sulla base delle seguenti considerazioni:
Iin primo luogo, alla luce delle risultanze istruttorie, trovava conferma il rilievo circa l’ ‘ insufficiente ‘ dimostrazione dell’ avvenuto conferimento dell’ incarico alla professionista in relazione alla causa n.1088/2003; la sig.ra COGNOME infatti, aveva prodotto la copia di una comunicazione a mezzo fax delle ore 19.18 del 23 settembre 2004 (giorno precedente l’udienza) con cui l’Avv. COGNOME aveva chiesto al collega avversario di instare per un « rinv io dell’udienza al fine di potersi costituire »; questo documento, però, in mancanza di una prova documentale della procura (o di una prova testimoniale della circostanza del suo avvenuto rilascio), diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, lungi dal provare il tempestivo rilascio di un mandato difensivo, confermava piuttosto le diverse deduzioni della professionista convenuta, ovverosia che essa era stata informata della pendenza del processo dinanzi al giudice del lavoro di Verona solo il giorno prima dell’udienza, quando era ormai maturata la barriera preclusiva prevista dalle norme sul rito lavoristico, cosicché aveva
tentato la mossa estrema della richiesta di rinvio, senza peraltro ottenere questo risultato;
IIin secondo luogo, avuto riguardo alle deduzioni dell’appellante secondo cui comunque l’Avv. COGNOME avrebbe dovuto costituirsi in giudizio, sostenendo, sia pur tardivamente, la sua difesa, instando per la rimessione in termini o, almeno, confidando sull’esercizio dei poter i istruttori officiosi del giudice del lavoro, doveva escludersi che la sig.ra COGNOME avesse avuto contezza dell ‘ omissione della professionista soltanto nel luglio 2006, all’esito della notifica della sentenza conclusiva del procedimento n. 1088/2003; tale circostanza, infatti, era smentita sia dal contegno successivo tenuto dall’appellante (che, anziché rivolgersi ad altro legale per valutare le mancanze professionali dell’Avv. COGNOME le aveva dato l’incarico di trattare con il collega di controparte i termini del rimborso delle spese legali), sia dalla circostanza -emergente dalla stessa sentenza -che la sig.ra COGNOME non era comparsa a rendere l’ interrogatorio formale richiesto dalla controparte medesima e ammesso dal giudice, il che lasciava presumere che, in quanto parte contumace, avesse ricevuto personale notifica dell’ordinanza ammissiva del mezzo istruttorio ;
IIIin terzo luogo, quanto al successivo giudizio n. 1058/2005, non corrispondeva al vero che il Tribunale di Verona avesse rigettato la domanda di risarcimento del danno per mobbing in ragione dell’accertamento della legittimità delle sanzioni disciplinari pronunciato nel giudizio precedente in contumacia della lavoratrice; la domanda risarcitoria, infatti, era stata ritenuta non fondata nel merito, evidenziandosi, per un verso, il carattere generico dei comportamenti
addebitati al direttore della filiale bancaria ove la sig.ra COGNOME aveva prestato servizio ed escludendosi, per altro verso, che le diverse sanzioni disciplinari (irrogate all’appellante nell’ambito di quattro distinti procedimenti disciplinari per specifiche mancanze commesse nello svolgimento del rapporto di lavoro) potessero essere considerate espressioni di una condotta di mobbing ;
IVinfine, al di là del carattere ‘ insufficiente ‘ della prova del conferimento dell’i ncarico professionale, mancava ‘ totalmente ‘ quella della circostanza -per vero neppure allegata -del nesso causale tra l’ eventuale inesatto adempimento e l’evento di danno, da dimostrarsi alla stregua giudizio controfattuale, espresso in termini probabilistici, che la posizione in essere della dovuta condotta professionale da parte dell’avvocato avrebbe consentito di accertare la fondatezza delle ragioni della cliente;
avverso la sentenza della Corte felsinea ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di due motivi; ha risposto con controricorso NOME COGNOME
in data 11 febbraio 2024, il consigliere a ciò delegato ha proposto la definizione del ricorso ai sensi dell’art.380 -bis cod. proc. civ., sul presupposto dell’inammissibilità dell e censure con esso proposte;
ricevuta la comunicazione della proposta, il difensore della ricorrente ha peraltro formulato tempestiva istanza di decisione del ricorso, la cui trattazione è stata quindi fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. proc. civ.;
il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
Considerato che:
1.1. con il primo motivo viene denunciata la violazione dell’art. 2697 cod. civ.;
la sentenza d’appello è censurata, da un lato, per aver ritenuto non provato il tempestivo conferimento del mandato difensivo all’Avv. COGNOME da parte della sig.ra COGNOME; dall’altro lato, per avere invece ritenuto provato che al l’omessa costituzione tardiva ( successiva alla prima udienza, ma pur sempre potenzialmente utile, anche avuto riguardo alla struttura inquisitoria e officiosa del processo del lavoro) avrebbe corrisposto la consapevole determinazione della cliente di proseguire il processo in contumacia, pur correttamente informata delle implicazioni della mancata costituzione;
quanto al primo profilo, la ricorrente deduce che la prova del previo conferimento del mandato difensivo avrebbe dovuto essere desunta dall’ « evidenza documentale » risultante dal fax inviato la sera prima dell’udienza del 24 settembre 2004, in cui, nel chiedere al collega avversario di instare per un rinvio dell’udienza, l’Avv. COGNOME aveva scritto di agire « in nome e per conto della Sig.ra COGNOME NOME »; questa espressione, infatti, avrebbe evocato il rapporto di rappresentanza già instauratosi tra la cliente e la professionista con il conferimento del mandato difensivo;
quanto al secondo profilo, la ricorrente sostiene che, a fronte della produzione, da parte sua, di un documento, « mai contestato », in cui il legale aveva espressamente affermato di agire su mandato del proprio cliente , l’Av v. COGNOME avrebbe dovuto provare sia di averla debitamente informata del mancato rinvio (con annesse conseguenze)
dell’udienza del 24 settembre 2004, sia di avere condiviso con lei la decisione di non costituirsi neppure tardivamente, scegliendo di proseguire il giudizio in contumacia e di accettare il rischio della soccombenza e della condanna alle spese; tali circostanze, invece, non sarebbero state provate, in quanto le argomentazioni della Corte territoriale, al riguardo, sarebbero state fondate soprattutto « su argomenti di ‘logica pr e suntiva’ », quali la «’pacifica’ gestione della soccombenza nel giudizio contumaciale » e la « ‘presunta’ (e indimostrata!) regolare notifica dell’ordinanza ammissiva dell’ interrogatorio libero nel giudizio di cui alla soccombenza » (pag. 4 del ricorso); argomenti, entrambi, privi di consistenza probatoria e non univoci, in quanto compatibili anche con la diversa versione dei fatti da lei fornita;
1.2. con il secondo motivo viene denunciata la violazione dell’art.2236 cod. civ.;
la sentenza d’appello è censurata per avere ritenuto non provato il nesso eziologico tra l’evento di danno subìto da NOME COGNOME e il dedotto inadempimento professionale di NOME COGNOME;
la ricorrente sostiene che l’efficienza causale della condotta inadempiente dell’Avv. COGNOME sarebbe desumibile dalla motivazione della sentenza emessa dal Tribunale di Verona a conclusione del procedimento n. 1058/2005, di rigetto della domanda risarcitoria per mobbing ; questa sentenza, evidenziando, in uno specifico passaggio motivazionale, che « i numerosi comportamenti addebitati alla ricorrente nei vari procedimenti disciplinari possono avere indotto la banca ad ottenere un comportamento più
rigido e meno tollerante », farebbe emergere « come l’ incompiutezza e l ‘ assenza di istruttoria e, comunque, di articolazione difensiva nel giudizio ‘disciplinare’ impedito di poter far emergere il contesto prodromico a quei singoli episodi sanzionatori, nonché quello postumo », così « compromettendo, proprio, quella necessaria allegazione probatoria che costituisce la spina dorsale di un ‘ azione di richiesta di risarcimento per mobbing » (pag.7 del ricorso);
in sostanza, a causa dell’ inadempimento posto in essere dall’Avv. COGNOME nel primo giudizio, la sig.ra COGNOME non sarebbe stata in grado di dimost rare, nel secondo, né l’avvenuta contestazione, da parte sua, delle sanzioni disciplinari e delle premesse fattuali che ne avevano determinato l’i rrogazione, né, quindi, l’esistenza di « un collegamento tra gli episodi sanzionatori sub specie di ‘disegno mobbizzante’ » (pag.8 del ricorso);
i motivi di ricorso -da esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione -sono manifestamente inammissibili, conformemente a quanto esattamente osservato nella proposta di definizione anticipata dell’11 febbraio 2024 ;
2.1. essi, infatti, non ostante la loro intestazione (con cui viene formalmente dedotta la violazione di norme di diritto), attengono, nella sostanza, a profili di fatto e tendono a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello espresso dalla Corte d ‘ appello, omettendo di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento – ad esso funzionale delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta,
insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 4/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499);
2.2. la Corte territoriale, con valutazione incensurabile in questa sede, ha motivatamente ritenuto: a) con riguardo alla causa n. 1088/2003, che la creditrice non avesse dato la prova -ad essa spettante secondo le regole di riparto dell’onere probatorio in tema di responsabilità contrattuale professionale -del titolo del vantato credito, ovverosia del conferimento del mandato difensivo, circostanza recisamente negata dalla debitrice; b) che, invece, fosse emersa la prova della consapevolezza (e, pertanto, dell’ accettazione) da parte della cliente, della scelta della professionista, in seguito al mancato rinvio dell’udienza del 24 settembre 2004, di proseguire il giudizio in contumacia; c) con riguardo alla causa n.1058/2005, che il Tribunale di Verona avesse rigettato la domanda di risarcimento del danno per mobbing , non in ragione dell’accertamento della legittimità delle sanzioni disciplinari pronunciato nel giudizio contumaciale precedente, bensì, per aver ritenuto, nel merito, che le sanzioni stesse non costituissero espressione di una condotta di mobbing ;
in ordine al primo profilo, la Corte territoriale non ha trascurato il contenuto del fax spedito dall’Avv. COGNOME al collega avversario la sera prima dell’ udienza del 24 settembre 2004, ma, apprezzandone liberamente l’inferenza probatoria, ha tratto la motivata convinzione che, in mancanza di una prova documentale della procura (o di una prova testimoniale della circostanza del suo avvenuto rilascio), esso
non fosse sufficiente per dimostrare il tempestivo rilascio di un mandato difensivo, costituendo piuttosto una conferma delle diverse deduzioni della professionista convenuta, la quale aveva negato di aver ricevuto tale mandato e aveva affermato di essere stata informata della pendenza del processo solo il giorno prima dell’udienza, sicché non le era rimasta altra possibilità che quella di invocare, purtroppo vanamente, un rinvio della stessa;
in ordine al secondo profilo, il motivato rilievo attribuito dalla Corte di merito, nel pieno rispetto dei criteri del ragionamento presuntivo, alle circostanze della mancata presentazione della sig.ra COGNOME all’udienza fissata per l’interrogatorio formale e dell’attribuzione, da parte sua, all’Avv. COGNOME dell’ incarico post-processuale di trattare con la controparte i termini del rimborso delle spese di lite, costituisce espressione del libero apprezzamento delle risultanze istruttorie; apprezzamento riservato al giudice del merito e insindacabile in sede di legittimità allorché, come nella specie, sia debitamente motivato;
quanto al terzo profilo, l ‘assenza di relazione causale tra la dedotta mancata difesa nel procedimento n. 1088/2003 e il rigetto della domanda risarcitoria formulata da NOME COGNOME nel successivo giudizio n. 1058/2005, è stata fondata dalla Corte d’ appello sul rilievo che la sentenza conclusiva di tale giudizio aveva affermato, per un verso, il carattere generico dei comportamenti addebitati al datore di lavoro e, per l’a l tro, l’ insussistenza dell’ipotizzata fattispecie di mobbing ;
la successiva specificazione, secondo cui « I numerosi comportamenti addebitati alla ricorrente nei vari procedimenti
disciplinari, possono avere indotto la banca a mantenere un atteggiamento più rigido e meno tollerante riguardo al rispetto delle regole che disciplinano il lavoro nella filiale », non è stata trascurata dalla Corte territoriale, la quale, riportando correttamente nella sua interezza formale e nella sua compiutezza concettuale questo passaggio motivazionale, ha evidenziato che, secondo il giudice scaligero, tale più rigido atteggiamento era stato contenuto « pur sempre nei limiti del lecito », confermandosi così il giudizio, espresso poco sopra nella medesima motivazione, secondo cui doveva essere escluso « un disegno preordinato del superiore gerarchico diretto alla emarginazione ed umiliazione della ricorrente » (pag. 5 della sentenza impugnata);
2.3. avuto riguardo alle motivate e incensurabili valutazioni della Corte d ‘ appello, i motivi di ricorso si palesano inammissibili, in quanto tendono a provocare dalla Corte di cassazione una lettura delle risultanze istruttorie e un apprezzamento delle circostanze di fatto diversi da quelli motivatamente forniti dal giudice di merito, i quali sono insindacabili in questa sede di legittimità;
2.4. si conferma, dunque, il giudizio di inammissibilità di entrambi i motivi di ricorso, non essendo ravvisabile, già alla stregua delle deduzioni della ricorrente, per come formulate, né la violazione dell’art. 2697 cod. civ. (la quale è configurabile unicamente quando si contesti che il giudice del merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risultava gravata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla distinzione tra fatti costitutivi ed eccezioni, non anche quando, come nella fattispecie, si
critichi, inammissibilmente, l’apprezzamento che il giudice stesso ha compiuto delle risultanze probatorie: cfr., ex multis , Cass. 29/05/2018, n. 13395 e Cass. 23/10/2018, n.26769), né la violazione dell’art. 2236 cod. civ. (atteso che la limitazione di responsabilità prevista per il professionista da questa disposizione attiene alle sole ipotesi di imperizia, laddove, nella fattispecie, sono state dedotte condotte omissive negligenti ed imprudenti: Cass. 19/04/2006, n. 9085; Cass. 11/12/2023, n. 34516; Cass. 17/02/2024, n. 25026);
in definitiva, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile;
le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
in applicazione del disposto di cui all’art. 380 -bis , ultimo comma, cod. proc. civ., la ricorrente soccombente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente vittoriosa, di una somma equitativamente determinata in Euro 2.000,00, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., oltre interessi legali dal deposito della presente sentenza al saldo, nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma pari ad Euro 500 ,00, ai sensi dell’art.96, quarto comma, cod. proc. civ.;
a norma dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Per Questi Motivi
la Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;
condanna altresì la ricorrente a pagare alla controricorrente, ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ., la somma di Euro 2.000,00, oltre interessi legali dal deposito della presente sentenza al saldo;
condanna, infine, la ricorrente, ai sensi dell’art.96, quarto comma, cod. proc. civ., a pagare alla cassa delle ammende la somma di Euro 500,00;
a norma dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione