Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1040 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1040 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16448/2022 R.G. proposto da : COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE ROMARAGIONE_SOCIALE
-intimati- sul controricorso incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE ROMARAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente incidentale- contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente all’incidentale- nonché contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME
COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-controricorrente all’incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2663/2022 depositata il 22/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 20 giugno 2022 NOME COGNOME illustrato da successiva memoria, impugna la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Roma il 10 Marzo 2022, depositata il 22 Aprile 2022, con ricorso affidato a quattro motivi. L’azienda municipale RAGIONE_SOCIALE di Roma e RAGIONE_SOCIALE hanno notificato separati controricorsi, illustrati da memoria. Ama ha formulato ricorso incidentale autonomo. NOME COGNOME ha notificato controricorso per resistere.
La presente causa origina dall’esito di una controversia di lavoro instaurata innanzi alla Pretura di Roma il 28 novembre 1992 che nel primo grado, in accoglimento del ricorso promosso da una lavoratrice alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE in qualità di architetto, ha condannato RAGIONE_SOCIALE al suo inquadramento nella superiore qualifica dirigenziale e al pagamento in suo favore delle differenze retributive conseguentemente dovute. RAGIONE_SOCIALE, allora patrocinata dall’avvocato NOME COGNOME, impugnava la sentenza, ma la dipendente nel costituirsi eccepiva l’improcedibilità dell’appello poiché proposto oltre i termini di decadenza di 30 giorni. Il tribunale di Roma con sentenza non definitiva respingeva la predetta eccezione di improcedibilità e, accogliendo l’appello di Ama, rigettando la domanda avanzata dalla lavoratrice, riformando la sentenza impugnata nel merito. Impugnata la sentenza d’appello dalla lavoratrice, la Corte di
Cassazione cassava senza rinvio la sentenza del tribunale di Roma, ritenendo regolare l’attività di notifica della sentenza di primo grado al domicilio dell’avvocato patrocinatore di AMA, eseguita il 29 Marzo 1993, e nel cassare la sentenza dichiarava inammissibile l’appello, così definendo il giudizio giuslavoristico.
Per quanto ancora di interesse, AMA instaurava il presente giudizio avverso l’avvocato COGNOME per ottenere il risarcimento del danno conseguente al negligente svolgimento dell’incarico difensivo nella fase di appello della controversia giuslavoristica per mancata osservanza dei termini d’impugnazione. Nel giudizio si costituiva anche la compagnia assicuratrice Generali, chiamata in giudizio dall’avv. COGNOME in base alla polizza stipulata, per resistere alla domanda in quanto vertente su un periodo in cui mancava la copertura assicurativa a termini della polizza.
Nel primo grado, il giudizio veniva definito con l’accertamento della negligenza dell’avvocato, ma con il parallelo rilievo della mancata prova del danno -conseguenza da parte di AMA, sull’assunto che i pagamenti subiti da AMA per reintegrare la lavoratrice nelle mansioni superiori riconosciute nella sentenza di primo grado passata in giudicato non potessero essere provati con la sola produzione delle buste paga della dipendente, in carenza di allegazione dei relativi bonifici, e dunque dei correlati esborsi.
COGNOME svolgeva appello principale producendo nuova documentazione attestante il pagamento alla lavoratrice delle differenze retributive in forza della sentenza di primo grado passata in giudicato, mentre COGNOME svolgeva appello incidentale in punto di affermazione della sua negligenza nello svolgere l’incarico. Nel giudizio la compagnia assicuratrice si costituiva per resistere alla domanda di manleva dell’avv. COGNOME.
La Corte d’appello di Roma accoglieva parzialmente l’appello di RAGIONE_SOCIALE, ammettendo in parte la nuova documentazione prodotta, e, dopo avere confermato la sentenza di primo grado in punto di accertamento dell’ inadempimento dell’avvocato Giurato degli obblighi inerenti al proprio mandato, lo condannava al risarcimento della minor somma di € 158.601, 10, oltre rivalutazione a titolo di lucro cessante e interessi legali, corrispondente ai soli esborsi effettuati da RAGIONE_SOCIALE s.p.a. dopo il 5 febbraio 2015, data dell’udienza di precisazione delle conclusioni nella fase di primo grado. Rigettava, per l’effetto, l’appello incidentale dell’avvocato COGNOME avverso la sentenza di primo grado e rigettava la domanda di garanzia rivolta da quest’ultimo all’assicurazione, in quanto riferita a un periodo non coperto dall’assicurazione.
Il ricorso di COGNOME è affidato a quattro motivi. Ama in via incidentale autonoma ha formulato quattro motivi di ricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di patrocinio legale e diligenza professionale, responsabilità civile, nesso di causalità e criteri di imputazione soggettivi della responsabilità professionale dell’avvocato, nonché in materia di risarcimento dei danni patrimoniali; segnatamente violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 1175 e 1176 2° co. c.c., artt. 1218, 2236 e 1227 c.c., artt. 1223 c.c., artt. 40 e 41 c.p..; violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di onere probatorio, presunzioni semplici e di fatti non contestati, segnatamente violazione e falsa applicazione degli artt. 2696, 2729 c.c. e 115 c.p.c.; violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di ermeneutica contrattuale e di mandato difensivo alle liti,
segnatamente violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1366 e 1703 c.c.; omesso esame di un fatto storico decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.’. Con il secondo motivo , denuncia ‘Violazione del divieto di ius novorum con riferimento alla domanda di risarcimento danni, asseritamente successivi alla sentenza di primo grado, proposta per la prima volta dall’AMA in sede di appello; segnatamente violazione dell’art. 345 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.’. Con il terzo motivo , lamenta: ‘Omessa pronuncia sull’eccezione di difetto di prova in ordine alla riconducibilità dei pagamenti effettuati dall’AMA, asseritamente successivi dalla sentenza di primo grado come dedotti con l’atto di appello principale, al titolo di responsabilità professionale dell’avv. NOME COGNOME; nullità della sentenza impugnata; segnatamente violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.’. Con tale censura il ricorrente denuncia che i giudici dell’appello avrebbero omesso di considerare l’eccezione di difetto di prova in merito ai pagamenti effettuati da Ama successivamente alla sentenza di primo grado, nonché la riconducibilità degli esborsi alla responsabilità professionale del ricorrente. Con il quarto motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di ermeneutica contrattuale, buona fede, e del principio di non contestazione, con riferimento all’operatività della polizza assicurativa per responsabilità professionale dell’avvocato, nonché in tema di inadempimento professionale dell’avvocato, nesso di causalità e produzione del danno; segnatamente violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1366 c.c. 115 c.p.c., nonché dell’art. 1218 e 2935 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’. Il ricorrente denuncia il vizio di violazione di legge in quanto a suo dire i giudici di merito nell’interpretare la polizza stipulata con Generali Italia avrebbero violato i canoni ermeneutici di cui
all’art. 1362 e 1366 e ss nella parte in cui fanno coincidere l’epoca dell’errore professionale al 28.04.1993, termine ultimo per la tempestiva proposizione dell’appello. A dire del ricorrente, la Corte di Appello avrebbe dovuto ricondurre la data dell’errore professionale alla data della pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione che ha accertato la tardività dell’appello, con cui era stata definitivamente accertata la regolarità della notifica della sentenza e il conseguente passaggio in giudicato della sentenza pretorile favorevole alla dipendente dell’AMA.
RAGIONE_SOCIALE ha altresì promosso ricorso incidentale autonomo, censurando la sentenza con quattro motivi: 1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia e/o in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 4 c.p.c., per avere la Corte d’Appello mancato di pronunciarsi sul primo motivo di appello in relazione ai danni patiti, pari alle retribuzioni corrisposte alla lavoratrice anteriormente alla proposizione della citazione del giudizio di primo grado o, nell’ipotesi in cui tale pronuncia dovesse essere ritenuta implicitamente formulata, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. per omessa motivazione della pronuncia in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c; 2) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per avere la Corte di appello violato il principio di non contestazione; 3) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 della Legge 6 agosto 2008 n. 133, dell’art. 20 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, degli artt. 1 e 2 della Legge 5 gennaio 1953, n. 4, dell’art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., poiché, qualora si volesse ritenere che la Corte d’Appello avesse implicitamente fatto proprie statuizioni della sentenza di primo grado, avrebbe indebitamente escluso il valore probatorio delle buste paga circa i pagamenti degli importi ivi indicati; 4) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 co. 1 c.p.c., in combinato disposto con
l’art. 183 co. 6 c.p.c., in relazione all’art. 360 c 1 n. 3. per avere erroneamente la Corte d’Appello ritenuto inammissibili i documenti depositati dall’A.RAGIONE_SOCIALE antecedenti all’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado, attinenti alle somme corrisposte dall’Azienda alla dipendente Veloccia .
Ricorso Principale
Il primo motivo attiene alla doglianza con cui il ricorrente lamenta che la Corte di Appello avrebbe errato nel riconoscere la sua responsabilità, non considerando la circostanza, pacifica, per cui la notifica della sentenza del Pretore di Roma era avvenuta nelle mani del sig. COGNOME soggetto non legato in alcun modo all’avv. Giurato, non abilitato a ricevere le notifiche per suo conto.
10.1. Il motivo è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio decidendi ex art. 366 n. 4 c.p.c. La Corte territoriale, dopo avere correttamente enunciato il principio di diritto in tema di nesso causale tra condotta negligente dell’avvocato e danno-evento, ha ritenuto acclarati sia la responsabilità dell’avvocato per non avere interposto tempestivo appello ( per il tramite della sentenza della Corte di cassazione che ha definito il giudizio cassatorio dichiarando l’inammissibilità del proposto appello), sia il dannoconseguenza (quest’ultimo per il tramite del giudizio controfattuale evocato in premessa della sentenza), indicando che la prova del probabile esito favorevole dell’appello tardivo ‘ deriva proprio dalla sentenza del Tribunale di Roma, allegata dalla parte attrice, che in accoglimento dell’appello da parte dell’Ama riformava in senso a lei favorevole la sentenza del Pretore di condanna al pagamento delle differenze retributive spettanti alla dipendente in virtù dell’inquadramento superiore per le mansioni dalla stessa svolte per l’azienda ‘. Va osservato che il giudizio controfattuale è stato svolto sulla base dell’esame
degli atti del pregresso giudizio giuslavoristico e dell’esito del relativo giudizio, favorevole nel merito per Ama nel grado di appello, ma sfavorevole per quest’ultima in rito nel giudizio di cassazione, e ciò a causa della tardività dell’appello proposto dall’avv.to COGNOME nell’interesse di Ama. Pertanto non vi è spazio, in questa sede processuale di giudizio di legittimità, per riconsiderare fatti inoppugnabili posti a fondamento della valutazione della responsabilità dell’avvocato, attraverso fatti opposti dal ricorrente, in tesi omessi, ma in realtà non capaci di mettere in discussione sia il giudicato formatosi sulla tardività dell’appello, denotante l’inadempimento dell’avvocato ai propri doveri professionali, sia la valutazione prognostica di probabile successo dall’appello, svolta sulla considerazione, altrettanto incensurabile, che il giudice dell’ appello, valutando tutte le circostanze, avrebbe accolto la tesi di AMA, come in realtà è avvenuto nel secondo grado, il cui esito è stato annullato per effetto dell’ accoglimento della eccezione di tardività dell’appello.
Con il secondo motivo di ricorso principale il ricorrente deduce violazione del divieto di ius novorum con riferimento alla domanda di risarcimento dei danni successivi alla sentenza di primo grado, dedotti per la prima volta in sede d’appello, segnatamente in violazione all’articolo 345 c.p.c., là dove la Corte di merito ha consentito la produzione di documentazione attestante atti di pignoramento subiti da AMA dalla propria dipendente in relazione alla controversia giuslavoristica gestita dall’avvocato, passata in giudicato. Tale motivo va considerato unitamente al quarto motivo di ricorso incidentale autonomo di RAGIONE_SOCIALE che, specularmente, deduce la violazione della medesima norma processuale per avere consentito la Corte d’appello solamente la produzione degli
atti e documenti formatisi dopo il 5 febbraio 2015, data di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado, escludendo quelli antecedenti emessi tra il 19 febbraio 2014 e il 18 marzo 2014, perché ritenute nella oggettiva disponibilità di AMA durante il giudizio di primo grado.
11.1. Il secondo motivo di ricorso principale e il quarto motivo di ricorso incidentale meritano una trattazione unitaria, concernendo, sotto diversi profili, la medesima questione sull’ammissibilità o meno del ius novorum nel giudizio di appello.
11.2. Il motivo di ricorso principale è palesemente infondato in iure . Il novellato art. 345, co. 3, c.p.c. ammette, in via eccezionale rispetto al divieto di nova indicato al primo comma, la produzione dei documenti in appello ove la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado, e la Corte di merito, in proposito, ha correttamente ammesso i documenti (gli atti esecutivi subiti dopo il passaggio in giudicato della sentenza) che si sono formati dopo la udienza di precisazione delle conclusioni. Tale limitata facoltà, peraltro, è del tutto slegata dal carattere di indispensabilità delle prova previsto prima della novella del 2012 (Cass.Sez.1-, Ordinanza n. 16289 del 12/06/2024; Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 29506 del 24/10/2023; Cass. Sez. 2 – , Ordinanza n. 20556 del 19/07/2021).
11.3. Il quarto motivo di ricorso incidentale è, invece, inammissibile. Al proposito, occorre confrontarsi con la giurisprudenza che ammette l’allegazione per la prima volta in appello di fatti nuovi accaduti successivamente al verificarsi delle preclusioni in primo grado che avrebbero potuto essere dedotti in quella sede dalla parte interessata nell’arco temporale tra lo spirale delle preclusioni di cui
all’articolo 183 c.p.c. e la pronuncia della sentenza: ciò per evidenti ragioni di economia processuale. La giurisprudenza ha da tempo chiarito che la parte interessata ha l’onere di dedurre già in primo grado il ‘fatto sopravvenuto’ nell’arco temporale tra lo spirare delle preclusioni istruttorie di cui all’art. 183 c.p.c. e la pronuncia della sentenza (Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 18219 del 05/07/2019; Sez. 2, Sentenza n. 5703 del 18/04/2001).
11.4. Tuttavia, il motivo, per una parte, afferma del tutto erroneamente che i documenti precostituiti sono comunque producibili in appello, a differenza delle prove costituende, e ciò in aperto contrasto con il dettato della norma di cui all’art. 345 c.p.c., riferita alla obiettiva impossibilità per la parte di produrli in una fase anteriore; per altra parte, altrettanto erroneamente censura una valutazione in fatto di inammissibilità di alcune prove documentali offerte nella fase di appello, in quanto non attinenti a fatti sopravvenuti (nuovi pagamenti), ma a fatti (pagamenti pregressi) già in tesi effettuati al tempo dell’instaurazione del giudizio e non adeguatamente provati nei termini processuali.
11.5. Il principio applicato dalla impugnata sentenza, invero, è conforme alla giurisprudenza formatasi in relazione all’art. 345 c.p.c., in base alla quale è preclusa la possibilità di produrre nuova documentazione laddove l’oggetto rappresentato avrebbe potuto essere adeguatamente provato in modo tempestivo entro i termini processuali ( cfr. Sez. 3 – , Ordinanza n. 21080 del 27/07/2024; Sez. 2 – , Ordinanza n. 7977 del 11/03/2022; Sez. 2, Sentenza n. 1370 del 21/01/2013). La deduzione, oltre a non offrire, in astratto, una argomentazione fondata in iure , si rivela del tutto non autosufficiente ex art. 366 n. 6 c.p.c. perché omette di specificare se i suddetti pagamenti attestati nella
documentazione non ammessa dal giudice dell’appello, siano successivi o riferiti a quelli dedotti entro i termini (attestati dalle buste paga), ma giudicati non adeguatamente supportati da prove (cfr. Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019).
Con il terzo motivo il ricorrente in via principale denuncia l’omessa pronuncia sull’eccezione apposta dal ricorrente in ordine alla riconducibilità dei pagamenti effettuati da RAGIONE_SOCIALE, asseritamente successivi dalla sentenza di primo grado, in violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360 n. 4 c.p.c. Con tale censura il ricorrente denuncia che i giudici di secondo grado avrebbero omesso di considerare l’eccezione del difetto di prova in merito ai pagamenti effettuati da Ama successivamente alla sentenza di primo grado, nonché la riconducibilità degli esborsi alla responsabilità professionale del ricorrente.
12.1. La censura è inammissibile ex art. 366 n. 6 c.p.c. Dev’essere preliminarmente sottolineata, con particolare riguardo alla censurata violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., l’inammissibilità della dedotta violazione che intende confrontare la congruità della motivazione censurata con elementi tratti aliunde rispetto al solo testo elaborato dal giudice d’appello, non riportato integralmente per la parte che rileva, in violazione del principio di autosufficienza (cfr. Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019).
Con il quarto motivo il ricorrente in via principale deduce violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di ermeneutica contrattuale, buona fede, e del principio di non contestazione, con riferimento all’operatività della polizza assicurativa stipulata con Generali per la responsabilità professionale dell’avvocato, nonché in tema di inadempimento professionale dell’avvocato e nesso di
causalità nella produzione del danno; segnatamente deduce la violazione falsa applicazione degli artt. 1362 , 1366,115 c.p.c., nonché dell’art. 1218 e 2935 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Il ricorrente assume l’erroneità della sentenza là dove ha ritenuto che la clausola di cui all’art. 10 dell’allegato A della polizza, in parziale deroga delle condizioni generali del contratto di assicurazione di cui all’art. 15 (che prevede che l’assicurazione valga per richieste e fatti relativi al periodo di assicurazione), non sia vessatoria laddove subordina, di contro, la indennizzabilità a specifiche condizioni tra cui quella che circoscrive l’efficacia agli errori avvenuti nei tre anni antecedenti la data di stipula del contratto assicurativo.
13.1. La Corte di merito sul punto, dopo avere rilevato che la richiesta di risarcimento è stata ricevuta tre giorni dopo la stipula della polizza, sotto il profilo fattuale ha constatato che il sinistro, per il periodo considerato, non ricadeva nel periodo di copertura assicurativa, posto che la clausola in questione copre i fatti anteriori alla stipula della polizza accaduti sino a tre anni prima della stipula, oltre a quelli futuri, e la clausola che limita la copertura dei fatti già accaduti non risulta comunque vessatoria, ponendo le parti in equilibrio sinallagmatico là dove la polizza estende la copertura assicurativa agli errori pregressi sino a tre anni, ma non li limita per quelli avvenuti dopo la sua sottoscrizione. Quanto al periodo considerato per l’avveramento del sinistro, il 28/04/1993, ha ritenuto che esso non possa coincidere, a tenore della clausola, con la data di accertamento giudiziale del fatto.
13.2. Il motivo, incentrato sulla violazione delle norme sull’ermeneutica contrattuale, è inammissibile in quanto omette di confrontarsi adeguatamente con la ratio decidendi
ex art. 366 n. 4 c.p.c. La censura tende a colpire, piuttosto, l’esito dell’interpretazione contrattuale, svolta sulla base del tenore letterale del contratto di assicurazione e della sua causa concreta che è intesa a coprire solo entro certi limiti i fatti anteriormente accaduti, intendendo invece coprire senza alcun limite gli eventi futuri, mettendo nel giusto equilibrio gli interessi delle parti (cfr. Cass. Sez. U – , Sentenza n. 22437 del 24/09/2018). La censura, invero, omette di rappresentare per quale via in tale decisione sarebbero stati violati i criteri di ermeneutica contrattuale e, pertanto, risulta del tutto aspecifica.
Ricorso incidentale
I motivi 1,2,3 del ricorso incidentale, a parte il quarto sopra già analizzato, sono tutti attinenti alla violazione di norme processuali o sostanziali in merito alla denunciata mancata considerazione del motivo di appello attinente alla asserita rilevanza probatoria delle buste paga, in tesi da ritenersi -contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito- estratti di scritture contabili idonei ad attestare gli esborsi subiti da NOME per risarcire la lavoratrice, e ciò a prescindere dai documenti attestanti le iniziative processuali assunte dalla lavoratrice, ammessi solo in parte nel giudizio di appello. Più precisamente con il primo motivo viene dedotta ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia e/o in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 e n. 4 c.p.c., per avere la Corte d’Appello mancato di pronunciarsi sul primo motivo di appello in relazione ai danni patiti pari alle retribuzioni corrisposte alla lavoratrice anteriormente alla proposizione della citazione del giudizio di primo grado o, nell’ipotesi in cui tale pronuncia dovesse essere ritenuta implicitamente formulata, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. per omessa
motivazione della pronuncia in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.
14.1. Il primo motivo è inammissibile ex art. 366 n. 4 c.p.c. in quanto non si confronta con la pronuncia impugnata, là dove, ha ritenuto di non ammettere le prove testimoniali sul punto in quanto tale circostanza avrebbe dovuto essere oggetto di prova documentale precostituita. Per tale via, difatti il giudice dell’appello dimostra di volersi conformare alla pronuncia di primo grado che ha ritenuto non provati gli esborsi tramite la sola produzione delle buste paga, non suffragate dalla prova dall’effettivo pagamento. Pertanto, non si può affermare che vi sia stata un’omessa pronuncia sul punto, bensì una diversa valutazione di ammissibilità delle prove.
Il secondo e terzo motivo deducono ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per avere la corte di appello violato il principio di non contestazione e ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 39 della Legge 6 agosto 2008 n. 133, dell’art. 20 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, degli artt. 1 e 2 della Legge 5 gennaio 1953, n. 4, dell’art. 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.’ , poiché, qualora si volesse ritenere che la Corte d’Appello avesse implicitamente fatto proprie statuizioni della sentenza di primo grado, avrebbe indebitamente escluso il valore probatorio delle buste paga circa i pagamenti degli importi ivi indicati.
15.1. La seconda censura è inammissibile in quanto non riporta, per la parte che rileva, l’atto processuale da cui desumere la contestazione dell’effettivo pagamento. Inoltre, mette in discussione un apprezzamento istruttorio circa la insufficienza delle buste paga ad attestare l’avvenuto pagamento dei corrispondenti importi da parte del datore di
lavoro, in tale sede insindacabile quanto all’esito dell’apprezzamento svolto dal giudice (così, Sez. U -, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Cass., Sez. 6-3, ordinanza n. 26769 del 23/20/2018; Sez. 3, sentenza n. 20382 dell’11/10/2016; Cass. Sez. 3, sentenza n. 11892 del 10/6/2016).
15.2. La terza censura, invece, è palesemente infondata, posto che le buste paga, anche se sottoscritte dal lavoratore, attestano la sussistenza del credito del lavoratore in quanto annotato nelle scritture contabili del datore di lavoro, ma non il suo soddisfacimento, potendo valere solo come prova del credito (Cass. Sez. 1 – , Ordinanza n. 1649 del 19/01/2022; Sez. 1 – , Sentenza n. 19820 . Sez. 1 – , Ordinanza n. 18169 del 05/07/2019).
Conclusivamente, il ricorso principale e il ricorso incidentale vanno rigettati con compensazione delle spese legali tra le parti. Spese a favore della compagnia assicuratrice a carico del ricorrente principale, liquidate come di seguito
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa integralmente le spese processuali tra ricorrente principale e incidentale. Condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore della compagnia assicuratrice Generali s.p.a. terza chiamata, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro.4.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 , ed agli accessori di legge .
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso principale e il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 22/11/2024.