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Responsabilità professionale architetto e abuso edilizio

Una società immobiliare ha citato in giudizio il proprio architetto per i danni derivanti da un abuso edilizio che ha bloccato un cantiere. La Corte di Cassazione ha confermato una limitazione della responsabilità professionale dell’architetto, stabilendo che la decisione illecita di proseguire i lavori senza autorizzazione era stata presa di comune accordo con la committenza. Di conseguenza, la maggior parte del danno non è risarcibile, in quanto frutto di una scelta condivisa tra le parti.

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Responsabilità professionale architetto: colpa condivisa e risarcimento

Quando un cantiere si ferma a causa di un abuso edilizio, la ricerca del responsabile è immediata. Ma cosa succede se la decisione di procedere illegalmente è condivisa tra committente e professionista? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui confini della responsabilità professionale dell’architetto, stabilendo che il committente non può chiedere il risarcimento per danni derivanti da una scelta illecita concertata. Analizziamo i dettagli di questa importante decisione.

I fatti del caso: da restauro a ristrutturazione abusiva

Una società immobiliare, proprietaria di un prestigioso complesso storico, stipulava un’operazione di sale and lease-back con una banca per trasformare parte della proprietà in una struttura alberghiera. L’operazione era subordinata al restauro di un antico edificio in stato di abbandono.

Per questo compito, veniva incaricato un architetto con il doppio ruolo di progettista e direttore dei lavori. Il progetto iniziale prevedeva un ‘restauro conservativo’. Tuttavia, durante i lavori, emerse la necessità di un intervento molto più radicale, una vera e propria ‘ristrutturazione edilizia’ con demolizioni e ricostruzioni. Questo tipo di intervento richiedeva un permesso specifico che non fu mai richiesto.

I lavori iniziarono ugualmente, ma furono presto interrotti dal Comune, che contestò l’abuso edilizio e chiuse il cantiere. La società ottenne una sanatoria solo dopo oltre due anni, subendo ingenti danni economici a causa del blocco pluriennale. Di conseguenza, citò in giudizio l’architetto per ottenere un cospicuo risarcimento.

La decisione dei giudici di merito

Il Tribunale di primo grado accolse la domanda della società, condannando l’architetto e la sua assicurazione al pagamento di oltre 750.000 euro.

La Corte d’Appello, però, ribaltò parzialmente la sentenza, introducendo una distinzione fondamentale tra due cause di danno:

1. Il danno da errore progettuale: L’architetto aveva effettivamente sbagliato a redigere un progetto inadeguato fin dall’inizio. Per questo errore, era responsabile.
2. Il danno da abuso edilizio: Secondo la Corte, la scelta di procedere con lavori non autorizzati non fu una decisione unilaterale del professionista, ma una scelta illecita e consapevole, concertata con la società committente. Quest’ultima, infatti, avrebbe ottenuto notevoli vantaggi dalla ristrutturazione più estesa, come un aumento del valore dell’immobile.

Sulla base di questa distinzione, la Corte d’Appello ridusse drasticamente il risarcimento, limitandolo al solo danno derivante dall’errore progettuale iniziale (quantificato equitativamente nel 20% del totale), escludendo quello derivante dalla scelta condivisa di commettere l’illecito.

L’analisi della Corte di Cassazione sulla responsabilità professionale dell’architetto

La società immobiliare ha impugnato la decisione in Cassazione, sostenendo principalmente che l’errore progettuale fosse la vera e unica causa di tutti i danni successivi. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando l’impianto logico-giuridico della sentenza d’appello.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha chiarito alcuni principi cardine. Innanzitutto, ha distinto il concetto di ‘condizione’ da quello di ‘causa’. Sebbene il progetto inadeguato fosse una ‘condizione’ che ha portato alla situazione problematica, la vera ‘causa’ del danno da abuso edilizio è stata la scelta successiva e autonoma, compiuta da entrambe le parti, di proseguire i lavori in difformità dal progetto assentito e senza i necessari permessi. Questa scelta ha interrotto il nesso di causalità tra l’errore iniziale e il danno derivante dall’illegalità.

I giudici hanno inoltre ritenuto inammissibile la censura sulla prova dell’accordo illecito tra le parti. La valutazione delle prove, anche presuntive (come il chiaro interesse economico del committente), è una prerogativa del giudice di merito e non può essere ridiscussa in sede di legittimità se la motivazione è logica e coerente, come in questo caso.

Infine, è stato confermato che, nell’ambito dell’assicurazione per la responsabilità civile non obbligatoria, il danneggiato non ha un’azione diretta verso l’assicuratore del responsabile. La condanna corretta è quella dell’assicurazione a tenere indenne il proprio assicurato (l’architetto) dalle somme che dovrà pagare, e non a risarcire direttamente la società danneggiata.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un importante insegnamento sulla responsabilità professionale dell’architetto e, più in generale, sui rapporti tra professionisti e committenti in ambito edilizio. Il principio affermato è chiaro: nessuno può chiedere a un altro di risarcire un danno che è conseguenza diretta di una propria condotta illecita, anche se condivisa. Quando un abuso edilizio è frutto di una decisione ‘concertata’, il committente che ha partecipato a tale scelta non può successivamente scaricare le conseguenze negative sul professionista. La responsabilità per l’errore progettuale rimane, ma è circoscritta ai danni che da esso sarebbero comunque derivati, escludendo quelli causati dalla deliberata violazione della legge.

L’errore progettuale dell’architetto è sempre la causa dell’abuso edilizio successivo?
No. La Corte ha stabilito che, sebbene un progetto inadeguato possa essere una condizione preliminare, la causa effettiva dell’abuso può essere una scelta successiva e autonoma di proseguire i lavori illegalmente. Questa scelta, se concertata tra professionista e committente, interrompe il nesso di causalità tra l’errore iniziale e il danno da abuso.

Il committente può chiedere il risarcimento all’architetto per un abuso edilizio deciso insieme?
No. Secondo la Corte, le conseguenze dannose derivanti da una scelta illecita e concertata tra committenza e professionista non possono formare oggetto di una richiesta di risarcimento dalla prima nei confronti del secondo. Il committente non può invocare un pregiudizio che è diretta conseguenza di una propria condotta illecita.

Il danneggiato può agire direttamente contro l’assicurazione dell’architetto per ottenere il risarcimento?
No, non in questo tipo di polizza di responsabilità civile professionale (non obbligatoria). La Corte ha ribadito che l’obbligo dell’assicuratore è quello di tenere indenne il proprio assicurato (l’architetto) dalle somme che deve pagare al danneggiato, ma non esiste un’azione diretta che consenta al danneggiato di chiedere il pagamento direttamente alla compagnia assicuratrice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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