Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2813 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2813 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/02/2025
ORDINANZA
R.G. 10599/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 20/12/2024
C.C. 14/4/2022
ASSOCIAZIONE NON RICONOSCIUTA. RUOLO DEL PRESIDENTE.
sul ricorso iscritto al n. 10599/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata presso gli indirizzi PEC indicati dai difensori
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di FIRENZE n. 344/2022 depositata il 22/02/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Su ricorso della RAGIONE_SOCIALE il Tribunale di Firenze ingiunse all’Associazione RAGIONE_SOCIALE e ad NOME COGNOME quale Presidente della stessa, di pagare in favore della ricorrente la somma di euro 83.266,45, oltre interessi e rivalutazione, in relazione a fatture emesse nei confronti dell’Associazione a titolo di partecipazione, per la quota parte, negli oneri delle utenze idriche ed elettriche comuni e in quelli di manutenzione delle parti condominiali.
La società ricorrente rilevò, a sostegno della richiesta di provvedimento monitorio, di essere concessionaria per la costruzione e la gestione dei parcheggi pubblici in Firenze e che a tale titolo essa era intestataria delle utenze idriche ed elettriche relative agli impianti del complesso intero. In uno di quei parcheggi il Comune aveva assegnato all’Associazione RAGIONE_SOCIALE) gli spazi sovrastanti, per cui quest’ultima era tenuta a pagare alla RAGIONE_SOCIALE la somma suindicata; e poiché la consegna del bene era avvenuta nelle mani del Presidente dell’Associazione, NOME COGNOME anch’egli era tenuto a pagare le stesse somme in qualità di coobbligato.
Avverso il decreto ingiuntivo proposero opposizione sia l’Associazione che il COGNOME, negando ciascuno la sussistenza dell’obbligo di contribuzione nei pagamenti di cui sopra; il COGNOME, in particolare, rilevò che una sua eventuale responsabilità avrebbe potuto sussistere solo se egli avesse agito in rappresentanza della ECT, ai sensi dell’art. 38 cod. civ., nel momento in cui questa assumeva dette obbligazioni nei confronti del Comune di Firenze, mentre non vi era prova che ciò fosse avvenuto. Aggiunse inoltre il COGNOME che la sua responsabilità non avrebbe potuto estendersi all’intero debito, essendo maturata la decadenza di cui all’art. 1957 cod. civ. per una parte almeno dell’intero debito.
Nel giudizio di opposizione si costituì la RAGIONE_SOCIALE chiedendo il rigetto della stessa e la conferma del decreto ingiuntivo.
Il Tribunale -dando atto che non era stata allegata in giudizio la convenzione tra l’Associazione RAGIONE_SOCIALE e il Comune di Firenze, ma ritenendo tuttavia pacificamente dimostrata l’esistenza della medesima revocò il decreto ingiuntivo ma condannò ugualmente l’Associazione a pagare in favore della società RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 83.266,45 portata dal decreto ingiuntivo, mentre condannò il COGNOME NOME al pagamento in solido con la ETC ma solo fino alla concorrenza di euro 38.881,81, con gli interessi e il carico delle spese di lite.
La pronuncia è stata impugnata da NOME COGNOME e la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 22 febbraio 2022, ha accolto parzialmente il gravame e, in riforma della decisione del Tribunale, ha riconosciuto che il COGNOME non doveva alcuna somma alla società RAGIONE_SOCIALE ha condannato di conseguenza quest’ultima alla restituzione, in favore dell’appellante, della somma pagata in esecuzione della decisione di primo grado, nonché alla rifusione, in favore del COGNOME, delle spese dei due gradi di giudizio.
La Corte territoriale ha osservato che era fondato, con portata assorbente, il primo motivo di appello nel quale si lamentava la lesione del principio di non contestazione. A questo proposito, la sentenza ha premesso che era pacifica l’esistenza del rapporto tra il Comune di Firenze e la Firenze RAGIONE_SOCIALE, e che il Comune aveva affidato l’ex auditorium di INDIRIZZO alla RAGIONE_SOCIALE, la quale era perciò tenuta a farsi carico dei relativi oneri; com’era confermato anche dal fatto che l’Associazione non aveva proposto appello, per cui sull’esistenza della convenzione in sé si era maturato il giudicato.
Ciò premesso, però, la Corte fiorentina ha osservato che il COGNOME aveva censurato la sentenza del Tribunale rilevando che
essa aveva riconosciuto la sua responsabilità ai sensi dell’art. 38 cod. civ., addebitandogli di aver sottoscritto proprio la citata convenzione, solo perché all’epoca egli era presidente dell’associazione. Nella specie, il COGNOME aveva sempre contestato, fin dall’atto di opposizione al decreto ingiuntivo contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale -di aver rappresentato l’Associazione nel momento della stipula della convenzione; per cui, mentre era stata accertata la conclusione di una convenzione tra il Comune e l’Associazione, non era stato invece dimostrato il ruolo del COGNOME nella conclusione della stessa. Non poteva infatti ritenersi conseguenza ‘ineluttabile’ derivante dalla presidenza dell’Associazione la circostanza che il COGNOME avesse anche assunto gli specifici obblighi derivanti dalla rappresentanza. Poiché nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo l’opposto mantiene la propria veste di attore in senso sostanziale, la Corte di merito ha rilevato che non poteva trovare applicazione il principio di vicinanza della prova, posto che l’interessato avrebbe ben potuto acquisire la documentazione necessaria a sostenere le proprie ragioni. In caso contrario, se l’onere di produrre in giudizio la convenzione fosse stato posto a carico dell’appellante, si sarebbe determinata un’indebita inversione dell’onere della prova, mentre doveva essere la società RAGIONE_SOCIALE a «provare la sottoscrizione del COGNOME e il ruolo del COGNOME, nel momento in cui l’aveva evocato in giudizio ex art. 38 cod. civ., assumendone la responsabilità solidale».
Non era dirimente, poi, la circostanza che il COGNOME, in rappresentanza dell’Associazione, aveva sottoscritto una dichiarazione con la quale, non essendo stata ancora predisposta la fideiussione bancaria in garanzia dei pagamenti, avrebbe concordato con la società RAGIONE_SOCIALE la consegna di un assegno di euro 12.000 a titolo di garanzia.
La Corte di merito ha poi richiamato, ad ulteriore sostegno della propria motivazione, i principi giurisprudenziali in base ai quali
in tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 cit., di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto che abbia dato luogo alla creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi. Nel caso specifico, invece, la tesi centrale della società creditrice era nel senso che, essendo il COGNOME presidente dell’associazione, per ciò solo egli era da ritenere responsabile in solido con la medesima; tesi che per le ragioni richiamate non era, nella specie, accoglibile.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Firenze propone ricorso la RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a tre motivi.
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e degli artt. 2729 e 2697 cod. civ. in relazione alla valutazione e applicazione del principio di non contestazione.
La società ricorrente sostiene che la decisione di primo grado non aveva, in realtà, fatto applicazione del principio di non contestazione, perché il Tribunale aveva, invece, riconosciuto la responsabilità del COGNOME in via di presunzione, posto che egli era, all’epoca della stipula della convenzione, Presidente dell’Associazione e non aveva contestato di averla rappresentata nel momento della stipula. Si osserva che il COGNOME non aveva contestato, in sede di interrogatorio formale, di aver rappresentato l’Associazione al momento della stipula della convenzione col Comune di Firenze e aveva consegnato alla RAGIONE_SOCIALE, il giorno prima della stipula, un assegno di euro 12.000 in sostituzione della fideiussione bancaria pattuita ma non ancora
predisposta. Se la Corte d’appello avesse correttamente sussunto la fattispecie nella sfera di applicazione dell’art. 2729 cod. civ., avrebbe dedotto da tale presunzione che il COGNOME avrebbe dovuto, per andare esente da responsabilità, «produrre una convenzione recate sottoscrizione diversa dalla sua».
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, genericamente, violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione al concetto di specifica contestazione.
Dopo aver ricordato che l’art. 115 cit. sancisce l’onere di una contestazione specifica, la società ricorrente rileva che il giudizio aveva ad oggetto principalmente l’accertamento di due fatti: la conclusione della convenzione tra il Comune di Firenze ed RAGIONE_SOCIALE e la rappresentanza di quest’ultima da parte del suo presidente, COGNOME Nell’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo, la linea difensiva del COGNOME non poteva essere considerata una contestazione sui punti fondamentali ora indicati, perché in essa l’opponente si era limitato, in sostanza, a richiamare la norma dell’art. 38 cod. civ., senza contestare né l’esistenza della convenzione né di averla sottoscritta come presidente. La ricorrente sostiene, pertanto, che l’onere di specifica contestazione non sarebbe stato assolto, per cui la Corte d’appello, applicando correttamente l’art. 115 cit., avrebbe dovuto dare per dimostrati i due punti di cui si è detto. La ricorrente aggiunge, poi, di non aver potuto produrre la convenzione per la semplice ragione di non esserne in possesso, trattandosi di una scrittura di cui essa non era parte.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte d’appello omesso di valutare più fatti determinanti.
Ad avviso della società ricorrente, la Corte d’appello avrebbe omesso di effettuare una valutazione complessiva dei fatti da essa allegati e provati i quali, se fossero stati valutati «non singolarmente, ma nel loro complesso, avrebbero condotto agevolmente all’applicazione dell’art. 2729 cod. civ.», ritenendo provata in via presuntiva la responsabilità solidale del COGNOME per avere egli agito in nome e per conto dell’Associazione nel momento della stipula della convenzione.
La Corte osserva che i tre motivi possono essere trattati congiuntamente, in considerazione dell’evidente connessione che li unisce.
4.1. La prima osservazione da compiere è che la Corte d’appello ha correttamente richiamato la consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di associazioni non riconosciute, in base alla quale la responsabilità personale e solidale prevista dall’art. 38, secondo comma, cod. civ., per colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi, con la conseguenza che chi invoca in giudizio tale responsabilità è gravato dall’onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell’interesse dell’associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all’interno dell’ente (così, tra le altre, la sentenza 25 agosto 2014, n. 18188, e le ordinanze 4 aprile 2017, n. 8752, e 18 aprile 2024, n. 10490).
A tale giurisprudenza l’odierna pronuncia intende dare ulteriore continuità. Il che significa, in relazione al caso in esame, che la società RAGIONE_SOCIALE era tenuta, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso dall’Associazione RAGIONE_SOCIALE e dal Tanini, a dimostrare -stante la sua natura di creditore opposto -l’effettività del ruolo svolto da quest’ultimo in relazione alla
specifica vicenda, non potendosi ritenere sufficiente il richiamo alla qualità del COGNOME di Presidente dell’Associazione per giustificare l’esistenza del debito anche a suo carico.
4.2. Ciò premesso, la Corte rileva che il problema centrale posto dai tre motivi di ricorso in esame ha ad oggetto la valutazione della prova presuntiva compiuta dalla Corte d’appello.
Giova ricordare, in proposito, che la giurisprudenza di questa Corte si è soffermata in più occasioni e in relazione alle più diverse materie su tale argomento, enunciando i criteri ai quali il giudice di merito è tenuto ad attenersi.
È stato affermato, infatti, che i requisiti della gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi devono essere ricavati dal complesso degli indizi, da valutarsi non atomisticamente ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, potrebbe rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (così l’ordinanza 13 aprile 2018, n. 9178, in tema di danno da perdita della vita; principio ribadito dall’ordinanza 4 maggio 2022, n. 14151, in materia di revoca dell’assegno di divorzio).
Allo stesso modo, si è detto che la prova presuntiva (o indiziaria) esige che il giudice prenda in esame tutti i fatti noti emersi nel corso dell’istruzione, valutandoli insieme e gli uni per mezzo degli altri. È, pertanto, erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (sentenza 9 marzo 2012, n. 3703). Occorre, in altre parole, «che il giudice valuti in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità, presentino cioè una positività parziale o almeno potenziale
di efficacia probatoria; successivamente, egli deve procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati e accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta considerando atomisticamente uno o alcuni indizi (Cass. n. 19894/2005). In questo secondo momento valutativo, perciò, gli indizi devono essere presi in esame e valutati dal giudice tutti insieme e gli uni per mezzo degli altri allo scopo di verificare la concordanza delle presunzioni che da essi possono desumersi» (così l’ordinanza 21 marzo 2022, n. 9054).
Sull’argomento si sono soffermate anche le Sezioni Unite di questa Corte le quali -benché tali affermazioni non siano state oggetto di massimazione da parte del competente Ufficio -hanno ricostruito la struttura della prova presuntiva e le modalità con le quali può essere censurata, in sede di giudizio di cassazione, l’erroneo uso di tale prova e la conseguente violazione dell’art. 2729 cod. civ., il quale richiama, com’è noto, i tre requisiti della gravità, precisione e concordanza (sentenza 24 gennaio 2018, n. 1785). Hanno osservato le Sezioni Unite, fra l’altro, che «la deduzione del vizio di falsa applicazione dell’art. 2729, primo comma, cod. civ., suppone un’attività argomentativa che si deve estrinsecare nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione che il ragionamento presuntivo compiuto dal giudice di merito -assunto, però, come tale e, quindi, in facto per come è stato enunciato -risulti irrispettoso del paradigma della gravità, o di quello della precisione o di quello della concordanza. Occorre, dunque, una preliminare attività di individuazione del ragionamento asseritamente irrispettoso di uno o di tutti tali paradigmi compiuto dal giudice di merito e, quindi, è su di esso che la critica di c.d. falsa applicazione si deve innestare ed essa postula l’evidenziare in modo chiaro che quel ragionamento è stato erroneamente sussunto sotto uno o sotto tutti quei paradigmi».
Se questa è la bussola che deve fare da guida al giudice di merito nella valutazione della prova indiziaria, si deve rilevare che la Corte di merito non ha fatto buon governo di tali principi.
La sentenza impugnata ha premesso che il COGNOME aveva espressamente contestato, nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, «di aver rappresentato l’Associazione al momento della stipula della convenzione» e, pur dando atto del fatto che la convenzione stipulata tra l’Associazione RAGIONE_SOCIALE e il Comune di Firenze non era stata prodotta, ha considerato tuttavia «pacifica» l’esistenza della stessa; e si deve notare, a questo proposito, che è corretta l’osservazione della società ricorrente là dove essa fa notare di non poter essere in possesso di quel documento, trattandosi di un contratto che non la vedeva come parte.
Compiute queste premesse, la Corte fiorentina ha aggiunto due particolari estremamente importanti: da un lato, che il COGNOME, benché presidente dell’Associazione, aveva dichiarato, in sede di interrogatorio formale, «di non ricordare di avere sottoscritto tale documento in qualità di Presidente della RAGIONE_SOCIALE»; dall’altro, che non poteva assumere valenza dirimente neppure la circostanza che il COGNOME avesse sottoscritto, in rappresentanza dell’Associazione, in data 6 luglio 2009, «una dichiarazione con la quale, non essendo stata ancora predisposta la fideiussione bancaria con la quale RAGIONE_SOCIALE doveva garantire alla società RAGIONE_SOCIALE i pagamenti della quota parte di manutenzione dell’ex auditorium, avrebbe concordato con la società la consegna a titolo di garanzia di un assegno di euro 12.000». Sulla base di questi elementi la Corte territoriale ha concluso che dal fatto obiettivo della conclusione della convenzione tra il Comune e l’Associazione, non poteva derivare l’automatica conseguenza per cui l’arch. COGNOME in quanto Presidente di Extre, doveva «aver ineluttabilmente rappresentato l’Associazione proprio in sede di convenzione e aver assunto quegli specifici obblighi».
Questa motivazione contiene in sé i segni evidenti di un uso non corretto della prova presuntiva. La sentenza impugnata, in sostanza, ha indicato una serie di indizi, li ha esaminati e valutati singolarmente e, senza procedere ad una loro valutazione unitaria, ha ritenuto che essi non fossero gravi, precisi e concordanti. Ma simile ragionamento è errato, alla luce della giurisprudenza suindicata; così come è errata l’ulteriore affermazione, contenuta nella motivazione, per cui la strategia difensiva della società creditrice si sarebbe basata sull’assioma per cui la responsabilità del COGNOME doveva derivare dal semplice fatto che egli fosse il Presidente dell’Associazione. È la stessa motivazione, infatti, a dimostrare che così non è stato, perché il COGNOME non aveva negato di aver firmato per l’Associazione, limitandosi a dire, assai poco credibilmente, di non ricordare il fatto; ed egli aveva anche dato la propria disponibilità a garantire personalmente, con il versamento di un assegno, il debito dell’Associazione in attesa della predisposizione della fideiussione bancaria.
Ne consegue che è mancata, nella sentenza impugnata, una valutazione globale e coerente di tutti gli elementi di prova a disposizione, avendo la Corte d’appello sostanzialmente compiuto un esame parcellizzato degli stessi, di fatto vanificando il senso della prova presuntiva.
I motivi di ricorso, pertanto, sono accolti nei termini che si sono ora illustrati.
La sentenza impugnata è cassata in relazione e il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione personale, la quale tornerà ad esaminare il merito dell’appello in coerenza con i principi sulla prova presuntiva enunciati nella presente decisione.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione personale, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza