Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5290 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 5290 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 4845-2018 proposto da:
NOME COGNOME NOME, GIUNTA ILENIA, TAVERNITI ITALO, tutti domiciliati ope legis in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
Oggetto
Altre ipotesi pubblico impiego
R.G.N. 4845/2018
COGNOME.
Rep.
Ud. 08/02/2024
CC
RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE ISTRUZIONE PROFESSIONALE ESAMI E CONCORSI;
– intimato – avverso la sentenza n. 699/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 27/07/2017 R.G.N. 567/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/02/2024 dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
a seguito dell’annullamento da parte del giudice amministrativo della prova pratica di un concorso pubblico per operatore informatico, il segretario generale del Consiglio regionale della Calabria, con determinazione n. 254/RG del 3.5.2012, dichiarò la «caducazione automatica del rapporto di lavoro» dei vincitori del concorso;
NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME chiedevano, al Tribunale di Reggio Calabria, l’annullamento della determinazione citata nonché il risarcimento del danno patrimoniale e morale patito a causa della condotta della Regione;
il Tribunale respingeva la domanda di ristoro del danno da responsabilità precontrattuale e la Corte d’appello rigett ava il gravame dei lavoratori osservando, in particolare, che:
-v’erano due distinte ‘ragioni del domandare’, avendo i ricorrenti da un lato affermato l’illegittima risoluzione dei rapporti (domanda su cui non insistevano più ) e, dall’altra, dedotto una
responsabilità precontrattuale in termini di affidamento nella validità del contratto;
-a riguardo, sul primo aspetto, la risoluzione dei contratti di lavoro era condotta obbligata per la RAGIONE_SOCIALE, che era di certo tenuta a conformarsi al giudicato amministrativo;
-nel resto, i lavoratori, beneficiando della stipula dei contratti di lavoro, avevano tratto utilità dalla procedura concorsuale, delle cui cause di invalidità rectius , di nullità per violazione della regola imperativa di predeterminazione dei criteri di valutazione e di quella di segretezza e anonimato delle prove – non potevano dirsi nella specie inconsapevoli;
-proprio la conoscibilità della causa di invalidità escludeva l’affidamento incolpevole ex art. 1338 cod. civ. nella validità del contratto dei singoli contraenti che, al momento della stipula dei contratti (1° giugno 2016), erano pure (fatto incontestato) consapevoli dell’impugnazione in sede amministrativa della stessa graduatoria concorsuale, essendo stati lì evocati in giudizio come controinteressati;
-il contratto individuale prevedeva, tra l’altro, con specifica clausola, che «in caso di annullamento della procedura il contratto si risolve senza ulteriore comunicazione»;
-esclusa, dunque, la responsabilità precontrattuale, era altresì superflua ogni indagine circa l’esito della procedura, se emendata delle invalidità che l’avevano viziata, giacché requisito imprescindibile per la responsabilità è che il contraente ignori i vizi; le dette ragioni erano assorbenti di tutte le questioni legate alle voci di danno patrimoniale e non traenti titolo dalla responsabilità precontrattuale;
-corretta, infine, era l’applicazione della regola della soccombenza nella regolamentazione delle spese di lite, perché la domanda residua era infondata, sicché tutti i ricorrenti erano nel complesso soccombenti e, avendo un interesse comune per identità di
questioni e sostanziale convergenza di difese, erano da condannare in solido;
avverso tale sentenza i lavoratori propongono ricorso per cassazione sulla base di sei motivi illustrati con memoria, resistiti con controricorso della Regione Calabria.
Considerato che:
con il primo motivo si denuncia (art. 360 nn. 3-5 cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., «omessa pronuncia sulla domanda dei ricorrenti, omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti»; si lamenta che la domanda risarcitoria ex art. 2043 cod. civ., commisurata alle retribuzioni perse e al danno morale, e su cui i giudici di merito non si erano pronunciati, riposava sul fatto che la p.a. non avesse legalmente operato -come accertato nel giudicato amministrativo – nell’espletamento delle operazioni concorsuali, con conseguente annullamento della prova pratica e caducazione degli atti successivi, ivi compreso il contratto di lavoro dei ricorrenti;
il motivo è inammissibile, in quanto erroneamente prospetta un vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. ed una violazione di legge, rilevante ai sensi del n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., a fronte di una asserita omessa pronuncia sul motivo di gravame con il quale, a detta dei ricorrenti, sarebbe stata censurata la sentenza del Tribunale che non aveva pronunciato « sull’effettiva domanda risarcitoria come esattamente proposta dagli appellanti».
Va qui ribadito che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello -così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio -, risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo
grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. e non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., o del vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare adeguatamente la decisione. Solo la denuncia dell’ error in procedendo , infatti, consente al giudice di legittimità, in tal caso giudice anche del fatto processuale, di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello (in tal senso Cass. 27.10.2014 n. 22759).
Le Sezioni Unite di questa Corte, nel comporre il contrasto sorto nella giurisprudenza di legittimità sulle conseguenze della errata formulazione dei motivi, hanno affermato che «nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronunzia da parte della impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni formulate non è necessario che faccia espressa menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4 (con riferimento all’art. 112 cod. proc. civ.), purché nel motivo su faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione. Va invece dichiarato inammissibile il motivo allorquando, in ordine alla suddetta doglianza, il ricorrente sostenga che la motivazione sia stata omessa o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge» (Cass. S.U. 24.7.2013 n. 17931).
Il caso di specie è riconducibile alla seconda delle due ipotesi, perché nel motivo non si fa riferimento alcuno alla nullità derivata dall’ error in procedendo .
Il motivo è anche infondato nel merito, non sussistendo, infatti, la denunciata omessa pronuncia, avendo il giudice d’appello, previa interpretazione della domanda, individuato due distinte richieste, l’una
afferente all’illegittima risoluzione dei rapporti di lavoro (domanda su cui non insistevano gli appellanti) e, l’altra, riguardante una responsabilità precontrattuale in termini di affidamento nella validità del contratto, sulla cui infondatezza si è espressamente pronunciato; il vizio di omessa pronuncia, è configurabile, infatti, solo allorquando risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (cfr. fra le tante Cass. n. 12652/2020 e Cass. n. 2151/2021).
4. Peraltro, la statuizione impugnata non si discosta dai principi enunciati da questa Corte, la quale, nell’impiego pubblico contrattualizzato, ha più volte affermato che qualora il contratto di lavoro sia nullo per violazione di norma imperativa, il dipendente non può fare valere l’affidamento riposto sulla legittimità dell’assunzione per fondare una domanda di reintegrazione o di risarcimento del danno per la perdita del posto di lavoro oggetto del contratto nullo; in tal caso, è esperibile l’azione risarcitoria disciplinata dall’art. 1338 cod. civ. ed il lavoratore, sul quale grava l’onere della prova quanto al pregiudizio subito, può ottenere il risarcimento del danno rappresentato, oltre che dalle spese sostenute, dal mancato guadagno derivato dalla perdita di altra occupazione o di altre occasioni di lavoro; la Pubblica Amministrazione va esente, tuttavia, dalla responsabilità ex art. 1338 cod. civ. nei casi in cui la nullità del contratto di impiego dipenda dalla violazione di norme imperative concernenti i requisiti di validità delle assunzioni, che si presumono conosciute dalla generalità dei cittadini, ma a condizione che le circostanze di fatto dalle quali dipende l’invalidità dell’assunzione fossero conosciute o
conoscibili attraverso l’uso della normale diligenza (Cass., Sez. L, n. 1316 del 31/01/2020); orbene, trattasi di accertamento compiuto nella fattispecie dai giudici di secondo grado che, pertanto, non meritano le censure loro mosse dai ricorrenti.
Con il secondo motivo si denuncia ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. l’omesso esame di fatto decisivo: il giudice di secondo grado non aveva considerato che, proprio a causa delle irregolarità della P.A. nell’espletamento del concorso, il contratto valido era sorto solo in data 15.10.2012, anziché dal 1° giugno 2010, e, dunque, oltre due anni più tardi; esaminando nel dettaglio le schede di valutazione dei partecipanti al concorso si evinceva che il corretto espletamento della procedura avrebbe determinato l’esito vittorioso del concorso per gli originari ricorrenti fin dal 1° giugno 2010;
Il motivo è inammissibile; la censura, là dove è formulata ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. non è conforme al testo dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, come novellato dell’art. 54 del d.l. n. 83/2012, convertito in legge n. 134/2012 ed inoltre incontra l’ulteriore sbarramento della ‘doppia conforme’ ai sensi dell’art. 348 ter , comma 5, cod. proc. civ., norma introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. a ) del medesimo d.l. n. 83/2012 ed applicabile ai giudizi di appello instaurati, come nella specie, dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della medesima legge.
Con il terzo mezzo si lamenta (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) la violazione e falsa applicazione degli artt. 115-116 cod. proc. civ., per non essersi il giudice d’appello avveduto che non c’era contestazione sulla circostanza che con il superamento della nuova prova pratica i lavoratori avevano conseguito l’assunzione, il che però, anziché escluderla, dimostrava l ‘esistenza di un’ipotesi di responsabilità aquiliana;
la censura, incentrata sulla violazione degli artt. 115-116 cod. proc. civ., è anch’essa inammissibile in applicazione del principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione dei preindicati articoli non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 17 gennaio 2019, n. 1229; Cass. 27 dicembre 2016, n. 27000; Cass. 11 dicembre 2015, n. 25029; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960): eventualità, quelle in discorso, che nulla hanno a che vedere con la fattispecie considerata.
Quanto al profilo della non contestazione, poi, questa Corte ha continuato ad affermare che: “Nel vigore del novellato art. 115 cod. proc. civ., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della relevatio ab onere probandi , spetta al giudice di merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte” (così, ad es., Cass., Sez. L, 7.10.2022, n. 29231; Cass. civ., Sez. VI, 7.2.2019, n. 3680).
Con il quarto mezzo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sul denunciato vizio di ultrapetizione del primo giudice che si era espresso anche su una domanda rinunciata all’udienza del 10.3. 2016 (i.e., quella di
annullamento della determinazione di caducazione dei rapporti di lavoro); l’interesse al rilievo dell’errore commesso dal Tribunale era evidente perché l’eventuale riforma della pronuncia di prime cure si sarebbe potuta riflettere sulle spese di lite, regolate secondo soccombenza (così a pag. 22 del ricorso per cassazione);
10. il motivo è infondato perché non c’è nella specie un’omessa pronuncia, avendo il giudice d’appello esaminato la questione prendendo atto, come ammettono i ricorrenti, « dell’avvenuta rinuncia da parte degli appellanti con dichiarazione a verbale del 10.3.2016» (pag. 21 ricorso per cassazione e pagg. 10-16 sentenza impugnata), e quindi ritenuto, ai soli fini delle spese -l’unico che assumeva specifica rilevanza -che, correttamente, i lavoratori dovevano ritenersi comunque «in condizione di soccombenza almeno prevalente» (ancora a pag. 16 della sentenza), essendo state tutte le loro residue pretese respinte;
11. con il quinto motivo si denuncia, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 91-92 cod. proc. civ. e del d.m. n. 55/2014, per avere la Corte distrettuale affermato l’esistenza di una soccombenza parziale degli appellanti, che sarebbe stata esclusa da una decisione non affetta da nullità, anche ex art. 112 cod. proc. civ., e per avere liquidato le spese per una fase istruttoria nel complesso superflua;
12. il motivo è infondato quanto alla contestazione dell’applicazione del principio della soccombenza, per le stesse ragioni di cui al precedente punto 10; in ordine alla rifusione del le spese per l’attività istruttoria, va evidenziato che rientra nel novero dei poteri discrezionali attribuiti al giudice di secondo grado, non suscettibili di sindacato di legittimità, quello di escludere, o meno, la ripetizione delle spese superflue ai sensi, rispettivamente del primo e del secondo comma dell’art. 92 cod. proc. civ.; (beninteso) dato e non concesso
che tali potessero ritenersi quelle dell’attività istruttoria di cui si controverte;
13. con il sesto, ed ultimo, motivo si deduce ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria; il giudice d’appello aveva erroneamente ritenuto assorbite «le questioni concernenti il danno patrimoniale e non» che traevano titolo nella responsabilità precontrattuale (pag. 15 sentenza impugnata), e ciò perché la domanda risarcitoria (pari alle retribuzioni non percepite a causa della caducazione dei contratti) era, sulla base di tutti gli elementi probatori in atti, fondata e andava quindi accolta; a tal fine erano state fornite tutte le prove a dimostrazione del danno patrimoniale e non patrimoniale;
14. il motivo è inammissibile; invero, sulla qualificazione del vizio che si verifica allorquando il giudice incorra in errore nel ritenere assorbita una questione sulla quale, invece, era tenuto a statuire, questa Corte ha espresso orientamenti difformi. All’indirizzo che ritiene in tal caso configurabile un’omessa pronuncia, da denunciare, in quanto tale, nei modi e nelle forme richieste da Cass. S.U. n. 17931/2013 (cfr. fra le più recenti Cass. n. 12193/2020 e Cass. n. 11459/2019), si contrappone quello, mag gioritario, che esclude la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. sul rilievo che la stessa è ravvisabile solo qualora risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto (cfr. fra le tante Cass. n. 20020/2022; Cass. n. 8106/2022; Cass. n. 28864/2020; Cass. n. 2334/2020; Cass. n. 28995/2018).
Il Collegio ritiene di dover dare continuità a quest’ultimo orientamento, non al primo, perché in caso di assorbimento la pronuncia non è omessa, se non in senso formale, ma deriva
implicitamente dalla decisione di assorbimento, né è resa in assenza di motivazione, in quanto la ragione del decisum sta, appunto, nell’affermazione del carattere assorbente della questione esaminata, affermazione alla quale, se l’assorbimento è correttamente dichiarato, non occorre aggiungere null’altro per assolvere agli oneri motivazionali imposti dall’art. 132 cod. proc. civ. Escluso, quindi, che il vizio di motivazione possa riguardare in sé la decisione di assorbimento, va detto che un problema motivazionale si può porre solo qualora si riveli fondata la censura proposta avverso la decisione di assorbimento, ma quella censura non può essere proposta denunciando ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., perché la carenza motivazionale scaturisce solo dalla preliminare verifica dell’assenza di implicazione fra la questione assorbent e e quella assorbita, assenza che si risolve nella violazione delle norme di legge dalle quali vanno desunti gli elementi costitutivi dei diritti fatti valere in via principale ed in via subordinata.
Nella specie, nessuna deduzione viene svolta sull’assenza di implicazione tra le questioni, quella assorbente e l’altra assorbita, né sulle norme di legge da cui desumere gli elementi costitutivi dei diritti.
Conclusivamente, il ricorso dev’essere rigettato ; le spese di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di legittimità che liquida in €. 200,00 per esborsi ed €. 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma l’8 febbraio 2024 .