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Responsabilità precontrattuale: limiti del ricorso

Una società creditrice accusava l’amministratore di una società debitrice di aver condotto trattative dilatorie per consentire la cancellazione della sua azienda, frustrando il recupero del credito. La Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la decisione d’appello. Ha dichiarato inammissibili i motivi volti a un riesame del merito sulla valutazione delle prove e sul nesso di causalità, ribadendo i rigidi limiti del giudizio di legittimità in tema di responsabilità precontrattuale.

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Responsabilità Precontrattuale: Prova e Limiti del Ricorso in Cassazione

La fase delle trattative è un momento delicato in cui le parti devono comportarsi secondo buona fede. Ma cosa accade se una parte agisce in modo fraudolento, causando un danno all’altra? E, soprattutto, come si può provare tale condotta e il danno conseguente? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui confini della responsabilità precontrattuale e sui rigidi limiti processuali per farla valere in sede di legittimità.

Questo caso offre spunti fondamentali sull’onere della prova a carico di chi lamenta un danno e chiarisce perché la Corte di Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio per rivalutare i fatti.

Il Caso: Trattative Dilatorie e Danno al Creditore

I fatti alla base della vicenda vedono una società di arti grafiche agire in giudizio contro l’amministratore di una società sua debitrice, di diritto inglese. Secondo la società creditrice, l’amministratore avrebbe avviato e protratto delle trattative in modo fraudolento, con l’unico scopo di ritardare l’avvio di un’azione esecutiva per il recupero del credito. Durante questo periodo di negoziati, l’amministratore avrebbe perfezionato la cancellazione della società debitrice dal registro delle imprese, rendendo di fatto impossibile per il creditore soddisfare le proprie pretese patrimoniali.

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, aveva respinto la domanda della società creditrice. I giudici di secondo grado avevano ritenuto non provata non solo la condotta illecita, ma soprattutto il nesso di causalità tra il comportamento dell’amministratore e il danno lamentato. In sostanza, la creditrice non era riuscita a dimostrare che un’azione esecutiva tempestiva avrebbe avuto successo, date le già precarie condizioni economiche della società debitrice.

I Motivi del Ricorso e la Responsabilità Precontrattuale

La società creditrice ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su sei motivi, tutti finalizzati a contestare la valutazione delle prove e l’interpretazione dei fatti operate dalla Corte d’Appello. Tra le censure principali, vi erano:

1. Errata valutazione delle prove: La ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente definito ‘generiche e vaghe’ le proposte di pagamento emerse durante le trattative, ignorando documenti che provavano l’esistenza di un piano di rientro ‘solido e realizzabile’.
2. Mancata pronuncia sulla violazione della buona fede: Si lamentava che la Corte non si fosse espressa sulla violazione dei principi di correttezza e buona fede nelle trattative.
3. Violazione dei principi sul nesso causale: La società contestava l’affermazione della mancata prova che un’azione esecutiva tempestiva avrebbe portato al recupero del credito, invocando anche il principio della risarcibilità della ‘perdita di chance’.
4. Mancata ammissione dei fatti: Infine, si criticava la decisione di non considerare come ammessi i fatti contestati, nonostante la mancata presentazione del convenuto all’interrogatorio formale.

L’inammissibilità del riesame del merito

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili quasi tutti i motivi del ricorso, ribadendo un principio cardine del nostro sistema processuale: il giudizio di legittimità non è una terza istanza per riesaminare i fatti di causa. La Corte ha chiarito che contestare la valutazione delle prove da parte del giudice di merito non integra una violazione di legge, a meno che non si denunci un errore percettivo grossolano o la violazione di una norma sulla prova legale. Criticare il ‘cattivo esercizio’ del potere di apprezzamento del giudice si traduce in una richiesta di nuova valutazione dei fatti, preclusa in sede di Cassazione.

L’onere della prova nella responsabilità precontrattuale

La decisione sottolinea come, in un’azione per responsabilità precontrattuale, l’attore non debba solo provare la condotta sleale della controparte, ma anche il nesso di causalità con il danno subito. In questo caso, non era sufficiente dimostrare che le trattative fossero dilatorie; era necessario provare che, in assenza di tale condotta, il credito sarebbe stato, con alta probabilità, recuperato. La Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato la mancanza di questa prova fondamentale, e la Cassazione ha confermato che tale valutazione, essendo basata sui fatti, non è sindacabile in sede di legittimità.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso basandosi su argomentazioni di carattere eminentemente processuale. I giudici hanno spiegato che, a seguito della riforma del 2012, il vizio di motivazione denunciabile in Cassazione (art. 360 n. 5 c.p.c.) è limitato al solo ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’. Questo non include la possibilità di criticare la sufficienza o la coerenza della motivazione, né di contrapporre una diversa lettura delle risultanze probatorie.

Per quanto riguarda la presunta violazione dell’art. 116 c.p.c. (principio del libero apprezzamento delle prove), la Corte ha ribadito che la censura è ammissibile solo in casi specifici, come quando il giudice ignora una prova legale, e non quando la parte ricorrente si limita a sostenere che il giudice ha ‘valutato male’ le prove. Allo stesso modo, la mancata presentazione all’interrogatorio formale (art. 232 c.p.c.) non comporta un’automatica ammissione dei fatti, ma lascia al giudice un potere discrezionale il cui esercizio non può essere sindacato se non come vizio di motivazione, nei ristretti limiti oggi consentiti.

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibile il motivo relativo alla ‘perdita di chance’, in quanto domanda nuova proposta per la prima volta in Cassazione, senza che la ricorrente avesse dimostrato di averla avanzata nei precedenti gradi di giudizio.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame è un importante promemoria dei limiti del giudizio di Cassazione e dell’onere probatorio che grava su chi agisce per ottenere un risarcimento. La decisione conferma che, per avere successo in un’azione di responsabilità precontrattuale, non basta allegare una condotta scorretta, ma è indispensabile fornire una prova rigorosa del danno e, soprattutto, del legame causale tra la condotta e il pregiudizio subito. Qualsiasi valutazione del giudice di merito su questi aspetti, se logicamente motivata e priva di vizi giuridici evidenti, non potrà essere messa in discussione davanti alla Suprema Corte, che non può e non deve sostituire il proprio apprezzamento dei fatti a quello dei giudici dei gradi inferiori.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice d’appello?
No, il ricorso per cassazione non consente un riesame del merito della causa. La doglianza per violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo se il giudice non ha valutato una prova secondo il suo ‘prudente apprezzamento’ o ha violato norme sulla prova legale, non se si ritiene che abbia semplicemente ‘male esercitato’ tale apprezzamento.

Una nuova domanda, come quella per perdita di chance, può essere presentata per la prima volta in Cassazione?
No, è inammissibile. Se una questione o una domanda non viene menzionata nella sentenza impugnata, la parte ricorrente ha l’onere non solo di affermare di averla proposta nei gradi precedenti, ma anche di specificare in quale atto lo ha fatto, per permettere alla Corte di verificare la veridicità dell’asserzione.

Cosa succede se una parte non si presenta all’interrogatorio formale? Il giudice deve considerare i fatti come ammessi?
Non necessariamente. L’art. 232 c.p.c. conferisce al giudice il potere discrezionale di ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio, ma non è un obbligo. La valutazione di tale condotta rientra nel più ampio apprezzamento del materiale probatorio, e contestare questa scelta si risolve in una critica alla motivazione, inammissibile nei limiti del ricorso per cassazione post-riforma.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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