Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30429 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30429 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14696/2022 proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME (EMAIL) e NOME COGNOME (EMAIL);
– ricorrente –
contro
NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (EMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 361/2022 della CORTE D’APPELLO DI TORINO, depositata il 31/3/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/10/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 31/3/2022, la Corte d’appello di Torino, in accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME, e in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE (Stige) per la condanna di NOME COGNOME al risarcimento dei danni asseritamente subiti dalla Stige in conseguenza del fatto illecito ascritto al convenuto, nella specie consistito, secondo la prospettazione della società attrice, nella fraudolenta conduzione, da parte del COGNOME (in qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE, società di diritto inglese), di trattative artatamente dirette a ritardare l’avvio, da parte della Stige, dell’esecuzione relativa a un credito della stessa Stige nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, al solo scopo di perfezionare (come in effetti avvenuto) la cancellazione della RAGIONE_SOCIALE dalla competente Camera di Commercio, con la definitiva frustrazione delle pretese creditorie della Stige;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale -premessa l’illegittimità della riqualificazione, da parte del primo giudice, della domanda originariamente proposta dalla Stige (intesa dal primo giudice alla stregua di una domanda di risarcimento fondata sull’inadempimento un’obbligazione direttamente contratta dal COGNOME, anziché sul titolo aquiliano espressamente deAVV_NOTAIOo dalla Stige) -ha rilevato come la società attrice non avesse fornito alcuna prova, tanto dell’illecito precontrattuale denunciato (al di là delle generiche ipotesi solutorie emerse nel corso delle trattative per la definizione dell’esposizione della società debitrice), quanto del nesso di causalità tra il comportamento del convenuto e il danno lamentato dalla
Stige (consistito nella mancata realizzazione del relativo credito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE), non essendo emerso alcun elemento probatorio idoneo ad attestare che l’eventuale tempestiva attivazione del procedimento esecutivo, da parte della società creditrice, avrebbe sortito effetti positivi, avuto riguardo alle evidenti condizioni di scarsa solvibilità della società debitrice;
al riguardo, la corte territoriale ha evidenziato come la Stige non avesse neppure adeguatamente comprovato che la messa in liquidazione della RAGIONE_SOCIALE avrebbe impedito l’ingresso di nuovi soci nel relativo azionariato, così precludendo la soddisfazione (quantomeno parziale) del credito della società attrice;
avverso la sentenza d’appello, RAGIONE_SOCIALE (Stige) propone ricorso per cassazione sulla base di sei motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME resiste con controricorso;
la società ricorrente ha depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 co.1 n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la corte territoriale erroneamente asserito che le comunicazioni scambiate tra le parti nella fase delle trattative per la possibile definizione transattiva del debito della RAGIONE_SOCIALE avessero dato conto di manifestazioni di volontà di pagamento meramente generiche e vaghe, in contrasto con i contenuti della documentazione espressamente richiamata in ricorso (del tutto trascurati dal giudice a quo ), dai quali erano emersi: 1) una proposta di pagamento rateizzato qualificata come ‘solida e realizzabile’; 2) l’assicurazione del carattere
meramente contingente e in superamento del periodo di difficoltà della società debitrice; e 3) un’espressa obbligazione di pagamento, assunta da parte di un soggetto terzo, degli importi dovuti dalla società debitrice;
con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente affermato il carattere ‘del tutto evidente’ delle condizioni di scarsa solvibilità della società debitrice, in contrasto con le fonti di prova complessivamente acquisite al giudizio ed espressamente richiamate in ricorso;
entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;
osserva il Collegio come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione l’art. 360, n. 5, c.p.c. quale risultante dalla formulazione dell’art. 54, co. 1, lett. b), del d.l n. 83/2012, conv., con modif., con la legge n. 134/2012, ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione ‘per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’ ;
secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sé (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti
dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Sez. 2 – , Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018, Rv. 651028 – 01);
dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza della società ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio (con particolare riguardo, in ordine al primo motivo, alla dimostrazione della circostanza del carattere effettivamente e concretamente giustificato, o ragionevole, dell’affidamento in ipotesi nutrito dall’odierna società istante rispetto alla positiva conclusione di un accordo per la soddisfazione, quantomeno parziale, del relativo credito), che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede quanto alla pretesa violazione dell’art . 116 c.p.c., osserva il Collegio come, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza volta a
denunciare la violazione di tale norma sia ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo prudente apprezzamento ‘ , pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02);
nella specie, la ricorrente, lungi dal denunciare il mancato rispetto, da parte del giudice a quo , del principio del libero apprezzamento delle prove (ovvero del vincolo di apprezzamento imposto da una fonte di prova legale), si è limitato a denunciare un (pretesa) cattivo esercizio, da parte della corte territoriale, del potere di apprezzamento del fatto sulla base delle prove selezionate, spingendosi a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa, in coerenza ai tratti di un’operazione critica del tutto inammissibile in questa sede di legittimità;
con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria avanzata dall’odierna società ricorrente sulla base della denunciata violazione, da parte del convenuto, dei principi di
correttezza e buona fede nella fase delle trattative, così come agevolmente rilevabile dall’esame degli elementi di prova analiticamente richiamati in ricorso;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come, diversamente da quanto asserito dalla società ricorrente, la corte territoriale non sia incorsa in alcuna omissione di pronuncia, avendo considerato complessivamente i termini del comportamento del convenuto ed avendo escluso in modo espresso che lo stesso avesse provocato, attraverso il proprio contegno nel corso delle trattative, alcun legittimo o giustificato affidamento, in capo alla società istante, in ordine alla futura conclusione di un qualche accordo (sia pure parzialmente) satisfattivo del proprio credito, con la conseguente esclusione, tanto del carattere illecito di detto contegno, quanto di alcun danno derivante da tale conAVV_NOTAIOa precontrattuale del COGNOME;
con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 c.c. e 113, co. 1, c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente affermato la mancata dimostrazione, da parte dell’odierna istante, che l’eventuale tempestivo inizio dell’azione esecutiva sui beni della società debitrice si sarebbe concluso con la soddisfazione, in tutto o in parte, delle pretese creditorie della Stige (e dunque del nesso causale tra il comportamento illecito della controparte e il danno denunciato), in contrasto con i principi che governano la ricostruzione del nesso causale in materia civile secondo il criterio del ‘più probabile che non’, ovvero in contrasto con i principi che riconoscono la risarcibilità della chance come concreta possibilità di un risultato patrimoniale favorevole;
il motivo è inammissibile;
osserva preliminarmente il Collegio come debba essere in primo luogo rilevata l’inammissibilità della censura in esame nella parte in cui fa riferimento alla pretesa proposizione, da parte della società attrice, di una domanda avente ad oggetto il risarcimento della perdita di chances , avuto riguardo alla totale assenza, nel corpo della sentenza impugnata, di alcun accenno a una domanda avanzata in tal senso da parte della società attrice, con la conseguenza che, in difetto di alcuna allegazione nel rispetto dell’art. 366 n. 6 c.p.c., tale pretesa deve intendersi inammissibilmente proposta in questa sede per la prima volta;
al riguardo, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di puntuale e completa allegazione del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (cfr. ex plurimis , Sez. 2, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009 -01);
parimenti inammissibile deve ritenersi la doglianza concernente la pretesa violazione dei principi in tema di causalità e danno, atteso che, attraverso la proposizione della censura in esame, la società ricorrente, lungi dal prospettare un’effettiva ipotesi di violazione o falsa applicazione di legge, si è limitata a proporre una diversa lettura dei fatti di causa e delle prove (con particolare riguardo alla questione concernente la dimostrazione, in chiave probatoria, dell’esistenza o
meno di un preciso nesso di causalità tra il comportamento dell’asserito danneggiante e le conseguenze dannose denunciate dalla vittima), ancora una volta in forza di un’impostazione critica non consentita in questa sede di legittimità;
con il quinto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 c.p.c. (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente affermato la mancata dimostrazione, da parte dell’odierna istante, della circostanza secondo cui la messa in liquidazione della società debitrice avrebbe impedito l’ingresso, nel relativo azionariato, di nuovi soci, con la conseguente mancata dimostrazione del nesso di causalità tra il comportamento del convenuto e la mancata soddisfazione del proprio credito; il tutto, in contrasto con quanto agevolmente rilevabile dai contenuti della documentazione espressamente richiamata in ricorso, dai quali era viceversa emerso il carattere espresso e manifesto della volontà dei nuovi soci di intervenire nella società debitrice;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la corte territoriale abbia espressamente rilevato, sulla base dell’esame degli elementi di prova acquisiti al giudizio, la mancanza dimostrazione, da parte della società attrice, che il mancato intervento di nuovi soci nel capitale della società debitrice non fosse dipeso ‘ da altre valutazioni inerenti le prospettive future di quel progetto imprenditoriale ‘ (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata);
in forza di tale premessa, la diversa interpretazione avanzata dall’odierna società ricorrente in ordine al significato degli elementi di prova acquisiti sul punto, in altro non consiste se non in una rilettura nel merito dei fatti di causa, ancora una volta sulla base in forza di un’impostazione critica non consentita in questa sede di legittimità;
con il sesto motivo -erroneamente indicato come quinto (‘V’) in ricorso -la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2733, co. 2, c.c. e 232 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di attribuire decisiva rilevanza alla mancata presentazione del convenuto all’interrogatorio formale disposto dal giudice, nonché alle conseguenze di tale conAVV_NOTAIOa processuale, omettendo di ritenere come ammessi i fatti deAVV_NOTAIOi nel medesimo interrogatorio;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione della censura in esame, la società ricorrente intenda dolersi delle modalità attraverso le quali il giudice di merito è pervenuto, nell’esercizio dei poteri discrezionali allo riconosciuti dalla legge, alla complessiva valutazione degli elementi di prova acquisiti (e, in particolare, alla decisione di non considerare ‘come ammessi’ i fatti deAVV_NOTAIOi nell’interrogatorio formale, nell’ambito dei poteri di apprezzamento allo stesso attribuiti dall’art . 232 c.p.c.), prospettando come violazione di legge ciò che, al contrario, si risolve nella contestazione di un vizio di motivazione, del tutto al di fuori dei limiti ancora consentiti dall’art. 360 n. 5 c.p.c.;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 7.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione