Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5535 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5535 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5857/2020 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME
-ricorrente e controricorrente- contro
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME quali eredi di COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
-controricorrenti e ricorrente incidentaliavverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di LECCE n.861/2019 depositata il 6.8.2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31.1.2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Bari, quale giudice di rinvio, a conclusione di un giudizio promosso da COGNOME NOME contro COGNOME NOME nel 2008 al fine di essere riconosciuto proprietario di un terreno con sovrastante fabbricato da ultimare con pagamento del corrispettivo di £ 40.000.000 in base alla scritture private del 24.11.1977 (relativa al solo terreno) e del 9.1.1980 (relativa al fabbricato), o in forza di sentenza ex art. 2932 cod. civ., con condanna del COGNOME al pagamento della penale, con la sentenza n. 1127/2007, accogliendo l’eccezione impropria sollevata dal COGNOME nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, dichiarava l’invalidità e l’inefficacia dei contratti di cui alle suindicate scritture private, perché conclusi senza il consenso della comproprietaria NOME NOMECOGNOME coniuge in regime di comunione legale con COGNOME NOME all’atto dell’acquisto del terreno poi edificato, con conseguente rigetto delle originarie domande del COGNOME e con condanna dello stesso alle spese processuali di tutti i gradi di giudizio.
Sulla base del giudicato formatosi relativamente a tale sentenza, COGNOME NOME conveniva in giudizio COGNOME NOME davanti al Tribunale di Brindisi, chiedendo la restituzione della somma di £40.000.000, pagata per l’acquisto del fabbricato, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, e la condanna del convenuto al risarcimento dei danni subiti per avere confidato senza colpa nella validità dei contratti del 24.11.1977 e del 9.1.1980, danni da rapportare al valore attuale degli immobili che avrebbe dovuto acquistare, quantificati, nella prodotta relazione tecnica di parte del geometra NOME COGNOME, in € 333.072,00, nonché del danno esistenziale e del danno all’immagine patito a causa del comportamento del COGNOME, posto che a seguito del conseguimento del possesso del terreno, aveva promesso di vendere, e poi venduto, il locale al piano seminterrato a COGNOME NOME, aveva promesso di vendere i due appartamenti al primo piano al cognato del COGNOME, NOME NOME, ed aveva promesso di vendere il locale al
piano terra a NOME COGNOME che contro di lui aveva già promosso un giudizio davanti al Tribunale di Brindisi, e posto che, su denuncia di NOME COGNOME era stato ingiustamente sottoposto a processo penale per tentata estorsione.
Si costituiva COGNOME NOMECOGNOME che preliminarmente eccepiva il giudicato, ritenendo che la sentenza della Corte d’Appello di Bari n.1127/2007 precludesse al COGNOME la possibilità di richiedere, in un nuovo giudizio, la restituzione del prezzo ed il risarcimento dei danni subiti, e per quanto ancora rileva chiedeva comunque la reiezione delle domande di controparte.
Riassunta la causa interrotta per la morte di COGNOME NOME nei confronti dei suoi eredi, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, NOME e NOME, il Tribunale di Brindisi, con la sentenza n.1167/2016, per quanto ancora rileva, disattesa l’eccezione di inammissibilità delle domande del COGNOME per intervenuto giudicato, condannava gli eredi di COGNOME NOME alla restituzione a COGNOME NOME a titolo di responsabilità precontrattuale, della somma di €20.658,28 (£ 40.000.000) oltre interessi legali dalla domanda giudiziale, senza rivalutazione monetaria, respingendo le altre domande di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale del COGNOME in ragione della loro risarcibilità nei limiti dell’interesse negativo.
Appellata la sentenza in via principale da COGNOME NOME, ed in via incidentale dagli eredi COGNOME, la Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza n. 861/2019 del 21.6/6.8.2019, accoglieva per quanto di ragione l’appello principale, condannando gli eredi COGNOME in solido alla restituzione a titolo di indebito oggettivo in favore del COGNOME della somma di € 20.658,28 oltre interessi legali dal 9.1.1980 (giorno del versamento), senza il maggior danno, respingeva l’appello incidentale, confermava nel resto la sentenza di primo grado, compensava per 2/3 le spese di secondo grado, condannando gli appellati al pagamento del terzo residuo di tali
spese, con distrazione a favore del legale antistatario dell’appellante.
La Corte d’Appello, anzitutto respingeva l’appello incidentale, nella parte in cui aveva riproposto l’eccezione di giudicato, ed affermava che, al contrario di quanto ritenuto in primo grado, la domanda avanzata dal COGNOME non aveva avuto ad oggetto genericamente il risarcimento dei danni asseritamente derivanti dalla condotta del COGNOME, essendo state articolate distinte conclusioni per la restituzione del corrispettivo versato, e per il risarcimento del danno, inquadrando quindi la prima di tali due domande, previa sua riqualificazione, nello schema dell’art. 2033 cod. civ. (azione di indebito oggettivo), e la seconda nello schema dell’azione di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale.
Da tale riqualificazione della domanda di restituzione, il giudice di secondo grado faceva discendere, che data la mala fede del Biasi al momento della ricezione del pagamento di £ 40.000.000, perché pienamente consapevole dell’invalidità del contratto concluso senza il consenso del coniuge, gli interessi legali su quella somma dovevano decorrere dalla data della ricezione del pagamento (9.1.1980), e non dalla successiva data della domanda giudiziale come disposto in primo grado, respingendo invece per difetto di prova, la richiesta del maggior danno ex art. 1224 comma 2° cod. civ..
Ulteriormente la Corte d’Appello riteneva non invocabile l’art. 1480 cod. civ. sugli obblighi del venditore in caso di vendita di cosa parzialmente altrui, e quindi la responsabilità contrattuale anziché precontrattuale, perché le scritture private del 24.11.1977 e del 9.1.1980 erano state dichiarate invalide, e giustamente era stato chiesto dal COGNOME il risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale per avere senza colpa confidato durante le trattative nella validità di quelle scritture private.
Quanto alle richieste di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale del COGNOME, il giudice di secondo grado rilevava che la domanda di rimborso delle spese sopportate per il completamento dell’immobile era stata avanzata per la prima volta nell’atto di appello, ed era quindi tardiva ed inammissibile, mentre la domanda di risarcimento dei danni parametrati al valore degli immobili che il COGNOME avrebbe dovuto acquistare con le scritture private del 24.11.1977 e del 9.1.1980, risultate invalide, era infondata, in quanto i danni in materia di responsabilità precontrattuale erano risarcibili nei limiti dell’interesse negativo, e quindi per le diminuzioni patrimoniali che il soggetto avrebbe evitato se non avesse fatto affidamento nella conclusione del contratto (ad esempio spese affrontate durante le trattative ed attività sprecate durante le stesse) e per il lucro cessante che avrebbe potuto conseguire per altre contrattazioni dalle quali era stato distolto, ma non per i mancati vantaggi che avrebbe potuto realizzare se il contratto fosse stato validamente concluso ed eseguito (Cass. 13.10.2005 n. 19883).
La Corte d’Appello rigettava, poi, le domande di risarcimento dei danni all’immagine ed alla reputazione di imprenditore, perché anche a voler ritenere superabile il difetto di prova scritta dei contratti preliminari di vendita conclusi dal COGNOME con soggetti terzi rilevato in prime cure, in quanto si trattava qui di valutare una pretesa risarcitoria rispetto alla quale gli stessi venivano in rilievo come fatti storici, i danni suddetti erano danni-conseguenza e richiedevano quindi una prova specifica da parte dell’asserito danneggiato (Cass. n. 20558/2014; Cass. n. 7471/2012; Cass. n.10527/2011; Cass. n. 13614/2011), che nella specie non era stata data.
L’accoglimento solo parziale dell’appello principale determinava la Corte d’Appello a compensare per 2/3 le spese processuali, condannando gli appellati al pagamento del terzo residuo.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso a questa Corte COGNOME NOMECOGNOME affidandosi a cinque motivi, ed hanno resistito con controricorso e ricorso incidentale con tre motivi gli eredi di COGNOME NOME, al quale il COGNOME ha resistito con controricorso.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale COGNOME NOMECOGNOME munito di nuovo difensore, ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo articolato motivo il ricorrente principale lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 1123, 1224 comma 2°, 1337, 1338, 2033 e 2056 cod. civ., dolendosi del fatto che l’impugnata sentenza non gli abbia riconosciuto la rivalutazione monetaria sull’importo del prezzo pagato a COGNOME Francesco il 9.1.1980, per l’acquisto degli immobili, di £ 40.000.000 (€ 20.658,28), sulla base delle scritture private del 24.11.1977 e del 9.1.1980, da lui sottoscritte col solo COGNOME e dichiarate invalide con la sentenza passata in giudicato della Corte d’Appello di Bari n.1127/2007, per la mancata acquisizione del consenso del coniuge comproprietario, per pregresso intervenuto acquisto in regime di comunione legale dei beni del coniuge del COGNOME, NOMECOGNOME
Il ricorrente si duole che la Corte d’Appello abbia accolto il suo appello sulla decorrenza degli interessi facendoli decorrere dal giorno del versamento in applicazione della disciplina dell’azione di ripetizione di indebito oggettivo per i casi di mala fede dell’ accipiens, negando però il danno da svalutazione monetaria per la mancata prova del maggior danno ex art. 1224 comma 2° cod. civ..
Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello abbia distinto l’azione di restituzione del prezzo versato, da quella di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale, per avere il COGNOME confidato
senza colpa nella validità delle scritture private summenzionate, qualificando la prima come azione di ripetizione di indebito oggettivo per essere fondato l’obbligo restitutorio invocato, solo sulla circostanza che era venuta a mancare la causa giustificativa del pagamento del prezzo per la dichiarata invalidità delle scritture private citate, ed applicando quindi il regime degli interessi proprio della ripetizione di indebito oggettivo (Cass. 31.1.2019 n.2993), la quale ultima presuppone un debito di valuta e non di valore, in quanto tale non soggetto a rivalutazione monetaria automatica e qualificando solo la seconda come domanda di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale.
Osserva poi il ricorrente, che avendo la Corte d’Appello riconosciuto, da un lato la colpa del COGNOME per avere concluso le scritture private ben sapendo che le stesse erano invalide per il mancato consenso del coniuge comproprietario, e dall’altro l’assenza di colpa del COGNOME per avere confidato nella validità di dette scritture private, gli avrebbe dovuto attribuire la rivalutazione monetaria sul prezzo pagato, in quanto l’illecito precontrattuale dà luogo ad un debito di valore e non di valuta (Cass. 29.4.1999 n. 4299), per cui non era applicabile la disciplina normativa sul maggior danno (art. 1224 comma 2° cod. civ.), propria delle obbligazioni di valuta.
Da ultimo il ricorrente si duole, che l’impugnata sentenza, nell’operare la qualificazione giuridica della sua domanda di restituzione del prezzo pagato, in termini di azione di ripetizione di indebito oggettivo, e non di azione di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale, non abbia tenuto conto che l’indebito si distingue dalla fattispecie risarcitoria dell’art. 2043 cod. civ. per l’assenza di qualsiasi profilo di colpa o dolo dell’ accipiens, per cui quando una parte allega un fatto illecito nella cui struttura vi é l’elemento psicologico del dolo, o della colpa, qualunque sia la forma della domanda di ripristino della situazione patrimoniale che
si assume lesa, essa prescinde dalla fattispecie dell’indebito oggettivo (Cass. sez. un. 20.1.2005 n. 2207), valendo il principio anche per l’illecito precontrattuale, che é pur sempre un illecito. Il motivo é infondato.
Il giudice di merito, nell’esercizio del suo potere di interpretazione e qualificazione della domanda giudiziale, deve seguire i criteri degli articoli 1362 e seguenti cod. civ. e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, con il limite della corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, ai sensi dell’art. 112 c.p.c. (vedi in tal senso in motivazione Cass. 21.10.2024 n.27167), criteri che nella specie non risultano violati, né specificamente censurati, mentre la valutazione dei fatti é riservata al giudice di merito.
La Corte d’Appello, nel rispetto del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato dell’art. 112 c.p.c., ha rilevato che nel giudizio di primo grado il COGNOME non aveva avanzato un’unica domanda di risarcimento dei danni subiti, comprensivi di tutte le voci di danno emergente e lucro cessante conseguenti, per avere confidato senza colpa nella validità delle scritture private del 24.11.1977 e del 9.1.1980, bensì due domande distinte, la prima formulata in termini di restituzione della somma pagata, basata solo sull’invalidità delle suddette scritture private, sul pagamento del prezzo di £40.000.000 da parte del COGNOME in esecuzione della scrittura privata del 9.1.1980 e sul venir meno della causa giustificativa di quel pagamento a seguito dell’invalidità di quel titolo accertata dalla sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1127/2007, e la seconda, formulata in termini di risarcimento dei danni subiti per la perdita del valore degli immobili che il COGNOME avrebbe dovuto acquistare in forza delle scritture invalide, per il danno esistenziale ed alla reputazione di corretto imprenditore, e connessa all’ulteriore elemento dell’avere egli confidato senza colpa nella validità delle scritture private, mentre il COGNOME era certamente consapevole dell’invalidità di quelle scritture private perché non
firmate da sua moglie, che pure era comproprietaria del terreno edificato in quanto acquistato dal COGNOME in regime di comunione legale dei beni. Da tale corretta e differenziata qualificazione giuridica, derivata dal fatto che a base della domanda di restituzione del prezzo pagato il COGNOME non aveva posto l’elemento aggiuntivo della colpa, posto invece a base della domanda di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale, (di qui l’inapplicabilità nella specie dell’invocata sentenza n. 2207 del 20.1.2005 delle sezioni unite di questa Corte sui rapporti tra azione di ripetizione di indebito oggettivo ed azione di risarcimento danni), e dalla considerazione che il danno emergente é stato richiesto dal COGNOME per le spese sostenute per il completamento degli immobili (e non per il prezzo pagato al COGNOME oggetto della domanda di restituzione) solo nell’atto di appello, e quindi tardivamente, e per il resto solo per il danno esistenziale ed all’immagine, l’impugnata sentenza ha fatto discendere, coerentemente, il riconoscimento degli interessi sulla somma pagata, per la mala fede del COGNOME, dal giorno del versamento del prezzo ex art. 2033 cod. civ., ed il rigetto della richiesta di rivalutazione monetaria, che non compete in via automatica per le somme indebitamente pagate, che sono debiti di valuta e non di valore, ritenendo poi non fornita dal COGNOME la prova del maggior danno ex art. 1224 comma 2° cod. civ..
2) Col secondo motivo il ricorrente principale lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c..
Si duole il Caroli che la Corte d’Appello abbia ritenuto insussistente la prova del maggior danno ex art. 1224 comma 2° cod. civ., pur avendo riconosciuto che egli esercitava l’attività di imprenditore, con conseguente percezione di profitto, e che aveva promesso in vendita a terzi gli immobili che avrebbe dovuto acquistare con le scritture private poi ritenute invalide, mentre in base a tali elementi, che erano stati ignorati in violazione dell’art. 116 c.p.c.,
gli avrebbe almeno dovuto riconoscere il danno subito per la svalutazione monetaria della somma pagata senza titolo dal giorno del versamento a quello della sentenza (circa 40 anni). Ulteriormente il COGNOME si duole della mancata considerazione ai fini della prova del maggior danno delle testimonianze rese dai promittenti acquirenti degli immobili costruiti sul terreno oggetto di causa, NOME Leonardo, NOME e COGNOME NOME.
Il motivo é infondato.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte ” In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. , occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio” ed ha altresì affermato che “In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. , solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione ” (Cass. 21.6.2024 n. 17157; Cass. 30.9.2020 n. 20867).
La sentenza impugnata non é incorsa nella violazione denunciata, perché dopo avere correttamente escluso, trattandosi di ripetizione di indebito oggettivo, la rivalutazione monetaria della somma versata senza titolo sulla base della scrittura privata invalida del 9.1.1980 di £ 40.000.000, ha respinto la domanda di maggior danno ex art. 1224 comma 2° cod. civ., trattandosi di un danno conseguenza e non di un danno evento attribuibile in via automatica, per cui sarebbe stata necessaria una prova specifica che non era stata fornita neppure in via presuntiva, non avendo l’appellante effettuato sul punto allegazioni di fatti da cui desumere la produzione di un pregiudizio superiore rispetto a quello coperto dagli interessi legali riconosciuti.
3) Col terzo motivo il COGNOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n.3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 1223, 1224, 1337, 1338 e 2056 cod. civ. e la violazione e falsa applicazione degli articoli 936 e 1150 cod. civ.. Si duole il COGNOME che, benché egli avesse richiesto il risarcimento dei danni subiti per avere senza colpa confidato nella validità delle scritture private, per la mancata acquisizione del valore degli immobili, di cui alla stima di parte del geom. NOME prodotta, per il danno esistenziale ed all’immagine, ma anche per qualsiasi altra voce di danno derivante dall’invalidità del contratto nella misura che sarebbe stata accertata, ed anche in via equitativa, la Corte d’Appello, che ha ritenuto nuova ed inammissibile la sua domanda di risarcimento dei danni subiti per le spese affrontate per il completamento degli immobili avanzata per la prima volta nell’atto di appello, non abbia considerato che gli immobili che egli avrebbe dovuto acquistare con le scritture invalide erano allo stato grezzo, per cui le spese per il loro completamento, che il COGNOME aveva sostenuto, dovevano ritenersi conseguenza immediata e diretta del comportamento contrario a buona fede tenuto da COGNOME NOME, che peraltro aveva lasciato trascorrere ben 16 anni prima di
eccepire l’invalidità delle scritture private, ed aggiunge che negare la risarcibilità di tali spese per il limite dell’interesse negativo, significava urtare contro il principio della risarcibilità piena della vittima di una condotta contraria a buona fede. Ulteriormente deduce il COGNOME, che la Corte d’Appello non aveva considerato che egli era entrato nella detenzione degli immobili allo stato grezzo dopo la conclusione delle scritture private, detenzione poi mutata in possesso per le attività materiali costruttive da lui svolte, e che alle spese di completamento da lui sostenute era quindi applicabile la disciplina sui miglioramenti degli articoli 936 e 1150 cod. civ..
Tale motivo è in parte infondato ed in parte anche inammissibile.
E’ infondato nella parte in cui tende ad ottenere una diversa ricostruzione dei danni, causalmente connessi sotto il profilo del danno emergente, per le spese di completamento degli immobili, alla condotta contraria a buona fede del COGNOME, peraltro senza considerare che la Corte d’Appello ha correttamente ritenuto inammissibile la domanda relativa perché avanzata in termini compiuti, per la prima volta, solo con l’atto di appello del COGNOME, mentre in primo grado la richiesta risarcitoria era stata avanzata solo per il mancato conseguimento del valore degli immobili che il predetto avrebbe dovuto acquistare con le scritture invalide, e non per le spese sostenute per il loro completamento, sicché non ha esaminato la domanda nel merito.
Del tutto nuova ed inammissibile é invece la questione dei miglioramenti apportati agli immobili attraverso gli interventi di completamento, della quale l’impugnata sentenza non tratta in alcun modo, per cui il COGNOME avrebbe dovuto dedurre quando e con quale atto avesse dedotto tale questione nel giudizio di primo grado, mentre non lo ha fatto. Orbene per giurisprudenza consolidata di questa Corte qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una
statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. sez. lav. 13.1.2025 n. 805; Cass. n. 11166/2018; Cass. n.20694/2018; Cass. n. 20703/2015; Cass. n. 18795/2015; Cass. n.23675/2013). Sotto quest’ultimo profilo, il motivo è dunque inammissibile.
4) Col quarto motivo il COGNOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n.5) c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Si duole il ricorrente del fatto che la Corte d’Appello abbia ritenuto tardiva ed inammissibile la sua domanda inerente al rimborso delle spese sopportate per il completamento degli immobili avanzata per la prima volta nell’atto di appello, non avvedendosi che in primo grado egli aveva richiesto il risarcimento del danno in relazione al valore degli immobili sulla base della relazione tecnica del geom. COGNOME che nel suo elaborato, confermato sotto il vincolo del giuramento, aveva dato atto che le opere di ultimazione per rendere agibili alcuni degli immobili erano state eseguite dal COGNOME, e non tenendo conto che già nella citazione in primo grado egli aveva richiesto il risarcimento di qualsiasi voce di danno connessa all’invalidità del contratto.
Il motivo, è inammissibile perchè non risponde al paradigma dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c..
Questa Corte (vedi Cass. n. 6322/2023; Cass. n. 8584/2022; Cass. n.12387/2020; Cass. n. 18391/2017; Cass. sez. un. 7.4.2014 n. 8053), ha più volte enunciato il principio di diritto secondo cui l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per
cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, intendendosi per tale un accadimento fenomenico esterno alla dinamica propria del processo. Ne consegue che nel “fatto storico” non è inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio in quanto essa costituisce mero elemento istruttorio da cui è possibile trarre il “fatto storico”, rilevato e/o accertato dal consulente (Cass. 24.6.2020 n.12387; Cass. 26.7.2017 n.18391). Pertanto, la parte interessata non può genericamente limitarsi a dedurre l’omesso esame delle risultanze della CTU, ma deve individuare ed evidenziare un preciso fatto storico sottoposto alla dialettica del contraddittorio dalla difesa, legale o tecnica, di natura decisiva, tale cioè da ribaltare o modificare significativamente l’esito della lite, che il giudice del merito abbia omesso di considerare, mentre nella specie il ricorrente deduce, addirittura, l’omesso esame di una perizia di parte che è una mera allegazione difensiva (vedi con riferimento specifico alla perizia di parte Cass. 16.12.2024 n. 32811).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha comunque escluso la decisività della perizia di parte evidenziando che, la domanda proposta con la citazione relativa agli immobili insistenti sul terreno oggetto delle scritture private invalide, era riferita al mancato conseguimento del valore di quegli immobili, che erano stati completati dal COGNOME dopo la scrittura privata invalida del 9.1.1980, e non alle spese di completamento di quegli immobili, che sono state chieste per la prima volta con l’atto di appello, e quindi tardivamente. La relazione tecnica del geom. COGNOME inoltre, é stata prodotta dal COGNOME per dimostrare l’incremento di valore degli immobili, ma per ammissione dello stesso ricorrente, non contiene alcuna specifica individuazione e quantificazione delle spese di completamento, limitandosi a riportare che i relativi lavori sarebbero stati eseguiti dallo stesso COGNOME, per cui anche a voler individuare il fatto storico non considerato, nel completamento dei
lavori compiuto dal COGNOME dopo la firma delle scritture invalide, e non di per sé nella perizia di parte, tale relazione difetterebbe della necessaria decisività, non contenendo l’individuazione, né la quantificazione delle spese sostenute per quel completamento.
Quanto alla richiesta di risarcimento di qualsiasi voce di danno connessa all’invalidità del contratto, da liquidare anche equitativamente, effettuata dal COGNOME nella citazione di primo grado, dopo avere elencato esattamente le voci di danno richieste (valore attuale degli immobili che avrebbe dovuto acquistare, quantificati, nella prodotta relazione tecnica di parte del geometra NOME COGNOME, in € 333.072,00, danno esistenziale e danno all’immagine), non poteva, per la sua assoluta vaghezza ed indeterminatezza, consentire al COGNOME di comprendere che la pretesa risarcitoria fosse estesa anche alle spese dei lavori di completamento degli immobili sostenute dal COGNOME, e di esercitare quindi sul punto il suo diritto di difesa, sicché la specificazione del petitum e della causa petendi compiute solo con l’atto di appello dal COGNOME, dopo che era stato negato nella sentenza del Tribunale di Brindisi il risarcimento dei danni per responsabilità precontrattuale per superamento del limite dell’interesse negativo, é stata ritenuta giustamente tardiva ed inammissibile dalla Corte d’Appello di Lecce.
5) Col quinto motivo il COGNOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n.4) c.p.c., la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c.. Si duole il ricorrente principale che l’impugnata sentenza abbia disatteso la CTP del geom. COGNOME dalla quale risultava che le spese dei lavori di completamento degli immobili erano state sostenute dal COGNOME, e nel contempo che non abbia considerato il fatto, emergente dal preliminare del 9.1.1980, che gli immobili gli erano stati venduti allo stato grezzo e che dall’interrogatorio formale del COGNOME risultava che dopo quella scrittura privata il COGNOME era stato immesso nel possesso degli immobili.
Il motivo deve ritenersi logicamente assorbito per effetto del rigetto del quarto motivo, essendo risultata confermata la ritenuta inammissibilità per tardività della domanda di risarcimento danni per le spese di completamento degli immobili realizzati sul terreno oggetto delle scritture private invalide del 24.11.1977 e del 9.1.1980, asseritamente sostenute dal COGNOME.
1A) Passando all’esame del ricorso incidentale degli eredi di COGNOME NOME, col primo motivo, richiamandosi l’art. 360 comma primo n. 3) e n. 5) c.p.c. e la violazione dell’art. 342 c.p.c., si lamenta in sostanza che la Corte di merito, accogliendo l’appello sulla decorrenza degli interessi ‘ non ha minimamente considerato che l’appello era inammissibile ‘ .
Il motivo è infondato perché l’impugnata sentenza, pronunciandosi nel merito sull’appello del COGNOME, ha implicitamente ritenuto che esso avesse individuato le questioni ed i punti contestati della sentenza di primo grado, prospettando le argomentazioni volte a contrastare le ragioni addotte dal primo giudice (vedi sull’implicito rigetto dell’eccezione d’inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c. Cass. n.28947/2024 in motivazione a pagina 4 e Cass. n. 29191/2017).
2A) Col secondo motivo di ricorso incidentale gli eredi di COGNOME NOME lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione degli articoli 2909 cod. civ. e 345 c.p.c.. Si dolgono gli eredi COGNOME che la sentenza impugnata abbia disatteso l’eccezione di giudicato da essi riproposta in relazione alla sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1127/2007, che coprendo il dedotto ed il deducibile, doveva a loro avviso ritenersi preclusiva alla proposizione delle domande di restituzione del prezzo pagato in base alla scrittura privata invalida del 9.1.1980 e di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale avanzate in primo grado dal COGNOME In particolare deducono i ricorrenti incidentali, che la Corte d’Appello di Lecce avrebbe errato nel ritenere che la sentenza
della Corte d’Appello di Bari n.1127/2007 costituisse un antecedente del tutto autonomo rispetto alle domande restitutorie e risarcitorie avanzate in primo grado dal COGNOME il quale a seguito della pronuncia della Suprema Corte che aveva cassato con rinvio alla Corte d’Appello di Bari, avrebbe potuto proporre quelle domande già nel giudizio di rinvio svoltosi in quella sede.
Anche questo motivo è infondato.
La sentenza di legittimità del 2001, che aveva dato luogo alla cassazione con rinvio alla Corte d’Appello di Bari, non aveva ancora pronunciato l’invalidità delle scritture private del 16.11.2017 e del 9.1.1980, poi intervenuta solo con la sentenza della Corte d’Appello di Bari n.1127/2007. La sentenza impugnata ha correttamente evidenziato che il COGNOME, nei giudizi che erano stati definiti dalla sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1127/2007, aveva agito contro COGNOME NOME per vedere riconosciuto il proprio diritto di proprietà sulla porzione di fabbricato, ed in subordine per ottenerne il trasferimento con sentenza ex art. 2932 cod. civ. con condanna del COGNOME al versamento della penale pattuita, e che a fronte di tali domande, il COGNOME aveva eccepito (peraltro solo nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado) l’invalidità delle scritture private del 24.11.1977 e del 9.1.1980 perché da lui sottoscritte senza il consenso della moglie, che pure con lui aveva acquistato il terreno in regime di comunione legale. Da tale premessa l’impugnata sentenza ha desunto che le domande di restituzione del prezzo e di risarcimento danni del COGNOME, lungi dal richiedere un riesame di quanto già accertato, avevano proprio la sentenza della Corte d’Appello di Bari come loro presupposto logico e giuridico, per cui non era utilmente invocabile il principio che il giudicato copre il dedotto ed il deducibile.
3A) Col terzo motivo di ricorso incidentale gli eredi COGNOME lamentano, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione degli articoli 2697, 2033, 1227 cod. civ.e 345 c.p.c.. Si
dolgono i ricorrenti che la sentenza impugnata abbia riconosciuto al COGNOME, per la somma versata a titolo di prezzo di £ 40.000.000 sulla base della scrittura privata del 9.1.1980 ritenuta invalida, la tutela prevista per la ripetizione di indebito oggettivo, con gli interessi legali dal giorno del versamento, anziché quella relativa al risarcimento danni per responsabilità precontrattuale, ritenendo erroneamente provata la mala fede dell’ accipiens, e non considerando che anche il COGNOME aveva colposamente ignorato l’invalidità della scrittura privata del 9.1.1980, con conseguente applicabilità nei suoi confronti dell’art. 1227 comma 2° cod. civ.
La censura è in parte infondata e in parte inammissibile.
Mentre sulla qualificazione dell’azione di restituzione del prezzo come ripetizione di indebito, anziché in termini di risarcimento danni per responsabilità precontrattuale, sulla base della formulazione delle domande compiuta dal COGNOME, il motivo é infondato, e vanno richiamate le argomentazioni già esposte in ordine al quarto motivo del ricorso principale, nella parte in cui si riferisce all’art. 1227 comma 2° cod. civ., il terzo motivo del ricorso incidentale é inammissibile.
La questione del concorso di colpa ex art. 1227 comma 2° cod. civ., infatti, è infatti questione nuova non trattata dall’impugnata sentenza, per cui secondo la giurisprudenza di questa Corte già richiamata (vedi pagina 10), i ricorrenti incidentali, per evitare un rilievo di inammissibilità, avrebbero dovuto indicare in quale atto e tempo del giudizio di primo grado avrebbero sollevato la questione, mentre non l’hanno fatto.
Quanto al rilievo che non sarebbe stata data la prova della mala fede dell’ accipiens, la censura é inammissibile, in quanto tendente ad ottenere, in sede di legittimità, un nuovo accertamento di fatto, sulla base delle risultanze probatorie acquisite, ed in quanto la violazione dell’art. 2697 cod. civ. può essere lamentata quando si assuma che l’onere della prova sia stato posto a carico di una parte
diversa da quella sulla quale gravava, e non per dolersi di una cattiva valutazione del materiale probatorio (vedi Cass. 4.4.2024 n. 8884; Cass. 30.8.2022 n.25543; Cass. 22.3.2022 n. 9225).
In conclusione, entrambi i ricorsi vanno respinti con compensazione delle spese tra le parti.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e compensa le spese. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 31.1.2025