Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11028 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11028 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
Oggetto: intermediazione finanziaria
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8559/2021 R.G. proposto da Banca Generali s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso da ll’ avv. NOME COGNOME
contro
ricorrente –
NOME
intimato –
Renzi NOME
intimato –
Renzi NOME
intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 2617/2020,
depositata il 5 ottobre 2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 aprile 2025 dal
Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
la Banca Generali s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, depositata il 5 ottobre 2020, di reiezione del l’appello della BG Fiduciaria SIM s.p.a., nei cui rapporti era subentrata, per la riforma della sentenza del Tribunale di Vicenza che aveva condannato quest’ultima al pagamento in favore di NOME COGNOME della somma di euro 315.064,24, oltre interessi convenzionali e rivalutazione monetaria sulla somma investita (euro 908.964,14), a titolo di risarcimento dei danni per inadempimento di un contratto di gestione patrimoniale concluso per il tramite del promotore NOME COGNOME;
la Corte di appello ha riferito che il giudice di prime cure aveva preliminarmente dichiarato il difetto di legittimazione attiva degli attori NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, familiari di NOME COGNOME, in quanto estranei al rapporto contrattuale dedotto in giudizio, e, quindi, aveva accertato la responsabilità della BG Fiduciaria SIM s.p.a. (già Intesa Fiduciaria s.p.a.) in ragione dell’a ffidamento colposo ingenerato nell’attore in ordine alla titolarità del rapporto medesimo e dell’inadempim ento degli obblighi scaturenti dal contratto, in relazione alla mancata corresponsione dei rendimenti pattuiti;
ha, quindi, confermato la decisione di primo grado;
il ricorso è affidato a undici motivi;
resiste con controricorso NOME COGNOME
le altre parti intimate non spiegano alcuna difesa;
le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 100, 115 e 116 cod. proc. civ. e 1321, 1325, 1326, 1362 e 1372 cod. civ.,
per aver la sentenza impugnata ritenuto l’esistenza di un contratto di gestione patrimoniale tra la ricorrente medesima e gli attori e, comunque, omesso di considerare che tale contratto era stato concluso tra gli attori e la Intesa SIM s.p.a.;
evidenzia, in proposito, che la sua attività si era risolta nel mettere a disposizione un conto soggettivamente schermato su cui «appoggiare» le gestioni che gli attori avevano sottoscritto con la predetta Intesa SIM s.p.a. per il tramite del promotore COGNOME;
il motivo è inammissibile;
deve osservarsi che per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre per dedurre la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. occorre allegare che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (cfr. Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867); – orbene, la doglianza formulata con il motivo in esame non è rispettosa
dei riferiti oneri contenutistici;
sotto altro profilo, il motivo si risolve in una critica alla valutazione delle risultanze probatorie che, investendo un accertamento riservato al giudice di merito, non è sindacabile in questa sede per violazione di legge;
con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt.
100, 115, 116 e 216 cod. proc. civ. e 2697 e 2702 cod. civ., per aver la Corte di appello accertato la falsità delle sottoscrizioni apparentemente riferibili ad NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e apposte sul documento rappresentativo del mandato fiduciario conferito alla banca e, conseguentemente, dichiarato il difetto di legittimazione ad agire di tali soggetti senza che fosse stato dato ingresso all’istanza di verificazione chiesta dalla banca ;
censura, in particolare, la decisione impugnata per aver dichiarato il difetto di interesse dell’appellante sul la statuizione per assenza del requisito della soccombenza benché tale interesse risedesse nell’evitare una seconda domanda dei predett i soggetti nei suoi confronti e nel dimostrare l ‘elevat a competenza ed esperienza dell’investitore NOME COGNOME e della sua famiglia nelle questioni finanziarie;
il motivo è infondato;
la Corte territoriale ha disatteso il primo motivo di appello, con cui era aggredita la statuizione del Tribunale avente a oggetto la declaratoria di carenza di legittimazione ad agire degli attori NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME sostenendo che l’appellante non aveva interesse, poiché totalmente vincitrice in primo grado sul punto; – tale valutazione risulta corretta in quanto con tale statuizione il giudice di primo grado ha respinto la domanda formulata nei confronti della società, la quale, dunque, risulta priva di interesse all’impugnazione, difettando il requisito della soccombenza;
-erronea è l’argomentazione della ricorrente secondo cui una siffatta statuizione avrebbe l’effetto di esporla a una possibile nuova domanda da parte di tali soggetti, in quanto la declaratoria di «carenza di legittimazione ad agire» pronunciata dal Tribunale va intesa nel senso di un rigetto della domanda per insussistenza del diritto fatto valere e, in quanto tale, è suscettibile di acquisire autorità di cosa giudicata se non ritualmente impugnata;
-non concludente è, poi, l’assunto secondo cui una siffatta declaratoria impedirebbe di dimostrare che gli attori fossero investitori competenti ed esperti, trattandosi di una circostanza la cui dimostrazione non è impedita dalla dichiarazione di difetto di legittimazione ad agire dei familiari de ll’investitore NOME COGNOME
con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione: dell’art. 1460 cod. civ. , per aver la sentenza impugnata omesso di riconoscere che in difetto di adempimento dell’attore NOME COGNOME la banca non poteva essere tenuta all’adempimento della propria obbligazione; dell’art. 112 cod. proc. civ. , per ultrapetizione in riferimento alle politiche di gestione dell’investimento; degli artt. 1227, 1362 e 1460 cod. proc. civ., per aver la Corte di appello ritenuto che dalle informative derivassero effetti obbligatori di versamento delle cedole indipendenti dai risultati di gestione e omesso di considerare la incidenza de gli effetti dell’inadempimento dell’attore NOME COGNOME realizzato con il disinvestimento delle somme operato prima della scadenza dell’orizzonte temporale pattuito; degli artt. 1324 e 1362 e ss. cod. civ., per aver la sentenza impugnata qualificato gli ordini di disinvestimento quali ritiri di cedole; degli artt. 116 cod. proc. civ. e 2733 cod. civ. per aver omesso di considerare quale confessione giudiziale resa in sede di interrogatorio formale l’ammissione di NOME COGNOME di aver sottoscritto ordini di disinvestimento; degli artt. 112 e 116 cod. proc. civ. e 1375 cod. civ., per aver la Corte territoriale ritenuto che NOME COGNOME fosse in buona fede e la società convenuta in mala fede senza alcuna evidenza di tale assunto;
il motivo è inammissibile;
quanto ai profili sviluppati sul l’assunto che NOME COGNOME si sia reso inadempiente delle obbligazioni contrattualmente assunto ma tale circostanza non trova riscontro nella sentenza impugnata, la quale, anzi, sembra escludere qualsiasi inadempimento dell’investitore;
non rispetta, dunque, il requisito per la formulazione del vizio di
violazione o falsa applicazione di legge, consistente nell’assunzione dell’accertamento di fatto come operato dal giudice del merito quale termine obbligato, indefettibile e non modificabile dell ‘ operazione giuridica di sussunzione (cfr. Cass. 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);
la censura per ultrapetizione non appare sufficientemente illustrata e, in quanto tale, non consente di individuare con esattezza la statuizione che non sarebbe rispondente alla domanda formulata dagli attori;
-quanto all’individuazione degli effetti obbligatori discendenti dal contratto dedotto in giudizio, alla qualificazione delle operazioni di versamento delle somme a beneficio dell’investitore in termine di riscossione delle cedole e alla sussistenza degli stati soggettivi di buona o mala fede, vengono in evidenza accertamenti riservati al giudice di merito e, in quanto tali, non sindacabili in questa sede per violazione o falsa applicazione della legge;
in ordine alla mancata valutazione della confessione giudiziale che l’investitore avrebbe reso in sede di interrogatorio formale, si osserva che tale questione non risulta essere stata trattata nella sentenza di appello;
in una siffatta evenienza è onere della parte ricorrente allegare la avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, onde consentire a questa Corte di poter verificare l’ammissibilità delle censure, sotto il profilo dell’assenza di novit à, oltre che la sua fondatezza, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di merito (cfr. Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675);
infatti, non sono prospettabili, per la prima volta, in sede di legittimità le questioni non appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del giudizio di merito, né rilevabili di ufficio (cfr. Cass. 25 ottobre 2017,
n. 25319; Cass. 9 luglio 2013, n. 17041; Cass. 30 marzo 2007, n. 7981), posto che il giudizio di cassazione ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo e alle questioni di diritto proposte (così, anche, Cass. 26 marzo 2012, n. 4787);
parte ricorrente non ha assolto a un siffatto onere;
con il quarto motivo la ricorrente critica la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione: degli artt. 1227, 1375 e 1460 cod. civ., nella parte in cui non ha tenuto conto degli indici di anomalia, del comportamento e degli effetti dell’inadempimento dell’investitore al fine di escludere o ridurre la responsabilità della banca; degli artt. 112 e 116 cod. proc. civ. e 1282 e 1283 cod. civ., nella parte in cui si è pronunciata ultra petita e ha omesso di considerare i disinvestimenti operati dall’ investitore in sede di determinazione degli interessi e del danno;
il motivo è inammissibile;
-la censura, infatti, muove da assunti -l’inadempimento dell’investitore, i disinvestimenti dallo stesso operato nel corso del rapporto -che la Corte di appello ha escluso, per cui difetta della necessaria concludenza;
con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 1418 e 1421 cod. civ. e 111 Cost., per motivazione assente o apparente in ordine alla domanda di nullità del mandato fiduciario e dei rapporti delle informative;
il motivo è inammissibile;
la questione non risulta essere stata trattata nella sentenza di appello e la ricorrente omette di allegare la avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, non assolvendo all’onere sulla stessa gravante;
-può, comunque, osservarsi che l’accoglimento della domanda di
risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale presuppone la validità del contratto, per la cui, in una siffatta situazione, la domanda di nullità eventualmente proposta deve ritenersi implicitamente respinta, in quanto incompatibile con la statuizione resa;
con il sesto motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1219, 1228 e 1398 cod. civ., nella parte in cui ha ritenuto che sussistessero i presupposti per l’applicazione del principio dell’apparenza colposa in tema di rappresentanza;
sostiene, in proposito, che la Corte territoriale avrebbe confuso la modulistica della BG Fiduciaria SIM s.p.a. con quella della Intesa Italia SIM s.p.a., imputando alla prima quella della seconda e, conseguentemente, ritenuto colposi i comportamenti della prima, e omesso di individuare quali sarebbero le misure che il falso rappresentato avrebbe dovuto tenere per non ingenerare dubbi nell’investitore circa gli effettivi poteri rappresentativi del promotore COGNOME;
il motivo è inammissibile;
lo stesso, infatti, investe accertamenti riservati al giudice di merito che, come rilevato in precedenza, sfuggono al sindacato di questa Corte per violazione di legge;
sotto altro aspetto, non si confronta con la sentenza impugnata, la quale, oltre a sottolineare la genericità delle contestazioni sollevate sul punto dall’appellante, ha affermato che « l’utilizzo di moduli intestati a RAGIONE_SOCIALE ha indubbiamente ingenerato nell’investitore il convincimento che il rapporto fosse instaurato nei riguardi di quest’ultima e non dell’altra società di intermediazione con cui l’intermediario pure aveva rapporti …; a quel punto, l’investitore non poteva certo dubitare che il promotore finanziario, utilizzando tale modulistica, non avesse l’autorizzazione a concludere in nome e per conto della società in oggetto»;
tale statuizione non risulta utilmente aggredita;
con il settimo motivo la ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione degli artt. 1324, 1362, 1363 e 1365 cod. civ. e 115 e 116 cod. proc. civ., per aver la sentenza impugnata «illegittimamente interpretato le Informative, senza tener conto dei documenti e dunque degli effetti anche sostitutivi dei più recenti rispetto agli anteriori»;
-con l’ottavo motivo denuncia valere la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1372 cod. civ. e 115 e 116 cod. proc. civ., per aver la Corte di appello ritenuto che la società appellante era parte del contratto dedotto in giudizio e da ciò fatto discendere che la stessa era titolare delle relative obbligazioni;
i due motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili, in quanto entrambi si risolvono nella critica alla valutazione delle risultanze probatorie effettuata dal giudice di merito -in particolare, il contenuto della Informative e la loro valenza contrattuale, nonché la titolarità in capo alla società appellante del rapporto contrattuale in oggetto -che è a lui riservata;
con il nono motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1219, 2935, 2943 e 2946 cod. civ. per aver la sentenza impugnata disatteso l’eccezione di prescrizione del diritto azionato individuando quale momento in cui l’investitore aveva acquisito consapevolezza della condotta illecita della società, rilevante ai fini della decorrenza del relativo termine, il mese di settembre 2001 benché l’insussistenza di garanzie circa l’integrità del capitale, così come delle cedole, si era reso manifesto già dal rendiconto del settemb re dell’anno precedente ;
il motivo è inammissibile;
l’accertamento del giudice di merito circa la data in cui il danno è divenuto percepibile da parte dell’investitore danneggiato costituisce apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità per vizio di violazione di legge (cfr. Cass. 27 ottobre 2023, n. 29859; Cass. 12
giugno 2023, n. 16631; Cass. 22 settembre 2017, n. 22059);
con decimo motivo la ricorrente critica la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1321 e 1362 e ss. cod. civ. e 112, 115 e 116 cod. proc. civ., nella parte in cui ha ignorato gli effetti del mandato di gestione del 16 giugno 2000 in favore delle condizioni contenute nelle Informative del 7 luglio 2001 con riferimento ai conferimenti per un totale di lire 900 mln. effettuati anteriormente a tale ultima data e ha confermato la condanna della società convenuta al risarcimento del danno da inflazione pur in assenza di una specifica domanda;
il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato;
con riferimento al primo aspetto, la Corte territoriale ha affermato che «la scrittura del 2001 richiamava e sostituiva interamente il mandato di gestione del 2000, comportando quindi la sommatoria degli investimenti già effettuati con la medesima società di intermediazione e l’obbligo del rendimento del 10% annuo su un capitale minimo conferito di lire 1.000.000.000»;
la censura non si confronta con tale ratio decidendi priva della necessaria concludenza;
per cui risulta
in ordine al riconoscimento del danno da inflazione in assenza di relativa domanda, si rammenta che l’obbligazione di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale costituisce, al pari dell’obbligazione risarcitoria da responsabilità extracontrattuale, un debito non di valuta, ma di valore, che tiene luogo della materiale utilità che il creditore avrebbe conseguito se avesse ricevuto la prestazione dovutagli, sicché deve tenersi conto della svalutazione monetaria frattanto intervenuta, senza necessità che il creditore stesso alleghi e dimostri il maggior danno ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, cod. civ., detta norma attenendo alle conseguenze dannose dell’inadempimento, ulteriori rispetto a quelle riparabili con la corresponsione degli interessi, relativamente alle sole obbligazioni
pecuniarie (cfr., ex plurimis , Cass. 26 novembre 2024, n. 30439; Cass. 19 gennaio 2022, n. 1627; Cass. 20 aprile 2020, n. 7948; Cass. 27 giugno 2016, n. 13225).
ne consegue che nella domanda di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento del danno da svalutazione monetaria, in quanto componente indispensabile del risarcimento, per cui il giudice di merito è tenuto ad attribuirla anche se non espressamente richiesta senza per ciò solo incorrere in ultrapetizione. (cfr. Cass. 4 novembre 2020, n. 24468; Cass. 17 settembre 2015, n. 18243; Cass. 7 ottobre 2005, n. 19636);
-infatti, la svalutazione monetaria, al pari degli interessi, non costituisce un autonomo diritto del creditore, ma svolge una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato, qual era all’epoca del prodursi del danno, e la sua attribuzione costituisce una mera modalità o tecnica liquidatoria (cfr. Cass. 14 giugno 2023, n. 17004; Cass. 18 luglio 2011, n. 15709; Cass., Sez. Un., 5 aprile 2007, n. 8520);
-con l’ultimo motivo la ricorrente lamenta l’omessa pronuncia e la violazione dell’art. 246 cod. proc. civ., in relazione al motivo di appello con cui era contestata la decisione del giudice di prime di considerare incompatibile il teste COGNOME
il motivo è inammissibile;
benché il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, secondo il quale, ove si denunci la mancata pronuncia su motivi d’appello, è necessario che questi ultimi siano riportati nell’atto d’impugnazione, deve essere interpretato in maniera elastica, in conformità all’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte -oggi recepita dal nuovo testo dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022 -, è, tuttavia, necessario che il contenuto dei motivi asseritamente non esaminato sia
sufficientemente determinato in modo da renderli pienamente comprensibili e ne sia fornita una specifica indicazione, tale da consentirne l’individuazione nell’ambito dell’atto di appello;
parte ricorrente non ha soddisfatto un siffatto onere, omettendo di riferirne, sia pure in via sintetica, il contenuto e di indicare in modo puntuale in quale punto dell’atto di appello lo stesso è stato articolato; – si osserva, comunque, che il giudizio sulla capacità a testimoniare è rimesso al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità per violazione di legge (cfr. Cass. 19 gennaio 2007, n. 1188; Cass. 20 gennaio 2006, n. 1101; Cass. 7 dicembre 2000, n. 15526);
per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso non può essere accolto;
le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 15.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 4 aprile 2025.