Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5849 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2   Num. 5849  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4506/2019 R.G. proposto da:
JUELI’ 2 DI GALLO BRUNA, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE NOME;
-intimata- avverso  la  SENTENZA  della  CORTE  D’APPELLO  di  MILANO  n. 3114/2018, depositata il 25/06/2018.
Udita la relazione svolta nella udienza del 12/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Sentito il Pubblico  Ministero, il  sostituto  procuratore  generale NOME COGNOME, che ha chiesto alla Corte di rigettare il ricorso.
FATTI DELLA CAUSA
NOME COGNOME , titolare dell’RAGIONE_SOCIALE, ha chiesto al Tribunale di Busto Arsizio di ingiungere a NOME COGNOME e a COGNOME, ‘quest’ultima anche come titolare dell’RAGIONE_SOCIALE‘, il pagamento di euro 47.197,44 a titolo di pagamento di una fattura. Il ricorrente ha dedotto che con contratto d’appalto COGNOME e COGNOME, quest’ultima anche come titolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, avevano affidato all’RAGIONE_SOCIALE il compito di realizzare lavori di ristrutturazione presso un immobile in Varazze, che, rispetto ai lavori inizialmente pattuiti, residuava un credito di euro 8.640 e che per le opere aggiuntive era dovuta l’ulteriore somma di euro 30.691,20. Il Tribunale di Busto Arsizio ha accolto il ricorso e ha ingiunto a COGNOME e COGNOME, quest’ultima anche come titolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il pagamento di euro 47.197,44. L’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo e l’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Busto Arsizio con la sentenza n. 1158/2016. Il Tribunale ha ritenuto che l’opposta aveva provato la pretesa fatta valere in INDIRIZZO monitoria, in quanto era stata dimostrata la conclusione tra le parti di un contratto d’appalto e il quantum dovuto non era stato oggetto di contestazione da parte dell’opponente.
2. La sentenza è stata impugnata dalla società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE. L’appellante ha lamentato come l’RAGIONE_SOCIALE avesse chiesto il decreto ingiuntivo nei confronti di RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME, quando invece il ricorso monitorio è stato proposto nei confronti delle persone fisiche di NOME e NOME e solo in estensione ‘anche’ di COGNOME nella qualità di titolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; inoltre, non vi era prova che l’obbligazione fosse stata contratta dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e il Tribunale avrebbe poi confuso la titolarità passiva del diritto con la responsabilità patrimoniale; essendo poi il contratto d’appalto stato concluso soltanto da COGNOME e COGNOME, la contestazione sul quantum non doveva essere svolta dall’RAGIONE_SOCIALE
NOME 2; infine, ad avviso dell’appellante, doveva essere integrato il contraddittorio nei confronti di COGNOME e soprattutto di COGNOME.
Con  la  sentenza  n.  3114/2018  la  Corte  d’appello  di  Milano  ha rigettato il gravame.
Avverso la sentenza la società RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione.
L’intimata RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME non ha proposto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è articolato in sette motivi.
1. Il primo motivo contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 102 c.p.c., nonché del diritto vivente rappresentato dalla costante giurisprudenza della Suprema Corte, che fa rientrare l’eccezione della non integrità del contraddittorio per violazione del litisconsorzio necessario fra quelle rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, avendo la Corte d’appello di Milano, con l’impugnata sentenza, erroneamente ritenuto che l’eccezione relativa alla mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di COGNOME fosse inammissibile in quanto nuova.
Il motivo non può essere accolto. Il decreto ingiuntivo è stato chiesto e ottenuto anche nei confronti di NOME COGNOME, che è stato condannato al pagamento insieme a NOME COGNOME, quest’ultima a sua volta anche come titolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. La sola RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione al decreto e il relativo giudizio si è svolto in primo grado e in appello unicamente tra RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. NOME COGNOME è stato condannato in sede monitoria a pagare quale debitore solidale dell’RAGIONE_SOCIALE, così che a fronte della sua mancata opposizione al decreto quest’ultimo è passato in giudicato nei suoi confronti e non si pone un problema di integrazione del contraddittorio per quanto concerne il giudizio di opposizione (ai sensi della giurisprudenza di questa Corte qualora il creditore chieda e ottenga decreto ingiuntivo nei confronti di più
coobbligati, non sussiste litisconsorzio necessario nel successivo giudizio di opposizione all’ingiunzione promosso da uno solo dei coobbligati, cfr. in tal senso Cass. n. 2758/1967). Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha ritenuto di non dovere integrare il contraddittorio nei confronti di COGNOME. Secondo la ricorrente sarebbe poi stata necessario integrare il contraddittorio pure nei confronti di COGNOME quale persona fisica e la censura è poi sviluppata nel quinto motivo, cfr. infra sub 5.
2) Il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 345, comma 3, e 115 c.p.c. per avere la Corte d’appello ritenuto inammissibile il documento 5 riprodotto in appello, erroneamente ritenendolo non prodotto in primo grado, quando invece lo stesso fu prodotto in primo grado dalla stessa RAGIONE_SOCIALE unitamente al ricorso per decreto ingiuntivo; il documento indicato come ‘copia elenco lavori eseguiti fuori accordo’ ha particolare rilevanza, in quanto dallo stesso si evince che l’obbligazione dedotta in giudizio fu contratta unicamente da NOME.
Il motivo non può essere accolto. È vero che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposizione della controparte, agli effetti dell’art. 638, terzo comma c.p.c., seppure non prodotti nuovamente nella fase di opposizione, rimangono nella sfera di cognizione del giudice di tale fase, in forza del principio “di non dispersione della prova”, e non possono perciò essere considerati nuovi, sicché, ove siano in seguito allegati all’atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili (così Cass., n. 14475/2015). La ricorrente non ha però dimostrato che il documento possa avere carattere decisivo, alla luce del ragionamento seguito dalla Corte d’appello laddove ha sostenuto che i lavori effettuati dall’RAGIONE_SOCIALE sono stati commissionati anche dalla COGNOME. La Corte d’appello ha infatti ritenuto, sulla base delle prove testimoniali escusse in primo grado, che sia stata dimostrata la partecipazione della COGNOME al
rapporto di appalto in qualità di committente, in particolare in base alle dichiarazioni del teste COGNOME e del teste COGNOME (cfr. le pagine 9 e 10 della sentenza impugnata).
3) Il terzo motivo lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 345 e 115 c.p.c., dell’art. 10 delle preleggi, dell’art. 54 del d.l. n. 15 del 2012 per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto inammissibili i documenti da 10 a 15, riprodotti nel giudizio di secondo grado e allegati in primo grado all’istanza di modifica dell’ordinanza ex art. 177 c.p.c. del 17 ottobre 2013, pur non essendo applicabile ratione temporis la novella del 2012, essendo il giudizio stato instaurato anteriormente all’entrata in vigore della medesima.
Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello ha ritenuto che i documenti da 10 a 15, che erano stati allegati in primo grado a un’istanza di modifica di una ordinanza dopo la scadenza dei termini di cui all’art. 183 c.p.c. e la cui produzione tardiva, tempestivamente contestata da controparte, non è mai stata autorizzata dal giudice di primo grado, per essere poi ridepositati in grado d’appello, fossero da ritenere inammissibili. Rispetto a tale affermazione la ricorrente contesta che si tratta di prove indispensabili, così che dovevano essere ritenute ammissibili dal giudice d’appello, non trovando applicazione al caso in esame la formulazione dell’art. 345 c.p.c. introdotta dal d.l. n. 83/2012, secondo la quale nel giudizio d’appello non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non averli potuti produrre nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Tale formulazione, che non prevede più la possibilità dell’ammissione di nuovi mezzi di prova indispensabili ai fini della decisione della causa, trova – a differenza di quanto sostiene la ricorrente – applicazione al caso in esame, essendo la decisione di primo grado successiva all’entrata in vigore della medesima (avvenuta l’11 settembre 2012).
4) Il quarto motivo contesta, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., violazione degli artt. 112,115, 116 e 345 c.p.c. per omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti circa l’eccepita scissione, ai fini della condanna della RAGIONE_SOCIALE 2, tra la titolarità passiva del diritto fatto valere in giudizio e la responsabilità patrimoniale dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE: ad avviso della Corte d’appello la ricorrente avrebbe ampliato il contraddittorio con riferimento alla scissione tra la responsabilità patrimoniale dell’RAGIONE_SOCIALE rispetto a quella del suo titolare, così non considerando che sin dal primo grado di giudizio la ricorrente ha ripetutamente eccepito di essere priva della titolarità passiva del diritto controverso.
Il motivo è inammissibile. Viene denunciato quale omesso esame di un fatto decisivo, ossia di un fatto storico principale o secondario (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014), un vizio che attiene invece al procedimento; inoltre, ai sensi dell’art. 348 -ter , penultimo e ultimo comma c.p.c. (nella versione applicabile ratione temporis alla fattispecie), il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado, basandosi sulle stesse ragioni inerenti la questione di fatto, non può essere proposto per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma c.p.c.
5) Il quinto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 81, 99, 100 e 113 c.p.c., per avere la Corte d’appello giudicato contrattualmente tenuta all’adempimento dell’obbligazione dedotta in giudizio la RAGIONE_SOCIALE 2 anziché la sola persona fisica NOME COGNOME sulla base del principio dell’indistinzione tra il patrimonio dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e quello del suo titolare e conseguentemente per averla erroneamente pretermessa dal giudizio in violazione del principio del contraddittorio.
Il  motivo  non  può  essere  accolto.  Come  si  è  già  sottolineato,  il decreto  ingiuntivo  è  stato  richiesto  e  ottenuto  nei  confronti  di NOME COGNOME anche quale titolare della propria RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e
appunto NOME COGNOME, titolare dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ha proposto opposizione avverso il decreto. Considerato che, come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non può essere riconosciuta alcuna soggettività, o autonoma imputabilità, diversa da quella del suo imprenditore, in quanto essa si identifica con il suo titolare tanto sotto l’aspetto sostanziale che processuale (cfr., ex multis , Cass. n. 12757/2007, Cass. n. 9269/2010, Cass. n. 14571/2012 e Cass. n. 19735/2014), correttamente la Corte ha ritenuto contrattualmente tenuta all’adempimento dell’obbligazione l’imprenditrice RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME e nei suoi confronti ha correttamente escluso la necessità di integrare il contraddittorio, essendo già parte del giudizio di opposizione, dalla medesima instaurato.
6) Il sesto motivo contesta nullità della sentenza ex artt. 112 e 345 c.pc., nonché del diritto vivente rappresentato dalla giurisprudenza della Suprema Corte per avere la Corte d’appello omesso di rilevare la carenza di titolarità passiva del rapporto controverso in capo alla ricorrente ditta RAGIONE_SOCIALE, carenza rilevabile d’ufficio.
Il motivo non può essere accolto. La Corte d’appello, a fronte della eccepita carenza di legittimazione passiva, ha ritenuto, con ampia e considivisibile  motivazione  (cfr.  pag.  9  della  sentenza  impugnata) imputabile alla ricorrente il debito fatto valere in sede monitoria. È, dunque,  evidente  che  la  Corte  d’appello  si  è  pronunciata  sulla questione,  così  che  il  vizio  denunciato  non  è  in  alcun  modo ravvisabile.
Il settimo motivo denuncia inesistenza e/o nullità della sentenza, ai  sensi  degli  artt.  161  e  132  c.p.c.,  in  quanto  la  stessa  risulta modificata  nel  contenuto  originario  dopo  l’apposizione  delle  firme dei giudici di secondo grado: la sentenza impugnata, essendo stata modificata nel suo contenuto originario, sarebbe priva dei requisiti minimi  essenziali  per  la  sua  giuridica  esistenza  di  provvedimento decisorio.
Il motivo non può essere accolto. Ad avviso della ricorrente la sentenza impugnata sarebbe inesistente in quanto, dal rapporto di verifica delle firme digitali apposte dai giudici del collegio che ha deciso, risulterebbe che il suo contenuto è stato modificato. La ricorrente non considera che inesistente è, ai sensi dell’art. 161, comma 2 c.p.c., la sentenza priva di sottoscrizione mentre nel caso in esame la ricorrente non contesta la mancanza di sottoscrizione, ma che la sentenza sarebbe stata in qualche modo, non specificamente indicato, ‘modificata’. La sottoscrizione della sentenza da parte dei giudici ad essa tenuti -nel caso in esame il presidente e il consigliere estensore -comporta, come è confermato dall’art. 119, comma 2, disp. att. c.p.c. l’autenticità della medesima, che può essere contestata soltanto con la querela di falso per materiale contraffazione in ipotesi attuata in tempo successivo al suo deposito (cfr., in relazione al caso della sentenza redatta in formato elettronico, recante la firma digitale del giudice, Cass. n. 11306/2021).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Non  vi  è  pronuncia  sulle  spese,  non  avendo  l’intimata  proposto difese nel presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,  da  parte  della  ricorrente,  di  un  ulteriore  importo  a titolo  di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Sussistono, ex art.  13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto  per  il  ricorso  a  norma  del  comma  1bis dello  stesso  art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma  in  data  12  novembre  2024,  nella  camera  di