Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 28278 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 28278 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2025
SENTENZA
Oggetto
RESPONSABILITÀ CIVILE P.A.
Danni da erosione delle coste marine Responsabilità delle Regioni e dei Comuni costieri Natura e presupposti
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 06/05/2025
Udienza Pubblica sul ricorso 1847-2021 proposto da:
REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente ‘ pro tempore ‘, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, ma domiciliata ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO COGNOME;
ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso d all’ AVV_NOTAIO;
contro
ricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco ‘ pro tempore ‘, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso NOME COGNOME, ma domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro
COGNOME NOME, domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso d all’AVV_NOTAIO vvocato NOME COGNOME;
– controricorrente al ricorso incidentale –
Avverso la sentenza n. 829/2020, de lla Corte d’appello di Lecce, depositata in data 31/08/2020;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblicata tenuta in data 06/05/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore Generale, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi gli Avvocati NOME COGNOME, nonché, per delega, gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. La Regione Puglia ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 829/20, del 31 agosto 2020, della Corte d’appello di Lecce, che accogliendo parzialmente sia il gravame esperito, in via di principalità, da NOME COGNOME, sia quello incidentale del Comune di Porto Cesareo, avverso la sentenza n. 2398/15, del 7 maggio 2015, del Tribunale di Lecce -ha così provveduto: ha condannato in solido i predetti Comune e Regione, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., a risarcire il danno cagionato a NOME COGNOME, quantificato nella maggior misura, rispetto al primo grado di giudizio, di € 43.332,21, oltre
rivalutazione ed interessi, previa declaratoria di giurisdizione del giudice ordinario (statuizione poi confermata da questa Corte, con l’ordinanza delle Sezioni Unite n. 2312/25, del 31 gennaio 2025 ) in relazione alla domanda di condanna dei predetti Enti all’esecuzione di opere idonee a salvaguardare l’abitazione del danneggiato da ulteriori conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’azione delle correnti marine, rimettendo le parti innanzi al Tribunale salentino per la decisione nel merito, in relazione a tale capo di domanda.
2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente che NOME COGNOME ebbe a convenirla in giudizio, unitamente al Comune di Porto Cesareo, chiedendo la condanna di entrambi i convenuti al risarcimento, in proprio favore, dei danni subiti dall’abitazione di sua proprietà, per essere la stessa fortemente battuta dai marosi, che avevano finito per minarne la stabilità; evenienza che l’attore assumeva fosse da ricondurre ad opere realizzate dai titolari di alcuni stabilimenti balneari (consistite, in parti colare, nell’immersione in mare di una barriera di sacchi di juta riempiti di sabbia), che avevano alterato il sistema delle correnti marine ed il riciclo naturale del materiale sabbioso. Chiedeva, altresì, l’allora attore che gli Enti suddetti venissero condannati anche alla realizzazione di ogni intervento idoneo a salvaguardare l’immobile di sua proprietà.
Costituitesi in giudizio entrambe le parti convenute, esse eccepivano -previamente -il loro difetto di legittimazione passiva (da ravvisarsi, a loro dire, in capo ai titolari degli stabilimenti balneari) e, in ogni caso, concludevano per il rigetto, nel merito, della domanda. Inoltre, il citato Comune eccepì pure il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
L’adito Tribunale accoglieva parzialmente la domanda risarcitoria, condannando il solo Comune di Porto Cesareo al
pagamento, in favore dell’attore, della somma di € 17.219,71, dichiarando, nel contempo, inammissibile la domanda di condanna delle pubbliche amministrazioni evocate in giudizio all’esecuzione di opere volte a salvaguardare l’immobile adibito ad abitazione dell’attore, rigettando ogni altr a domanda e, infine, regolando le complessive spese processuali.
Esperito gravame dal Comune di Porto Cesareo e da NOME COGNOME, il giudice d’appello provvedeva nei termini sopra meglio esposti.
Avverso la sentenza della Corte salentina ha proposto ricorso per cassazione la Regione Puglia, sulla base -come già detto -di tre motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione ed erronea applicazione dell’art. 2051 cod. civ., nonché del d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85, oltre che degli artt. 5 e 6 della legge regionale della Regione Puglia 23 giugno 2006, n. 17.
La ricorrente censura la sentenza impugnata per averle erroneamente attribuito la legittimazione passiva, per essere custode -al pari del Comune di Porto Cesareo -dei beni demaniali marittimi.
Rileva la ricorrente che il citato d.lgs. n. 85 del 2010 affidava all’emanazione di decreti del Presidente del AVV_NOTAIO dei ministri, nonché di successivi decreti ministeriali, l’attuazione del trasferimento dei beni demaniali -neppure esclusi quelli del demanio marittimo, ai sensi degli artt. 3, comma 1, lett. a) e 5, comma 1, lett. a) -al patrimonio degli enti territoriali. Nel frattempo, nell’ottica del decentramento amministrativo, le funzioni amministrative sui beni demaniali erano già state attribuite alle Regioni con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, sicché
la Regione Puglia, in ordine alla gestione dei beni costieri e marittimi, aveva legiferato con la suddetta l.r. n. 17 del 2006.
Senonché, assume la ricorrente, il legislatore regionale pugliese -prima dell’adozione del decreto -legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 -ha conferito le funzioni gestorie e amministrative su suddetti beni ai Comuni costieri, riservandosi, in via residuale, le sole funzioni di programmazione, indirizzo e individuazione delle aree di tutela, anche attraverso la gestione del sistema informativo del demanio (SID). In tale processo, quindi, contrariamente all’assunto del giudice d’appello, ‘la Regione Puglia non ha conservato’ si assume nel ricorso -‘alcun legame di diretta disponibilità con il bene demaniale marittimo tale da delineare un suo ruolo di custode, bensì una mera titolarità gestionale di coordinamento e indirizzo nella tutela e nello sfruttamento economico’.
D’altra parte, la prova ‘dell’impossibilità di identificare l’ente regionale quale custode del demanio marittimo è anche lo specifico compito di vigilanza sugli abusi e sulle innovazioni non autorizzate su detti beni marittimi’, compito ‘rimasto attribuito in capo al compartimento marittimo’, ai sensi del combinato disposto dell’art. 54 cod. nav. e 27 del relativo regolamento di esecuzione. Di contro, se i Comuni costieri ‘possono conservare un potere di controllo sulla res in forza della funzione gestoria e amministrativa attribuitagli, la vigilanza della Regione Puglia è riconducibile esclusivamente ad un controllo sovraordinato sulla corretta gestione delle funzioni amministrative esercitate dai Comuni nel perseguimento degli obiettivi di tutela dei piani costieri e dello sfruttamento economico e turistico in maniera compatibile con la tutela ambientale.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -falsa applicazione degli artt. 2051 cod. civ., e degli artt. 40 e 41 cod. pen.
Si censura la riconduzione della presente fattispecie alla responsabilità per beni in custodia, giacché -si assume -dalla ‘stessa ricostruzione della vicenda di controparte nell’atto introduttivo e dalle risultanze del processo il danno era invece conseg uito dal fatto illecito del terzo’.
Difatti, secondo la ricorrente, il ‘nesso causale allegato dallo stesso danneggiato non è individuato nella relazione fra il pregiudizio e la cosa in custodia, anche attesa la condizione naturale ed il dinamismo interno di quest’ultima che muta per i cicli naturali ben descritti dal consulente tecnico d’ufficio, bensì nell’azione -fatto illecito del concessionario’ , i quali, ‘come anche chiaramente attestato dall’elaborato tecnico, hanno prodotto l’alterazione e l’accelerazione dell’azione naturale di erosione della costa e dunque, per via derivata, i danni’ oggetto di lite.
Il giudice d’appello, pertanto, avrebbe dovuto ‘escludere una responsabilità generata dalla res in custodia, ritrovando nella vicenda la più tipica violazione del principio del neminem laedere dovuta all’azione di un terzo e, al più, all’omissione di un dovere di vigilanza da parte dell’ente comunale’, non essendo ravvisabili, invece, in capo alla Regione Puglia condotte attive o omissive che abbiano determinato l’evento dannoso .
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 1), cod. proc. civ. -violazione ed errata applicazione degli artt. 5 e 37 cod. proc. civ.
Si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto ammissibile la domanda, rivolta nei confronti di entrambe le amministrazioni convenute, di condanna ad effettuare nell’area
demaniale tutti gli interventi idonei a salvaguardare il bene di proprietà di NOME COGNOME.
Secondo la ricorrente, la condanna richiesta ‘invade certamente il campo riservato alla sfera dell’autonomia dell’amministrazione’, trattandosi di ‘condanna ad un facere attivo’.
La sentenza in esame è stata fatta oggetto anche di impugnazione, con ‘controricorso e ricorso incidentale, da valere anche come ricorso autonomo)’ del Comune di Porto Cesareo, sulla base di quattro motivi.
4.1. Il primo motivo denuncia -ai sensi, rispettivamente, dei nn. 3) e 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ. e della legislazione statale e regionale sul mare territoriale, nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui afferma -nel richiamare, in particolare, le prescrizioni di cui all’art. 105, comma 2, lett. l), del d.lgs. 112 del 1998 (che conferisce alle Regioni le funzioni relative al ‘rilascio di concessioni di beni del demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia’), oltre che quelle di cui alla legge regionale pugliese n. 17 del 2006 -che la Regione e il Comune di Porto Cesareo, ‘in relazione al demanio marittimo ricompreso nel loro territorio sono a pieno titolo custodi di detti beni demaniali, avendone la gestione (diretta la Regione, delegata il Comune con obbligo di rendere conto alla Regione delle scelte operate e dell’attività amministrativa in materia)’ .
La Corte territoriale, dunque, ‘superando ogni questione dominicale’, osserva il ricorrente incidentale, ha riconosciuto la
responsabilità di Comune e Regione ex art. 2051 cod. civ. ‘in quanto titolari della custodia’, la quale (secondo quanto si legge in sentenza) ‘si identifica nel potere di fatto esercitato su un bene che conferisce il potere e il dovere di controllare il bene ed intervenire per evitare che lo stesso sia esposto a pericolo, ovvero che da esso possa derivare pericolo -e conseguente eventuale danno -a terzi’.
Nondimeno, secondo il ricorrente Comune, il ‘punto decisivo è che il mare non rientra nel demanio marittimo, sicché del tutto errata è la decisione della Corte che ha ravvisato una responsabilità del Comune in quanto custode di un bene che ha erroneamente ricompreso nel demanio marittimo’. Nello stesso, infatti, rientra -come sostenuto dal ricorrente incidentale già in sede d’appello ‘sia il lido del mare, inteso quale pozione di riva che si trova a contatto diretto con le acque del mare e che viene coperta in occasione delle mareggiate ordinarie, sia quella parte di spiaggia sottoposta alle mareggiate straordinarie’, mentre, nel caso di specie, gli interventi degli stabilimenti balneari hanno interessato ‘aree esterne e diverse del demanio marittimo’. D’altra parte, ribadisce il ricorrente incidentale, ‘il mare antistante il territorio di un Comune’ neppure può secondo quanto affermato da questa Corte (è richiamata Cass. Sez. 3, sent. 23 maggio 2014, n. 11532) -formare oggetto di custodia, stante il suo carattere di bene sconfinato.
Orbene, nel caso in esame, i danni lamentati da NOME COGNOME ‘derivano da opere realizzate in mare e quindi non all’interno del demanio marittimo’, donde l’impossibilità di applicazione dell’art. 2051 cod. civ.; inoltre, avendo la Corte territoriale ritenuto che il mare rientri nel demanio marittimo ‘non ha a ssolutamente esaminato la questione posta dal Comune’, sicché la censura ‘viene dedotta anche con riferimento al n. 5 del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ.’.
4.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione della legge regionale della Regione Puglia n. 17 del 2006 e falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ.
Assume il Comune ricorrente che, quand’anche si reputi rientrante nel demanio marittimo il tratto di mare ove sono stati realizzati gli interventi, dovrebbe egualmente escludersi la sua responsabilità.
Si evidenzia, infatti, che, ai sensi dell’art. 15, comma 1, della legge regionale n. 17 del 2006, in relazione all’esercizio delle funzioni amministrative conferite ai Comuni nella materia del demanio marittimo, quella di vigilanza non è ‘per tutto il dema nio marittimo ma «sull’uso in concessione delle aree del demanio marittimo»’, sicché ‘gli interventi repressivi rispetto ad opere abusive poste in essere al di fuori della concessione non rientravano tra le funzioni di vigilanza del Comune’. Nella specie, infatti, le opere eseguite dai due stabilimenti balneari -che ‘hanno concorso a dare causa ai danni lamentati’ da NOME COGNOME -‘sono stati realizzati al di fuori di qualsiasi concessione demaniale oppure, in minima parte, in maniera diversa rispetto alle autorizzazioni rilasciate’, donde l’impossibilità di ipotizzare, in assenza di titolarità di poteri di vigilanza e di repressione, il rapporto di custodia in capo al Comune.
4.3. Il terzo motivo denuncia -ai sensi del n. 5), comma 1, dell’art. 360 cod. proc. civ. omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Evidenzia il Comune ricorrente di aver lamentato, con il secondo motivo del suo appello incidentale, la necessità di escludere ‘una relazione causale diretta tra le opere realizzate dagli stabilimenti e i danni subiti dall’immobile’ di proprietà di NOME COGNOME, ‘ dal momento che tali danni -come risulta
documentalmente -erano preesistenti all’esecuzione delle opere’. Difatti, già nel 2009 (e dunque in epoca anteriore agli interventi abusivi dei due stabilimenti, risalenti al 2011), era stata rilasciata a NOME COGNOME un’autorizzazione per la posa di sacchi di sabbia per una lunghezza di metri venti al fine di fermare l’azione erosiva del mare che (già) pregiudicava la sicurezza e staticità dell’immobile di sua proprietà.
Di conseguenza, nel caso di specie, vi era un’esclusiva incidenza causale dell’evento naturale della erosione della spiaggia che già nel 2009 aveva pregiudicato quella situazione che esponeva a pericolo la sicurezza e staticità dell’immobile d i NOME COGNOME. Ciò nonostante, la Corte territoriale ‘non si è affatto occupata di quanto dedotto dalla Difesa del Comune, non ponendosi la questione del pregiudizio per la proprietà dell’AVV_NOTAIO. COGNOME ancor prima delle opere realizzate dagli stabilimenti’.
4.4. Infine, con il quarto motivo la sentenza impugnata è censurata -ex art. 360, comma 1, n. 1), cod. proc. civ. -‘per motivi attinenti alla giurisdizione’, sulla scorta di considerazioni affini a quelle svolte dalla Regione Puglia con il suo terzo motivo di ricorso.
Ha resistito alle avversarie impugnazioni, con due distinti controricorsi, NOME COGNOME, chiedendo che le stesse siano dichiarate inammissibili o, comunque, rigettate.
La trattazione dei ricorsi è stata, inizialmente, fissata ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., per l’adunanza camerale del 10 settembre 2024, in vista della quale tutte le parti depositavano memoria.
Tuttavia, con provvedimento del Presidente Titolare di questa Terza Sezione, l’esame dei due ricorsi veniva rimesso alla Prima
Presidente di questa Corte, perché valutasse l’opportunità di una loro trattazione da parte delle Sezioni Unite, anche in ragione della circostanza che entrambe le impugnazioni denunciano un vizio di difetto di giurisdizione, in relazione al capo di pronuncia con cui la sentenza impugnata ha ritenuto ammissibile la domanda di condanna delle due pubbliche amministrazioni ad eseguire opere volte a scongiurare ulteriori danni a carico della proprietà di NOME COGNOME.
Con ordinanza del 31 gennaio 2025, resa all’esito di adunanza camerale del precedente 14 gennaio (in vista della quale, il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, con la quale concludeva per l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario), le Sezioni Unite hanno rigettato, rispettivamente, il terzo motivo del ricorso principale e il quarto di quello incidentale, rimettendo a questa Terza Sezione l’esame degli ulteriori motivi di entrambe le impugnazioni.
All’uopo, dunque, veniva fissata udienza pubblica, per la presente data del 6 maggio 2025, con deposito -ad opera di tutte le parti, compreso il Procuratore Generale presso questa Corte -di memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Entrambi i ricorsi -dei quali vanno scrutinati, ormai, i solo i motivi diversi da quelli relativi al supposto difetto di giurisdizione del giudice ordinario -sono da rigettare, anche se la motivazione della sentenza impugnata va corretta, ex art. 384, comma 4, cod. proc. civ.
Va esaminato, innanzitutto, il ricorso della Regione Puglia.
8.1. Il primo motivo -come da eccezione sollevata dal controricorrente -è inammissibile.
8.1.1. Esso denuncia il vizio di violazione di legge, in relazione sia all’art. 2051 cod. civ., che ad altre norme di diritto, senza neppure riprodurre le parti della sentenza impugnata che avrebbero trasgredito al l’uno come alle altre .
Deve, pertanto, darsi seguito al principio secondo cui il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., ‘giusta il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Suprema Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione’ (Cass. Sez. 3, ord. 26 luglio 2024, n. 20870, Rv. 671836-01; in senso analogo anche Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01).
8.1.2. In ogni caso, il presente motivo, come meglio si dirà nello scrutinare quello successivo (e il primo motivo del ricorso incidentale), è anche infondato, sebbene, sul punto, la motivazione della sentenza impugnata debba essere corretta.
Invero, la responsabilità della Regione, e quella del Comune, è stata affermata ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., sul presupposto che essa -o meglio, essi -resti(no) nella titolarità del ‘ potere di fatto ‘ sul tratto di mare territoriale che ha formato oggetto di concessione in favore dei due stabilimenti balneari che, in ragione
d ell’immersione in mare di una barriera di sacchi di juta riempiti di sabbia, risultano aver alterato il sistema delle correnti marine ed il riciclo naturale del materiale sabbioso, così provocando il fenomeno dell’erosione delle coste marine .
Nel vagliare la correttezza, o meno, dell’inquadramento della responsabilità dei due Enti nella fattispecie di cui all’art. 2051 cod. civ., reputa questo Collegio che non possa prescindersi da quanto affermato -nella sua massima sede nomofilattica -da questa Corte con riferimento alla condizione dei titolari di concessioni per stabilimenti balneari. È stato affermato, infatti, che ‘la disciplina dettata dalla legge per i beni demaniali si estende, in quanto compatibile, anche al mare territoriale, quantun que quest’ultimo non rientri fra tali beni, ma costituisca, al contrario, una res communis omnium ‘; estensione imposta dal rilievo per cui, ‘anche rispetto ad un tratto di mare territoriale è configurabile un diritto soggettivo di uso speciale, il quale ricorre allorché, pur non restando precluso l ‘ uso comune del bene demaniale a tutti i componenti della collettività uti cives , un determinato soggetto risulti abilitato a trarre dal detto bene uti singulus utilità maggiori ed eventualmente in tutto o in part e diverse’ (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 2 febbraio 2017, n. 2735, Rv. 642419-02, che ha riconosciuto la possibilità per il concessionario di uno stabilimento balneare di far valere -a norma dell’art. 1145 cod. civ. la tutela possessoria dello specchio di mare antistante lo stesso, proprio in relazione ad interventi di terzi che avevano alterato il flusso delle correnti marine).
Stando così le cose, e dunque configurandosi un possesso dello specchio marino antistante ad uno stabilimento balneare in capo al relativo concessionario, non può certo sostenersi che la Regione -e il Comune -conservi(no) il ‘potere di fatto’, e con esso la responsabilità da custodia ex art. 2051 cod. civ., di quegli specchi d’acqua dei quali, mercè apposita concessione, sia stata
attribuita al titolare di uno stabilimento balneare la possibilità di trarre ‘maggiori utilità’ (e con essa, evidentemente, simmetriche responsabilità, in applicazione del classico brocardo ‘ ubi commoda, eius et incommoda ‘).
La responsabilità di Regione e Comune va, piuttosto, affermata alla stregua dei compiti ad essi attribuiti -come correttamente sottolineato da NOME COGNOME nel proprio controricorso -in particolare dagli artt. 70, comma 1, lett. a), e 89, comma 1, lett. h), d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112, oltre che dagli artt. 5 e 6 dalla legge regionale della Regione Puglia 23 giugno 2006, n. 17 (norme, non a caso, tutte richiamate nel ‘preambolo’ dei provvedimenti di autorizzazione al ripascimento dei lidi marini rilasciati, ma poi disattesi nelle loro prescrizioni, dagli stabilimenti balneari che hanno dato causa con il loro comportamento alla erosione della fascia costiera).
Invero, così come l’art. 70, comma 1, lett. a), del d.lgs. 112 del 1998 attribuisce alle Regioni e gli altri enti locali ‘compiti di protezione ed osservazione delle zone costiere’, l’art. 89, comma 1, lett. h), stabilisce che le une come gli altri provved ano ‘alla programmazione, pianificazione e gestione integrata degli interventi di difesa delle coste e degli abitati costieri’. Parimenti, l’art. 5 della legge regionale pugliese n. 17 del 2006 assegna alla Regione funzioni di ‘programmazione, indirizzo e coordinamento generale’ (lett. a), oltre che di ‘monitoraggio e verifica dell’attività dei Comuni costieri’ (lett. c), attribuendole pure ‘poteri sostitutivi’ (lett. e); l’art. 6 della stessa legge regionale, per parte propria, attribuisce ai ‘Comuni costieri l’esercizio di tutte le funzioni amministrative relative alla materia del demanio marittimo, fatte salve quelle espressamente individuate all’articolo 5’.
Dunque, la responsabilità di Regione -e Comune -va affermata, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., per omessa vigilanza
sulla condotta dei concessionari degli stabilimenti balneari, in particolare in relazione al mancato rispetto delle condizioni imposte dai provvedimenti autorizzatori ad essi rilasciati.
Né, d’altra parte, osta ad un tale esito la configurazione di un (ipotetico) concorso ex art. 2055 cod. civ. nella produzione dell’evento dannoso tra i suddetti concessionari, ex art. 2051 cod. civ., e gli Enti territoriali, ex art. 2043 cod. civ.
Questa Corte, infatti, ha già riconosciuto come ‘configurabile una ipotesi di concorso causale nell’evento da parte del custode, per il titolo di cui all’art. 2051 cod. civ., e di altro soggetto, per il normale titolo di responsabilità generica ai sensi de ll’art. 2043, atteso che all’addebito concorsuale dei distinti titoli di responsabilità non osta il non avere dato il custode la prova liberatoria della ricorrenza del caso fortuito, poiché tanto comporta soltanto che egli non possa sottrarsi alla responsabilità per il titolo di sua pertinenza, ma non che l’evento dannoso non possa essere stato concausato anche dal fatto di un terzo’; e ciò perché la ‘incompatibilità fra l’ affermazione di una responsabilità del custode per mancata prova liberatoria e l’affermazione del concorso di una responsabilità ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. è, infatti, concepibile solo allorquando il fatto del terzo responsabile ai sensi di questa norma assuma efficienza causale esclusiva nella produzione dell’evento, sì da rendere irrilevante il contributo causale derivante dalla cosa oggetto della custodia e da assumere, rispetto ad esso, le caratteristiche del fortuito’ (Cass. Sez. 3, sent. 14 novembre 2006, n. 24211, Rv. 593550-01).
8.2. Le considerazioni da ultimo svolte conducano a ritenere non fondato il secondo motivo del ricorso principale, con il quale è stata censurata la riconduzione della presente fattispecie alla responsabilità per beni in custodia, giacché -assume la ricorrente Regione -dalla ‘stessa ricostruzione della vicenda di controparte
nell’atto introduttivo e dalle risultanze del processo il danno era invece conseguito dal fatto illecito del terzo’.
Come detto, la concorrente responsabilità -peraltro non fatta valere da alcuno nel presente giudizio, non avendo Regione e Comune provveduto ad effettuare la c.d. ‘ laudatio auctoris ‘, ovvero la chiamata in giudizio del terzo (cor)responsabile -dei concessionari degli stabilimenti balneari non vale ed escludere quella delle pubbliche amministrazioni evocate in giudizio.
9. Anche il ricorso incidentale è da rigettare.
9.1. Nuovamente, la constatazione che la disciplina delle concessioni risulta applicabile pure agli specchi d’acqua antistanti gli stabilimenti balneari conduce a ritenere non fondato il primo motivo del ricorso del Comune, consentendo di superare il rilievo secondo cui ‘il mare antistante il territorio di un Comune’ neppure può formare oggetto di custodia, stante il suo carattere di bene sconfinato.
Si è visto, infatti, come la responsabilità del Comune (cfr. § 8.1.2.) vada affermata in ragione dell’omessa vigilanza di quanto i concessionari degli stabilimenti balneari -in relazione agli specchi d’acqua oggetto del loro possesso -avevano realizzato in difformità dai titoli abilitativi ad essi rilasciati.
Peraltro, nello scrutinare il primo motivo del ricorso incidentale deve, comunque, rilevarsi l’inammissibilità d i quella censura con cui il Comune lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), l’omesso esame di tale ‘questione’. Infatti, il vizio di cui al suddetto art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. è ipotizzabile solo quando l’omissione investa un ‘fatto vero e proprio’ (non una ‘questione’ o un ‘punto’ della sentenza) e, quindi, ‘un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario
(cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, Rv. 641174-01; nello stesso senso Cass. Sez. 6-5, ord. 4 ottobre 2017, n. 23238, Rv. 64630801), vale a dire ‘un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storiconaturalistico’ (Cass. Sez. 5, sent. 8 ottobre 2014, n. 21152, Rv. 632989-01; Cass. Sez. Un., sent. 23 marzo 2015, n. 5745, non massimata), ‘un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto’ (cfr. Cass. Sez. 1, ord. 5 marzo 2014, n. 5133, Rv. 62964701), e ‘come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni’ (Cass. Sez, 6 -1, ord. 6 settembre 2019, n. 22397, Rv. 655413-01).
9.2. Il secondo motivo di ricorso incidentale -proposto per l’ipotesi in cui questa Corte dovesse reputare che il tratto di mare ove sono stati realizzati gli interventi rientri nel demanio marittimo -è inammissibile.
Invero, la constatazione che -per stessa ammissione del ricorrente incidentale -gli interventi addebitati ai concessionari degli stabilimenti balneari siano stati realizzati anche solo, ‘in minima parte, in maniera diversa rispetto alle autorizzazioni rilasciate’, rend e priva di rilievo (e quindi inammissibile) la censura secondo cui il potere di vigilanza -e di repressione -del Comune non sarebbe esercitabile per interventi posti in essere ‘ in assenza ‘ di titoli abilitativi.
9.3. Infine, il terzo motivo del ricorso incidentale è inammissibile, per una duplice -alternativa -ragione.
Difatti, la circostanza che l’ erosione del lido del mare, quale conseguenza dell’operare delle correnti marine prima (e a prescindere) dagli interventi operati dai concessionari degli
stabilimenti balneari, fu oggetto di uno specifico motivo di gravame, del quale il Comune lamenta l’omessa pronuncia, comporta che tale censura non avrebbe dovuto essere prospettata ipotizzando la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ.
Infatti, ‘l’omessa pronuncia su un motivo di appello integra la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti’ (come prospettato con il presente motiv o), ‘in quanto il motivo di gravame non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposizione dell’appello, sicché, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., nel testo riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 134 del 2012, il motivo deve essere dichiarato inammissibile’ (così, tra le altre, Cass. Sez. 6 -3, ord. 16 marzo 2017, n. 6835, Rv. 643679-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 6-1, ord. 12 ottobre 2017, n. 23930, Rv. 646046-01).
In ogni caso, anche ad intendere il presente motivo come diretto a censurare l’omessa considerazione di quel ‘ fatto naturalistico’ (ovvero, la preesistenza dell’alterazione delle correnti marine agli interventi realizzati dai concessionari degli stabilimenti balneari), tale doglianza sarebbe preclusa d all’art. 348ter , ultimo comma, cod. proc. civ.
Al riguardo, infatti, va, innanzitutto, segnalato che -avendo l’odierno ricorrente incidentale appellato una sentenza resa in prime cure in data 7 maggio 2015 -il suo atto di appello risulta, per definizione, proposto con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all’11 settembre 2012. Orbene, siffatta circostanza determina l’applicazione ‘ ratione temporis ‘ dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ. (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 18 settembre 2014, n.
26860, Rv. 633817-01; in senso conforme, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 9 dicembre 2015, n. 24909, Rv. 638185-01, nonché Cass. Sez. 6-5, ord. 11 maggio 2018, n. 11439, Rv. 648075-01), norma che preclude, in un caso di cd. ‘doppia conforme di merito’, qual è quello presente, in relazione alla affermata responsabilità del Comune (già riconosciuta in primo grado), la proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., salvo che la parte ricorrente non so ddisfi l’onere ciò che nella specie non risulta avvenuto -‘di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse’ (Cass. Sez. 1, sent. 22 dicembre 2016, n. 26774, Rv. 643244-03; Cass. Sez. Lav., sent. 6 agosto 2019, n. 20994, Rv. 654646-01; Cass. Sez. 3, ord. 28 febbraio 2023, n. 5947, Rv. 667202-01). Indicazione, peraltro, che deve evidenziare l’esistenza di differenze sostanziali, dato che l’ipotesi di ‘doppia conforme’ ricorre ‘non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice’ (Cass. Sez. 6-2, ord. 9 marzo 2022, n. 7724, Rv. 664193-01).
Né, d’altra parte, l’applicazione di tale norma è preclusa dalla sua abrogazione, ad opera del già citato art. 3, comma 26, lett. e), del d.lgs. n. 149 del 2022, avendo essa effetto dal 28 febbraio 2023 e con applicazione ai soli procedimenti già pendenti a tale data (tale non è il caso del giudizio in esame, atteso che il presente ricorso risulta essere notificato il 2 febbraio 2021), secondo la previsione generale di cui al comma 1 dell’art. 35 del medesimo d.lgs. n. 149 del 2022.
10. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra tutte le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ.
Nella specie, infatti, la norma da ultimo citata trova applicazione, ‘ ratione temporis ‘, nel testo modificato dall’art. 58, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (il quale si limitava a prevedere che la compensazione potesse essere disposta in presenza di ‘eccezionali ragioni’ , purché esplicitate in motivazione), e ciò essendo stato il primo grado della presente controversia instaurato con citazione dell’8 febbraio 2013 .
Invero, tali ‘eccezionali ragioni’ vanno identificate, nel caso che occupa, n ell’assenza di precedenti giurisprudenziali specifici in merito alla questione oggetto dei ricorsi esaminati.
A carico della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, stante il rigetto delle rispettive impugnazioni, sussiste l ‘ obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all ‘ amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, compensando integralmente tra tutte le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale e del
ricorrente incidentale, al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito della camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 6 maggio 2025.
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
La Presidente NOME COGNOME