Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21071 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21071 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/07/2024
R.G. 9862/2021
COGNOME.
Rep.
C.C. 24/4/2024
C.C. 14/4/2022
LOCAZIONE ABITATIVA.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9862/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi NOME
dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di MILANO n. 2494/2020 depositata il 13/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso proposto ai sensi dell’art. 702 -bis cod. proc. civ. NOME COGNOME convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Como, i fratelli NOME e NOME COGNOME, chiedendo che fosse accertata la loro responsabilità, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., nella determinazione dei danni causati all’appartamento di proprietà della ricorrente, con condanna degli stessi al relativo risarcimento, per la complessiva somma di euro 24.804.
A sostegno della domanda espose, tra l’altro, di essere proprietaria di un immobile sito a Montorfano e di averlo locato alla madre dei convenuti, NOME COGNOME, in data 2 marzo 2015, per uso abitativo suo e dei familiari conviventi; che i due convenuti avevano vissuto nell’immobile dal 16 maggio 2015 fino alla data della riconsegna dello stesso; che, a causa del mancato pagamento dei canoni, la ricorrente aveva ottenuto ordinanza del 12 ottobre 2016 di convalida dello sfratto per morosità, da parte del medesimo Tribunale di Como; che la COGNOME era venuta a mancare il 14 novembre 2016 e che i convenuti COGNOME avevano continuato ad abitare nell’immobile anche dopo lo sfratto, fino al 9 marzo 2017. Aggiunse che, al momento della riconsegna, gli occupanti avevano sottoscritto un verbale dal quale risultavano una serie di danni constatati all’interno dell’immobile, impegnandosi anche a rifondere alla COGNOME le spese necessarie per lo smaltimento dei rifiuti abbandonati all’interno dello stesso.
Si costituirono in giudizio i due convenuti, chiedendo il mutamento del rito (trattandosi, nella specie, di causa di locazione) e, nel merito, il rigetto della domanda, aggiungendo di aver accettato l’eredità materna con il beneficio dell’inventario.
Il Tribunale, disposto il mutamento del rito e dato atto del fallimento della mediazione, accolse la domanda, dichiarò sussistente la responsabilità dei convenuti a titolo extracontrattuale
e li condannò al risarcimento dei danni, liquidati in complessivi euro 20.750, e al pagamento delle spese di lite.
La pronuncia è stata impugnata dai fratelli COGNOME e la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 13 ottobre 2020, ha rigettato il gravame e ha condannato gli appellanti alla rifusione delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che -fermo restando che nessuna violazione del diritto di difesa era configurabile in danno degli appellanti a causa del mutamento del rito avvenuto in primo grado -i motivi di appello erano tutti privi di fondamento. Richiamata l’ordinanza 15 marzo 2018, n. 6387, di questa Corte di legittimità, la Corte milanese ha osservato che, in tema di inadempimento del conduttore all’obbligo di consegna della cosa locata nel medesimo stato in cui l’ha ricevuta, il locatore deve fornire la prova del fatto costitutivo del diritto, cioè il deterioramento intervenuto, mentre il conduttore deve dimostrare la sussistenza di un fatto impeditivo della sua responsabilità. Questo principio, valevole in materia di locazione ai sensi dell’art. 1590 cod. civ., è stato dalla Corte d’appello ritenuto «a maggior ragione applicabile anche nel caso di occupazione sine titulo per mancanza di contratto o per contratto nullo, rappresentando la stessa una fattispecie di illecito aquiliano ai sensi dell’art. 2043 cod. civ.».
Nel caso di specie, era pacifico che il contratto di locazione si era concluso per inadempimento della conduttrice e che i fratelli COGNOME avevano abitato nell’immobile dal maggio 2015 fino alla data di restituzione, avvenuta il 9 marzo 2017 dopo l’emissione dell’ordinanza di convalida dello sfratto. Legittima risultava, dunque, l’azione risarcitoria promossa dalla locatrice, mentre rimaneva ininfluente, nel giudizio odierno, l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario. Quanto, poi, alla prova dei danni, la stessa era da ritenere pacificamente esistente in base a
quanto constatato dalle parti in sede di verbale di riconsegna; risultava, inoltre, che gli occupanti si erano impegnati a sostenere i costi di rimozione e smaltimento dei rifiuti, mentre le fotografie prodotte attestavano «lo stato di degrado in cui versava l’immobile al momento della riconsegna».
Contro la sentenza della Corte d’appello di Milano ricorrono NOME e NOME COGNOME con unico atto affidato a due motivi.
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1590 e 2043 cod. civ., nonché della normativa in tema di locazione di immobili urbani.
Osservano i ricorrenti di essere stati condannati al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità extracontrattuale. L’art. 1590 cit., disponendo che il conduttore deve restituire la cosa locata nelle stesse condizioni in cui l’ha ricevuta, ha ad oggetto un’obbligazione di natura contrattuale che grava, appunto, sul conduttore. Nella specie, il contratto era stato risolto a seguito della pronuncia di convalida dello sfratto per morosità (ordinanza del 12 ottobre 2016), per cui in quel momento vi era l’obbligo per la NOME di restituire l’immobile nello stato in cui l’aveva ricevuto. Dopo la morte della locatrice, i figli, ricorrenti, erano subentrati nella posizione della madre ed erano quindi «contrattualmente tenuti a rilasciare l’immobile in favore della NOME». La Corte d’appello avrebbe errato nel richiamare l’art. 2043 cod. civ., perché i danni denunciati dalla locatrice erano riconducibili, in larghissima parte, «ai tipici obblighi manutentivi dell’inquilino rispetto all’immobile locato». Il fatto che i ricorrenti convivessero con la madre non farebbe sorgere, a loro carico, «la responsabilità aquiliana per i danni lamentati dalla locatrice»; ne
consegue che quest’ultima, per ottenere la condanna dei ricorrenti, avrebbe dovuto dimostrare che i danni fossero stati arrecati «dopo la cessazione del contratto». La sentenza, quindi, avrebbe dovuto ritenere che la responsabilità dei ricorrenti fosse di natura contrattuale.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in tema di onere della prova.
I ricorrenti, dopo aver ricordato che la locatrice aveva agito invocando un titolo extracontrattuale, rilevano che la condanna a loro carico avrebbe violato le regole sull’onere della prova. La COGNOME, secondo i ricorrenti, avrebbe dovuto dimostrare, per ciascuno dei danni lamentati, chi ne fosse stato materialmente l’autore, cioè la defunta madre o i due figli; avrebbe, cioè, dovuto provare che quei danni si fossero verificati nel periodo che va dal 15 novembre 2016 al 9 marzo 2017, quando i convenuti avevano vissuto nell’immobile dopo la morte della madre. La sentenza, in definitiva, avrebbe erroneamente «applicato i principi dell’onere probatorio in materia contrattuale ad una fattispecie ritenuta dalla stessa di responsabilità extracontrattuale».
I due motivi possono essere trattati congiuntamente, in considerazione dell’evidente connessione che li unisce.
La Corte d’appello, in base ad un motivato accertamento di merito, insindacabile in questa sede, ha ritenuto pacifico che il contratto di locazione si fosse sciolto per inadempimento della conduttrice, come da ordinanza di convalida di sfratto emessa dal Tribunale di Como in altro separato giudizio; che gli odierni ricorrenti fossero rimasti nell’immobile fino alla data della riconsegna e che, in quella circostanza, era stato redatto e sottoscritto dalle parti un verbale dal quale risultavano tutti i danni esistenti a carico dell’immobile locato.
Ciò nonostante, la Corte di merito ha riconosciuto sussistente la responsabilità degli odierni ricorrenti non in base ad un titolo contrattuale -cioè ritenendo che essi, in quanto figli, fossero succeduti nel contratto ai sensi dell’art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392 -quanto in base ai principi della responsabilità extracontrattuale; il che, tra l’altro, comporta l’applicazione di regole probatorie in astratto più favorevoli ai danneggianti.
I ricorrenti tentano di sovvertire l’esito della sentenza impugnata invocando, da un lato, la presunta violazione delle regole sull’onere della prova (secondo motivo) e, dall’altro, ipotizzando con astuzia che l’applicazione dei principi sulla responsabilità extracontrattuale dovrebbe esentarli da ogni obbligo risarcitorio per i danni riconducibili a fatto del conduttore (primo motivo).
La Corte rileva che si tratta, in modo evidente, di due censure prive di fondamento. Anche volendo tralasciare, infatti, la semplice osservazione in base alla quale non è chiaro come avrebbe potuto la locatrice dimostrare chi, materialmente, avesse causato i danni -visto che l’abitazione era occupata proprio dagli odierni ricorrenti è decisiva l’affermazione secondo cui, trattandosi di un fatto dannoso unico, non era affatto necessario dimostrare la ripartizione delle singole responsabilità. Il che viene a significare, in una prospettiva opposta rispetto a quella dalla quale muovono i ricorrenti, che dovevano essere semmai questi ultimi a dimostrare, a loro favore, che i danni esistenti all’interno dell’appartamento fossero tutti da ricondurre a responsabilità esclusiva della defunta madre, conduttrice dello stesso. In altri termini, l’accertamento compiuto dal giudice di merito in base al quale al momento della riconsegna l’immobile presentava vistosi danni evidentemente non esistenti quanto la conduttrice ne aveva assunto la detenzione -porta, comunque, a riconoscere in capo ai due figli, occupanti
l’immobile, una responsabilità almeno solidale per i danni cagionati; con conseguente insorgenza del loro obbligo risarcitorio.
Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna dei ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 13 agosto 2022, n. 147, sopravvenuto a regolare i compensi professionali.
Sussistono inoltre le condizioni di cui a ll’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 4.600, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza