Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4578 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 4578  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11172/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale rappresentante  pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL),  rappresentato  e  difeso dall’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), che la rappresenta  e  difende  giusta  procura  speciale  in  calce  al  ricorso. -ricorrente – contro
NOME,  elettivamente  domiciliato  in  Roma,  INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (EMAIL)  rappresentato  e  difeso
dall’avvocato COGNOME  NOME  (EMAIL), giusta procura speciale allegata al controricorso.
–
contro
ricorrente – avverso la sentenza della Corte d’ Appello di Catanzaro n. 1746/2020 depositata il 29/12/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/11/2023
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
COGNOME NOME, quale titolare della omonima ditta individuale, premesso di avere sottoscritto contratto di locazione ad uso commerciale relativo ad un locale posto all’interno del centro Agroalimentare di Catanzaro con RAGIONE_SOCIALE, dichiarava di avere subito danni conseguenti alle infiltrazioni verificatesi nel locale suddetto, ed in particolare il danneggiamento della cella frigorifera allocata nello stand e di tre pedane di mele e pere, poi mandate al macero, e la conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Catanzaro, chiedendo la sua condanna al risarcimento dei danni patiti.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE, resistendo e chiedendo di poter chiamare in causa la propria compagnia assicurativa.
Autorizzata  la  chiamata,  si  costituiva  in  giudizio  RAGIONE_SOCIALE, che eccepiva preliminarmente la violazione del patto di  gestione  della  lite  e  nel  merito  chiedeva  il  rigetto  della domanda attorea.
1.2. Con sentenza del 5 marzo 2019 il Tribunale di Catanzaro, ritenendo non vi fosse prova che il conduttore avesse notiziato il locatore  della  sopravvenuta  inidoneità  dello  stato  dei  luoghi, rigettava tutte le domande proposte da ll’attore COGNOME COGNOME
confronti di RAGIONE_SOCIALE,  integralmente  compensando  le spese di lite tra le parti.
 Avverso  tale  sentenza  proponeva  appello  NOME  NOME avanti alla Corte d’Appello di Catanzaro.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE, resistendo e proponendo appello incidentale.
RAGIONE_SOCIALE restava intimata.
2.1. Con sentenza n. 1746/2020, pubblicata il 29 dicembre 2020 e notificata il 17 febbraio 2021, la Corte d’Appello di Catanzaro, nella contumacia di RAGIONE_SOCIALE, riformava la sentenza impugnata e condannava RAGIONE_SOCIALE al risarcimento danni in favore di COGNOME NOME; compensava per un terzo le spese del doppio grado di giudizio e condannava RAGIONE_SOCIALE a rimborsare a COGNOME NOME, la restante quota di due terzi; compensava le spese quanto a RAGIONE_SOCIALE
 Avverso  tale  sentenza  RAGIONE_SOCIALE  propone  ora  ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
Resiste con controricorso NOME.
RAGIONE_SOCIALE, sebbene intimata, non ha svolto attività difensiva.
 La  trattazione  del  ricorso  è  stata  fissata  in  adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Parte ricorrente resistente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia <>.
Lamenta  che  il giudice d’appello  ha  operato  un’erronea interpretazione della portata dell’art. 2051 cod. civ., richiamando altra sentenza di codesta Corte (viene richiamata Cass., 16422/2011), sia interpretando i ‘poteri’ di controllo, vigilanza e
custodia  in  capo  al  locatore  quali  ‘doveri’,  sia  ritenendo -indistintamente-  che  qualunque  conduttore  fosse  da  ritenere terzo  agli  effetti  dell’art.  2051  cod.  civ.  e  del  relativo  obbligo risarcitorio.
Così  la  corte  di  merito  non  avrebbe  rispettato  né  la  dovuta interpretazione  letterale  e  logica  della  norma  né  la  copiosa giurisprudenza  di  legittimità,  che  ha  sempre  distinto  le  attività custodiali  del  locatore  dalle  attività  custodiali  concorrenti  del conduttore  in  relazione  alle  conseguenze  eventualmente  subite da un soggetto estraneo al rapporto fra i primi due.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia <>.
Lamenta  che  il  giudice  dell’appello  non  ha  tenuto  in  alcun conto la pur accertata sussistenza della responsabilità del conduttore per il negligente utilizzo del bene del quale egli solo conosceva le infiltrazioni di acqua che lo caratterizzavano.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia <>.
Lamenta  che  la  corte  territoriale  non  ha  preso  atto  delle risultanze istruttorie in base alle quali il preteso evento dannoso si  era  verificato,  almeno  nella  sua  eccezionale  consistenza,  per effetto dell’unicità e straordinarietà degli eventi atmosferici. Erano  stati  gli  stessi  testi  di  parte  attrice  ad  evidenziare  detta circostanza, invece del tutto sottovalutata dal giudice di appello e sottaciuta in sentenza.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia <>.
Lamenta  che  il giudice di appello, nel ritenere che la responsabilità  ex  art.  1576  cod.  civ.,  da  inadempimento  del locatore  all’obbligo  di  eseguire  tutte  le  riparazioni  necessarie  a mantenere la  cosa  locata  in  stato  da  servire  all’uso  convenuto, sia una responsabilità concorrente con quella prevista e
disciplinata dall’art. 2051 cod. civ., ha trascurato, minimizzandola,  la  portata  dell’art.  1577  cod.  civ.,  in  base  al quale il conduttore è tenuto a dare tempestivo avviso al locatore di ogni fatto e situazione capace di generare danni a sé o a terzi.
Pertanto, detta attività non può relegarsi, come erroneamente  sostenuto  dalla  corte  territoriale,  ad  un  mero dovere di ‘cooperazione’ del conduttore, ma ne costituisce invece un preciso obbligo.
La Corte di Appello di Catanzaro avrebbe dunque illegittimamente ristretto l’operatività di detta norma, assegnandole una valenza minoritaria e complementare al punto da  affermare  una  maggiore  responsabilità  di  essa  NOME, rispetto ad una minima responsabilità del conduttore COGNOME.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia <>.
Lamenta che la sentenza in esame risulta apodittica ed illegittima in ordine alla determinazione del quantum risarcitorio, dal momento che, lungi dall’espletare una consulenza tecnica d’ufficio, la corte territoriale ha soltanto ammesso la prova testimoniale, che non era, né poteva essere, evidentemente, da sola sufficiente a dimostrare l’entità del pregiudizio subito dall’attore, il quale peraltro, aveva omesso di produrre qualsivoglia documentazione di acquisto, vendita, svendita, ovvero smaltimento della merce pretesamente deterioratasi.
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia <>.
Lamenta che la corte di merito, qualificandoli apoditticamente come ‘operatori del settore’, ha considerato i testi alla stregua di testi  ‘tecnici’  e  ‘qualificati’,  attribuendo  alle  loro  dichiarazioni, invece consistenti in mere valutazioni ed apprezzamenti, efficacia di  prova  del quantum del  valore  della  merce  pretesamente
deterioratasi  a  seguito  delle  infiltrazioni  e  resa  inservibile  alla vendita  nonché  dell’esborso  subito  a  ragione  della  riparazione della cella frigorifera.
La  corte  territoriale  avrebbe violato  l’interpretazione  della Suprema Corte, secondo cui alla prova testimoniale è affidata la sola ricostruzione dei fatti di causa, e non anche gli apprezzamenti e le valutazioni richiedenti conoscenze tecniche o nozioni d’esperienza non rientranti nel notorio.
Anche sotto il profilo dei pretesi danni patiti da COGNOME NOME per la riparazione della cella frigorifera danneggiata dalle infiltrazioni di acqua, la motivazione della sentenza impugnata è manifestamente  apparente  ed  illogica,  avendo  valorizzato  la dichiarazione  testimoniale  di  aver  assistito  alla  redazione  di  un preventivo in termini di prova idonea dell’effettivo esborso della somma oggetto di un mero preventivo di spesa.
Il primo motivo è infondato, nei termini e con le precisazioni che seguono.
7.1. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, l’art. 2051 cod. civ. in tema di danni da cose in custodia trova applicazione, nella materia della locazione, nell’ipotesi di danni arrecati a terzi, cioè a soggetti estranei al rapporto di locazione, rispetto ai quali tale forma di responsabilità per omessa custodia e manutenzione viene ripartita tra il proprietario locatore ed il conduttore della res secondo il consolidato principio per cui, poiché la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. implica la disponibilità giuridica e materiale del bene che dà luogo all’evento lesivo, al proprietario dell’immobile locato sono riconducibili in via esclusiva i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione, mentre grava sul solo conduttore la responsabilità per i danni provocati dagli accessori e dalle altre parti dell’immobile, che sono acquisiti alla sua disponibilità
(Cass.,  26/04/2023,  n.  10983;  Cass.,  27/07/2015,  n.  15721; Cass. 27/10/2015, n. 21788; 09/06/2010, n. 13881).
Nella diversa ipotesi di danni patiti dal conduttore della cosa locata -il che nel caso di specie deve ritenersi per la copertura del capannone nella parte sovrastante i locali locati, da cui sono derivate infiltrazioni a detrimento della cella frigorifera e derrate alimentari ivi ubicate- il diritto al risarcimento sussiste su base contrattuale, e discende dall’art. 1581 cod. civ., che richiama l’art. 1578 cod. civ., ed in particolare il suo secondo comma, in quanto il danno deriva da un vizio della cosa locata, giusto il principio di diritto già affermato da questa Corte, secondo cui appunto costituiscono vizi della cosa locata, agli effetti di cui all’art. 1578 cod. civ., quelli che incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone l’integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale o legale (Cass., 04/11/2014, n. 23447 e Cass., 09/05/2008, n. 11154; Cass, 02/12/2021, n. 30384).
7.2. Pertanto, la corte catanzarese non ha fatto buon governo dei suindicati principi, in quanto evoca improvvidamente l’art. 2051 cod. civ. -tanto più facendo lega su un precedente di questa Corte (Cass., 27/07/2011, n. 16422) non in termini e massimato con il riferimento anche al conduttore- rispetto ad una fattispecie in cui rileva unicamente il rapporto contrattuale tra conduttore e locatore, in assenza di danni a terzi (semmai, avrebbe potuto essere pertinente il richiamo all’art. 2051 cod. civ. a favore del conduttore se la cosa determinativa del danno a quella locata fosse stata di proprietà di soggetto diverso rispetto al locatore, il che, come detto, tuttavia non è nel caso in esame oppure nel caso in cui fosse stata di proprietà del locatore ma fosse stata diversa da quella locata ed il suo dinamismo avesse su di essa determinato danno).
7.3 .  Deve  dunque  essere  rilevato  che  l’evocazione  dell’art.
2051 cod. civ. è errata, il che peraltro non può giustificare la cassazione della sentenza, bensì ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. civ. -del quale sussistono i presupposti non essendo necessarie indagini o valutazioni in fatto né violazione del principio dispositivo (Cass., 18/03/2005, n. 5954; Cass., 25/10/2013, n. 24165)- la correzione della motivazione, nel senso appunto di dare rilievo alla applicabilità al caso di specie dell’art. 1581 cod. civ. in quanto rinviante all’art. 1578, secondo comma, cod. civ.
La corte catanzarese ha sentito il bisogno di evocare l’art. 2051 cod. civ. del tutto inutilmente, atteso che, quando la cosa che cagiona il danno debba considerarsi parte di quella locata, il che deve ritenersi per la copertura del capannone nella parte sovrastante i locali locati, non vi è alcun bisogno di evocare l’art. 2051 a favore del diritto del conduttore di essere risarcito del danno che derivi dalla incidenza dello stato di quella parte sul godimento della cosa locata. Il diritto al risarcimento sussiste su base contrattuale e discende dall’art. 1581 cod. civ. in quanto il danno discende da un vizio della cosa locata, riguardo al quale la posizione di responsabilità del locatore ha base contrattuale.
8. Il secondo motivo è infondato.
Come emerge dalla lettura della sentenza impugnata, la corte territoriale ha ritenuto un concorso di responsabilità del conduttore  ed  ha  applicato  l’art.  1577,  comma  1,  cod.  civ., conseguentemente  ripartendo  la  misura  del  danno  risarcibile  in relazione alle rispettive corresponsabilità del locatore e del conduttore (v. da p. 8 a p. 10 della sentenza impugnata).
9. Il terzo motivo è inammissibile.
Anzitutto, è affetto da assoluta genericità (v. Cass. n. 4741 del 2005, il cui principio di diritto, ex multis , è stato ribadito da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017, secondo cui in tema di ricorso per  cassazione,  ove  la  sentenza  di  appello  sia  motivata per
relationem alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ. occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonché le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare  per  evidenziare  che,  con  la  resa  motivazione,  il giudice  di  secondo  grado  ha,  in  realtà,  eluso  i  suoi  doveri motivazionali).
Inoltre, omette di fornire l’indicazione specifica delle testimonianze  che  si  evocano,  non  fa  riferimento  al  contenuto delle  testimonianze evocate nell’esposizione del fatto ed omette altresì di specificare in che termini e dove quanto qui si ascrive alle non meglio specificate testimonianze in punto di ‘eccezionale consistenza’  dell’evento  atmosferico  era  stato  prospettato  al giudice di appello.
Il quarto motivo è inammissibile, per le stesse ragioni del motivo precedente.
E’  infatti  del  tutto  generico  nel  contenuto  ed  omette  di specificare  se,  dove  e  quando,  nell’intero  contesto  processuale, sia  stata  prospettata  la  questione  dell’obbligo  del  conduttore  di dare avviso al locatore di ogni fatto o situazione tale da generare danno.
Va  peraltro  ribadito  che  della  rilevanza  nel  caso  di  specie dell’art.  1577  cod.  civ.  la  corte  territoriale  ha  tenuto  conto, evocandolo e facendone applicazione al caso di specie, come da espressa  motivazione  (v.  le  pp.  da  8  a  10  ed  in  particolare l’ultimo rigo della p. 8 della sentenza impugnata).
11. Il quinto motivo è inammissibile.
La ricorrente si limita ad invocare nella rubrica del motivo il disposto  dell’art.  115  cod.  proc.  civ.  nonché  degli  2721  e  2726 cod. civ.,  ma  omette, nell’illustrazione  del  motivo  medesimo,  di specificare  in  che  modo  le  suddette  norme  sarebbero  state
violate.
Né questa Corte può sopperire all’onere di articolazione della doglianza e stabilire quale parte di essa possa evocarle.
11.1. In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa – quale quella prospettata dalla ricorrente – è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass., Sez. Un., 05/05/2006, n. 10313). Mentre il vizio di falsa applicazione della legge si risolve in un giudizio sul fatto contemplato dalle norme di diritto positivo applicabili al caso specifico (con la correlata necessità che la sua denunzia debba avvenire mediante l’indicazione precisa dei punti della sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse, fornita dalla giurisprudenza di legittimità e/o dalla dottrina prevalente), il vizio relativo all’incongruità della motivazione comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante e sussiste solo qualora il percorso argomentativo adottato nella sentenza di merito presenti lacune ed incoerenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione, ragion per cui tra le due relative censure deducibili in sede di legittimità non vi possono essere giustapposizioni (Cass., 07/05/2007, n. 10225).
Nel caso di specie, sotto la formale invocazione della violazione di legge, il motivo non è dedotto secondo il paradigma dell’art.  360,  comma 1, n. 3, cod. proc. civ., come interpretato
da  costante  orientamento  di  questa  Corte,  per  cui  il  ricorrente finisce  per  far  valere  una,  asseritamente  erronea,  ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna alla esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito.
11.2. Il motivo, per come formulato, finisce dunque per sollecitare a questa Corte una rivalutazione della quaestio facti , esprimendo un mero dissenso dalla valutazione delle risultanze probatorie svolta dalla corte di merito (v., tra le tante, Cass., 37382/2022; Cass., 02/02/2022, n. 3119, secondo cui la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, se non per il vizio di omissione dell’esame di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti e abbiano carattere decisivo, tale che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia).
Il sesto motivo è inammissibile per le stesse ragioni del motivo precedente.
Anch’esso,  per  come  del  tutto  genericamente  formulato,  si risolve  nel  sollecitare  a  questa  Corte  una  rivalutazione  della quaestio facti , esprimendo mero dissenso dalla valutazione delle risultanze probatorie svolta dalla corte d’appello.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.200,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai  sensi  dell’art.  13  comma  1  quater  del  d.P.R.  n.  115  del  2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza