Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25402 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 25402 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17567/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in VICENZA CONTRÀ COGNOME 16 DOMICILIO RAGIONE_SOCIALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE E IN FALLIMENTO, LIQUIDAZIONE GIUDIZIALE I.P.SRAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 1266/2024 depositata il 27/06/2024.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del l’ 11/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
udita la relazione del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ha proposto reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza dell’8 febbraio 2024 che, su ricorso del creditore RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, aveva dichiarato l’apertura della liquidazione giudiziale della reclamante; la reclamante ha dedotto l’insussistenza dello stato di insolvenza, attesa l’estinzione del credito del creditore istante e ha contestato l’esistenza e l’ammontare de i crediti tributari risultanti a gli atti dell’ istruttoria, allegando la pendenza di giudizi tributari avverso gli avvisi di accertamento e le cartelle di pagamento.
La Corte di Appello di Venezia, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato il reclamo. Il giudice di appello ha rilevato l’esistenza di elementi sintomatici dello stato di insolvenza, quali assenza di liquidità, inesigibilità dei crediti, sostanziale inattendibilità degli ultimi bilanci disponibili (triennio 2020 -2022) per omessa indicazione dei debiti tributari e per insufficiente appostazione di fondi rischi, infruttuoso tentativo del creditore istante di soddisfarsi in via esecutiva. Il giudice del reclamo ha, poi, reso una prognosi sfavorevole in ordine agli esiti dei giudizi tributari pendenti. La Corte di Appello ha, infine, condannato anche il legale rappresentante della società reclamante al pagamento delle spese processuali e agli oneri ex art. 51, comma 15, CCII, quale effetto della « manifesta infondatezza» del reclamo, per non avere agito con « diligente ponderazione circa l’inconsistenza delle ragioni di reclamo » .
17567/2024 R.G. 3. Propone ricorso per cassazione la società in liquidazione giudiziale, affidato a due motivi, il secondo dei quali articolato sotto due autonomi profili. Il creditore intimato e la curatela della
liquidazione giudiziale non si sono costituiti in giudizio. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte nel termine di legge, ribadite e compiutamente illustrate in udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo e mancata assunzione di prova determinante, nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato la richiesta di audizione del proprio consulente ( l’ avvocato tributarista NOME COGNOME, quanto all’andamento del contenzioso con l’Agenzia delle Entrate e alla insussistenza sostanziale dei crediti tributari. Deduce parte ricorrente che il contenzioso è pendente in sede di legittimità avverso una cartella di pagamento, nonché quattro avvisi di accertamento per i periodi di imposta 2012-2015.
Il primo motivo è inammissibile, non potendosi dedurre come omesso esame di fatto storico la mancata ammissione di mezzi di prova, risolvendosi la censura nell’enunciare un mero cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali (Cass., Sez. U., 34476/2019; Cass., n. 11892/2016; Cass., n. 23153/2018; Cass., n. 13853/2025; Cass., n. 14271/2025). Nella specie, la sentenza impugnata ha motivatamente ritenuto inammissibile la deposizione del teste COGNOME ritenendo i capitoli di prova generici e valutativi (« inammissibile, sia perché eccessivamente generica sia perché con essa si vorrebbe demandare al testimone di compiere valutazioni sull’esito finale dei giudizi »), giudizio incensurabile in questa sede.
17567/2024 R.G. 3. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., « violazione o falsa applicazione di norme di diritto, nello specifico violazione degli artt. 121 e ss. del Codice della Crisi di Impresa con conseguente nullità della dichiarazione di Fallimento» , nella parte in cui la sentenza impugnata
ha ritenuto sussistente lo stato di insolvenza della società ricorrente, richiamandosi a un precedente di questa Corte (Cass., n. 20428/2024), dunque evidenziando come il credito del creditore istante fosse « inesistente poiché già saldato» e, comunque, non sorretto da « idoneo titolo» , oltre che debitamente contestato e oggetto di opposizione a precetto pendente in appello. Si deduce, inoltre, l’esecuzione a favore della legale rappresentante della società creditrice di un pagamento, ossia a favore di soggetto legittimato a ricevere il pagamento ex art. 1188 cod. civ., eseguito dal debitore in buona fede ex art. 1189 cod. civ. e quindi liberatorio. Si censura, inoltre, la sentenza impugnata per avere ritenuto inesigibili i crediti appostati in bilancio.
Con il medesimo motivo il ricorrente deduce, con distinto profilo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., «violazione o falsa applicazione di norme di diritto, nello specifico violazione dell’art . 94 c.p.c. e più in generale della normativa in punto di ripartizione delle spese» , nella parte in cui la sentenza impugnata ha condannato anche il legale rappresentante in solido al pagamento delle spese processuali senza avere accertato la colpa grave del medesimo.
Il secondo motivo è inammissibile in relazione ad entrambi i profili dedotti. Non è stata censurata la statuizione del giudice del reclamo, ove afferma che il giudice di primo grado ha accertato la legittimazione del creditore istante, punto in ordine al quale deve ritenersi formato un giudicato interno.
17567/2024 R.G. 6. Le doglianze proposte in appello della reclamante e riproposte con la prima parte del secondo motivo di censura attengono, pertanto, alla dedotta insussistenza dello stato di insolvenza, stanti la asserita estinzione del credito del Fallimento istante per intervenuto pagamento in buona fede al creditore apparente, l’ esecuzione di pagamenti (che dimostrerebbero
l’esistenza di liquidità) , la inesistenza dei crediti tributari in quanto contestati e la esigibilità dei crediti iscritti in bilancio.
Tali doglianze sono inammissibili, in quanto si risolvono in una rivalutazione del materiale probatorio operata dal giudice del merito, che ha motivatamente ritenuto sussistente lo stato di insolvenza alla luce di ingenti debiti tributari (indicati in € 33.769.930,17), infruttuosi tentativi di esecuzione del creditore istante, inattendibilità dei dati di bilancio (che non menzionano i debiti tributari ed espongono fondi rischi insufficienti), assenza di liquidità. Anche tale doglianza si risolve in un inammissibile tentativo di revisione della valutazione delle prove quale compiuta dal giudice del merito circa la dimostrazione in giudizio dello stato di insolvenza.
Il secondo motivo è, ulteriormente, inammissibile -a dispetto del parametro normativo invocato (che si limita a richiamare la norma di diritto processuale ordinaria di cui all’art. 94 cod. proc. civ.) – quanto alla censura relativa alla condanna del legale rappresentante della ricorrente, conferente la procura, al pagamento delle spese processuali in solido con la società reclamante. Si rileva preliminarmente che -benché la procura speciale per il giudizio di legittimità conferita al difensore provenisse anche dal legale rappresentante della società ricorrente in proprio (a differenza di quella conferita in sede di reclamo) – il difensore ha espressamente enunciato in ricorso, e dunque effettivamente svolto, il solo patrocinio per la società assoggettata a liquidazione giudiziale.
L’art. 51, comma 15, CCII prevede che « in caso di società o enti, il giudice dichiara se sussiste mala fede del legale rappresentante che ha conferito la procura e, in caso positivo, lo condanna in solido con la società o l’ente al pagamento delle spese dell’intero processo e al pagamento di una somma pari al doppio del contributo unificato di cui all’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 ». La disposizione è stata
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così novellata dall’art. 12, comma 9, lett. e) d. lgs. n. 136/2024, applicabile ai procedimenti pendenti alla data del 28 settembre 2024 (art. 56, comma 4, d. lgs. n. 136/2014), laddove la norma applicabile pro tempore al caso di specie dispone: « salvo quanto previsto dall’articolo 96 del codice di procedura civile, con la sentenza che decide l’impugnazione, il giudice dichiara se la parte soccombente ha agito o resistito con mala fede o colpa grave e, in tal caso, revoca con efficacia retroattiva l’eventuale provvedimento di ammissione della stessa al patrocinio a spese dello Stato. In caso di società o enti, il giudice dichiara se sussiste mala fede del legale rappresentante che ha conferito la procura e, in caso positivo, lo condanna in solido con la società o l’ente al pagamento delle spese dell’intero processo e al pagamento di una somma pari al doppio del contributo unificato di cui all’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115».
10. La disposizione, nella formulazione ratione temporis applicabile, costituisce norma speciale sia rispetto alla disposizione generale relativa alla colpa grave della parte (ed invero, vi si dice « salvo quanto previsto dall’art. 96 del codice di procedura civile »), sia rispetto alla disposizione generale di cui all’art. 94 cod. proc. civ ., secondo cui « coloro che rappresentano o assistono la parte in giudizio possono essere condannati personalmente, per motivi gravi che il giudice deve specificare nella sentenza, alle spese dell’intero processo o di singoli atti, anche in solido con la parte rappresentata o assistita ». La formulazione temporalmente pertinente, che fa riferimento anche alla colpa grave, appare sostanzialmente sovrapponibile nei presupposti a quella di diritto comune (ove quest’ultima fa riferimento a « motivi gravi» ), dovendosi accertare una autonoma responsabilità processuale del legale rappresentante conferente la procura, soggetto estraneo al giudizio (Cass., n. 9203/2020; Cass., n. 27475/2019; Cass., n. 20878/2010), fondata
sull’accertamento in fatto della proposizione di impugnazione senza la normale prudenza (arg. ex Cass., Sez. U., n. 5398/1988).
La norma, anche nella formulazione attuale, prescinde (al pari della disposizione di cui all’art. 94 cod. proc. civ.) da una specifica richiesta di parte e inerisce al dovere del giudice di regolare le spese processuali (Cass., n. 3977/2003), come emergente dall’utilizzo del verbo « dichiara» (nella formulazione applicabile pro tempore ), ora sostituito dal verbo « accerta». Il che comporta che il giudice del reclamo deve, con la sentenza con cui chiude il giudizio, valutare se sussistono i presupposti per l’a pplicazione della norma e, in caso positivo, disporre l’estensione della stessa condanna in punto spese (e altro onere) anche a carico del legale rappresentante conferente la procura, benché non parte del giudizio di reclamo.
Si tratta di una disposizione di natura sanzionatoria, la quale enuncia una responsabilità processuale -in caso di reclamo proposto avverso una sentenza di apertura della liquidazione giudiziale di una società o comunque di un ente collettivo non societario -a carico del legale rappresentante che abbia conferito procura in costanza dei presupposti di legge e, quindi, non per il solo presupposto della soccombenza (Cass., n. 11194/2012); questa responsabilità appare più afflittiva rispetto a ll’art. 94 cod. proc. civ., essendo l’oggetto della condanna alle spese non riguardante singoli atti, ma le spese processuali dell’« intero processo» , e quindi l’intera fase processuale del procedimento di reclamo.
Appare evidente, peraltro, la funzione della norma in esame, volta a dissuadere gli organi di società o enti assoggettati a liquidazione giudiziale dal proporre reclami manifestamente infondati, in quanto attività processuale -in caso di rigetto dell’impugnazione realisticamente priva di effetti economici almeno immediati sul patrimonio del soccombente e, per converso, gravida di conseguenze per le altre parti processuali e in genere per i soggetti
interessati a un ordinato ed efficiente andamento distributivo della procedura concorsuale. In caso di rigetto del reclamo, da un lato ed infatti, i creditori della liquidazione giudiziale si vedono gravati di un costo prededucibile per l’attività prestata dal difensore della curatela, senza prospettive di recupero nei confronti della società insolvente (il cui patrimonio è già acquisito all’attivo della procedura) . Parimenti, il creditore istante, litisconsorte necessario del giudizio, non può di per sé trovare soddisfacimento all’interno della procedura concorsuale, non essendo le proprie spese processuali sostenute nell’interesse della massa dei creditori (Cass., n. 22725/2019; Cass., n. 1186/2006), al pari delle spese del difensore della società insolvente (Cass., n. 5821/1994).
14. Il legislatore ha, pertanto, inteso introdurre un criterio correttivo che, indipendentemente dal disposto dell’art. 94 cod. proc. civ., consenta al giudice del reclamo di accertare, con la pronuncia relativa alle spese processuali, la responsabilità speciale del legale rappresentante della società reclamante, al fine di dare attuazione sostanziale al principio di responsabilità processuale per avere il soccombente dato causa a un giudizio infondato (Cass., n. 1123/2022). Si tratta, come anticipato, di un istituto a natura sanzionatoria, peraltro attenuata nella formulazione in vigore (per i procedimenti pendenti alla data del 28 settembre 2024), in quanto ora regolato da una norma applicabile solo in caso di mala fede e, in ogni caso, sprovvista -almeno enunciativamente dell’onere del giudice del reclamo di procedere alla revoca della eventuale ammissione al gratuito patrocinio.
15. Pur configurando la condanna del legale rappresentante (non parte del giudizio) una condanna solidale con la parte processuale (società) -come evidenziato dal Pubblico Ministero durante la discussione orale -la stessa presuppone l’accertamento di un fatto processuale, costituito dalla mala fede (o, nel testo
anteriore all’attuale, anche dalla colpa grave) del legale rappresentante nell’avere conferito la procura al difensore, fatto diverso dalla mera soccombenza processuale. La condanna alle spese del legale rappresentante è assimilabile a una solidarietà diseguale, in cui al diritto della parte vittoriosa di esigere da tutti la prestazione (Cass., n. 21664/2007; Cass., n. 19492/2007, Cass., n. 5475/2023), si accompagna (in tesi) una diversa distribuzione interna delle responsabilità in caso di regresso tra condebitori (Cass., n. 32930/2018; Cass., n. 30952/2023).
Trattandosi di responsabilità processuale distinta da quella della società, la stessa può essere fatta valere solo dalla parte interessata (il legale rappresentante), in quanto -diversamente -verrebbe fatto valere in giudizio, per quanto da un condebitore solidale, una posizione processuale altrui ex art. 81 cod. proc. civ. in difetto della legitimatio ad causam (Cass., n. 31574/2023).
Il legale rappresentante della società assoggettata a liquidazione giudiziale, il cui reclamo sia stato rigettato e per il quale sia stata accertata la responsabilità a termini dell’art. 51, comma 15, CCII, ha l’onere benché non costituito nel giudizio di reclamo -di proporre impugnazione del capo di condanna alle spese processuali, pena la formazione di un giudicato interno. Essendo nella vicenda il motivo stato proposto dalla sola società, lo stesso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile. Deve, pertanto, enunciarsi il seguente principio di diritto:
17567/2024 R.G. «in tema di ricorso per cassazione avverso la sentenza di rigetto, da parte della corte d’appello, del reclamo avverso la pronuncia con cui è disposta l’apertura della liquidazione giudiziale, l’a ffermazione del presupposto della responsabilità del legale rappresentante di cui all’art. 51, comma 15, CCII non discende dal l’ avere la società o l’ente dato causa a un giudizio infondato, bensì, secondo la formulazione della norma -applicabile alla fattispecie ratione temporis e
precedente la novella del d. lgs. n. 136/2024 dall’avere egli agito senza la normale prudenza (colpa grave) ovvero con mala fede, conferendo la procura per l ‘ impugnazione; la conseguente condanna in solido al pagamento delle spese del giudizio e al raddoppio del contributo unificato (ex art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002), può essere censurata, mediante il ricorso per cassazione, unicamente dalla parte da essa incisa, così che, in assenza della relativa autonoma impugnazione, individualmente o anche congiuntamente alla società proposta, si forma il giudicato interno in relazione a tale capo della decisione; ne deriva che il relativo ricorso per cassazione proposto su tale capo della sentenza dalla sola società è inammissibile».
Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile nel suo complesso, oltre a doversi disporre il raddoppio del contributo unificato, sussistendone i presupposti. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, attesa l’assenza di difese scritte degli intimati .
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11/09/2025.
Il Consigliere NOME
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME